Sei mesi a Cip

Caro Diario, non mi era mai successo di stare 6 mesi lontano da Napoli. Per la mia prima volta ho aspettato 65 anni e la pensione, quando invece lo sanno tutti che si sta tanto tempo lontano da casa soltanto per lavoro, almeno nella vita delle persone normali come noi funziona così.
Credo che sia successo perché sono stato lontano 6 mesi da Napoli ma non da casa. Perché in mezzo ci sono state le ferie. Perché fino a un certo punto c’è stata Cinzia che ogni due settimane mi raggiungeva, e poi ci sono stati Luca e Riccardo che mi sono venuti a trovare, e poi evviva le videochiamate che puoi parlare e ti puoi vedere quando vuoi con chi vuoi bene e ti vuole bene. E forse anche perché non lo avevo deciso prima, o almeno non completamente, non in questo modo, è un po’ venuto da sé, favorito persino dalle assurde circostanze, dalla difficoltà a muoversi, dalla follia di una situazione che se eri a Milano, Firenze o Roma potevi venire e tornare da Caselle e se eri a Napoli no.
Detto tutto ciò, rimane il succo, la sostanza, quella che se sei onesto con te stesso ti fa riconoscere che se rimani 6 mesi in un posto è perché ci vuoi rimanere, con tutte le difficoltà del caso, perché un prezzo da pagare c’è sempre, nella vita vera è così.
Tornato a Napoli, è venuto il momento del racconto, che anche quello non è facile, perché 6 mesi sono tanti e i pensieri che uno tiene nella testa sono indisciplinati, si accavallano, si fa fatica a organizzarli.
Alla fine ho deciso, come ogni volta, di farmi aiutare dalle parole, le ho messe in fila, dalla A alla Z, anche se le lettere non ci sono tutte. Nel mio piccolo ho fatto un po’ come Goffredo Parise con Sillabari, che mi fu regalato dal mio amico Rosario Strazzullo e mi prese già dall’avvertenza, che si conclude così: “[…] La poesia va e viene, vive e muore quando vuole lei, non quando vogliamo noi, e non ha discendenti. Mi dispiace ma è così. Un poco come la vita, soprattutto come l’amore”. Ecco, i miei ricordi sono un po’ come la poesia di Parise, vanno e vengono, vivono e muoiono quando vogliono loro, perciò fatti bastare quello che ti racconto, che non è tutto, ma non è neanche poco.

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Amicizia
Arrivando dall’autostrada, quando mancano poche decine di metri a via Caporra, c’è un cartello che dice più o meno, vado a memoria, “Benvenuti a Caselle in Pittari, Paese dell’Accoglienza”. Ora un cartello è un cartello, si sa, anche per il cartello del mio cuore è così – “Benvenuti a Cip, il paese del lavoro ben fatto. Qui ognuno fa bene quello che deve fare e tutto funziona meglio” – però questa storia dell’accoglienza si addice molto a Caselle, lo riconoscono anche i paesi confinanti, che non è quasi mai una cosa scontata.
Nel mio caso accoglienza è diventata amicizia, e anche affetto. L’amicizia, l’affetto e il rispetto che la comunità mostra nei miei confronti, e io nei suoi, e che si manifesta in tanti piccoli e grandi gesti quotidiani, che insomma davvero io quando sto a Cip sto a casa.
Dopo di che ci stanno gli amici; quelli che ti danno la chiave della loro bottega e quelli che ti mandano la pizza e la ‘mbosta a casa, quelli che ti tagliano i capelli e ti raccontano di stringhe e di quanti e quelli che a pranzo dicono “facciamo 10”, quelli che conosci da pochi mesi ma è come se li conoscessi da una vita e quelli con cui condividi storie, pezzi di vita, piccoli percorsi e possibilità. Quelli e quelle naturalmente, persone che tu sei felice che esistono perché sai che ci sono, persone che rendono la tua vita più bella, amici insomma.
E la cosa incredibile è che vale anche per gli amici che ti vengono a trovare, puoi chiedere a Pasquale, a Gilda, a Domenico, a Gabriele, a Marilena, a Giuseppe, che quando arrivano sono tutti curiosi di capire e quando partono “se ne vanno carichi di meraviglia”, proprio come diceva mia madre. Mi devi credere, te lo ripetono cento volte che pensavano che eri tu con i tuoi racconti a creare la storia e invece è Cip che tiene veramente qualcosa di magico e di particolare. Già, magico e particolare. Come l’Urmu, il paese vecchio, la pineta, la valle strazza, le strade di campagna, il profumo del pane.

