A scuola con il lavoro ben fatto | Appunti

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il Lavoro Ben Fatto all’I.C. Follonica 1, 2024 – 2025 | Progetto
Appunti per una didattica artigiana | Articolo
Il lavoro ben fatto in 10 articoli | Manifesto

Bottega IV° A, Gianni Rodari, I. C. Follonica 1
Ogni corso è un racconto, ogni classe una bottega che apprende, ogni studente un autore. Con Irene Costantini, il prossimo settembre, contiamo di partire da qui per ridisegnare le attività della classe che diventa bottega. È un percorso che abbiamo attivato già da un po’ di anni con Maria D’Ambrosio, in Bottega O, all’Università Suor Orsola Benicasa, ma l’esperienza suggerisce che può funzionare anche alle  elementari. Di più: con i più piccoli, nel senso dell’età, i risultati sono più ampi, più profondi e più di lunga durata.

Senza inizio e senza fine
Nei mondi del lavoro ben fatto non c’è mai un punto di approdo definitivo. Si sta come su La barca di Neurath, si lavora in modalità beta permanente. Accade così che il cambiamento diventi un po’ come il sensemaking secondo Weick, un processo senza inizio e senza fine orientato al miglioramento continuo delle idee, delle azioni, delle relazioni, dei risultati.

Il lavoro ben fatto fa bene alla scuola
A scuola con il lavoro ben fatto, dalla prima elementare all’università. Per disegnare e vivere gli spazi di inclusione, dentro e fuori la classe, dove impariamo a pensare in autonomia, a rialzarci ogni volta che cadiamo, a fare bene quello che dobbiamo fare, qualunque cosa dobbiamo fare. Dove scopriamo il valore del pensiero critico, della differenza, della curiosità, dell’osservazione, della sperimentazione, della lettura gratuita, del lavoro di gruppo. Dove miglioriamo la capacità di attenzione e di concentrazione. Dove acquisiamo abilità, competenze e naturalezza nella comunicazione. Dove ci abituiamo a risolvere problemi. Dove approfondiamo la relazione tra noi, lo spazio e il tempo. Dove viviamo esperienze di gratificazione personale. Dove fare è pensare.

Fare è pensare
Questa frase l’ho incontrata per la prima volta nel 2008, galeotto fu L’uomo artigiano e chi lo scrisse, Richard Sennett. Prima del prologo c’è la pagina dei ringraziamenti, dove l’autore racconta che era a un punto morto del libro quando il filosofo Richard Foley gli chiese quale intuizione lo guidasse. La sua risposta? Fare è pensare.

Una frase composta da tre verbi
Me ne sono accorto ieri e la cosa mi ha fatto un po’ strano, perché nei 16 anni che ci separano dal nostro primo incontro la frase “fare è pensare” l’ho usata – tra libri, paper, articoli e racconti – centinaia di volte. E perché forse non è tanto usuale che una frase di senso compiuto sia formata da tre verbi. Detto ciò, aggiungo che si interseca alla grande con il lavoro ben fatto e che è per questo che continuo a portarmela appresso, così come faccio con “l’ignorante non si conosce mica dal lavoro che fa ma da come lo fa” da La luna e i falò di Cesare Pavese, e con Lorenzo Perrone, che ho conosciuto grazie a Primo Levi e alla conversazione con Philip Roth, a Torino, nel 1986. Ma torniamo ai verbi.

In principio fu il verbo
I verbi si distinguono dalle parole perché indicano una azione. Vale in generale, con tutti i significati che ne conseguono, e vale ancora di più nel mondo del lavoro ben fatto. Che non a caso nasce come approccio, pensiero, metodologia, processo che diventa sperimentazione e viene validato dalla pratica.
Perché se è vero che fare è pensare è vero anche che pensare è fare. Perché forse aveva ragione mia nipote Valeria quando, con la geniale semplicità dei suoi 4 anni, alla domanda “quand’è che una cosa è vera?” rispose “quando la puoi pensare”.

