Raccontare il Tempo a Unisob, Aula O

BACKGROUND
A scuola di lavoro ben fatto, di tecnologia e di consapevolezza

UNIVERSITÀ E CORSO DI LAUREA
Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli
Scienze della Comunicazione
Corso di Comunicazione e Cultura Digitale

BOARD
Maria D’Ambrosio, Antonio D’Amore, Luigi Maiello, Luca Moretti, Vito Verrastro, Vincenzo Moretti

AULA O
Eleonora Auricchio, Alessandro Cigliano, Mattia Di Gennaro, Flaminia Eboli, Daniele Fierro, Laura Imperato, Giordana Langelotti, Francesca Maglione, Alessia Mariani, Ferdinando Nardone, Mattia Notari, Anna Pavarese, Emanuele Petrarca, Serena Petrone, Lorenzo Polimei, Fabio Prezioso, Orazio Redi, Hernán Rodríguez, Francesco Russo, Maria Pia Russo, Pina Russo, Serena Russo, Carmela Sannino, Sara Sarracino, Miriam Scorziello, Erika Siciliano, Marika Silvestro, Paolo Solombrino, Antonino Treviglio, Maria Trotta, Chiara Vasciminni

DIARIO
1. Pronti Via
2. A coloro che verranno
3. Alessia Cerantola, il giornalismo e i Panama Papers
4. Carmela Sannino
5. Miriam Scorziello
6. Serena Petrone
7. Non siamo i nostri like, siamo i nostri pensieri
8. Screenplay
9. La scenografia di Letizia, la panchina di Giovanni e il disegno di Carmela
10. Piacere mi presento. Aula O si racconta
11. Si può dare di più
12. I giornalismi tra andate e ritorni di Vito Verrastro
13. È tempo di Intertwine e di sfida creativa
14. Professione Reporter
15. Poco più di 90 minuti in Aula O
16. Ottimo lavoro Marika
17. La partita del Pallone. La serie
18. Basta superficialità
19. Allargare lo sguardo per un lavoro ben fatto
20. Contenuti e ruoli sono le chiavi
21. Lascia l’ultimo ballo per me
22. Grazie Aula O

PIACERE, MI PRESENTO – LE BIOGRAFIE
Aula O si racconta – Versione Beta

NOVELLE ARTIGIANE
Le recensioni di Aula O – Versione Beta

L’ORDINE DEL TEMPO
Le recensioni di Aula O – Versione Beta

A. A. 2017 – 2018: Il Piccolo Principe all’Università
A. A. 2016 – 2017: Stazione università, Star Wars station

Pronti via! Torna al Diario
26 Settembre 2018
Caro Diario, Lunedì 8 Ottobre si ricomincia anche in Aula O, alle ore 15:00, che poi andremo avanti fino a quando ce n’è il martedì e il giovedì.
Come dici amico Diario? Come faccio a sapere che l’aula sarà proprio la O? Per noi scrutatori dei segni del tempo sarà la O a prescindere, anche l’anno scorso era la M, ma sai la O ha un fascino particolare, è una circonferenza, una lettera con un buco in mezzo, finanche un buco nero se fai galoppare la fantasia.
Come ti ho già detto quest’anno per ragionare di #lavorobenfatto, di #tecnologie e di #consapevolezza, nel caso di Aula O per imparare a utilizzare al meglio i ferri del mestiere del comunicatore, abbiamo scelto come tema il Tempo.
Sì sì, proprio il Tempo che non esiste, come sostiene Carlo Rovelli nella talk che ti ho linkato qualche riga fa, eppure condiziona ogni giorno le nostre vite, sì, più o meno come ti ho raccontato qua.
Come avrai già capito per raccontare il Tempo e le sue molteplici possibilità, e universi, ci faremo guidare da Carlo Rovelli e dal suo meraviglioso volume, L’ordine del Tempo.
Per navigare con il corpo che conosce il mondo ci faremo aiutare dall’Electric Extended Embodied di Carpenzano-D’Ambrosio-Latour e ci ritroveremo in mondi nei quali il tempo e lo spazio non sono più lineari ma multi-versi.
Per condurre le/i ragazze/i lungo i sentieri del lavoro ben fatto, per insegnare loro a decostruire e a ricostruire, con le parele, il racconto, useremo infine le mie Novelle Artigiane, che come sai vanno pensate più come un processo che come un progetto.
Come dici caro Diario? Speri che anche quest’anno sulla nostra piccola barca di Neurath ci siano con noi gli amici di Intertwine? Certo che sì! Anzi, ti dico di più, quest’anno le/i ragazze/i avranno a disposizione un vero e proprio Magazine per esprimere la loro creatività e raccontare le loro storie. E naturalmetne insieme alla Big Band di Intertwine anche quest’anno ci saranno tanti altri complici, poi man mano ti racconto. Alla prossima.
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A coloro che verranno Torna al Diario
28 Settembre 2018
Caro Diario, innanzitutto una parola sul titolo del post di oggi, che come puoi immaginare è un omaggio alla bellissima poesia di Bertolt Brecht, non credo che tutta Aula O la conosca e insomma mi faceva piacere fargliela conoscere.
Naturalmente il mio “A coloro che verranno” è diretto, molto più modestamente, alle ragazze e ai ragazzi di Aula O che seguiranno il corso quest’anno.
Perché sì, quest’anno rispetto ai precedenti oltre al nuovo libro di Rovelli c’è anche una novità, però solo per chi segue il corso, perché nel loro programma c’è Novelle Artigiane invece de Il coltello e la rete. Proprio così amico mio, quest’anno in Aula O useremo le mie novelle per insegnare/imparare a raccontare il #lavorobenfatto.
Come dici amico Diario? Quasi quasi vieni anche tu? Ne saremmo felici. Abbiamo in mente di chiedere a ciascuna/o di loro, singolarmente o anche in piccoli gruppi, come preferiscono, di ripensare e riscrivere una parte di un racconto, senza escludere altre forme espressive naturalmente, ma dando la priorità alla scrittura, perché saper pensare e scrivere una storia è importante non solo nella letteratura ma anche nel cinema, nel teatro, nello storytelling, nel giornalismo e in molti altri contest.
Come direbbe Robert Mc Kee – sì, sto leggendo Story, ne sono entusiasta – un racconto è principi, non regole. Forme eterne e universali, non formule. Archetipi, non stereotipi. Lavoro minuzioso, non scorciatoie. Realtà, non mistero. Padroneggiare l’arte, non il mercato. Rispetto del pubblico, non disprezzo. L’originale, non la copia.
Ecco, Maria e io contiamo sul fatto che le ragazze e i ragazzi di Aula O comprendano che quella che stiamo loro prospettando è una bella opportunità, e che abbiano un approccio il più possibile proattivo, a partire dalla lettura del libro, che senza di quello è difficile immaginare i passi successivi. Ti faccio sapere.

Alessia Cerantola, il giornalismo e i Panama Papers Torna al Diario
1 Ottobre 2018
Caro Diario, ogni anno Maria e io la prima cosa che facciamo il primo giorno quando entriamo in Aula O è chiedere che cosa vogliono fare una volta laureati, e ogni anno la grande maggioranza delle ragazze e dei ragazzi dice che vuole fare la/il gornalista e così ho pensato di condividere lo speech a TEDx Padova della mia cara amica Alessia Cerantola, sì, credo possa essere per loro un bel regalo, in ogni caso ne discuteremo in classe, e chissà che nel corso di una delle lezioni non si possa mettere su una lezione/chiacchierata via Skype con la nostra amica. Tu guardati lo speech, io ti faccio sapere.

Carmela Sannino Torna al Diario
11 Ottobre 2017
Caro Diario, quello che abbiamo combinato Maria D’Ambrosio e io te lo dico a fine settimana, intanto ti voglio presentare Carmela Sannino, una delle nuove studentesse di Aula O, anzi si presenta lei di sola, è stata la prima che ha mandato la sua bio, molto sintetica per la verità, però anche molto piena di spunti, e con una frase che mi piacerebbe tanto diventasse il claim di una generazione.
Come dici? Nientemeno? Qual è questa frase? Leggi, secondo me te ne accorgi da solo.

«Buongiorno prof., sono Carmela Sannino, ho 21 anni e sono di Napoli.
Nata a Napoli centro, cresciuta nella Napoli periferica. San Giovanni a Teduccio per l’esattezza, un quartiere difficile, ma con tanta speranza.
Mio padre si chiama Vincenzo, è del ‘66 ed è commerciante. Lavora da quando aveva 14 anni. Non è molto istruito, non parla correttamente l’italiano ma si è sempre fatto a pezzi la schiena per dare quell’istruzione che manca a lui a me e alle mie sorelle.
Mia mamma si chiama Maria, è del ‘71 e lei è casalinga. Ha l’animo nobile, è fragile ma paradossalmente ha la forza di un uragano.
Poi ci sono le mie due sorelline di 18 e 14 anni, Giovanna e Fabiana. Entrambe al liceo linguistico, seguendo le orme della loro “sorellona”. Loro sono il mio punto debole assieme ai miei nonni.
I miei nonni, beh, che ne parlammo affà.
I genitori di mia mamma sono il mio faro nel buio pesto. Mio nonno mi ha insegnato a leggere prima di tutti i bimbi, a 5 anni già sapevo leggere e coniugare i verbi. Si vanta di essere il mio insegnante di vita, anche se, sinceramente, con la geografia non c’ha saputo fare tanto e questa cosa proprio non gli va a genio.
Ogni domenica a tavola, mentre mangiamo e guardiamo le partite, mi fa dei quiz tipo: “Dove si trova Brescia?” E io nella mia ignoranza o anche un po’ per lo sfizio di farlo innervosire gli rispondo: “O no’, al Nord?”. Mia nonna invece mi ha insegnato che significa la “cazzimma” che, purtroppo o per fortuna, nella vita ce ne vuole assai. 8 anni fa ha avuto un ictus che le ha paralizzato il lato sinistro del corpo e le ha toccato il cervello. L’anno scorso invece, siamo venuti a conoscenza di un brutto male e questa cosa ancora dobbiamo veramente realizzarla.
Per quanto riguarda me, che dire, mi ritengo una ragazza fortunata perché nel mio niente ho tutto.
Caratterialmente non amo descrivermi.
Sono simpatica, solare, estroversa (per mamma un po’ troppo), esuberante, lunatica, testarda, cinica, pazza, sognatrice, volo ma con i piedi per terra. Mi definisco un paradosso spettacolare. Passo dall’essere arrabbiata a dimenticarne il motivo in 2 minuti, rido e piango allo stesso tempo. Sono indecisa cronica. Mi piace la musica leggera ma ascolto quella rock a tutto volume e fingo concerti miei in stanza. Leggo poesie ad alta voce e parlo senza far rumore. Sono strana, matta.
A 9 anni mi sono iscritta a danza classica e contemporanea, l’ho studiata per 5 anni dopo di che, dovendo iniziare il liceo e non avendo più tempo, e nemmeno più le possibilità economiche, ho smesso. Ho studiato lingue al liceo, infatti parlo fluidamente lo spagnolo, un po’ meno l’inglese e ancor di meno il tedesco. Finito il liceo ho iniziato a lavorare come commessa, per non pesare troppo sui miei, come ho detto non abbiamo tante possibilità.
L’ho fatto per un anno, in quell’anno sono cresciuta ed ho capito di non dovermi mai accontentare nella vita, perché lavorare dalle 9:00 alle 21:00 per 100 euro alla settimana è roba da schiavi. Dopo quell’esperienza ho lavorato e lavoro ancora come animatrice, amo i bambini, non mi impegna un’intera giornata e così ho tempo anche di studiare.
Da grande vorrei fare l’inviata,quella televisiva, da bambina mi mettevo una videocamera davanti e un telecomando come microfono e iniziavo a parlare, parlare e parlare. Magari pure di calcio, anche perché spezziamoli ‘sti canoni che solo gli uomini capiscono di calcio, mentre probabilmente ne capisco più io di un fuori gioco che loro.
Vorrei farlo non perché si guadagna abbastanza, nonostante io abbia vissuto periodi non proprio belli, con bollette su bollette da pagare. Lo vorrei fare soprattutto per me stessa, per far vedere a gente che non credeva in me che ce l’ho fatta. Che se si vuole, si può.
Chiudo questa mia biografia citando una frase che sinceramente non so se sia di qualche personaggio o filosofo, ma lo dice la mia mamma : “I sacrifici saranno le cause dei più bei sorrisi. Per adesso, questa sono io.»

