‘O piatto a tavola

LA STORIA LETTA DA ME

 

LA STORIA LETTA DA TE
Caro Diario, questa volta veramente non lo so se riesco a dirti quello che ti voglio dire. Perché questa storia qui è talmente personale, particolare, mi viene da dire intima, che ho paura di non riuscire a dare spazio e luce alla sua dimensione generale, al suo scopo, alla morale della favola, insomma alla ragione per cui te la racconto. E perché tiene ragione Jorge Luis Borges, “si può comunicare solo ciò che è condiviso dall’altro, le parole presuppongono esperienze condivise”, mentre tu non hai una tua esperienza di Cip, non hai una tua esperienza di Giuseppe e Margherita e Rosa e Antonietta, non hai una tua esperienza della difficoltà di mettere il piatto a tavola e a pensarci bene non hai neanche una tua esperienza di me, insomma tutto questo lo conosci soltanto attraverso i miei racconti, che pure è una cosa bella, ma oggi potrebbe non bastare. Detto ciò, mi pare evidente che se sono qui una ragione c’è, perciò mettiti comodo e ascolta.

Cip, Caselle in Pittari, anno non proprio di grazia 2020. È qui che si svolge, si sta svolgendo, la mia storia.
Come sai l’acronimo l’ho inventato io, compare per la prima volta nel racconto l’Ape, in Testa, Mani e Cuore. La storia poteva finire lì, invece Cip è piaciuto, è presto diventato un hashtag, con il tempo è stato adottato dalla comunità, è stato utilizzato per alcune manifestazioni sportive made in Caselle, è comparso sulle cartoline e altre cose ancora. Non contento, dato che la testa non la faccio soffrire, a un certo punto l’ho fatto diventare anche Caselle Innovation Place e me lo sono stampato sul biglietto da visita e sulla mail. L’ideatore di Caselle int’a Pignata, che dice un mondo sulle infinite connessioni che tengono insieme il cibo e la comunità qui a Cip, è invece Giuseppe.

A Cip c’è un addensamento di belle persone che nella mia esperienza non ha eguali. Attenzione, non sto dicendo che Cip è l’isola che non c’è, che le persone sono perfette, che non ci sono problemi, conflitti e cose che non vanno, sto dicendo quello che ho detto, che la quantità di belle persone che ho incontrato e che incontro a Cip, la qualità delle relazioni che sono riuscito a stabilire con le persone che saluto soltanto e con quelle con cui sono diventato amico è di gran lunga superiore alla media. E tieni presente che tengo 65 anni, che di chilometri ne ho fatti tanti e che quando arrivo in un posto, qualsiasi posto, la cosa che mi piace di più, pure più dei monumenti, del teatro dell’opera o di quello che ti pare, è capire come funziona, che cosa pensano le persone che lo vivono, come interagiscono tra loro.
La qualità delle persone è importante, sono le persone le radici su cui cresce una comunità. Le ragioni per cui Cip è Cip non le so, o forse sì, penso che abbiano a che fare con il Genius Loci, con la storia del luogo, con la sua morfologia, con la sua cultura, nel caso specifico credo anche con il grano e con il pane. Sta di fatto che qui gli hashtag #accoglienza, #gentilezza, #disponibilità, #amicizia conviene tenerli sempre a portata di mano, uno per tutti l’episodio di ieri mattina, il panettiere Giovanni Risoli che mi chiede chi ci sta in bottega da Giuseppe e ci manda le brioches fatte con la farina del Monte Frumentario. Sono dovuti venire due volte, perché la prima non ci hanno trovati, non lo so come la vedi tu ma per me queste cose sono l’essenza stessa della vita, e anche qui tieni presente che con Giovanni non ho la stessa frequentazione che ho con Michele Croccia o con Mario Pellegrino.
Alla voce Cip per ora mi resta da aggiungere solo che è qui che ho preso casa e che è qui che vorrei realizzare il mio sogno più grande, la Casa del Lavoro Ben Fatto, che sarà anche una Scuola, un giorno ti racconterò tutto per bene, quello che bisogna fare lo tengo stampato nella testa e nel cuore, appena diventa un poco meno un sogno e un poco più un cantiere ti scrivo.

Non bisogna essere Barabasi né aver letto Link per capire che le relazioni tra le persone hanno diversi livelli di profondità, però in questo contesto mi piace insistere di più sul concetto di unicità della relazione. Se ci diamo il tempo di pensarci ci accorgiamo che ogni relazione è unica, ha caratteristiche sue proprie, e che questo vale sempre, per il conoscente, per l’amico, per il fratello, per il figlio. Naturalmente è diverso il coinvolgimento, diverso il tempo che dedichiamo a ciascuna relazione, diversa l’importanza che le assegniamo, ma ciò non ne mette in discussione l’unicità, e con essa la possibilità di aggiungere valore alle nostre vite.

Cinzia per prendermi in giro dice che Giuseppe è il mio fidanzato. Una volta ricordo di averlo sentito dire anche da Margherita, rivolta a Giuseppe. È uno sfottò, un gioco, ma una ragione c’è, una ragione c’è sempre, o quasi.