5 minuti e poi
Ieri ho chiesto a Irene se aveva 5 minuti per parlarci via social. Nei giorni precedenti si era confrontata con la sua dirigente scolastica, Elisa Ciaffone, e  volevo scambiare alcune idee sull’impostazione del lavoro del prossimo anno scolastico con la 4° A. Per fortuna abbiamo parlato per un’ora. Per fortuna perché 5 minuti sarebbero bastati per consolidare il già detto, 1 ora è stata necessaria per abbozzare un po’ di nuove possibilità.

I tre muri maestri del processo educativo
La scuola, la famiglia e la comunità sono i muri maestri, quelli che secondo Wittgenstein reggono l’intera casa, del processo educativo. La scuola in generale, quella del lavoro ben fatto ancora di più, ha bisogno di costruire relazioni forti tra chi a scuola studia e lavora, chi a casa si prende cura dei propri figli, chi nella communità scolge un ruolo di attore istituzionale, politico, economico, sociale. L’esperienza che con Irene abbiamo raccontato in A scuola con il lavoro ben fatto è, da questo punto di vista, paradigmatica. Il lavoro che avvieremo a partire da settembre sarà orientato a rendere ancora più forte questo approccio, questa cultura, questa interazione tra i diversi soggetti in vario modo coinvolti nel processo educativo e formativo.

Song’ ‘e fierre ca’ fanno ‘o mast
Sono gli attrezzi che fanno il maestro. Un lavoro ben fatto non può fare a meno dell’abilità, della competenza e della cura con cui ci relazioniamo con i nostri strumenti di lavoro, e con cui li utilizziamo. In tanti lavori, al massimo livello, è il maestro stesso che si costruisce i propri attrezzi di lavoro, perché così li può personalizzare al meglio, sono più precisi, come racconta mastro Antonio Zambrano ne La tela e il ciliegio.
Le bimbe e i bimbi di 4°A, il prossimo anno, saranno impegnati a comprendere prima e a costruire poi, in maniera autonoma, questa consapevolezza, e a metterla in pratica, nei tempi e nelle forme plurali e diverse che saranno possibili a ciascuna/o di loro.

Decidere e agire, dunque partecipare
Pepe Mujica, a pagina 148 di Sopravvivere al XXI Secolo, dice che “democrazia significa, e deve significare, distribuzione del potere decisionale tra le persone”. E Naom Chomsky, nella pagina successiva, aggiunge che “La democrazia nasce laddove c’è una popolazione informata, emancipata e propositiva che riconosce di poter agire, che è nella posizione di fare le cose in autonomia.” La domanda che ci siamo fatti con Irene in aprile, dopo aver finito di leggere il libro, è stata come fare in modo che le nostre bimbe e i nostri bimbi possano avere potere decisionale, agire in maniera informata, emancipata e propositiva e dunque partecipare.
La risposta che ci siamo dati non è ovviamente definitiva, però l’idea di base sulla quale lavorare a partire da settembre c’è, ha a che fare con l’assunzione di ruolo (role-taking) e mira a fare in modo che ogni componente della classe sviluppi la propria capacità di decidere tenendo conto non solo del proprio punto di vista e/o della propria prospettiva , ma anche da quello/a dell’altro/a. Ah, dimenticavo, Sopravvivere al XXI Secolo l’ho raccontato qui.

