Appunti per una Didattica Artigiana

Il lavoro ben fatto, il libro
A scuola di lavoro ben fatto, di tecnologia e di consapevolezza

Caro Diario, oggi ti racconto una storia che avrei potuto scrivere per una bella rivista trimestale, una di quelle con le stellette, meglio se in lingua inglese. Ogni tanto lo faccio, e avrei potuto anche questa volta, ma avrei dovuto dare un’altra forma al mio racconto e tra una cosa e l’altra ci sarebbero voluti mesi prima di vederlo pubblicato. No, non è questo il post, vengo subito al punto, per punti.

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1. Claim

Ogni corso è un racconto, ogni classe una bottega che apprende, ogni studente un autore.

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2. Contesto

Questi appunti hanno alle spalle oltre 20 anni di attività come docente. La mia esperienza suggerisce che questo approccio vale sempre, naturalmente con contenuti specifici e diversi, dalle elementari all’università, ma qui ho preferito riferirmi esplicitamente alle mie esperienze universitarie.
Ci tengo a precisarlo per almeno due ragioni:
la prima è che mi piace parlare delle cose che so, che ho fatto e che faccio, per me è una regola importante, la tuttologia non fa parte delle mie aspirazioni;
la seconda è che con questo articolo intendo raccontare una possibilità e sostenerla sulla base di alcune esperienze realizzate, niente di più e niente di meno.
Detto ciò, se qualche amica o amico docente deciderà di coglierla, di ripensarla e di moltiplicarla saprà lei, o lui, come fare.

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3. Background

Come dicevo sono tanti anni che penso e che faccio su questo tema, e dato che ogni volta lo racconto, non è difficile trovare qui e là tracce di questo lavoro. Qui mi limito a ricordarne due.

La prima si riferisce al 1999, quando con Colomba Punzo vinciamo un premio ad un convegno del Cilea a Milano con un paper intitolato “Pensieri e Autori per il prossimo millennio” che racconta il lavoro fatto con una quinta classe elementare dell’allora 70° Circolo Didattico di Ponticelli, Napoli.

La seconda è datata invece 2008 e rimanda alle prime pagine della terza edizione del Dizionario del Pensiero Organizzativo, nel quale si possono leggere questi tre concetti:
Per apprendere bisogna innanzitutto capire. Poi studiare. Infine cercare di applicare a contesti reali (famiglia, amici, lavoro, svago, studio, affetti, ecc.) ciò che si è capito e studiato.
Le nostre attività con gli studenti sono andate assumendo sempre di più caratteri tipici dei processi di apprendimento collaborativo; è un approdo che tende a fare della classe una organizzazione che utilizza le idee, i contenuti, le informazioni per apprendere, costruire significati, creare conoscenza.

Si tratta di un lavoro che ha tanto più senso quanto più:
non ci si accontenta della funzione tradizionale del docente;
si tiene assieme la storia (lezione in aula, libro di testo, ecc.) con la ricerca e l’innovazione (studenti autori, processi di comunicazione, uso delle tecnologie, ecc.);
si attivano processi di sperimentazione e di verifica sul campo di metodologia, didattica e contenuti.

Questo è quanto, forse oggi saprei dirlo meglio, ma il senso di questo punto è dare conto dei fili che collegano il lavoro passato a quello presente e futuro, e direi per questo che va bene così.

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4. Note

Il corso è un racconto.

La classe è un’organizzazione che apprende, un luogo sociocognitivo serendipitoso in cui le cose che la/il docente sa e sa fare si ibridano e si moltiplicano nella relazione con il sapere e il saper fare di ogni sua e suo componente. La classe pensa e fa, dunque impara. La classe è una bottega.

La studentessa è un’autrice, lo studente un autore.

I libri di testo sono conoscenza di base condivisa. La classe perciò li legge prima che il corso abbia inizio o comunque durante le prime due settimane di attività.

L’unità didattica è il work flow di una lezione o di un gruppo di lezioni, l’organizzazione delle cose  che ci si prefigge di imparare e di fare, dunque va condivisa dalla/dal docente almeno un giorno prima della lezione.

Ogni singola unità didattica è strutturata in quattro fasi: speech docente; attività di brain storming (discussione, domande e risposte, altro); lavoro di gruppo (ogni volta componenti diversi, tutti lavorano con tutti) finalizzato a progettare e  realizzare un progetto (prodotto, manufatto narrativo, ipotesi di lavoro, altro); speech di un portavoce per ogni gruppo che racconta il lavoro fatto e il suo perché (senso).