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La casa di Giuseppe e Margherita ha un nome, si chiama Nonno Remo e Nonna Pasqualina, per questo è casa Fiscina Rivello, perché nonno Remo era un Fiscina, ed è stato lui che l’ha tirata su, pietra su pietra, una sessantina di anni fa. Giuseppe mi ha promesso che prima o poi me la racconta la storia di quest’uomo che è partito da una condizione di povertà assoluta e ha messo su una piccola impresa edile, dice che è stato un mastro di quelli seri, e se lo dice lui ci puoi credere. Le persone così negli Stati Uniti li chiamano Self Made Man, ma secondo me non basta a rendere l’idea, lì le persone così il sistema le aiuta, qui già va bene se non crea ostacoli.
Sono arrivato a Cip da due settimane e sono due settimane che sono a pranzo a casa Nonno Remo e Nonna Pasqualina.
No, non sono invitato da Giuseppe e Margherita, sto con loro quando mettono il piatto a tavola, che è diverso, ma diverso assai. È diventato un fatto normale anche per Rosa – a proposito, la foto di copertina è sua – e per Antonietta. Mentre Giuseppe e Margherita preparano, Rosa e io giochiamo con Anna, la sua bambola, lei le cambia il pannolino e io la faccio dormire, mi intervista con il telecomando o con un tubetto di crema che fanno la parte del microfono e ci scambiamo filastrocche. Con Antonietta, e anche Rosa, condividiamo serie tv in inglese che all’inizio le trovi allucinanti ma poi passano i giorni e cominci a buttarci un occhio anche tu.
Margherita e Giuseppe mi fanno sentire a casa mia, ma non per modo di dire, veramente, come avrebbe detto mia madre se fosse stata ancora da queste parti mi trattano comme a ‘nu principe, credo che tu possa immaginare cosa significi questo per me dal punto di vista affettivo.
Come dici? No! Non può andare avanti così per tutti i mesi che conto di restare a Cip, ma non è questo il punto, perché quello che doveva succedere è successo già, è già andata così, non è una questione di tempo, anche se questa cosa fosse durata solo un giorno sarebbe stata comunque per tutta la vita, a me pare evidente, spero lo sia anche per te.

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Come ti ho detto, la storia di Giuseppe e Margherita che ogni giorno mettono il piatto a tavola anche per me è molto personale, particolare, intima, difficile da far uscire dai suoi confini.
A questo livello se ti chiedo perché accade tu giustamente mi rispondi che concorrono tanti fattori.
C’entra il Genius Loci, ne abbiamo parlato, contribuisce di certo per la sua parte. C’entra il carattere, che come dice Eraclito è il destino. C’entra il daimon, il codice dell’anima, la streppegna buona di Giuseppe e di Margherita, sia nella versione personale che familiare. Perché anche questo conta, appena conosci i loro genitori e più in generale le famiglie Rivello, Fiscina e Pisano l’importanza della cultura famigliare appare evidente.
Se mettiamo da parte la modestia direi che una certa importanza ce l’ha anche il mio daimon, il mio carattere, il mio modo di voler bene o, se preferisci una versione meno sentimentale, la mia propensione a prendermi cura delle persone.
Infine ci sono i valori condivisi, i muri maestri, c’è quello che per noi è importante, vale. Come diceva mio padre nella vita ci sono le principali e le secondarie, c’è quello che viene prima e quello che viene dopo, perché è evidente che se non si converge su quello che viene prima è difficile stabilire relazioni di qualità stabili nel tempo. È come per il pane, che se lo fai con il lievito madre dura molto di più.

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Non lo so, forse il valore generale, la morale della storia potrebbe stare proprio qui, nella consapevolezza che un mondo che conosce l’importanza di mettere ‘o piatto a tavola, di accogliere, di condividere, di trovare se stesso nella faccia dell’altro non è solo più bello e più giusto, ha anche più futuro, dura di più.

Ti faccio un esempio. Rosa compie 5 anni a Novembre, Antonietta 2 a Settembre, difficile dire che cosa significherà per loro il ramo che puoi vedere nella foto, è stato ideato da Giuseppe e Margherita e realizzato dall’architetto Moris Peluso, una volta ti ci porto a casa Nonno Remo e Nonna Pasqualina, lo incontri subito all’entrata.
Conoscendo Giuseppe e Margherita posso immaginare cosa significherà il ramo per le due bimbe, lo posso immaginare però non posso dirlo con certezza, nessuno può farlo. È il difetto di ogni eredità, per quanto meravigliosa essa possa essere è qualcosa che non abbiamo scelto, che ci è stata lasciata, con l’onore e l’onere di custodirla e di tramandarla.
Quello che so è che quel ramo è parte di un albero più grande, e che proprio nell’essere e nel sentirsi consapevolmente parte di qualcosa – un albero, una famiglia, una comunità, un mondo, dell’universo – sta la nostra possibilità più grande di allungare l’ombra del futuro sul nostro presente.

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Post Scriptum 1
Caro Diario, fermo restando che la colpa di tutto quello che hai letto rimane mia, questo post senza le informazioni e il senso che mi ha regalato Jepis non avrei potuto scriverlo.
Come dici? Perché l’ho chiamato Giuseppe per tutta la storia e adesso lo chiamo Jepis? Facile, perché Giuseppe sta nella storia, Jepis l’ha (quasi) scritta con me.

Post Scriptum 2
Caro Diario, la storia continua, non solo perché è quasi un mese che va avanti, ma perché mi sto abituando sempre di più, il livello delle connessioni migliora ogni giorno che passa, nelle due foto per esempio mi puoi vedere che dò da mangiare ad Antonietta mentre arriva Margherita dal lavoro, che a quel punto lì la mamma è la mamma e non ce n’è più per nessuno.
Ti devo dire che mentre Giuseppe le scattava avevo intravisto qualcosa, ma non mi ero applicato, la mano mi tremava, e stavo molto attento a non far cadere la pastina dal cucchiaino. Alla fine l’età del nonno ce l’ho, diciamo che nell’attesa mi esercito.

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