Esempio 1: I rapporti tra scuola, famiglia, comunità e tecnologia
Obiettivo: Usare la tecnologia, dalla leva all’intelligenza artificiale, in maniera critica e consapevole.
Processo: Divisione della classe bottega in tre gruppi: gruppo cittadini, gruppo aziende social, gruppo legislatori.
Il gruppo cittadini fa il censimento della tecnologia che usa a scuola, a casa, nella comunità e racconta quello che fa con la tecnologia che utilizza.
Il gruppo aziende social fa il censimento delle azioni che porta avanti per sviluppare l’utilizzo della tecnologia e aumentare i propri guadagni.
Il gruppo legislatori fa il censimento delle leggi che limitano il potere delle aziende e tutelano i diritti dei cittadini e propone ulteriori leggi in questo senso.
Naturalmente ogni gruppo per fare quello che deve fare deve ragionarci su insieme alle maestre, fare ricerca, verificare, ritornare a ragionarci su e tanto altro ancora.
I gruppi non sono fissi ma ruotano, il gruppo cittadini diventa prima gruppo aziende social e poi gruppo legislatori, e così gli altri 2 gruppi, in maniera tale che ogni gruppo durante il percorso fa tutte e 3 le parti in causa.
Nei mesi finali dell’anno si  prepara una sintesi del lavoro svolto e si condivide con i diversi interlocutori (scuola, famiglie, istituzioni, associazioni, imprese, sindacato, ecc.) con una lettera di accompagno delle maestre. Dopo di che tutti gli interlocutori coinvolti vengono invitati a scuola per discuterne assieme. Il passo ulteriore è quello che porta la classe e le maestre a discutere dei risultati dell’insieme del lavoro svolto nelle diverse fasi e a preparare una sintesi conclusiva che viene inviata a tutti i partecipanti.

Esempio 2: I rapporti tra scuola, famiglia e comunità
Obiettivo: Migliorare il livello di collaborazione nell’interesse della classe.
Processo: Divisione della classe bottega in tre gruppi: gruppo scuola, gruppo famiglia, gruppo comunità.
Nel gruppo scuola c’è chi fa la parte dell’alunna/o, chi fa la parte della maestra, chi fa la parte della bidella, chi fa la parte della dirigente scolastica; nel gruppo famiglia c’è chi fa la parte dei genitori e chi fa la parte dei nonni; nel gruppo comunità c’è chi fa la parte del sindaco, chi fa la parte dell’associazione, chi fa la parte dell’impresa, chi fa la parte del sindacato, ecc.
I gruppi non sono fissi ma ruotano, il gruppo scuola diventa prima gruppo famiglia e poi gruppo comunità, e così gli altri 2 gruppi, in maniera tale che ogni gruppo durante il percorso fa tutte e 3 le parti in causa.
Nei mesi finali dell’anno si  prepara una sintesi del lavoro svolto e si condivide con i diversi interlocutori (scuola, famiglie, istituzioni, associazioni, imprese, sindacato, ecc.) con una lettera di accompagno delle maestre. Dopo di che tutti gli interlocutori coinvolti vengono invitati a scuola per discuterne assieme. Il passo ulteriore è quello che porta la classe e le maestre a discutere dei risultati dell’insieme del lavoro svolto nelle diverse fasi e a preparare una sintesi conclusiva che viene inviata a tutti i partecipanti.

Il processo è tutto
Nell’articolo in cui ho raccontato l’ultimo libro di Luca De Biase, Apologia del futuro, ho scritto a un certo punto di pagina 271, quella in cui dopo aver citato Erin McKenna (“non lavoriamo per arrivare a una situazione finale che di fatto non esiste: piuttosto cerchiamo e sperimentiamo una molteplicità di situazioni future che in effetti sono possibili”) e Carl DiSalvo (“il design e la democrazia, in questo senso, sono discipline orientate al processo”), Luca scrive: “Alla fine, il processo è la visione. Alla fine, la cura quotidiana della dimensione civica è il risultato del progetto.” Dopo di che ho citato a mia volta il filosofo Salvatore Veca (“risolvere un problema è prima di tutto semplicemente il modo per creare il problema successivo”) per dire che forse funziona proprio così, che i problemi sono come gli esami di Eduardo De Filippo, non finisco mai. Dopo di che ho aggiunto: “Secondo me è per questo che il processo è tutto. È per questo che non ha senso portare pesci ma bisogna che ciascuno impari a pescare. È per questo che quando dico che insegno a pensare non faccio il ciuccio (l’asino) presuntuoso ma sottolineo l’importanza di imparare sempre, di usare con maestria i ferri del mestiere, di pensare e fare con la propria testa.”