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Bottega O
Se Aula O quest’anno è diventata Bottega O una ragione c’è, ed è legata a Caselle, a Jepis Bottega, alla presenza di Giuseppe Jepis Rivello insieme a Maria D’Ambrosio e me alla voce docenti. Insieme allo studio dei libri di testo prima e durante il corso, è stato proprio questo ulteriore accento sul fare, questa connessione sempre più forte tra fare e pensare, a determinare il salto di qualità della classe, non delle singole eccellenze, che quelle ci sono ogni anno, ma della classe nel suo insieme. Insieme al racconto del nostro viaggio, ti consiglio di non perdere il video, che ti garantisco rende l’idea.

 
Buonanotte Lavoro Narrato
Per la verità questa storia qui non è nata a Cip, è una sorta di spin – off de La Notte del Lavoro Narrato ideata con due complici staordinari come Giuseppe Jepis Rivello e Gigi Squot Scuotto, però dopo quelle napoletane con Silvia Moggia e Sara Lubrano anche a Caselle ha vissuto delle serate troppo belle. A volo a volo mi vengono in mente Giovanna Manzi, Antonio Pescapè e Federico Samaden, ma nella playst le trovi tutte, con calma quando puoi dacci un’occhiata, ti garantisco che ne vale la pena.

 
Casa nonna Pasqualina e nonno Remo
Qui c’è una storia tutta da leggere, si intitola ‘O piatto a tavola, racconta un po’ del mio rapporto con Cip e un po’ di più del mio rapporto con il giovane Jedi più straordinario che io abbia mai conosciuto, Jepis, e con le tre splendide donne che compongono la sua famiglia, la moglie Margherita e le figlie Rosa, 5 anni, e Antonietta, 2.
Casa nonna Pasqualina e nonno Remo è stata la mia seconda casa, la mia seconda famiglia, e casa e famiglia sono due parole fondamentali nelle nostre vite. Lo puoi vedere dal rapporto con le due bimbe, dai cartoni animati visti assieme a Rosa con personaggi che neanche avevo idea che esistessero, dalla gioia con cui 2-3 volte, non di più, ho dato da mangiare ad Antonietta, dalle storie che ci siamo inventati assieme, ci ho scritto un altro piccolo racconto, si intitola Antonietta, il piccolo principe e l’ordine del tempo, non aggiungo altro, basta che leggi e ci trovi tutto quello che ti voglio dire.

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Chiacchiere sulla nuova residenzialità
Ero nel mezzo del cammino dei miei 6 mesi a Cip, anche se né io né Jepis lo potevamo sapere, ma insomma erano 100 giorni che ero a Cip e Jepis mi ha chiesto se avevo voglia di fare qualche chiacchiera sulla mia vita a Caselle. Certo che avevo voglia, e così abbiamo registrato e poi lui sul podcast pubblicato su Spotify ha scritto questo: “Dopo 100 giorni a #Cip ho chiesto a Vincenzo Moretti come ha vissuto questo periodo e cosa ha realizzato. La sua relazione con la mia comunità mi fa pensare che la “Nuova Residenzialità” possa passere anche attraverso storie come questa.” Dura 13 minuti e un poco, buon ascolto.


 
Esperimenti di Narrazione
Gli esperimenti di narrazione sono un’idea di Jepis, li portiamo avanti nella Piccola Scuola, sono un’esperienza di condivisione e di crescita davvero straordinaria, nel primo a cui ho partecipato l’obiettivo era raccontare una persona, nel secondo, che andrà avanti fino a fine gennaio, raccontaremo un oggetto che per noi è importante, vale.
Quando dico racconto dico tante cose, non solo parole, anche immagini, video, suoni, foto, disegni insomma tutto quello che ci pare. Il racconto della mia prima bellissima esperienza lo trovi nel post che con l’aiuto di Jepis ho intitolato Storie dal futuro, il mio tempo, Cip 2035. Il mio racconto si intitola invece Il vecchio e il bambino, ci ho messo tutta l’edizione e tutto l’amore di cui sono capace, spero tanto che ti piaccia.
Ti allego anche il disegno che ho fatto con le mie mani, non è bello, però per me significa molto.