Come dici amico Diario? E qusto è perché non ama descriversi? Adesso non essere palloso, se vuoi vieni in Aula O martedì che ne discutiamo tutte/i assieme. Che cosa? La frase che mi è piaciuta un sacco l’hai capita? Te l’ho detto, era facile, ti aspettiamo martedì, ore 15:00 in punto.

Miriam Scorziello Torna al Diario
12 Ottobre 2017
Caro Diario, è arrivata Miriam Scorziello, anche lei un bel personaggio, leggi la sua storia. L’idea che mi sono fatto io da tempo è che molte/i di queste/i ragazze/i hanno talento, però hanno anche poco metodo e una soglia del dolore – una capacità di buttare il sangue sopra i libri avrebbe detto mio padre – troppo bassa.
No, no, non sto parlando di Carmen e Miriam, parlo in generale, comunque più avanti ci torniamo su questo aspetto e penso di approfondirlo anche martedì in Aula O, tu intanto goditi quest’altra bella storia, io conto di tornare presto.

«Caro professore,
sono Miriam Scorziello e sono una vostra alunna.
Il compito che avete assegnato non è per niente semplice: ci vuole coraggio a raccontarsi, ma soprattutto a guardarsi dentro e scoprire chi si è veramente, quella che sono lo devo a quella che sono stata.
Amo il mio nome, non lo cambierei per nessun altro.
Sono di Battipaglia, la città della mozzarella e credo che questo sia l’unico vanto, purtroppo, per la mia città.
Ho vent’anni e tutto quello che credo di aver imparato ogni giorno cambia, si trasforma e si colora con sfumature diverse.
Sono stata una brava bambina, figlia di due genitori meravigliosi.
Mia madre ha problemi motori abbastanza gravi e ciò non le permette di camminare molto e bene. Questo è sempre stato un motivo per non fermarmi mai, non è concesso adagiarsi.
Mio padre, invece, non ha nessun tipo di problema e questo ha permesso alla mia famiglia di vivere in una situazione economica agiata. Non ricordo di averlo mai visto a casa per più di tre giorni: è sempre a lavoro.
Ho una sorella più grande, che sembra essere la più piccola, ma se solo le si parla un po’ si capisce che il suo aspetto così minuto è solo apparenza.
Sono stata una nipote fortunata, non ci sono parole per i nonni che mi sono stati dati, ma soprattutto per il nonno materno che ho avuto.
Mi dico sempre che dove la vita mi ha tolto, poi ha saputo ricompensarmi. Mio nonno è stato il regalo più bello che io abbia mai ricevuto: è riuscito a compensare tutte le passeggiate che non ho potuto fare con la mia mamma, tutte quelle attività che ogni bambina faceva con la propria madre. È stato presente ad ogni mia prima volta: i primi giorni di scuola, il primo giorno in palestra, il mio inizio di tutto. Come un altro papà ha saputo tenermi la mano fino all’ultimo respiro: cosa darei per rivederlo ancora.
Questa mia infanzia un po’ veloce ha fatto in modo che io imparassi a fare tante cose da sola, che crescessi un po’ più velocemente rispetto alle mie coetanee. Ho imparato a bastarmi e quando vedevo le mie compagne che non sanno farlo so tacere: è giusto che ognuno impari con i propri tempi.
Ho frequentato il liceo classico, ed è stato come andare sulle montagne russe. Un giorno amavo la scuola, quello dopo la odiavo. Per i primi due anni ho smesso di scrivere; io che alle scuole medie facevo piangere i professori con le mia pagine di diario mi sentivo inadeguata e non all’altezza in una classe in cui gli insegnati facevano sembrare tutti più bravi di me.
Sono stata una ginnasta, addirittura un’agonista. Ho dato anima e corpo per quello sport che ha saputo ripagarmi, ma ho dovuto smettere per alcuni dolori che con il tempo sono comparsi.
Da bambina desideravo diventare una pediatra, poi una scrittrice, ora è tutto diverso.
Mi piacerebbe diventare una giornalista televisiva, ma è così complicato. Sarei così orgogliosa di me stessa se ci riuscissi e mi prenderei tante soddisfazioni.
Ogni volta che parlo della mia facoltà vengo screditata, come se i miei studi fossero meno degni di altri, come se non fossi una studentessa. Diventare una giornalista televisiva vorrebbe dire farsi vedere da tutti quelli che non hanno mai creduto che fosse possibile, significherebbe far capire agli altri che le mie ore di studio valgono tanto quante quelle di un ingegnere, medico o altro.
Mi piacerebbe scrivere, raccontare, avere sempre nuovi stimoli.
Amo viaggiare ed è anche per questo motivo che lavoro come animatrice e baby-sitter. In primis adoro i bambini da sempre e amo prendermene cura. Loro mi regalano tante emozioni anche se non lo sanno e poi rubo da loro tutta l’ingenuità che da grandi viene dimenticata.
Ho viaggiato molto rispetto alla mia giovane età e non è descrivibile la soddisfazione che provo quando sono la sola a pagare per le mie passioni.
Sono curiosa, romantica, solare e tanto dolce quando voglio e con chi voglio. Amo ridere e so farlo di gusto: rido così tanto che mi si riempie il viso di lacrime di gioia.
Mi piace mangiare e anche cucinare, ma se cucina mia nonna è meglio.
Sono molto permalosa e combatto ogni volta per non mostrare questo mio lato.
Sono ottimista e tanto coraggiosa.
Sono innamorata dell’amore in ogni sua forma, credo nelle parole e amo chi sa pesarle.
La mia parola preferita è una parola greca: agape. Sarebbe l’esatta descrizione dell’amore, a mio parere. Significa ‘compassione’, da cum-patire: soffrire con l’altro.
Quindi non provare pena, ma semplicemente un amore così grande da lasciare che l’altro cedi un po’ di dolore e ne condivida il peso senza sentirsi inadeguato.
Ho un fidanzato e un gatto, lottano continuamente per chi deve avere più spazio nel mio letto (inutile dire che il gatto vince sempre).
Sono una brava chiacchierona, infatti non nascondo che non mi dispiacerebbe essere una speaker un giorno!
Ho un sogno, chiamatemi pure romanticona o altro, ma sogno di diventare una brava mamma. Ma di quelle davvero brave. Sogno di poter dare ai miei figli i loro tempi, senza corse, senza drammi. Così da poter rivivere, passo dopo passo, con loro le tappe che io ho dovuto bruciare.»

Serena Petrone Torna al Diario
14 Ottobre 2017
Caro Diario, Serena Petrone la conosci già, l’anno scorso ci regalò una bellissima versione de Il Piccolo Principe, quest’anno la sua biografia. No, questa volta non ti anticipo niente, ti auguro solo buona lettura.

«Caro professore, l’anno scorso quando le ho inviato la mia biografia mi sono aperta a 360 gradi. Infatti, forse, più che una bio si potrebbe definire una “confessione”. Ho sbagliato, avrei dovuto concentrarmi più su di me. Su quella che sono oggi. E su quella che vorrei essere domani: una donna libera e indipendente, capace di badare a se stessa e alla continua ricerca di attimi di felicità (o di dimenticanza, come direbbe Totò).
Più volte a lezione ha detto che quando la notte non riesce a dormire si mette a fare qualcosa di utile che non sia di disturbo a chi le sta vicino.
Ecco. Io mi rispecchio molto in questo suo lato e quando la notte non dormo mi metto a scrivere, a creare mondi, realtà diverse. Di notte divento un artigiano caro professore. Sarà che di notte si è davvero soli con se stessi e quindi si ha la possibilità e il tempo di pensare a tremila cose insieme e di metterle in ordine. Questa cosa devo averla presa da mia madre, perché di notte può capitare di trovarla in cucina a rassettare.
“Sto sistemann e pensiere”.
La scorsa notte, ispirata dalla storia di Miriam, che trovo bellissima, ho deciso di scriverle una nuova biografia in cui non parlerò soltanto della mia famiglia o della bimba pestifera che sono stata. Le parlerò della me (sempre un po’ pestifera) di oggi, dei miei sogni e dei miei limiti. “È importante avere la consapevolezza dei propri limiti e la determinazione necessaria per superarli in avanti, perché il limite non è fisso, si sposta con noi.”
Mi chiamo Serena, ho 22 anni e vivo a Napoli.
Sono ironica, scherzosa, simpatica, solidale, sincera, golosa, sensibile, diffidente, permalosa, nervosa, ansiosa ed emotiva.
Amo la compagnia e chiacchierare di fronte a un bicchiere di vino fino al mattino, allo stesso tempo amo perdermi nella mia solitudine. Non sopporto chi si prende gioco dei più fragili, il chiasso e chi starnutisce senza coprirsi il naso.
Dicono che io sia logorroica e forse è vero ma non sempre me ne rendo conto. Ho un debole per le patatine a tutti i gusti, anche se sono sempre a dieta e quindi non le mangio quasi mai.
Mi “innamoro” delle persone vere, quelle ricche d’animo. Non sopporto le falsità e le lodi a buon mercato, la perfidia e le donne che odiano le altre donne.
So guidare, so andare in bici e so immedesimarmi nelle emozioni altrui. Questo, se me lo permette, lo considero un valore aggiunto, una cosa di cui andare fiera, una cosa che mi rende debole agli occhi degli altri ma non ai miei occhi, io so di non esserlo. O almeno di non esserlo più.
Amo conoscere persone nuove anche se molto spesso alzo dei muri, perché non mi piace essere importunata, non mi piace l’invadenza. Piango spesso. Nel senso che mi emoziono spesso. Questa è un’altra mia caratteristica. Mi “luccicano” gli occhi l’80% delle mie giornate.
Frequento l’ultimo anno di università (in teoria, in pratica ho 4 esami oltre a tutti quelli del terzo anno ma punto a farcela). Studio scienze della comunicazione alla Suor Orsola Benincasa, sono molto felice in quanto i miei genitori (papà guardia giurata e mamma casalinga) mi hanno permesso di iscrivermi a questa università molto costosa.
Sono molto felice ma anche molto scettica poiché non ho la più pallida idea di cosa fare una volta terminati gli studi. Di notte penso pure a questo e, non le dico che male ‘e capa!!!
Papà mi vuole far conoscere un maresciallo che potrebbe affiancarmi a un giornalista. Io gli dico sempre che ci penserò. In realtà, non mi ci vedo proprio giornalista, lei mi ci vede a rincorrere notizie che non sappiano niente di me? Io no, piuttosto mi vedo a rincorrere Ispirazioni.
Non credo molto in me stessa e questo è il mio peggior difetto perché il non sentirmi mai all’altezza delle persone e delle situazioni mi blocca, mi tiene con i piedi piantati a terra e spesso, quasi sempre, non mi fa compiere nuovi passi.
La mia famiglia viene prima di tutto e tutti, nonostante abbia attraversato delle crisi e nonostante, a volte, mi abbia fatto soffrire senza rendersene conto.
I miei fratelli e mia sorella sono il mio punto di riferimento, potrei morire, uccidere e mentire spudoratamente per loro.
La mia nipotina mi ha reso una persona migliore, meno agoista. Mi ha riempito il cuore di gioia e sono sicura che con l’arrivo degli altri nipotini (si, tra qualche mese sarò invasa da nani più pestiferi di me) sarò ancora piu felice.
Come mi vedo tra 10 anni? Magari tra 10 anni risponderò a questa domanda.
Per ora vivo la vita godendomi il presente, prendendo al volo (o provandoci almeno) tutto quello che mi capita, assaporando lentamente tutto ciò che ho.