Il filo di Arianna
In questo percorso che non ha una parola fine, il filo che possiamo seguire per non perderci nel labirinto di questi anni complicati e incerti può essere proprio il processo del lavoro ben fatto.
Il lavoro ben fatto come possibilità di cambiamento culturale e sociale, come cura quotidiana della nostra autonomia, della nostra capacità di fare e pensare, della nostra dimensione civica.
Ci stiamo lavorando. Non solo Irene, Maria e io, anche tante/i altre/i con titoli e parole diverse ma con la stessa creatività, dedizione, impegno. Detto ciò, aggiungo che siamo sempre in pochi rispetto al lavoro che c’è da fare, e che bisogna che ci parliamo di più.

Tu chiamale se vuoi, interazioni
Nonostante questo spazio sia a disposizione di chiunque, a scuola, in famiglia, nelle diverse comunità, abbia voglia di interagire, agire in maniera informata, emancipata e propositiva e dunque partecipare in maniera attiva non è facile a nessuna età. Sperando di sollecitare, far venire la voglia, “sfruculiare”, intanto pubblico io qualche commento e qualche feedback che sta arrivando qui e là. Noi speriamo che ce la caviamo.

Domenico Soriano
Vincenzo, ma concretamente, cosa pensate di far fare alle bambine e ai bambini di quarta?

Tiziano Arrigoni
Quello da sottolineare è il concetto di comunità, intesa come comunità di persone che vive in uno spazio significante con le sue stratificazioni materiali e immateriali. Insomma l’aula scolastica non deve essere fra quattro muri, ma comprendere il territorio circostante, dal locale al generale. Il mondo come una grande aula scolastica, partendo dal più vicino.

Rosaria Peluso
Un ricordo bellissimo, con i miei bimbi di prima elementare.

Maria Luisa Buono
Molto interessante.

Un po’ della strada fatta fin qui
Gianni Rodari, Il lavoro ben fatto in 3° A, Follonica
Unisob, Bottega O, Napoli
Bottega Next Generation, Potenza
Bottega Rodari, Follonica
HIA, Hospitality Innovation Academy, Firenze
Unisob, Bottega O, Napoli
Unisob, Una Bottega chiamata Aula O, Napoli
Prima A, Gianni Rodari, Follonica
Bruno Buozzi, Follonica
Unisob, Bottega O, Napoli
5° A, Gianni Rodari, Follonica 1, Follonica
Twins School, Caselle in Pittari
Il percorso, Le possibilità, Il mosaico, 4° A, Gianni Rodari, Follonica
I. C. Follonica 1 e I. C. Leopoldo II di Lorena, Follonica
Unisob, Bottega Aula O, Napoli
Istituto Salesiani, Napoli Vomero
4° A Gianni Rodari, Follonica
Unisob, Aula O, Napoli
Unisob, Grazie Aula O, Napoli
Unisob, Aula O, Napoli
Gianni Rodari, Raccontare il tempo in 3° A, Follonica
Istituto Alberghiero A. Nebbia, Loreto
Il Piccolo Principe disegnato da voi, Napoli
I. C. Samuele Falco, Scafati
Unisob, Aula O, Napoli
Stazione Piccolo Principe
I.C. Follonica 1, Follonica
3° Circolo Didattico Don Lorenzo Milani, Modugno
Unisob, Aula O, Napoli
I. C. Samuele Falco, Scafati
Liceo Artistico Giorgio de Chirico, Torre Annunziata
I. C. Bordiga Porchiano, Napoli Ponticelli
Istituto Comprensivo Pablo Neruda, Roma
33° Circolo Didattico Risorgimento, Napoli Soccavo
Istituto Novelli, Marcianise
ITI Galileo Ferraris, Napoli Scampia
I. C. Marino Santa Rosa, Napoli Ponticelli
Liceo Carducci, Nola