L’esame è la prova d’arte. A partire dal progetto (prodotto, manufatto narrativo, ipotesi di lavoro, altro) realizzato da ciascun componente della bottega si verifica e si valuta il lavoro teorico e pratico compiuto durante il percorso di apprendimento in relazione sia allo studio dei libri di testo sia alle attività svolte nei gruppi e singolarmente.

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5. Storie di Bottega

Bottega Next Generation
Consulte Sturentesche di Potenza e Matera, Potenza

Bottega Rodari
Istituto Comprensivo Follonica 1, Follonica

Bottega HIA
Hospitality Innovation Accademy, Firenze

Bottega O
Corso di Comunicazione e Culture Digitali
Università Suor Orsola Benincasa, Napoli

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6. Cassetta degli Attrezzi

Il Lavoro Ben Fatto | Libro
I 5 Passi | Video
La Vandera | Canvas
Il Manifesto | Valori
Le Carte | Possibilità
Il Puzzle | Caratteristiche
L’Occhio | Muri Maestri

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7. Ritorniamoci su

Caro Diario, vorrei che questi miei appunti intorno alla possibilità di pensare e di fare una didattica artigiana in cui il corso è un racconto, la classe un’organizzazione che apprende e lo studente un autore ci aiutessero a ritornarci su, a continuare a discuterne insieme. Come mi diceva Franco Nori durante la mia permanenza al Riken, a Wako, in Giappone, 2 teste sono meglio di 1, 4 meglio di 2, 8 meglio di 4, 16 meglio di 8 e così via, fino all’infinito e oltre.
Partecipare è semplice, basta scrivere o segnalare nello spazio dei commenti a questo post opinioni, idee, proposte, esperienze realizzate e/o conosciute. Buona partecipazione.

  • Elisa Lucatelli |

    Caro Vincenzo,
    nella mia esperienza legata nello specifico alla formazione aziendale, la progettazione di una didattica artigiana spesso incontra resistenze. La si accusa di scarsa efficienza: si dice che è difficilmente replicabile tout court, che necessita di competenze medio-alte, che è più difficilmente trasferibile ad altri, e così via. Meglio quindi optare per una didattica “di serie”: serve a poco, ma intanto crea meno problemi (intesi come scostamento dai processi standard) all’organizzazione. Quali leve usare per sviluppare una cultura favorevole alla didattica artigiana nella formazione aziendale? Come far capire, anche in questo contesto, che un lavoro ben fatto “conviene”?

  • Vincenzo Moretti |

    ELISA LUCATELLI
    L’interessante concetto di “didattica artigiana” sta prendendo vita dagli appunti di Vincenzo Moretti e dalla sua visione della classe come organizzazione che apprende e si ritrova ad essere, nobilmente, “bottega”.
    Molti i punti di contatto anche con i temi della formazione corporate, uno fra tutti: “Per apprendere bisogna innanzitutto capire. Poi studiare. Infine cercare di applicare a contesti reali (famiglia, amici, lavoro, svago, studio, affetti, ecc.) ciò che si è capito e studiato.”
    Ma se il capire e l’applicare sono concetti che ritrovo, la fase di studio è purtroppo – ormai da lungo tempo – la grande assente.

  • Vincenzo Moretti |

    GIANLUCA MARTINI
    Questa idea poetica e bellissima della didattica si scontra con la prerogativa della scuola pubblica, ovvero che tutti gli studenti debbano avere la stessa formazione. Inoltre diventa in questo caso veramente legata alla passione del docente e questo è veramente il punto dolente della scuola odierna. Detto in altro modo la didattica, a mio avviso, non deve essere artigiana in quanto deve essere ripetibile e misurabile nei risultati, in modo da garantire a tutti la stessa formazione, da Nord a Sud.

  • cinzia |

    Mai come in questo momento ripensare la didattica in un’ottica artigiana, così come viene descritta nell’articolo di Vincenzo, mi sembra una traccia utile per il futuro, adottando anche un approccio di backcasting, così come descritto in questo interessante articolo: https://www.sapereambiente.it/primo-piano/costruire-il-futuro-nellottica-del-backcasting-quale-modello-educativo/

  • Vincenzo Moretti |

    Grazie Maria. Questa piccola possibilità di pensare e fare una didattica artigiana può avere senso e futuro solo se siamo in tante/i a contribuire, con la testa con le mani e con il cuore, ciascuna/o con le proprie diversità, alla sua ideazione e realizzazione.

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