Non siamo i nostri like, siamo i nostri pensieri Torna al Diario
17 Ottobre 2017
Caro Diario, e pur si muove come direbbe il prof. Galilei. A te la posso dire la verità, l’inizio quest’anno non è stato molto incoraggiante, non tanto perché a seguire il corso erano in poche/i – per fare il lavoro che facciamo noi come la facciamo noi più si è in poche/i e più viene meglio – ma perché erano quasi più le ragazze dell’anno scorso che quelle/i di quest’anno, e sembravano molto spaesate/i, alle prese come ogni anno con questa fissazione di fare le/i giornaliste/i, quasi tutte/i sportive/i, senza avere un’idea reale di come si è evoluto il mestiere di giornalista, immaginando che il fatto di prendere prima il patentino di apprendista stregone e poi quello di giornalista possa rappresentare di per sé una opportunità per il loro futuro.
Come dici amico Diario? No, non ci sono riuscito ancora a farglielo vedere il video con lo speech di Alessia Cerantola e non ti so dire se qualcuna/o di loro l’ha guardato per i fatti suoi, temo di no.
Comunque nei giorni scorsi c’è stata la possibile svolta, è arrivata con le bio di Carmela Sannino, Miriam Scorziello e Serena Petrone, ieri le abbiamo lette e discusse in classe, e ci sono stati momenti molto belli sia alla voce apprendimento che alla voce emozione. E nel frattempo sono anche auentate/i un pochino le/i corsiste/i, insomma la macchina si sta mettendo in moto e sono fiducioso che anche quest’anno si possa fare un buon lavoro.
No, caro Diario, non è semplice, bisogna che le ragazze e i ragazzi si disconnettano dall’idea di essere i loro like e si connettano con quella di essere i loro pensieri, le loro idee, la loro capacità di pensare e di fare, la loro volontà di vivere la società al tempo di internet – la società orizzontale – cercando la profondità.
Ce la possono fare, sono in gamba, hanno talento, si devono abituare a riconoscerlo, a curarlo, a farlo crescere, a reggere la fatica che ci vuole per curare e far crescere il talento. Ecco, direi che per oggi basta, ti aggiorno presto.
P. S.
Ieri abbiamo fatto anche la nuova foto di gruppo, ha avuto un grande successo nel nostro gruppo sui social, tutte/i l’hanno vista e molte/i hanno messo “mi piace”. Il video di Alessia no. Le bio che abbiamo pubblicato neanche. Quando ci vogliono più di 7 secondi per fare una cosa loro non li hanno, e questo non va bene, spero che lo capiscano presto, ma pure questo non sarà facile.

Screenplay Torna al Diario
18 Ottobre 2017
Caro Diario, come succede ormai da un po’ di anni oggi Luca Moretti è venuto a raccontare che cos’è una sceneggiatura in Aula O.
Come sai questa parte qui ha molteplici scopi, il più importante è quello di far familiarizzare le/gli abitanti di Aula O con l’idea che la parola scrivere può essere declinata in molti modi, nel senso che si può scrivere un articolo, un saggio breve o lungo, un racconto, un romanzo, una biografia, un soggetto, una sceneggiatura, una voce di un dizionario, e anche nel senso più largo che si può “scrivere” con il corpo, la musica, la fotografia, il disegno, per il cinema, la televisione, la radio.
Naturalmente oggi abbiamo soltanto avviato un discorso che comincerà a mostrare i suoi frutti dalla prossima settimana quando le/i ragazze/i di Aula O avranno finito di leggere Novelle Artigiane e cominceranno a lavorare alla “riscrittura”, con le virgolette perché va intesa in senso largo, di alcune parti del racconto.
Intanto a proposito di frutti mi fa piacere dirti che oggi finita la lezione mi sono fermato con una delle ragazze che hanno biennalizzato l’esame Marika Silvestro, per darle una mano nella progettazione del suo blog, si chiama Nero di Seppia, quando hai qualche minuto dagli un’occhiata. Verso la fine, quando le ho fatto vedere in che modo poteva utilizzare meglio i widget e abbiamo fatto l’esempio Marika mi ha detto che aveva intenzione di girarne uno per spiegare il senso di questa sua iniziativa che sta portando avanti insieme al suo ragazzo. Le ho detto che mi sembrava una buona idea, ne abbiamo parlato ancora un pochino e a un certo punto è venuta fuori l’idea di scrivere una breve sceneggiatura prima di fare il video, in maniera tale da avere un’idea più precisa di come svilupparlo. Ecco, questa cosa mi è piaciuta molto perché penso che per le/i ragazze/i di Aula O sia importante sviluppare la loro capacità di connettere le cose che studiano con le cose che fanno, sempre in ogni momento, perché dal continuo scambio di teoria e pratica, dalla capacità di tenere la testa (il sapere) dove tengono la mano (il saper fare) e di tenere la mano dove tengono il cuore (la passione, l’impegno) passa una parte importante delle loro possibilità di costruirsi un futuro migliore. Marika ha detto che la sua breve sceneggiatura Martedì la porta in classe, così ci ragioniamo su. Alla prossima.
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La scenografia di Letizia, la panchina di Giovanni e il disegno di Carmela Torna al Diario
19 Ottobre 2017
Caro Diario, come sai ieri ad Aula O abbiamo parlato di linguaggi, e a un certo punto Luca ha fatto vedere dei disegni della mia amica Letizia Salomone e la panchina del Maestro del ferro Giovanni Mariella e io ne ho approfittato per dire che si può raccontare un libro anche con una scenografia o una panchina e che si può riassumere una biografia anche con un disegno.
La scenografia di Letizia la prossima settimana la porto in Aula, la panchina di Giovanni è un po’ più complicato, però la cosa più bella è che stamattina appena sveglio ho trovato questo messaggio di Carmela Sannino: «Professore, mi scusi l’ora tarda, però come a lei, forse pure a me la sera è di ispirazione. Ho fatto un disegno che secondo me ci azzecca con la mia bio. Glielo mando, buonanotte e grazie.»
Sì, amico Diario, questa volta Carmela ha “scritto” la sua bio con un disegno, che naturalmente ti metto qui insieme alla scenografia e alla panchina. Alla prossima.

Piacere, mi presento. Aula O si racconta Torna al Diario
22 Ottobre 2017
Caro Diario, ieri, Domenica, ho trascorso quasi l’intera giornata a leggere e a editare le autobiografie scritte dalle ragazze e dai ragazzi di Aula O. Come ho scritto sui social, è il primo contenuto che io e Maria D’Ambrosio chiediamo ogni anno di realizzare a chi ha scelto di frequentare. Ti devo dire che, nonostante la fatica, sono stato molto contento, ieri sera ne ho parlato anche con Maria. Alla fine si tratta per la maggior parte di ragazze/i di 19 – 21 anni e insomma soprattutto di questi tempi ci sta che debbano crescere, maturare, capire di più e meglio chi sono e che cosa intendono fare delle lore vite.
Lo sai come la penso, per me il problema maggiore di queste/i ragazze/i è la difficoltà a connettere i loro obiettivi con la fatica che ci vuole per raggiungerli, hanno una soglia del dolore – intesa come capacità di impegnarsi e di stare sul punto – mediamente troppo bassa, come se gli sfuggisse il rapporto causa effetto, seguono troppo spesso la corrente, vanno sempre di corsa, leggono e approfondiscono troppo poco, ma del resto non è che noi “adulti” chissà che esempio riusciamo a dare.
Ti confesso una cosa amico diario, certe volte temo che se vado in aula dico ho trascorso buona parte della domenica a leggere le vostre bio mi pigliano per scemo, per fissato, per uno che non sa come passare le giornate, mentre invece come canta in una bella canzone Vecchioni “forse non lo sai ma pure questo è amore”, però poi il timore me lo faccio passare, e un bel po’ delle cose che hanno scritto mi fa ben sperare.
Sì, nella maggior parte hanno raccontato belle storie, diverse sono bellissime, alcune splendide, non più di un paio sono state scritte senza genio, insomma mi hanno dato e mi hanno detto tanto, scaricatele e leggele con calma così magari poi mi fai sapere.
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Si puà dare di più Torna al Diario
29 Ottobre 2018
Caro Diario, tu sei giovane e magari non la conosci la canzone di Morandi, Tozzi e Ruggeri, a me è tornata in mente stamattina mentre pensavo a come riassumere questa prima parte del corso di Comunicazione e Cultura Digitale.
Sì, direi senz’altro che “si può dare di più senza essere eroi”, anche perché diversamente dalla canzone, che al verso successivo dice “come fare non so non lo sai neanche tu”, la prof. Maria D’Ambrosio and me sappiamo bene che fare, come farlo e perché farlo.
Come dici amico Diario? Allora perché non scatta la molla? Sembra facile caro mio, ma non lo è affatto. In parte perché nella realtà funziona proprio come dice Mastro Giuseppe in Novelle Artigiane, nel senso che “Ci sono cose che non si possono insegnare. O ciascuno le comprende da sé, o non le comprende.” E in parte perché la maggioranza di queste/i ragazze/i non è abituata a studiare come dovrebbe studiare, e insomma devi prima decostruire quello che sono abituate/i a fare e poi fargli acquisire il nuovo approccio. Sì, non è facile, e ci vuole tempo, tanto per cambiare, e il Tempo per fare tutto non c’è.
Giovedì scorso ne abbiamo parlato in Aula O, per la verità li abbiamo anche un poco provocate/i sul fatto che sono così poco reattive/i, e insomma anche a sentire le loro risposte penso che è un poco sia servito, ma troppo poco.
Il fatto è che loro hanno in testa soprattutto l’esame e il voto all’esame, e non capiscono che quello è una conseguenza della loro capacità di pensare, di fare, di essere professionisti della comunicazione come ripete ogni volta Maria.
Sai perché mi arrabbio? Perché hanno delle potenzialità straordinarie, come piace a me sono delle Ferrari e si accontentano di funzionare come monopattini.
Sì caro Diario, non so se debbano studiare di più, probabilmene sì, ma di certo debbono farlo in maniera diversa, debbono leggere molto di più, debbono leggere quello che fanno i loro “concorrenti”, quelle/i che ieri e oggi fanno le/i giornalisti di successo.
Molti di loro dicono di voler fare i giornalisti sportivi. Ma dubito che qualcuna/o di loro sappia – solo per restare in Italia – chi è Gianni Brera, o Oliviero Beha, e abbia letto i loro libri e i loro articoli; per molte/i di loro essere giornalisti è farsi schiavizzare da giornaletti locali di settima categoria in attesa dell’agognato tesserino, prima di pubblicista e poi di giornalista, senza capire che quello per la stragrande maggioranza di loro sancirà l’impossibilità di scrivere i loro articoletti, perché a quel punto le suddette testate locali di settima categoria si serviranno di altri schiavi che saranno disponibili a lavorare gratis come fanno loro adesso.
È una bella sfida amico Diario, ma Maria e io come sai stiamo sul punto, e come ogni anno qualcuna/o di loro riusciremo a tirarle/i fuori dal lato oscuro della forza e a tutte le/gli altre/i avremo comunque messo in tarlo in testa, che a volte anche lui ha bisogno di Tempo per fare il suo buco.
Per adesso ti saluto, ritorno presto, domani sarà una giornata speciale, ma non ti voglio rovinare la sorpresa, alla prossima.
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I giornalismi tra andata e ritorno di Vito Verrastro Torna al Diario
8 Novembre 2018
Caro Diario, quest’anno Aula O continua a darmi feedback contrastanti, in certi momenti mi dà l’impressione che qualcosa stia scattando nella sua testa, in altri mi pare che non si riesca ad uscire dallo schema 2-3 brave/i, 4-5 bravine/i e tutto il resto che sta lì per prendere il voto e portare a casa l’esame, ti saprò dire le prossime settimane, intanto ci stiamo portando avanti con il lavoro.
Proprio alla voce lavoro ti devo dire che insieme alle bio sono arrivate le recensioni di Novelle Artigiane e di L’ordine del tempo, le hanno fatte quasi tutte/i, e insomma a impegnarsi si sono impegnate/i anche se una buona parte ha mostrato di non avere ancora una precisa idea – in particolar modo con il libro di Rovelli che è un pochino più complesso – della differenza tra un riassunto e un commento/recensione.
Ciò detto, ti dico dell’altro giorno e della bellissima lezione che Vito Verrastro ha tenuto ai ragazzi su “Giornalismo e giornalismi, tra andate e ritorni”, come ha scritto sui social Maria D’Ambrosio “grazie a Vito Verrastro e grazie agli occhi che ho visto illuminarsi, immaginare, riflettere, nell’ascolto e nelle condivisioni fatte ad alta voce! Gli occhi di voi studenti e studentesse che sono il fuoco che dà senso al nostro lavoro di formatori!”, mentre da un’altra parte Serena Petrone “l’ascolto come prima dimensione, ascoltare per capire e non semplicemente per rispondere. Oggi ho vissuto il tempo in cui il giornalismo si mischia all’empatia, alla narrazione di sensazioni che arrivano dritto al lettore. Mastro Vito, dice: “sono diventato giornalista perché scrivere mi dava piacere”. Grazie per questa lezione meravigliosa. Se lo puoi pensare lo puoi fare, e Vito Verrastro è un esempio”.
Come dici amico Diario? Visto che Vito ha messo d’accordo prof. e studenti perché non ti faccio una sintesi di quello che ha detto?
Dato che i miei amici li conosco faccio di più, condivido con te e con chi ci legge il breve resoconto che ho chiesto di scrivere a Vito, eccolo:
“L’incontro è servito per confrontare le visioni del mondo di un mestiere bello, affascinante ma in continua evoluzione come quello del giornalista. Il lavoro non è un posto, (come recita il libro di Lorenzo Cavalieri, che consiglio a tutti di leggere) e il giornalismo non è quello stereotipato della redazione. O almeno, non è solo quello: ci sono tante forme di giornalismo – social, interactive, mo-jo (il mobile journalism), brand journalism, ecc. – . Tanti oceani blu o ancora semi inesplorati, qui da noi, e possono essere un’ottima occasione per differenziarsi e sottrarsi da un mercato tradizionale in declino. La filiera della carta va tramontando, le aziende editoriali italiane spesso si reggono in piedi grazie ai contributi dello Stato, e c’è un esercito di redattori precari e sottopagati che galleggia in cattive acque (vedi recente puntata di Report). Il consiglio agli studenti, rinveniente dalla mia esperienza, è stato quello di esplorare sentieri poco battuti, immaginarsi nella dimensione del freelance che lavora in vari contesti (collaborazioni, uffici stampa, progettazione, moderazione e presentazione convegni, ecc.) ed è sempre sul pezzo; non si arrende quando le cose vanno male ma reagisce con più forza e determinazione. Si nutre di storie positive e si documenta, e per questo è sempre aggiornato, riuscendo a guardare dove altri non vedono. Lavora da solo ma è anche capace di integrarsi in un team, magari in contesti linguistici differenti. E non si stanca mai di sognare, ben sapendo che per conquistare un traguardo dovrà lavorare duro giorno per giorno. Ti devo dire caro Vincenzo che la luce che ho visto nei loro occhi mi dà speranza”.
A proposito, non ti ho ancora detto che Vito ha anche regalato alle/ai ragazze/i alcune copie di Millionaire, che è stata una rivista molto importante nella sua formazione, ha consigliato di utilizzare anche piattaforme come Linkedin e Twitter, anche solo come “ascolto attivo”, di seguire su web e social i propri punti di riferimento, giornalistici e non, di scoprire le piattaforme di podcasting come Spreaker e Soundcloud.
Cosa aggiungere ancora? Che ti consiglio con tutto il cuore di ascoltare le puntate di Lavoradio, di mettere un like alla sua pagina Facebook e soprattutto di leggere Generazione Boomerang, il nuovo libro di Vito, io l’ho fatto e mi è piaciuto un sacco.
Ecco, direi che per oggi mi fermo qui, però ritorno presto, perché oggi arriva Luigi Maiello, co-founder di Intertwine, e ci vene a presentare la piattaforma e la sfida creativa sul Tempo che vedrà impegnate le/i ragazzi di Aula O insieme alla straodinaria comunità di scrittori di Intertwine.
Come dici caro Diario? E Rodolfo Baggio? E Rodolfo Baggio il prossimo anno amico mio, è stato con noi in Aula O, anche solo con qualche battuta ha incuriosito le/i ragazzi al punto che Francesco Russo sulla pagina del nostro gruppo ha scritto “Un’oretta fa ho lasciato l’aula contento e dispiaciuto. Avrei tanto voluto ascoltare anche il professor Rodolfo Baggio, maledetto tempo!”. Già, maledetto Tempo, e maledetto albero caduto, e maledetta pigrizzia delle/dei ragazzi. Comunque questo è, quando il Tempo impareremo a farlo durare di più sarà diverso, ma per adesso funziona così. A presto.