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Fa 10
Come cosa vuol dire “fa 10”? Se mi dai il tempo, te lo racconto, basta che non mi stressi, che come si diceva a Secondigliano “chello ‘o petrusino già è bello”, “quello il prezzemelo già è bello”, il resto non te lo dico, perché sconfiniamo nell’allegoria pesante, e preferisco di no.
Allora, questa parte qui della storia ha molti protagonisti, i principali sono tre, te li presento in ordine alfabetico: Antonella Fiscina, a cui devo il titolo, Fa 10, tanta professionalità e una gentilezza unica; Mario Pellegrino, lo chef del Ristorante Zi Filomena, l’uomo che con tre uova e una manciata di cigoli ti può sconvolgere la vita, l’inventore di “prof., assaggia questo” e di “fa 10”; Zia Grazia, la mamma di Mario, la grande anima del luogo, che a lei e al suo lardo ho dedicato una delle mie Storie Disordinate, la puoi leggere qui, mentre Mario e la big band di Zi Filomena come sai li ho raccontati qui.
Con questo le parole sono finite, il resto te lo faccio dire dalle immagini, qui ti metto solo l’anteprima, tu cliccaci sopra e le vedi tutte.

Come dici amico Diario? Non ti ho detto ancora cosa significa “fa 10”? Beh, a questo ci devi arrivare tu, ti dico solo che questa parte arriva alla fine, quando saluto e sto per andare via. Sì, sì, hai capito, è un regalo ogni volta, un modo come dice Mario per non farmi sentire in obbligo. Diciamo così.

Floopaloo, chi era costei?
La scoperta della serie televisiva Floopaloo la devo a Claudia Torre, la splendida figliola di 8 anni di Carmine e Demetria. In che contesto è entrata nella mia vita e in che modo e perché mi ha aiutato a fare quello che volevo fare lo puoi leggere nella storia, si intitola Claudia, Floopaloo, le foglie e il bosco. Quello che voglio aggiungere qui è che anche se mi dispiace che le circostanze non ci abbiano permesso di procedere con la regolarità che sarebbe stata necessaria, il lavoro che ha fatto la bimba rimane eccellente, senza contare che non appena torno a Cip questo percorso lo riprendiamo, c’è nonna Graziella che continua ad avere delle fantastiche idee per la storia della nipote, perciò tu continua a seguirci.

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Idee
In bottega da Jepis insieme alle parole, si forgiano idee, possibilità, relazioni, perciò alla voce idee ne ho scelto solo una e un poco, nel senso che una te la racconto e dell’altra ti lascio solo il titolo, poi vedi tu che uso ne vuoi fare.
L’idea che ti racconto l’ho imparata, la sto imparando, dal giovame Jedi, l’ho raccontata in un post che ho intotolato Intorno alla grandezza del piccolo, appena puoi leggilo o ascoltalo, perché sì, ho fatto anche un piccolo podcast.
Jepis è fantastico, mi veniva da dire è un grande ma lui si arrabbia e a te ti porto fuori strada; in pochi mesi ha messo su una cosa bellissima, che sta funzionando alla grande, le abbiamo dedicato un’intera sezione nel nostro libro, e in un tempo in cui tutti chiamano le cose che fanno “master”, “università”, “accademy”, lui come la chiama? Piccola Scuola Jepis Bottega. Proprio così, Piccola Scuola.
Ti dico la verità, a me all’inizio un poco mi innervosiva questa sua insistenza sul “piccolo”, che so, “piccolo documentario”, “piccolo post”, “piccolo podcast”, fino a “piccola scuola”. Mi sembrava un po’ limitante, e anche forzato, è evidente che le cose che fa sono belle, perché confinarle nello spazio del piccolo? Poi ho capito, o almeno ho cominciato a capire, che per me non è facile, sono un omone di 197 centimetri e 110 chili quando va bene, tengo le mani grandi, le orecchie grandi e il naso poi non ne parliamo, e adesso che sto leggendo Sinek direi che ho un approccio infinito, insomma “piccolo” non sembrava fatto per me, e invece mi sbagliavo. Comunque leggi il post e poi ne parliamo, ti voglio dire solo che quando Jepis, durante le nostre chiacchiere di bottega, ha detto “Nel post che hai intitolato “Intorno alla grandezza del piccolo” su Nòva hai scritto cose che si adattano molto alla mia idea della Piccola Scuola” sono stato felice. Lo so, quel post è ispirato da lui e dalle sue idee, glielo ho detto pure, però sono stato felice lo stesso.
Il titolo che ti lascio è Fare o non fare, non c’è provare. Come promesso solo il titolo, se non vuoi leggere basta quello.

