Come nasce una storia. Dietro le quinte del lavoro ben fatto

Caro Diario, è da un po’ che cerco nuove strade per raccontare le mie storie, ormai hai compiuto 6 anni, che nella vita dei Diari cominciano a essere tanti, non dico 7 per ogni anno umano come nel caso dei cani, ma almeno 5 sicuramente sì. Come puoi immaginare non mi riferisco al racconto delle idee, quelle devi solo metterle giù nel modo più chiaro e semplice possibile per fare in modo che chi legge le condivida e le moltiplichi, mi riferisco al racconto delle persone, è lì che si concentra il mio desiderio di cambiare.
A parte qualche eccezione, qualche storia che imbocca binari tutti suoi, ma si tratta davvero di casi più unici che rari, i format che ho utilizzato fin qui per le mie storie di lavoro ben fatto sono stati sostanzialmente due:

1. Il racconto autodafè, quello che dopo che ci siamo parlati e ci siamo capiti bene mi arriva scritto come piace a me e non vedo la necessità di metterci mano. Credo che mi aiuti il fatto che non sono un giornalista, non devo fare per forza l’intervista e né, tantomeno, cerco lo scoop, mi piace raccontare le persone che amano quello che fanno e lo fanno bene, e quando ritengo che la storia funzioni da sola va bene uguale. Le storie che rientrano in questo format sono una minoranza, non ho il dato preciso ma diciamo intorno al 5 percento, sì, più o meno una ogni venti.

2. Il racconto intervista, quello che scrivo dopo che ho ricevuto le risposte alle mie tre spaziose domande:
.) Raccontami un po’ di te, le tue passioni, le cose che ami e quelle che non sopporti, cosa ti piace e cosa invece no (persone, cinema, letteratura, sport, moda, tutto quello che vuoi e ti caratterizza, compresa la tua famiglia, se ti va), le città della tua vita, i tuoi viaggi, le tue curiosità, che lavori facevano i tuoi genitori, ecc.;
.) Raccontami tutti i lavori che hai fatto e che fai, anche se da bambino hai aiutato il nonno nei campi o eventuali lavori per mantenerti gli studi, dando naturalmente lo spazio maggiore al tuo lavoro attuale. Raccontami le tue soddisfazioni, i tuoi sogni, la tua voglia di farcela alla voce lavoro.
.) Raccontami perché per te il lavoro è importante, vale.
Quando propongo questo format insisto sempre molto sull’importanza di usare espressioni particolari, propri modi di dire, insomma tutte quelle cose che fanno dire a chi conosce il protagonista del racconto “sì, è proprio lui, è proprio lei” e a chi invece no “però, che tipo questa persona”. Lo scopo mi sembra evidente, disegnare attraverso il lavoro il daimon, il codice dell’anima, la streppegna delle persone che racconto.

È di ieri sera la novità, nata, come mi accade spesso, per genio e per caso: mentre girovagavo sui social ho letto un commento del mio amico Simone Bigongiari, mi sono reso conto di non aver ancora raccontato la sua storia e ho deciso che era venuta l’ora di porre rimedio alla cosa.
“Simone, vorrei raccontarti su Nòva, però vorrei inventarmi qualcosa di diverso”, gli scrivo, dopo di che prima comincio a bombardarlo di messaggi e poi lo chiamo in videochat, in questi casi parlarsi direttamente continua a essere per me la cosa migliore.

Il risultato è il racconto citato, lo puoi leggere qui, ti spiego dopo come funziona:

1. Pablo Neruda, Siam Molti
Di tanti uomini che sono, che siamo, non posso trovare nessuno: mi si perdono sotto il vestito, sono andati in altre città.

2. Cesare Pavese, La luna e i Falò
L’ignorante non si conosce mica dal lavoro che fa ma da come lo fa.

3. Elias Canetti, La tortura delle mosche 

Chi ha imparato abbastanza, non ha imparato niente.

4. Manifesto del Lavoro Ben Fatto, Articolo 3
Ciò che va quasi bene, non va bene.

5. Thomas A. Edison
Il genio è l’uno per cento ispirazione, il novantanove per cento sudore.

6. Philip Roth, Perché Scrivere
Primo Levi: Ad Auschwitz ho notato spesso un fenomeno curioso: il bisogno del lavoro ben fatto è talmente radicato da spingere a far bene anche il lavoro imposto, schiavistico. Il muratore italiano che mi ha salvato la vita, portandomi cibo di nascosto per sei mesi, detestava i tedeschi, il loro cibo, la loro lingua, la loro guerra; ma quando lo mettevano a tirar su muri, li faceva dritti e solidi, non per obbedienza ma per dignità professionale.

7. Walter Isaacson, Steve Jobs
[…] Suo padre gli aveva inculcato un concetto che gli era rimasto impresso: era importante costruire bene la parte posteriore di armadi e steccati, anche se rimaneva nascosta e nessuna la vedeva. Gli piaceva fare le cose bene. Si premurava di fare bene anche le parti che non erano visibili a nessuno.

8. Luca e Vincenzo Moretti, Il lavoro ben fatto
Una vita senza lavoro è una vita senza significato, pure se tieni i soldi.

9. Simone Bigongiari, La citazione sospesa

Come dici amico Diario? Hai capito già? Mi fa piacere.
In buona sostanza si tratta di raccontare se stessi e il proprio lavoro a partire da queste otto citazioni, di ispirarsi a ciascuna di essa per ancorare pensieri, esperienze, momenti importanti della propria vita e della propria crescita umana e professionale.
La citazione sospesa è un’idea di Simone, funziona proprio come il caffè sospeso, nel senso che chi si racconta lascia una sua citazione alle lettrici e ai lettori, un messaggio nella bottiglia, un pezzo di racconto e di vita donato.

Ti confesso che non lo so ancora se può diventare un format, so che mi piacerebbe molto, ma c’è tempo per pensarci. In ogni caso, penso che avere più opzioni disponibili sia di per sé un fatto positivo e che il fatto di metterle in “piazza” ci potrà aiutare a definire ulteriori possibilità. Io chiedo a un po’ di amiche e amici cosa ne pensano, tu
resta sintonizzato, conto di tornare presto.

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