È tempo di Intertwine e di sfida creativa Torna al Diario
10 Novembre 2018
Caro Diario, Giovedì in Aula O sono arrivati Luigi Maiello, che già conosci, e Gianluca Manca, il Ceo di Intertwine, nostro partner da ormai molti anni, e ci hanno raccontato di loro, della loro piattaforma e della sfida creativa che intendiamo lanciare nelle prossime settimane insieme a questa bellissima comunità che, come puoi leggere dalla home del loro sito, connette scrittori, lettori e creativi che guardano il mondo con occhi diversi.
Prima di condividere che cosa mi hanno risposto Luigi e Gianluca quando ho chiesto loro di sintetizzare in poche righe la nostra lezione insieme ti voglio dire che Maria e io siamo stati particolarmente felici quando hanno ripreso due parole chiave – due hashtag come usiamo dire adesso – sui quali noi buttiamo il sangue e anche Vito Verrastro si è speso moltissimo, #amore, pr quello che fai, e #lavoro, il tanto lavoro che ci vuole, a tratti la fatica, per arrivare dove si vuole arrivare.
Sì, amico Diario, questo è un passaggio molto importante per le/i ragazze/i di Aula O, ne hanno poca consapevolezza, e il fatto che ognuna/o che arriva lo ripeta come un mantra aiuta, altro che se aiuta.
Ecco, detto questo, ritorno ai nostri due eccellenti amici e ti passo in ordine di arrivo quello che mi hanno scritto:
Luigi: «Vincenzo, mi fa sempre piacere tornare all’università Suor Orsola Benincasa, nelle aule in cui ho studiato. Ai ragazzi, i comunicatori di oggi e di domani, ho cercato di spiegare perché è fondamentale sviluppare capacità narrative e autoriali dato che le imprese oggi sono sempre più alla ricerca di contenuti di qualità per coinvolgere il pubblico in una conversazione continua.
Poi ho spiegato ai ragazzi il funzionamento di Intertwine e come partecipare alle Sfide Creative, il format che le aziende utilizzano per lanciare campagne di corporate storytelling e realizzare i contenuti più adatti alle loro strategie di content marketing».
Gianluca: «Vincenzo, quello che ho cercato di trasmettere io – partendo dalla nostra esperienza e dalla creazione di Intertwine – è quanto lavoro, quanto sacrificio e quanta passione ci vogliano per fare quello che si vuole fare nella vita. Sono molto contento di aver potuto condividere con ragazzi di 20 anni questa nostra esperienza, spero con tutt il cuore che sia rimasto loro qualcosa di positivo».
Ecco caro Diario, a partire da qui abbiamo coinvolto Aula O nel processo creativo – tu chiamalo se vuoi brainstorming – per far venire fuori delle idee che ci aiuteranno nella definizione del tema, del brief e di tutto il resto per quanto riguarda la sfida creativa. Ecco cosa è venuto fuori nell’eccellente sintesi di Luigi:
La giornata di 27 ore;
Il tempo di ciascuno: riflessione sulla lentezza;
Il mio tempo (per riflettere);
Il tempo di un caffè;
Il tempo del tempo (voce narrante);
Prendiamoci il tempo (come gestire il tempo);
Il tempo di una vita – relatività.
Prima di salutarti ancora due cose, una positiva e una negativa.
Quella positiva è che una parte di Aula O sta cominciando a capire a cosa serve la pagina che condividiamo sui social, sta cominciando a interagire, sollecitata a volte dall’AI postato da Vito che legge il telegiornale in China, o dal pezzetto di film condiviso da Mattia, o dal Rembrandt creato da un algoritmo postato da Rodolfo, o anche dalla canzone di Ivano Fossati postata da Serena o da Leo, il micio di 11 chili postato da Erika. È un’interazione assai importante per il nostro lavoro, se vai sul gruppo puoi leggere anche tutte le altre interessanti proposte che sono venute fuori per la sfida creative.
Quella negativa è che in un’Aula con circa 30 aspiranti giornaliste/i non ce n’è una che durante la lezione pensi di scrivere un piccolo articolo, un resoconto o meglio ancora di cercare una notizia con una foto, un breve video, un testo, un contenuto da condividere in rete o da proporre a un giornale.
Mi sembra giusto che Maria e io ne discutiamo prima con loro in aula e poi lo diciamo a te, ma un titolo te lo dico, “Due pazzi in Aula O”, e poi cercherei di raccontare cosa fanno, e poi mi chiederei perché lo fanno, e poi farei delle mie considerazioni su che cosa è l’università e che cosa è importante imparare durante un percorso di laurea, e poi chiederei ai due pazzi, naturalmente la prof. D’Ambrosio and me, di discuterne in classe, e poi … mi sto facendo prendere la mano, perciò mi fermo, caso mai ne riparliamo più avanti. Alla prossima.
leo