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Il filo di Stella
Questa di Stella Salomone è una storia che ha almeno tre caratteristiche che la rendono unica tra le oltre 400 che ho scritto fin qui.
La prima è che una volta che ho decisa di raccontarla, come farlo lo abbiamo pensato e scoperto insieme, anche se poi ciascuno l’ha realizzato per la sua parte.
La seconda è che è una storia a puntate, 4, una a settimana, il giovedì, però non a puntate solo nel senso che l’abbiamo pubblicata in 4 settimane, ma anche, soprattutto, nel senso che l’abbiamo pensata e realizzata in quattro settimane, parlandone, dandoci il tempo per far maturare le idee e le possibilità.
La terza è che una storia transmediale, che è parola che non sopporto, ci inciampo dentro, l’ho detto anche a Jepis durante Parole Forgiate, però tiene un significato bello, perché tiene assieme tante cose diverse, nel nostro caso parole, foto, video, podcast e disegno, e scusa se è pocco. L’abbiamo intitolata Il filo di Stella, quando l’hai letta fammi sapere che ne pensi, che ci tengo assai assai.

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Jepis Bottega
Alla voce bottega i pensieri più belli li ho usati per Parole Forgiate, perciò ne rubo qualcuno da lì e te li metto qui:
1. “Anche per me la bottega è un sacco di cose belle. È la contentezza di quando mi hai dato le chiavi ed è diventata un poco anche casa mia. Possedere una chiave non è solo una questione di proprietà, è anche, nel mio caso direi soprattutto, una questione di disponibilità, di accesso a mondi e possibilità che con il tempo diventano tuoi anche e proprio perché tieni la chiave, non so se mi spiego.”
2. “Non voglio esagerare, ma per me la bottega è anche magia, la magia che ci vuole per trasformare, ogni giorno, pezzetti di sogno in pezzetti di realtà.”
3. “Non mi ricordo se te l’ho mai detto, ma io la bottega a volte me la immagino come una di quelle scatole piena di cose che però tu non sai cosa c’è dentro, una scatola piena di sorprese; altre volte invece è vuota, ma del vuoto bello, quello che racconta la possibilità di riempirlo con ogni cosa che desideri.”
A sostegno dei tre pensieri belli aggiungo che non tutto ma tanto di quello che racconto qui è nato ed è cresciuto in bottega, è bene che non te lo dimentichi.

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L’edicola di Filomena, il principe del foro e Il lavoro ben fatto
È stata la mia scoperta di Settembre, mannaggia a me che non ci ho pensato a Giugno, che con tutti i rientri che ci sono stati in estate le possibilità di diffondere il libro nella comunità casellese che non vive a Cip sarebbero state molte ma molte di più. In ogni caso, la mitica Filomena e la sua edicola sono state e sono un bellissimo moltiplicatore delle idee del lavoro ben fatto, e il fatto che ci siano stati fino ad oggi 12 – 15 casellesi che lo hanno comprato mi ha riempieto di gioia. Il lavoro ben fatto continua a stare lì, a un certo punto ci abbiamo messo anche la pellicola di plastica per non far imbarcare la copertina. Quando le copie finiscono le faccio avere a Filomena attraverso Jepis, intanto grazie assai a lei e alla sua edicola.