Professione Reporter Torna al Diario
22 Novembre 2018
Caro Diario, in Aula O stiamo lavorando sempre con più impegno, la settimana scorsa abbiamo avuto con noi il prof. Antonio D’Amore, lezione appassionata e interessante la sua, proprio come me la immaginavo, e insommma ne abbiamo approfittato per chiedere a Serena Petrone e Gaetano Scotto di scrivere un articolo che raccontasse quello che ci siamo detti, i loro articoli li puoi leggere rispettivamente qui e qui.
L’esercizio ci è piaciuto e così abbiamo chiesto a Carmela Sannino e Miriam Scorziello di fare la stessa cosa per la lezione di oggi, l’articolo di Carmela è già arrivato e dunque lo condivido nel testo, quello di Miariam te lo allegherò come .PDF
Ecco Carmela:
«La lezione di oggi si è aperta con la prof. Maria D’Ambrosio che ci ha catapultati nelle lezioni precedenti. Quanto è importante il teatro, ma ancor di più quanto è importante avere diversi punti di vista della stessa opera. Lo definisce uno spazio euclideo, “non è assoluto, tutti possono attraversarlo” afferma la nostra docente che pochi minuti dopo, a malincuore e a nostro discapito, ha dovuto lasciarci.
Proseguiamo col prof. e sociologo Vincenzo Moretti.
E ancora una volta, purtroppo, per un preciso lasso di tempo, ci parla della nostra non curanza nel saper e voler fare bene le cose. Il discorso del prof. è un discorso motivazionale, un discorso di una persona che ci crede fino in fondo in ciò che dice e soprattutto in ciò che fa.
“La parola ‘resa’ non la conosco” afferma a un certo punto e qui non potrei essere più che d’accordo.
Ci fa paragoni di persone che per lui sono di grande esempio: Alessia Cerantola, Luigi Maiello, Vito Verrasto, Antonio D’Amore, persone che ce l’hanno fatta, e ribadisce che noi non siamo da meno, anzi.
Rivisita persino una celebre citazione della Disney “se lo puoi sognare, lo puoi fare”, poi continua, “però si sono scordati di dire che si deve lavorare, si deve buttare pure il sangue per farcela”.
Continuiamo poi per la nostra ‘dritta via’ creando idee di riscrittura per una piccola parte di Novelle Artigiane e quel che ne viene fuori è un qualcosa di eccezionale.
Si inizia con l’idea di Francesco Russo, che vorrebbe riscrivere la parte in cui Sofia (personaggio di Novelle Artigiane) sbarca a Cip, un paesino immaginario.
Francesco immagina che Cip non sia come è descritta nel libro, un paese tranquillo e armonioso, ma lo immagina come si immagina una scena apocalittica.
Si prosegue poi con Serena Petrone, che vorrebbe riscrivere la scena del pizzaiolo Matteo, ispirandosi a suo fratello maggiore.
Poi ci sono io, Carmela Sannino, che vorrei cambiare il finale del libro (un po’ come Luigino che cambiò la storia raccontatagli dal padre impiegandoci circa 5 anni) sperando di riuscirci, anche se ho molti dubbi.
È la volta di Mattia Di Gennaro, al quale addirittura piacerebbe estrapolare da una pagina dei racconti una poesia.
Si passa a Francesca Maglione che si immagina l’evoluzione dell’uomo tra miliardi di anni, e a Paolo Solombrino che invece spera di poter far fare un ritorno al passato a Donna Sofia invece che nel futuro.
Poi per ultimo, ma non meno importante, c’è Antonino Treviglio che vorrebbe riportare in vita Jacopo, padre di Luigino, per il suo compleanno.
Al prof. Moretti piacciono tutte queste idee, compresa l’ultima, anche se, ci spiega, non vorrebbe veder vivere una persona a lui cara solo per un giorno, per poi rivederlo morire e detto sinceramente neanch’io lo vorrei, sarebbe un doppio strazio.
Ispirato da quanto detto, soprattutto sul finale, il prof. ci legge una delle ultime parti di Novelle Artigiane, invitandoci a pensare a quale potrebbe essere il “regalo” fatto da Mastro Giuseppe a Luigino per il suo compleanno visto che non c’e scritto esplicitamente nella novella, ma lo si lascia intendere a noi lettori. Ci arriva con l’immaginario una nostra amica, Alessia Mariani, dicendo che lei l’aveva notato già da prima.
Il prof. mi fa controllare l’ora (come suo solito fare circa ogni mezz’ora). Restano 5 minuti e allora gli viene in mente un gioco, trovare in una parola negativa un senso positivo.
La parola è TRADIMENTO.
Noi alunni, per quanto possiamo provarle tutte, non ci riusciamo e allora interviene lui e ci fa alcuni esempi.
Finisce la lezione (che per quanto mi riguarda è una lezione di saperi) un po’ con l’amaro in bocca perché vorrei che non finisse mai. Sì, è una bella soddisfazione apprendere ogni martedì e giovedì qualcosa di nuovo, qualcosa di bello, qualcosa per potercela fare anche noi come hanno fatto Alessia Cerantola, Vito Verrasto, Antonio D’Amore. I nostri prof. ce lo ripetono ogni settimana che se ce la mettiamo tutta ce la possiamo fare.»

Come dici caro Diario? Aula O sta facendo progressi? Shhh, non lo dire, innazitutto perché non tutte/i si impegnano allo stesso modo e poi perché anche chi si impegna di più va a finire che si adagia, e invece non c’è proprio nessuna ragion per adagiarsi.

Poco più di 90 minuti in Aula O Torna al Diario
23 Novembre 2018
Caro Diario, come ti ho anticipato ieri è arrivato anche l’articolo di Miriam Scorziello, il contesto è lo stesso, perciò lascio subito la parola a lei.

«Entrare in Aula O (che è quasi sempre un’ altra aula) è un po’ come tornare a scuola: tutti, o quasi, si conosco ed i professori: Maria D’Ambrosio e Vincenzo Moretti chiamano per nome gli studenti. L’aria che si respira è un po’ diversa dal resto. Quando i professori entrano c’è sempre una chiacchiera prima della lezione, un po’ di sano dialogo che non fa mai male e qualche presa in giro per la provenienza dei diversi studenti e studentesse.
La lezione del 22 novembre 2018 inizia e tutto prende forma.
La professoressa D’Ambrosio come un fiume in piena tocca un argomento che sembra tanto lontano ai giorni d’oggi, ma che in realtà è molto attuale: il teatro greco. E un po’ come una Saffo moderna tratta il discorso con delicatezza ed amore rendendo vicina un’età così lontana. Il teatro è l’inizio di una nuova oralità, dove si sente il bisogno di condividere con l’altro, avere una catarsi e confrontarsi. Viene definita un’importante impronta per comprendere bene uno dei libri che compongono il programma del corso.
“Il teatro si fa matrice dello spazio dello spazio euclideo”, dice la professoressa. Ma cos’è questo spazio? È il luogo dell’interazione che, dalla tragedia greca, diventa una dimensione di incontri.
L’aspetto rivoluzionario del teatro è proprio quello di avere più punti di vista in una sola opera e questo cardine fondamentale è molto attuale nel mondo dei social network. Un mondo formato da tante piccole parti che definiscono il carattere e il soggetto in questione. Lo spazio euclideo è dunque qualcosa che può essere attraversato e riconosciuto da tutti. La professoressa proprio partendo da questo riesce a collegarsi a quello che sarà poi il lavoro che i ragazzi dovranno fare: riscrivere una parte del romanzo “Novelle Artigiane”.
La D’Ambrosio cerca di spiegare ai propri studenti che tramite questo lavoro sarà possibile comprendere qual è il loro punto di vista, il loro sguardo verso il racconto. È arrivata l’ora di andare via per la professoressa e mentre cammina verso la porta con tutte le borse, ricorda ai ragazzi che è arrivato il momento di “mangiare” tutti i libri che sono nel programma per realizzare un #lavorobenfatto.
Quando il professore Moretti prende la parola tutto inizia un po’ con dispiacere perché secondo lui i suoi studenti non sono tanto attivi, o almeno non lo sono tutti. Lui vorrebbe un po’ di partecipazione in più.
Si parla delle esigenze e tra queste risaltano le due più importanti : comprensione ed approccio.
C’è il bisogno che qualcosa cambi, che il modo di relazionarsi con le cose cambi, soprattutto con il lavoro.
Si deve essere un po’ come dei polipi, bisogna cogliere tutto ovunque. Il prof. Parla della metodologia del maiale, termine da lui inventato per spiegare che non bisogna buttare nulla e conservare tutte le esperienze ed il sapere. Vengono nominate tante persone, quelle che come dice spesso Moretti sono “persone normali che fanno cose straordinarie.”
C’è bisogno di riempire il bagaglio personale, far esplodere la valigia che tutti portano nel viaggio della propria vita.
Sulla lavagna ci sono delle lettere cerchiate, sono le iniziali dei libri di testo. Così si inizia a spiegare quale sarà il lavoro da fare. Ma la storia è sempre la stessa, anche questa volta bisogna cambiare l’approccio.
Moretti chiede ai ragazzi se hanno già delle idee per la riscrittura. Le mani si alzano e le voci si accavallano, sono tante le idee.
C’è chi vorrebbe cambiare la città di Cip e raccontarla come una città in rovina, buia, dove la tecnologia diventa distruttiva. A parlare è la voce di Francesco.
Poi c’è Carmela che vorrebbe cambiare il finale, un’idea difficile da mettere in pratica, ma non impossibile.
Serena vuole prendere e rendere vicina la figura del pizzaiolo, cercando di riscriverla guardando alla vita di suo fratello.
Mattia ha un ‘idea nuova, che fa spalancare gli occhi anche a chi aveva appoggiato la testa sul banco, lui vorrebbe cantare il romanzo sotto forma di poesia.
Erika, invece, vorrebbe cambiare la prospettiva.
Altre voci, senza nome, vorrebbe riprendere il viaggio di Sofia. Un ragazzo vorrebbe riportare Sofia nel passato e una ragazza invece nel futuro.
Manca poco meno di mezz’ora, il tempo ancora una volta è poco.
Si parla della conoscenza e del bisogno che questa si posi. Riprendendo un esempio Moretti dice: “Il pensiero, lo studio, la conoscenza, sono come la pasta e fagioli, hanno bisogno di sedimentarsi, di riposare.”
L’intervento di Antonio, uno studente delle ultime file, porta alla mente alcune cose. Il professore allora riprende un post da lui pubblicato e cerca di far capire ai ragazzi che le diverse letture possono portare alla mente tante idee. E apre Novelle Artigiane facendo una domanda: “qual è il regalo che Mastro Giuseppe fa a Luigino?”. La cosa crea un po’ di confusione in aula, è Alessia che trova la risposta ed il prof. sottolinea che “Non c’è fine al pensiero degli esseri umani”.
E finalmente si capisce che c’è bisogno di condividere per avere più possibilità.
Si avvicina la fine, per davvero questa volta, la parola “approccio” ricompare e si va avanti. Se lo puoi sognare lo puoi fare, si legge nel libro, ma il professore aggiunge: “Se sei disposto a faticare assai!” Se non si è disponibili a lavorare tanto non si può far nulla. Se non si è spinti dall’amore e dalla passione per quello che si sta facendo non si realizza niente.
Sono gli ultimi cinque minuti ed il professore chiede ai ragazzi se vedono nella parola “tradimento” un’accezione positiva. Piano li guida a quelli che sono stati TRADIMENTI che hanno portato a delle cose meravigliose.
Nomina Giuda e Max Broad, il miglior amico di Kafka. Così tutto è più chiaro: anche una brutta parola, ma brutta brutta come tradimento, può essere vista da una prospettiva diversa. Il professor Moretti vorrebbe far capire ai suoi ragazzi che bisogna guardare alle cose con uno sguardo molto ampio. Sì, i ragazzi dovrebbero essere curiosi, diversi, dubbiosi.
Il tempo è finito da pochi minuti, Aula O si saluta.

Ottimo lavoro Marika Torna al Diario
26 Novembre 2018
Caro Diario, in Aula O cominciano ad accadere cose di cui Maria e io siamo troppo contenti. L’ultimo esempio in ordine di tempo è quello di Marika Silvestro che ha fatto un lavoro di riscrittura di Novelle Artigiane davvero bello, bello, bello. Molto bello. Naturalmente questo non significa che non ci sono cose che si possano migliorare, non è che all’improvviso è diventata Virginia Woolf, significa che il suo lavoro è eccellente perché ha colto il senso del percorso che stiamo e sta facendo e perché a quel senso ha saputo dare uno sbocco attraverso la sua storia. E bada bene che quando me l’ha mandato ho giocato a non fidarmi, nel senso che le ho chiesto di descrivere il processo attraverso il quale era arrivata a riscrivere in quel modo la storia, e lei l’ha fatto, e davvero il risultato che ne è venuto fuori è ottimo.
Facciamo così, tu leggi i suoi due lavori, poi ci risentiamo e ci ragioniamo su, noi Martedì contiamo di fare lo stesso in Aula O.
Il tempo di un restauro, di Marika Silvestro
Il tempo di un restauro – Background, di Marika Silvestro
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La partita del pallone. La serie Torna al Diario
28 Novembre 2018
Caro Diario, ieri sera Gaetano Scotto mi ha inviato titoli e abstract delle 10 puntate della sua serie, La partita del pallone, intanto leggi che dopo ne parliamo.

LA PARTITA DEL PALLONE
GAETANO SCOTTO

S1E1: All’ultimo respiro
Il pallone che negli ultimi minuti di una partita finisce in rete.

S1E2: La pozzanghera maledetta
Una sera di novembre in cui il pallone si trova in una vero e proprio acquazzone. Si gioca e si racconta come si fatichi in campo. Alla fine, dopo 30 minuti si dedice per il rinvio.

S1E3: A Natale mi hanno regalato un crociato
Siamo a dicembre, aria di Natale, i bambini ben coperti e gli ultras con la pancia in ben mostra. Piove ed in campo all’improvviso c’è un tackle duro. Infortunio grave, barella e disperazione.

S1E4: Esaltazione e disperazione
La goleada – racconti di due mondi totalmente opposti, chi vince e fa tanti gol e chi invece perde ed è sconsolato.

S1E5: Il cucchiaio d’oro
Si recupera il match di novembre (2′ puntata). Rigore e cucchiaio

S1E6: Una vita da ultras
Siamo a marzo, le giornate iniziano ad aprirsi. Tiro in Curva e racconto degli ultras (3′ episodio) che prendono palla.

S1E7: Rosso fuoco
Fa caldo e c’è una rissa dopo un espulsione.

S1E8: Paperissima Sprint
Gli errori, descrivere quelle che sono le papere dei portieri e gli errori di difensori, attaccanti, centrocampisti.

S1E9: Allenatore dalle mille vite
La vita dell’allenatore e le diverse categorie.

S1E10: Un finale da Re
Lo scudetto, le emozioni della vittoria, l’invasione di campo

Basta superficialità Torna al Diario
29 Novembre 2018
Caro Diario, oggi i reporter designati per raccontare Aula O erano Mattia Di Gennaro e Pina Russo. Mattia mi ha appena inviato il suo articolo, buona lettura.

TITOLO
Aula O, tra processo di apprendimento e partita del pallone: basta superficialità

SOTTOTITOLO
La cronaca di una giornata in Aula O

TESTO
Il professor Moretti ha iniziato la lezione consigliandoci la piattaforma di scrittura WordPress, insieme alle sagge dritte di social marketing, per aprire un blog. Dopodiché si è spostato sull’app Spreaker, la quale consente registrazioni audio.
Il primo ammonimento della giornata è dovuto dal fatto che nessuno, alla scrittura dell’articolo giornaliero, ha mai allegato una foto: elemento fondamentale ed imprescindibile. Sarà che non ci attiviamo perché, come detto da Moretti, non siamo “abituati a pensare”.
Forse è proprio vero: in questa epoca, inondata di fili, circuiti, reti internet, programmi, processori e multimedialità, forse abbiamo preso l’abitudine di riflettere in modo meccanico. Come se fossimo in una catena di montaggio ed i nostri pensieri dei prodotti in serie. Abbiamo perso “l’artigianato”. Cosa si intende per artigianato? La genialità unica ed inimitabile delle nostre idee.
Siamo poi passati a parlare del processo di apprendimento, altra costante delle lezioni di Comunicazione e Culture digitali, convenendo che consiste nel saper connettere le cose e non saperle e basta. Di qui a poco arriva un altro ammonimento del professore che indetifica la stragrande maggioranza di noi come dei “credit hunter” (cacciatori di crediti) dovuto dal fatto che non abbiamo un metodo valido di studio e lavoro e siamo solo alla ricerca labile di un’accozzaglia di buoni voti.

Un fiume di concetti diversi ma interconnessi scandiscono le lancette dell’orologio fino all’uscita dall’aula. Dal fallimento che in realtà non esiste, a come il tempo stesso può cambiare le cose (in riferimento alla Apple) senza però dimenticare che dobbiamo essere noi a volerlo.
Abbiamo anche scoperto come il professore ora sarebbe potuto essere ricco con un investimento in borsa 30 anni fa.
Abbiamo confrontato idee sul lavoro da fare, tutte ritenute molto valide. Ci è stata raccontata l’esperienza e l’inventiva dell’archeochef Diego, capace di unire i suoi saperi da archeologo e la prelibatezza della cucina.

La seconda parte della lezione ha visto protagonista Gaetano Scotto, autore di un ottimo lavoro riguardo “La partita del pallone”: un format innovativo, ma tutto da sviluppare. Diviso in puntate, 10 per la precisione, racconta le esperienze vissute in campo con gli “occhi” di una palla.
Il collega ci racconta come l’idea sia nata dalla volontà di capire se ha le giuste capacità per seguire il suo sogno di fare il giornalista sportivo. Qualora dovesse accorgersi che non è così, lui avrà tempo e possibilità di reinventarsi. Qui interviene Moretti che rincara saggiamente: «Bisogna battersi per i propri sogni al fine di capire se si è all’altezza di essi».

In aula, in soccorso di Gaetano, si scatenato molti interventi e spunti, maschili per la stragrande maggioranza, che risvegliano una classe precedentemente più silenziosa. Si vede eccome che l’argomento ‘calcio’ è come un fuoco primordiale che divampa nelle menti e genera un nous igneo.
Nuovamente il professore riprende, parlando dell’importanza della motivazione, il concetto della lezione precedente basato su: “Genius is one percent inspiration,ninety-nine percent perspiration” di Edison. Serve sudare per innaffiare e crescere il genio che è in ognuno di noi.
In ultimo abbiamo anche imparato come condividere il proprio lavoro con gli altri può essere molto utile prima di ultimarlo.
L’ora e mezza è trascorsa come sempre troppo velocemente, ma non è ancora finita e forse nelle nostre menti non finirà mai.
digennaro1

Allargare lo sguardo per un lavoro ben fatto Torna al Diario
30 Novembre 2018
Caro Diario, come aveva promesso Pina Russo stasera mi ha inviato via mail il suo racconto della giornata di ieri, ti consiglio di non perdertelo.

«Ore 12: tutti in aula! So cosa state pensando: “no, neanche oggi siamo in Aula O”. Poco importa direi, ormai Aula O siamo tutti noi, dunque il luogo non conta. La lezione è cominciata e il prof. Moretti inizia con il ricordarci il nostro dovere: leggere/studiare i testi e dare forma al lavoro di riscrittura di “Novelle Artigiane”. Il prof. poi aggiunge che la pecca di ogni cronaca scritta fino ad ora sulle lezioni è non aver allegato alcuna foto! Già, qualche foto! Nessuno ci ha pensato. “Interessatevi, fatevi delle domande, cercate le risposte”. Queste parole risuonano nell’aula e rimbalzano nelle nostre menti! Assumere il giusto atteggiamento è l’approccio necessario per progettare qualsiasi cosa.”Nessun intento demoralizzante”, aggiunge il prof., perché “ogni cosa detta è per costruire, non pr distruggere.”
Riflettendoci abbiamo inteso che il prof. Moretti ci sta chiedendo di pensare e di agire, di essere efficienti ed efficaci. La parola d’ordine potrebbe essere “allargare lo sguardo”, non solo saperi, non solo procedure operative ma la gestione di processi attraverso cui utilizzare le proprie risorse per affrontare un compito. E ancora: lo sviluppo di attitudini che consentano di esprimere le proprie potenzialità. Non si tratta di essere i partecipanti di una “battuta di caccia” ai crediti, ma studenti interattivi, mossi dal desiderio di saper fare oltre che di sapere. Studenti uniti da uno spirito di cooperazione, perché è anche il confronto che arricchisce! A un certo punto sulla lavagna appaiono le iniziali dei testi adottati e le idee iniziano a concretizzarsi; Marika ha già dato vita alla sua “creatura” e prendere spunto dal lavoro altrui non è mai una cattiva idea. È il turno di Gaetano, il quale con grande ingegno ha abbozzato una miniserie dal titolo “La partita del pallone”, dieci episodi in cui il calcio viene raccontato attraverso “gli occhi” della palla.
Un progetto che il nostro collega/amico sta portando avanti con grande determinazione; sì, perché il suo sogno nel cassetto è diventare un giornalista sportivo in modo innovativo. L’idea del prof. sul suo desiderio però è chiara: “Come secondo lavoro va più che bene”; ma la sua non è l’unica voce fuori dal coro, infatti anche il giornalista Sconcerti lo ha esplicitato chiaramente.
Lui, dall’interno, ha espressamente chiarito quanto sia difficile intraprendere questa strada così tortuosa. Ma Gaetano ne è consapevole; ecco perché ha iniziato a coltivare la sua passione sin da ora, in modo da poter correggere la traiettoria della sua scelta se un giorno si rendesse conto di non avere possibilità di sbocco in questo settore. Ecco allora la chiave di lettura del prof. Moretti: “Bisogna abbracciare i propri sogni, battersi per i propri sogni”, restando però ancorati alla realtà e alla possibilità di dover guardare verso altri orizzonti. Ogni percorso ha i suoi ostacoli e il vero coraggio sta nell’affrontare la fatica senza lasciarsi sopraffare da essa. Il tempo scorre, anche questa lezione volge al termine. Siamo ormai quasi giunti al capolinea di questa avventura; ma non credo che il corso con la prof. D’Ambrosio e il prof. Moretti possa essere considerato come il capitolo conclusivo di un libro! Già, perché a mio avviso è una di quelle storie a finale aperto, a cui tutti noi possiamo dare una libera interpretazione e trarre insegnamenti dal valore indispensabile, per crescere e maturare. Ognuno ha potuto attingere alla fonte non solo del sapere ma soprattutto del saper vivere. Pietra miliare del corso è infatti la consapevolezza che per realizzare i propri sogni c’è bisogno di un #lavorobenfatto. Ma non a scopo puramente universitario, un #lavorobenfatto dovrebbe essere una massima di vita che ciascuno di noi dovrebbe avere nella propria quotidianità.»
digennaro1

Contenuti e ruoli sono le chiavi Torna al Diario
5 Dicembre 2018
Caro Diario, ieri è stata la volta di Marika Silvestro di dare la voce ad Aula O, ecco il suo resoconto.
«Dall’agorà greco al potere rivoluzionario della letteratura
INDUSTRIA CULTURALE: FINI E PRODOTTI
Contenuti e ruoli sono le chiavi
Neanche quest’oggi eravamo in Aula O! A tratti un peccato, perché c’è un legame affettivo con quella stanza ma è incredibilmente bello che l’atmosfera aula O si possa ricreare in ogni dove. Oggi il prof Moretti era assente, dunque la prof D’Ambrosio ha preso le redini della scena fra le mani, trasportandoci nel mondo del cinema, di cui è appassionata. La lezione inizia con una domanda “Vi siete mai immaginati nell’industria culturale?”. Inizialmente timide risposte, o solitari silenzi poi tutt’a un tratto le cose cambiano. Il ghiaccio si rompe e le parole scorrono via, veloce come un fiume. Per l’industria culturale c’è bisogno non solo di contenuti, ma anche di ruoli diversi che mettano in atto lavori di gruppo. Quello che noi oggi intendiamo come industria culturale è ciò che per i greci era il teatro, in cui c’erano sempre tre punti di vista diversi: quello dell’eroe, quello dell’antagonista, entrambi presentati con la medesima umanità, e quello del coro che rappresenta il contesto e le regole a cui i personaggi devono rispondere. Un’agorà. Da non confondere con la propaganda che impone un solo punto di vista. Si procede con menzioni in ambito cinematografico e letterario. È il caso di Edoardo De Angelis che con il suo film “Vizio della speranza” dà un’immagine di Castel Volturno, luogo delle scene, distopica. Descrive il paese come se fosse una realtà a sé. Un’isola (che non c’è!). Si passa poi ad Orwell e Stephen King, quasi fratelli nonostante non siano figli della stessa letteratura, che ci insegnano a guardare il mondo con occhi diversi. Quali? Quelli della letteratura. È la letteratura che ha un potere ‘da paura’, forse molto più di quello dei totalitarismi, che caratterizzavano quell’epoca. In un qualsiasi prodotto dell’industria culturale, la cosa fondamentale è capire il ‘perché’, la motivazione che ha mosso l’autore nell’intento di scrivere quell’opera. Nell’ultima parte della lezione è “Truman show” a diventare protagonista, film degli anni ’90, che nella scena finale mostra Truman, personaggio principale, nell’atto di dover superare le sue paure. Morale della favola? Le supera! Come ha fatto? L’oltre è solo un limite mentale! Questa teoria trova riscontro nel più grande capolavoro dell’arte seicentesca “Las meninas” di Diego Velazquez, in cui ciò che viene messo in scena è il backstage dell’opera, grazie a un gioco di specchi, illusioni, immagini riflesse e nascoste. Non basterebbero infinite righe per descrivere la sensazione di ‘toccare con mano’, grazie alla conoscenza, quello che sembrava tanto lontano. Un mezzo di trasporto. Il mezzo di trasporto. Il più potente che ci sia. (Magari anche quello che funziona meglio!)».
ao113

Lascia l’ultimo ballo per me Torna al Diario
7 dicembre 2018.
Caro Diario, il racconto dell’ultimo giorno è stato affidato a Antonino Treviglio e Miriam Scorziello, per non fare spoiler io non ti dico niente, lascio volentieri la parola a loro.