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Il principe del foro è invece il nickname su Instagram dell’avvocato Marcello Lombardi, che io prima non lo conoscevo ma poi lui un giorno mi ferma all’Urmu e mi dice che ha cercato Il lavoro ben fatto alla Feltrinelli di Piazza dei Martiri ma non l’ha trovato, e se glielo posso fare avere io. La settimana dopo glielo ho dato, il momento lo vedi nella foto, stiamo insieme a Cinzia e all’amico Antonio e poi ne abbiamo parlato, ed è nata un’amicizia, ed è stato bellissimo, l’ho raccontato nelle Note a Margine. Però la cosa più belle di tutte è stato lo straordinario regalo che Marcello ha fatto una sera a me e a Cinzia raccontandoci il suo cammino di Santiago. Qui la parola è una sola, indimenticabile, ma indimenticabile veramente. Cose che accadono a Cip, anche se pure Marcello è napoletano come me.

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Letizia e nonno Nicola
Era da tanto che volevo raccontare Letizia Salomone, e quando ha accettato di scrivere il suo racconto citato sono stato contento assai, un poco la conosco, e so quanta bellezza e delicatezza ci sono nelle cose che fa. Eppure è riuscita a sorprendermi, non solo per le tante cose di sé che ha voluto svelare, ma per la storia di suo nonno Nicola, che rappresenta tante cose, ed è una storia nella storia. Per questo l’ho messo anche nel titolo, Il racconto di Letizia. E di nonno Nicola, per mettere in risalto quella figura, quella storia, quel rapporto che è stato ed è così importante per tanti, non solo per la sua famiglia. Perché tiene ragione lei, a volte “è difficile raccontare, è difficile poter comprendere, ma è doveroso farlo.”

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Lieviti
‘O levato, il lievito, come senso della vita e del tempo.
Il tempo della maturazione, del rispetto, della condivisione, delle cose fatte bene, del racconto.
Il racconto di visioni che si intrecciano e di possibilità che si moltiplicano.
La possibilità di fare è pensare, di insegnare e imparare.
‘O levato, il lievito, il valore di una comunità che mette radici, educa, crea futuro e consapevolezza.
‘O levato, il lievito, cellule che fanno crescere il pane, le persone, le comunità, la conoscenza.
‘O levato, il lievito, bolle di umanità di un esploratore, di un pizzaiolo, di un contadino.
“Perché noi”, come dice Michele, “in questo infinito ci vogliamo essere”.

 
’mBosta
La ‘mBosta è l’ultima invenzione del mio maestro pizzaiolo contadino, Michele Croccia. Ora tu dici ma come, la ‘mbosta esiste da sempre, è la merenda del muratore sul cantiere e del contadino nel campo e adesso tu te ne esci che l’ha inventata il tuo amico Michele? Qui è il caso che ci capiamo bene, perché l’invenzione non è soltanto pensare e fare una cosa che prima non c’era, perché da questo punto di vista tieni ragione tu, la ‘mbosta ha radici che affondano nel tempo; l’invenzione è anche prendere una cosa che c’è, ripensarla, realizzarla in proprio con tutte materie prime locali, fare il liveto madre e da lì il pane, preparare i contorni con i prodotti della propria terra – Michele è pizzaiolo contadino overo, non tanto per dire – utilizzare prodotti per la farcitura esclusivamente cilentani, testare il prodotto, perferzionarlo, organizzare una campagna di promozione tanto semplice quanto efficace perché basata sulla bellezza e sulla bontà del prodotto, e far diventare in pochissimi mesi la ‘mbosta un altro prodotto di punta della propria pizzeria, insieme alla pizza e alla teglia. Tutto questo al tempo della campania zona rossa e arancione, con la chiusura del locale alle 18:00 e la possibilità di contare soltanto sull’asporto. Aspetta, forse tieni ragione tu, questa di Michele non è un’invenzione, è un miracolo, un miracolo di bontà, di sapore, di capacità organizzativa, di visione e di spirito d’impresa.
Ti lascio con quattro foto. La prima serve per ricordare che sono stato il primo assaggiatore, la seconda e la terza per farti venire l’acquolina in bocca, l’ultima per dire che a un Michele così è davvero difficile resistere.

Nostalgia Canaglia
Nostalgia Canaglia è il titolo di una delle mie Storie Disordinate, la puoi leggere qui.  A te di più e di diverso voglio dire che ho scoperto che la nostalgia può essere un sentimento doppio e che però una differenza tra Napoli – Bacoli e Cip ci sta, nel senso che adesso che sto qui mi mancano le persone, gli affetti, gli amici e anche la comunità, il paese, invece quando sto a Cip mi mancano solo le persone, gli affetti, gli amici e la comunità. La città, che pure continuo ad amare,  no, forse perché non siamo più comunità, o forse perché sono io che sento sempre meno bisogno di rumori di fondo.  Cerco i suoni chiari amico Diario, l’essenzialità, l’umanità. Ma ti ripeto, non ne faccio una questione generale, per me è così, e per fortuna che voglio bene a persone che mi vogliono bene, Cinzia, Luca, Riccardo mi prendono in giro ma capiscono, non mi mettono pressione, in taluni momenti sono persino complici, e poi appena torneremo a una situazione che assomiglia alla normalità non sarà un problema spostarsi di qua e di là con più frequenza, la lontanza sarà meno dura e lunga, tutto sarà meno complicato.

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Parole Forgiate
Qui mi sono ripromesso di farla molto breve, Parole Forgiate è già di per sé tanta roba, il libro, il sito, il canale Spotify, i video delle presentazioni. A proposito di video, ti lascio quello che abbiamo fatto come lancio, secondo me è un gioiellino, dura 35 secondi, a me piace assai, non te lo perdere.

 
Sulle chiacchiere di bottega che ho fatto con Jepis voglio dire solo che è stato bellissimo, il giovane Jedi ha una capacità di stare sul punto che fa impressione, non era facile, all’inizio sembrava un gioco, poi è diventato una specie di esperimento di narrazione, poi un capitolo in anteprima in formato podcast, poi il libro.
Forse te l’ho detto già, Giuseppe tiene 32 anni ma pare ‘nu viecchio, nel senso bello del termine, nel senso della saggezza, del carattere, della voglia di esplorare. È stato davvero un onore fare questo libro con lui, e qui mi fermo, perché non tutte le cose si possono dire.

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Quelle 5° A di Follonica passano a due
Te lo ricordi Totò quando, in Miseria e Nobiltà, grida al figlio “Peppeniello, quelle pizze passano a due?”. Più o meno così è successo a me con la 5° A di Follonica, perché a quella storica, sono 5 anni, della Scuola Rodari quest’anno si è aggiunta quella della Buozzi, sempre la 5° A, si vede che è destino.
Le due storie si intitolano rispettivamente Il lavoro ben fatto della Bottega 5° A, Gianni Rodari, Follonica e Le facce, le mani e la città della 5° A, le trovi qui e qui.
Cosa aggiungere? Che lavorare con le bimbe e i bimbi mi piace assai e farlo dalla Bottega ancora di più, con l’aiuto di Michele Croccia abbiamo fatto anche un bel video il giorno che abbiamo lanciato il lavoro con la mascherina.
Con la maestra Irene abbiamo pensato che prima o poi si collega con noi anche Jepis, che adesso alla Rodari hanno cominciato a fare video, e chissà che prima o dopo non viene fuori una produzione partecipata.

 
Storie Disordinate
La proposta è venuta da Rosa De Laurentiis e Domenico Soriano, che gestiscono una bellissima pagina social, Caselle in Pittari. Ti devo dire la verità, sono stato contento, però ci ho voluto pensare, come avrebbe detto mio padre tengo troppe caccavelle (pentole) sul fuoco, avevo paura di non farcela a tenere botta. L’idea delle 2000 battute è venuta fuori anche così, oltre che dalla voglia di ritornare a fare i conti con le storie brevi, conservo un bellissimo ricordo di una mia rubrica su Rassegna Sindacale, la rivista del tempo della Cgil.
Tornando al punto, scrivo duemila battute ogni settimana per raccontare Cip e il mio rapporto con Cip, siamo già a 13, ho saltato solo una settimana, non dirò per cause di forza maggiore, non sarebbe vero, è stato per cause umane, ero stato preso dallo sconforto, capita, e non sono riuscito a pensarla e dunque a scriverla.
Prima di finire, ti devo dire ancora due cose, anzi tre:
la prima, è che anche per le Storie Disordinate mi sono scelto un alter ego, l’ho chiamato compare Rocco, e già mi ci sono affezionato;
la seconda, è che se ti va di curiosare l’indice delle mie storie disordinate lo trovi qui;
la anzi tre è che le belle foto che fanno da copertina le puoi vedere quando leggi le storie, perciò ti lascio con la foto di copertina della pagina social Caselle in Pittari, mi sembra il minimo.