Antonino Treviglio
Ultimo giro di un tour entusiasmante, per l’occasione siamo in sala proiezioni.
Una corsa fatta di sforzi della ragione e del pensiero, di meccanismi e di lavori.
Qualche vibrazione in me, mista a malinconia e anche tristezza.
Si conclude oggi il mio percorso da “studente universitario”.
Malinconico perchè il tempo sta scorrendo, e non mi capiterà più di imbattermi a seguire altri corsi della triennale.
E anche un po’ di tristezza, visto che mi stavo abituando agli appuntamenti del martedì e del giovedì,considerato che è l’ultimo incontro con il laboratorio del fare, “Aula O”.
Oggi in sala c’è un bel clima, disteso. Come da tradizione Aula O ha un ospite a lezione.
È un ex studente del Suor Orsola, Cristiano Luchini, ci racconterà del suo progetto di marketing, con riferimento alla moda, intrecciata alla cultura, all’arte e alle tradizioni connesse al territorio.
La lezione comincia con il preambolo della prof. D’Ambrosio che ci aiuta a delineare per bene la figura del comunicatore come attore e i vari processi di produzione della comunicazione.
Ci riferisce che la comunicazione deve produrre un significato e che il comunicare deve avere il senso di mettere in comune.
Un abitante della “città” del web 3.0 è importante che sappia che la cultura digitale sta nel fatto che non c’è solo l’informazione a disposizione degli altri. Non c’è più un ruolo unico di essa.
Bisogna che imparariamo a vedere il ruolo del consumatore come co-autore, un soggetto attivo di ciò che consuma. L’autore deve “utilizzare” il consumatore per orientarsi al meglio. Deve avere più occhi. Deve saper connettere nel miglior modo possibile il pensiero con la voce.
Ad un tratto si fa “vivo” il professor Moretti, grande assente di oggi.
Ci rintraccia su Facebook, e dice di essere pronto per la videochiamata.
Risolto qualche problemino di connessione, ci saluta tutti e ricorda il rispetto delle regole. La deadline per consegnare i #lavoribenfatti è fissata alle ore 18 di domani.
Riferisce che è importante abituarsi a pensare alle cose che facciamo con professionalità.
La Prof. Maria D’Ambrosio, che regge imperterrita il suo cellulare, pretende che ciascuno di noi dica cosa ha imparato da questo corso in videoconferenza con il prof.
Per Antonino, il primo che rompe il ghiaccio, c’è la nascita del cosiddetto #terzocchio.
Questo corso gli ha iniziato a far vedere le cose sotto altri aspetti, fossilizzandosi sulla cura dei particolari.
Poi tocca a Serena P. che esordisce dicendoci che comunicare vuol dire #creare e #pensare. Un buon racconto deve essere scritto con consapevolezza, ed è stata illuminata in particolar modo dalla sceneggiatrice teatrale ospite nella lezione passata.
Il Prof. interviene dicendo che se le cose non si scrivono si perdono, molto entusiasta del discorso dei due, prende nota.
Il terzo ad alzarsi è Orazio, che grazie al professor Moretti ha appreso il #cambiamento dell’approccio allo studio e ha capito come fare le cose in modo diverso.
Il collega, inoltre, ringrazia i docenti per la #disponibilità, e vede in questo concetto, un qualcosa che va oltre il rapporto professore-studente. La vicinanza con i prof. gli è servita tantissimo per apprendere le cose. Imparare per Orazio, vuol dire, dare un senso a ciò che ci circonda.
È il turno di Anna che si è focalizzata su un hashtag: #oltre.
Il comunicatore deve andare oltre i dettami del tempo, che non è unico. Ognuno è nel suo tempo, nessuno è in ritardo, riferendosi a Carlo Rovelli. Ha compreso la figura del comunicatore che deve essere attiva, che deve saper ascoltare. La dimensione collaborativa di questo corso le ha dato l’opportunità di crescere.
Tocca a Carmela, bionda per l’occasione. Lei dice che quando ha messo piede per la prima volta in Aula O era spaesata. Ricorda l’approccio che ha avuto con il corso e fa un riferimento alla sua biografia. Con le lacrime versate in pubblico, ha scoperto una #nuovafrontiera di sè. Proprio lei che non ragiona e non pensa quasi mai.
Poi c’è Matteo e il suo #tempo. Leggendo la sua biografia, ha potuto riflettere sul tempo, nel modo in cui lo ha trascorso. Di come ha sbagliato e come abbia imparato a ragionare su di esso. La sua versione è la visione più filosofica di tutti noi.
Ad un tratto irrompe Matteo il dolce e dotto compagno, spalla del professore, nella videoconferenza. Matteo è un ricercatore, che con grande onestà intellettuale si complimenta degli interventi degli studenti che ha ascoltato con attenzione. Secondo lui, la comunicazione è un segno di #umanità in ognuno di noi. Comunicando si può entrare in contatto con gli altri e nella loro anima. È molto diretto quando inizia a fondare i suoi discorsi su concetti spesso complessi, come l’autonomia, la libertà e l’umanità. Concetti che ha toccato con mano, nella sua esperienza diretta delle cose vissute, e nella sua vita da sindacalista. Ha saputo costruire un “campo” teorico studiando e leggendo. Non c’è pratica senza teoria e non c’è teoria senza pratica,afferma. Bisogna tenere sempre intrecciati pensiero e azione, per cambiare le cose e ragionare.
Irrompe il prof. Moretti, dicendo che ascolterà il resto della lezione fino alle 13:30, forse preso dalla voglia di ascoltare i suoi studenti, ed è così che ricomincia il valzer degli artigiani di “Aula O”.
C’è Alessia che esordisce con la distinzione del lavoro fatto l’anno scorso, è stato esplicato diversamente, perché si focalizzava il tutto sulla tecnologia mentre quest’anno è stato fatto un grande lavoro più sul comunicatore, sulle sue idee e innovazioni. Il lavoro per lei è un processo delicato, ha imparato in questi mesi il #perché si fanno le cose e #come le vuole fare.
È il turno di Francesca che è entusiasta del lavoro di scrittura che sta facendo, perché non è semplice collegarsi con gli altri libri. La #creatività come dottrina. Non vuole che venga presa come una contraddizione, ma deve essere intesa come tecnica.
A Chiara invece è rimasta impresso nella mente il confronto. Il #confrontarsi e gli ospiti che hanno colmato le nostre lezioni. Guardare gli altri che hanno fatto cose eccezionali, è importante. Dice che il confronto bisogna vederlo non come una competizione ma come spunto, bisogna aprirsi ad altre cose.
Ferdinando invece ha recepito per bene l’approccio definito da lui la chiave per far cambiare le cose. La comunicazione nasce da una esperienza condivisa, facendo allusione all’arte, che ci porta a pensare le cose in maniera diversa. #Mobilità e #pluralità come punti di vista.
Si alza Laura che richiama lo stupore del prof. grazie a due paroline magiche: la #gestione e l’ #azione del tempo. La collega afferma che bisogna vivere il tempo senza subirlo. Un comunicatore deve essere dentro il proprio tempo.
Daniele ha recepito che si deve osservare molto la realtà, i #dettagli e la loro particolarità. Da casa all’università non prendeva in considerazione ciò che aveva intorno; grazie al corso ha iniziato a notare aspetti che non aveva mai visto prima. Come ci insegna Rovelli: bisogna guardare sennò tutto ci appare sfocato.
Serena invece ha capito il suo processo creativo frequentando le lezioni di quest’anno rispetto all’anno scorso. La sua è una visione #artistica. Ha potuto approfondire, vedere la creatività e #profondità delle cose come massima espansione ed estensione del lavoro.
Maria Tr. afferma che le cose non sono lineari. Così come questo corso, che non è stato come gli altri. Lo definisce un corso di studio reticolare. Fa riferimento anche agli ospiti che sono passati in aula, così diversi tra loro, ma che si legavano per le basi. Il cervello e le sinapsi hanno delle connessioni tra loro e non sono lineari. Ci chiarisce il concetto della #nonlinearietà.
Tocca ad Eleonora: ahinoi senza voce. Fortunatamente c’è Orazio che si dimentica per qualche minuto di essere uno studente e si trasforma in un amplificatore, un megafono umano. La sua visione è del tutto personale. Questo corso le ha dato l’input ad #aprirsi, di non aver paura di non essere capita e letta dagli altri. Aveva uno schermo che gli impediva tutto ciò, ora non più.
Fabio che grazie al corso ha potuto inglobare un nuovo approccio allo studio. È passato dalla staticità alla #dinamicità del pensiero e della ragione.
Tocca a Cristiano Luchini, l’ospite d’onore, chiudere in bellezza gli ultimi minuti di lezione.
La Prof precede però Cristiano con un’altra delle sue perle: “Da comunicatori, usiamo dei simboli, che devono servirci da mezzo per arrivare a qualcuno e a qualcosa”.
Cristiano ci presenta il suo progetto, che prende il nome dalla sua città.
Nato a Materdei, chiama il progetto: “Napoli Fashion On the Road”.
Utilizza la moda per raccontare Napoli, attraverso molte variabili come l’arte, la moda, la cultura e l’enogastronomia. Il suo è un lavoro articolato in foto e video per strada, dove gli attori vengono immortalati nei luoghi incantevoli della città. ll concetto di immagine proposto dal progetto Napoli fashion on the road è un mix tra fotografia fashion, street photography e fotografia documentaristica. Uno stile ibrido, che ben si addice alla ricerca della reale bellezza multiforme e mutante, della città di Napoli.
I lavori vengono pubblicati su napolifashionontheroad.com, con articoli dove viene spiegato quanto viene fatto. La fortuna e la bellezza di questo progetto ha vita anche grazie agli sponsor che lo supportano. Tra i tanti, anche il patrocinio del Comune e della Regione.
Il suo progetto dice che fa celebrare tutti. Entusiasmante è un suo spunto, su cui rifletterci, e non poco. Afferma che il dibattito con i ragazzi al giorno d’oggi è di vitale importanza, poichè siamo grandi sviluppatori di idee, più di qualsiasi agenzia di comunicazione. Purtroppo, a sua detta, viviamo un paese di palloni gonfiati, che si passano posti di potere. Critica le istituzioni che non sono all’altezza di noi giovani, perchè non riescono a capire le nostre esigenze. Avere al giorno d’oggi uno strumento rivoluzionario come la rete, può essere utile per capire cosa e come si possono fare determinate cose, è una grossa opportunità.
Aula O riceve i complimenti da Cristiano, che la definisce una Community. Conclude dicendo che il nostro corso è così simile ad un incontro tra amici,che amano lo Sharing.
La Prof. felice dei complimenti, definisce Cristiano un grande comunicatore, un professionista ed un imprenditore. Conclude il suo racconto, lasciandoci un hashtag.
La #costanza che mettiamo nelle cose che facciamo, è un arma vincente. Non deve diventare una paranoia, bensì un meccanismo. La costanza e la dedizione che mette nel raccontare Napoli, che definisce un attraversamento di culture, si augura ci servano da esempio.
2700 anni di storia e di storie bastano e avanzano per avere degli storytelling.
Il sipario si chiude rivolgendosi a noi studenti, che se riusciamo a trasmettere emozioni siamo piu sicuri del successo. Emozioni, come quelle che provavo alle 12:00, quando sono entrato in aula.
Ci lascia dicendoci che per impressionare ed emozionare “CE vo’ o CORE”. Quello che ci ha messo Aula O in questi due mesi, o qualcosa in più. E Proprio “DINT’O CORE” di tutti noi artigiani di questa bottega creativa, che sarà conservato, per sempre o chissà, il nome di una semplice aula dell’Università Suor Orsola Benincasa.

Miriam Scorziello
Ciao a te che stai per leggermi, forse un po’ annoiato, nervoso, stanco, magari (cosa che io spero tanto) mi stai leggendo con voglia e hai cercato tra tante pagine proprio questa.
Io sono Aula O, in persona, sì signore.
Ho deciso di prendere la parola dopo l’ultimo incontro che ho avuto con i miei ragazzi perché mi hanno riempito di gioia le parole che hanno detto. Sembrava che fossero felici tanto quanto lo sono io. In realtà sono anche un po’ triste, la malinconia già mi sta assalendo.
Scrivere è l’unico modo che ho per farmi conoscere e soprattutto per incontrarti, mio lettore!
Non è stato facile quest’anno: i ragazzi che mi hanno riempita e svuotata ogni martedi e giovedi hanno creato un po’ di confusione in me. Anche per il professore Vincenzo Moretti non è stato semplice, delle volte ha trascinato le lezioni sperando di svegliare gli studenti addormentati tra un caffè e delle sigarette. Per non parlare della professoressa Maria D’Ambrosio, quanta fatica ha dovuto impiegare per farsi capire, lei che ha usato spesso parole nuove, grandi. Spesso sul volto del suo collega sono nati dei sorrisi nascosti, chissà forse credeva che i MIEI ragazzi non capissero o che non fossero attenti. Ma l’ultimo giorno di lezione, ho avuto la mia bella soddisfazione. Speriamo che il giorno dell’esame non crolli tutto.
Quando la mia porta è stata aperta, ero in compagnia di poche persone, poi piano piano tutto ha preso forma. È arrivato anche un ospite, un ragazzo di nome Cristiano invitato dalla prof. D’Ambrosio.
Ognuno ha scelto il suo posto ed è iniziata la lezione. Ma purtroppo, Moretti non era presente. Allora si è deciso che bisognava connettersi con lui. Carmela, una ragazza che è stata quasi sempre presente a farmi compagnia ha videochiamato il professore dal computer, ma poi per problemi tecnici si è optato per una videochiamata semplice con il telefonino della professoressa.
Mentre tutte queste loro cose venivano decise, Maria ha iniziato la lezione con i suoi discorsi da grandi, così mi piace chiamarli. Ha analizzato proprio bene la figura del comunicatore, usando la metafora del pittore quando dipinge. Lei ha sottolineato che così come il pittore sa che il suo quadro rappresenta solo una parte di tutta la storia, anche il comunicatore quando scrive può esternare un pezzo del racconto.
Sempre su questa lunghezza d’onda, il comunicatore immagina il pubblico a cui si dovrà rivolgere e quindi crea il suo prodotto per un determinato genere di fruitore. Alla professoressa preme ricordare che quando si fa qualcosa, bisogna posizionarsi nei panni degli altri. E lo ripete più volte in maniera diversa, tanto che sento sussurrare qualcuno che immagina già le sue parole. Derrick de Kerckhove, un sociologo e giornalista che ho imparato a conoscere con i ragazzi durante i nostri incontri, guarda all’oralità come mezzo puro che permette di controllare l’interazione. E anche io la penso come lui, perché se non ci fossero state le parole e soprattutto l’uso giusto di queste, io non avrei capito niente di tutti gli appuntamenti con i miei compagni.
Intanto è comparso sullo schermo Vincenzo Moretti, ma non è solo: con lui c’è Matteo.
Un altro ospite a casa mia!
Dopo diversi saluti, il professore si ricollega alla prof. E dice :”Pensate a voi stessi e alle cose che fate in maniera professionale”.
Caro lettore, non ti nego che quando ho sentito queste parole mi sono un po’ spaventata, perché ho pensato che i miei ragazzi sono forse ancora piccoli per fare le cose “professionali” e tu, tu cosa pensi?
Dopo aver presentato Matteo, il professore Moretti chiede ai suoi alunni di avvicinarsi allo schermo per raccontare le proprio considerazioni del corso, quindi un po’ come se avesse chiesto come fossi andata quest’anno: che paura!
Il primo ad alzarsi è Antonio, il ragazzo che un giorno ha scattato anche la foto a tutti noi.
Lui ha detto che quando dovrà salutarmi, uscirà con un terzo occhio. Come se in mia compagnia avesse imparato ad osservare e non limitarsi a guardare quello che c’è intorno.
Poi è venuta Serena al centro e mi ha incuriosito molto quello che ha detto, perché ha paragonato il suo lavoro con me fatto l’anno scorso con quello fatto quest’anno. Ha precisato che si è impegnata di meno questa volta, che ha lavorato peggio. Ma a me è piaciuta lo stesso. La professoressa la interrompe e le chiede di impegnarsi a dire solo cosa ha imparato quest’anno e dal telefono si sente la voce di Moretti che fa sorridere un po’ tutti, con un accento napoletano dice: “Brava Marì!”
Serena dice di ricordare con molto affetto un incontro particolare e cita alcune parole: “Quando scrivete siete Dio perché state creando qualcosa.”
Aula O ti ringrazia davvero tanto Serena.
Poi tocca ad Orazio, un personaggio molto simpatico e parla del famoso metodo che ha acquisito dal corso e soprattutto del modo di approcciarsi alle cose che è cambiato da quando mi ha incontrata.
Ringrazia i prof. dicendo che il loro approccio, quello dell’avvicinamento è stato più che giusto perché ha portato a creare qualcosa che va oltre.
Anna intanto si alza e inizia il suo discorso con un hashtag: #OLTRE. (Quanto mi piace!!!)
Ricordo ancora alcune delle sue parole: “Nessuno è in ritardo, ognuno è nel suo tempo”
Addirittura sottolinea che ha imparato a non occupare un ruolo passivo, sia come comunicatore, ma anche nella vita. “L’ascolto – interviene Moretti- non è mai passivo.”
Adesso tocca a Carmela, che ieri è venuta a trovarmi con un colore di capelli nuovo!
Anche lei parla dei nostri pomeriggi insieme e sottolinea che grazie a me ha provato tante emozioni, fino a piangere -“Io che non piango mai in pubblico”- dice. E mi ringrazia tanto perché ha imparato a pensare e a ragionare.
Poi c’è Paolo, detto Paoletto che parla del tempo con un aspetto un po’ filosofico e in quel momento ho pensato ad una frase che devo aver sentito una volta o letto da qualche parte: “Non è vero che abbiamo poco tempo: la verità è che ne perdiamo molto.” È Seneca.
Sai cosa ho notato, caro lettore?
Che questo ultimo giorno erano tutti felici, sorridevano. Chissà perché!
Dopo Paoletto, la voce che ho sentito è stata quella di Matteo, il mio ospite.
Chissà cosa avrà pensato di me e della mia compagnia!
Lui ha raccontato che è diventato ricercatore dell’umanità del lavoro, ha detto che è passato da un’esperienza diretta delle cose ad una indiretta perché ora è proprio lui il comunicatore, colui che racconta un qualcosa. Ha fatto anche tanti complimenti, a me Aula O in primis, poi ai professori e anche ai miei ragazzi. Menomale che ha menzionato anche loro, altrimenti sai quanto ci sarebbero rimasti male, hanno bisogno di sentirsi coccolati, come ho fatto io!
Il tempo sta per finire e dato che si è in tanti oggi, c’è bisogno di velocizzare. Moretti resta in ascolto e “ringrazia assai.”
Caro lettore, perdonami se mi sono dilungata, proverò ad essere più breve.
Alessia, un’altra studentessa ha detto che i pomeriggi con me le sono serviti a cercare i perché a tante realtà. Fabio ha ringraziato perché finalmente ha un metodo, figlio di un nuovo approccio alle cose. Laura, invece, piccola e tanto simpatica ha detto che ha imparato a vivere il tempo senza subirlo. Ricordo che due ragazze mi hanno affascinato per due parole in particolare: condivisione ed apertura. Spero mi perdonerete se non ricordo i vostri nomi, siete tantissimi…
La rilegatura della prof. D’Ambrosio è sempre presente nei discorsi dei ragazzi, grazie a lei le parole vengono pesate.
Daniele parla di una presa di coscienza del comunicatore, Serena Russo si sofferma sulla profondità che bisogna scoprire sempre nei contesti. Ecco di cosa mi ringraziano loro due, proprio me: AULA O.
Maria Trotta mi ha fatto emozionare un po’, lei mi ha ringraziata perché in mia compagnia ha imparato che le cose non sono sempre lineari, così come non lo è stato il corso.
Eleonora con un filo di voce dice che grazie ad AULA O (proprio grazie a me, si!!!) ha imparato ad aprirsi, a buttarsi nelle cose senza avere paura della lettura che possono fare gli altri di se stessa. Spero di non aver annoiato nessuno, ma dovevo raccontare i miei ragazzi, io li ringrazio tanto, davvero.
E tu lettore, sai ti ho visto che un po’ sbadigliavi. Ma non è finita qui.
L’ultimo giorno insieme ai miei ragazzi è stato intenso, infatti prima di salutarci, è intervenuto Cristiano.
Lui è un personaggio molto particolare, anche il suo modo di parlare lo è. Ha raccontato di un progetto molto interessante #NAPOLIFASHIONONTHEROAD.
Cos’è? Allora: è un progetto che nasce a Napoli e si impegna a valorizzare arte, cultura, moda e tanto altro all’interno delle strade della città. Questo viene rappresentato tramite video, fotografie e anche corti!
Egli dice ai ragazzi che bisogna comprendere cosa si può fare con la rete, valorizzarla, scoprire i suoi punti di forza e sfruttarli per fare cose fatte bene. “Chi studia è fortunato!”- dice Cristiano.
Lui è un esempio di comunicatore che è cresciuto fino a diventare imprenditore, un ottimo esempio per incoraggiare i miei ragazzi a diventare professionali!
Cristiano vuole aprire gli occhi di tutti, sottolineando che il progetto va avanti grazie ai privati e non alle istituzioni. Così smaschera delle verità che neanche io conoscevo.
Con il suo ricco intervento, sono costretta a salutare i miei ragazzi… i prof., i miei ospiti.
Caro lettore, questi mesi in cui ho avuto compagnia, mi hanno riempita tanto e fatto ricredere. Anche quest’anno sono stata fortunata, GRAZIE A TUTTI.
VI STRINGO FORTE.
AULA O.

CASI DI STUDIO
2018 – 2019
Raccontare il Tempo a Unisob, Aula O
Raccontare il tempo a Follonica, in 3° A

2012 – 2018
Il Piccolo Principe all’Università
Il Piccolo Principe al I. C. Samuele Falco di Scafati
Il Piccolo Principe disegnato da voi
Stazione Loreto: Istituto Alberghiero A. Nebbia, Loreto, Ancona
Stazione Follonica: I.C. Follonica 1
Stazione Modugno: 3° Circolo Didattico Don Lorenzo Milani
Stazione Porchiano: I. C. Bordiga Porchiano
Stazione Scafati: I. C. Samuele Falco
Stazione università, star wars station
Stazione Scampia: ITI Galileo Ferraris
Stazione Roma: Istituto Comprensivo Pablo Neruda
Stazione Torre Annunziata: Liceo Artistico Giorgio de Chirico
Stazione Soccavo: 33° Circolo Didattico Risorgimento
Stazione Ponticelli: I. C. Marino Santa Rosa
Stazione Marcianise: Istituto Novelli
Stazione Nola: Liceo Carducci

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