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Storie Sospese
Non è come il caffè sospeso, che quello tu entri, lo paghi e prima o poi qualcuno lo berrà, le storie sospese sono quelle storie hanno bisogno di tempo per maturare. Proprio qualche giorno fa Jepis mi ha scritto un messaggio nella chattarella, neanche se lo sentiva, leggi qua: “Buongiorno Maestro, stamattina ho aperto la cartella del girato che abbiamo fatto passeggiando per Cip a fine estate, c’è bella roba, ma ancora non è il suo momento, arriverà. Comunque, per la cronaca, da quelle registrazioni insieme al video ci esce una bella serie di podcast”.
Adesso lascia perdere il maestro e lascia perdere pure il podcast, la verità è che funziona proprio come dice Jepis, vale per il girato per le vie di Cip, vale per le chiacchiere che abbiamo fatto con Domenico Romano e Antonio Torre sulla scuola e il suo futuro, vale per altre cose che adesso non mi ricordo ma prima o poi invece sì, e allora te ne parlerò. Non è il suo momento, punto.

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Storie Vissute
Qui le possibilità sono veramente tante, per raccontare quello che voglio raccontare mi faccio bastare due parole, una yin e una yang, una chiara e una scura, insomma una bella e una brutta.
La parola bella è “grano”, la storia vissuta è quella del Palio del Grano X + 6, diverso dagli altri, una gara senza gara, con poca festa, senza abbracci, che insomma è stato importantissimo perché era importantissimo non farsi fermare, però quello del prossimo anno me lo aspetto tutto diverso. A Novembre c’è stata la semina, ho avuto il privilegio di partecipare, e poi ne ho scritto anche a compare Rocco su Caselle in Pittari, il post l’ho intitolato X + 7, Il Palio della Liberazione, quando puoi leggilo, così ti fai un’idea più precisa.
La parola brutta è “covid”, che ha portato anche a Caselle giornate brutte, lunghe, in alcuni momenti angosciose, soprattutto per l’economia che si è fermata. Però qui mi fermo anch’io, è tutto il mondo che sta combinato male, l’unica scelta vincente è, anche nelle difficoltà, continuare a guardare lontano, e io il significato più profondo della parola resilienza l’ho impararato a Cip, non so se mi spiego.

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Twins School
Twins School per me significa tante cose, mi limito a condividerne tre.
La prima è fatta di tre belle storie, Twins School, Gemix e Un racconto a scatti.
Twins School è quella che racconto io, il senso di “fare scuola” in un pub al tempo di covid, i primi passi prima con Dennis e poi con Daniele, i gemelli Tancredi, e insomma se non lo hai fatto ancora leggila che sono sicuro ti piacerà.
Gemix e Un racconto a scatti sono gli output, le storie di Dennis e Daniele, anche qui resta sintonizzato che vale la pena.
La seconda ritorna sul senso, sull’importanza di abituare questi ragazzi, a ogni età – lo abbiamo visto anche con la piccola Claudia, lo vedo da tanti anni a scuola di lavoro ben fatto, di tecnologia e di consapevolezza – a co-creare i propri ambienti di apprendimento, a tenere assieme creatività e metodo, a pensare e a fare.
La terza è la storia di un’amicizia con Emilio Tancredi e Nicoletta Fiscina che in pochi mesi è diventata vecchia di decenni, perché a volte accade proprio così, ti incontri ed è come se ti conoscessi da sempre.
Mi piace chiuderla così questa storia, con la parola Amicizia, che non a caso è la stessa con la quale ho cominciato.

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Post Scriptum
Caro Diario, la foto di copertina è di Simona Balzamo, che Luca e Riccardo per il mio compleanno, a Settembre, mi hanno regalato due sue creazioni, una spilla intessuta a mano con il disegno che vedi sopra, e un dipinto che a momenti mi mettevo a piangere, ti metto qui un particolare. Perché te lo racconto? Perché il fatto che il giorno del mio compleanno non siamo stati insieme non vuol dire niente, ci sono cose che non hanno tempo, e l’amore, in tutte le sue forme, comprese quella tra padre e figli, è la più belle di tutte.

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