IL NUOVO RACCONTO
HO TROVATO IL GRANO FERDINÀ
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Caro Diario, oggi inizia il Camp di Grano e da quando conosco Jepis, Antonio e Cip è la prima volta che manco. È brutto assai amico mio. Come dici? Non è colpa mia? E che cambia, come si diceva a Secondigliano da ragazzi o “ho caduto” o “sono caduto” sempre pe’ terra me so’ truvato, sempre in terra sono finito. Comunque resta sintonizzato, che qualche modo per starci comunque me lo invento, magari vado rubacchiando tra i social e qualcosa di bello viene fuori. Che cosa? Certo che Domenica 18 c’è il Palio, è l’Edizione X+7, mi pare difficile che ce la faccio a esserci, ma comunque vediamo, le vie della bellezza sono infinite. Intanto fai una cosa, guardati questo piccolissimo documentario che ha girato Jepis, una cosa di un minuto, una cosa per sempre. Alla prossima.
INDICE DEI RACCONTI PRECEDENTI
Ho trovato il grano Ferdinà, 15 Giugno 2021
Sant’Antoniu u nd’ora, 15 Giugno 2021
La biblioteca del grano 2021, 25 Aprile 2021
La semina 2020, 7 Novembre 2020
La spiga del Cervati, 21 Agosto 2020
Le facce del grano, 14 Giugno 2020
Storie di diversità, 14 Giugno 2020
La biblioteca del grano 2020, 1 Giugno 2020
Il mito e la simbologia del grano, 28 Maggio 2020
La semina, la pisatura e i vicci di Giovanna Voria, 13 Maggio 2020
La filiera corta di Pierpaolo Salamone, 3 Marzo 2020
Miti e leggende di un chicco di grano, 2 Febbraio 2020
Camp e Palio del Grano, 14 Luglio 2019
Edgar Morin e la poesia del grano, 11 Luglio 2019
È cangiata l’aria, 3 Luglio 2019
Pensando al grano, 6 Giugno 2019
La biblioteca del grano again, 19 Giugno 2019
Pani liberi, 2 Giugno 2019
Il sillabario, 21 Marzo 2019
Sementia, 15 Gennaio 2019
La semina, 13 Novembre 2018
Sotto la neve c’è il pane, 6 Marzo 2018
Mario Marius Mele e Vincent Van Gogh, 7 Marzo 2018
La volpe e il Piccolo Principe, 8 Marzo 2018
Cecilia, Vinicio e la bestia nel grano, 9 Marzo 2018
Agnes Denes e il Campo di Grano a New York, 10 Marzo 2018
Angelo, Rusina e la Carusedda, 11 Marzo 2018
La canzone del grano e Dicitencello vuje, 12 Marzo 2018
Gocce, 13 Marzo 2018
Ma noi siamo della pazienza del grano, 14 Marzo 2018
Lo spaventapasseri aumentato, 15 Marzo 2018
A tutto spiano, 16 Marzo 2018
Wheat In Art, 17 Marzo 2018
Fratello bosco, fratello grano, 18 Marzo 2018
Interstellar e il campo di grano, 19 Marzo 2018
Il grano a Castel Sant’Elmo, 20 Marzo 2018
La fiaba della spiga di grano, 21 Marzo 2018
Il buono, Strampelli e il cattivo, 22 Marzo 2018
Rosa e la Dea del Grano, 23 Marzo 2018
18.446.744.073.709.551.615, 24 Marzo 2018
Laura Bertolini e Shen Nung, 25 Marzo 2018
Tiziano Arrigoni e il capro espiatorio, 26 Marzo 2018
Il mostro genetico di Dario Bressanini, 27 Marzo 2018
‘U cascione, 28 Marzo 2018
I cerchi nel grano, 29 Marzo 2018
Le foto del grano, 30 Marzo 2018
Il Piano delle Fosse del Grano, 31 Marzo 2018
La pastiera di Luca, 1 Aprile 2018
Ramen, Soba e Udon, 2 Aprile 2018
I Monti Frumentari, 3 Aprile 2018
Camp di Grano 2017, 4 Aprile 2018
La terra mi tiene, 5 Aprile 2018
Ode al pane, 6 Aprile 2018
Chiuso per ferie forzate fino a domani, 7, 8 e 9 Aprile 2018
La biblioteca del grano, 10 Aprile 2018
La tresca, 11 Aprile 2018
La festa del grano di Foglianise, 12 Aprile 2018
Grani sani, 13 Aprile 2018
Crisci ù granu cresci, 12 Maggio 2018
Mare di grano, 3 Giugno 2018
L’acqua di Giugno, 18 Giugno 2018
Il tappickle di Nelly, 25 Giugno 2018
Elogio della zizzania, 29 Giugno 2018
Criscimu, 2 Luglio 2018
Criscimu. Camp e Palio del Grano 2018
SOTTO LA NEVE C’È IL PANE
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Caro Diario, il video che puoi vedere tra poco si chiama «sotto la neve c’è il pane», che secondo me è un titolo bellissimo, non l’ho usato perché questa storia qui ho intenzione di portarla avanti fino a Luglio e anche di più, e se uno a Luglio vede un post che si intitola così pense che è vecchio e va oltre senza leggerlo.
Sì amico mio, hai capito bene, ho deciso che da oggi comincio a raccontare il Camp e il Palio del Grano 2018, non aspetto il caldo, comincio dalla neve, sulle orme di Jepis, come ho già fatto con la maestra Bruna e con il bracciante Felice, però questa volta con una maggiore autonomia, cercando di raccontare il grano anche a modo mio, così poi quando a Luglio racconterò le storie che racconto ogni anno potrò metterle insieme alle altre, e chissà che insieme alla biblioteca del grano che da anni è possibile ammirare a Cip non ci possa essere a un certo punto anche una biblioteca dei racconti del grano, racconti con le parole, con la musica, con le immagini, con quello che riesco a pensare, a scrivere, a trovare a linkare, di particolare. Intanto tu guardati il video, a domani.
MARIO MARIUS MELE E VINCENT VAN GOGH
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Caro Diario, oggi ti racconto il grano con due video, il primo è stato realizzato da Mario Marius Mele per il Palio del Grano 2016, non ha bisogno di parole, ti dico solo di guardarlo e poi se vuoi ne parliamo.
Il secondo invece è di Loreto Arte, l’ho trovato cercando Campo di grano con volo di corvi di Van Gogh che pare sia l’ultimo dipinto del grande pittore olandese.
Ti dico la verità amico Diario, io non lo sapevo – sì, potrei dire che non me lo ricordavo, ma allora non sarebbe la verità, che in realtà Van Gogh aveva dedicato molti dipinti al grano e così quando ho trovato questo video ho avuto piacere di proportelo anche se è un po’ lunghetto.
Come dici caro Diario? Se riesco a tenere botta e a non farmi sopraffare dalle mille cose che ci sono da fare questa cosa dei racconti del grano può diventare davvero bella?
Sono d’accordo. Però io conto anche su di te, sulle nostre lettrici e sui nostri lettori, perché se oltre a seguire quello che faccio io mi segnalate anche voi delle cose diventa tutto molto più bello e interessante. A domani.
LA VOLPE E IL PICCOLO PRINCIPE
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Caro Diario, ti giuro che è successo per caso, stavo cercando un libro di Borges e a un certo punto sono inciampato ne Il Piccolo Principe e, cosa più unica che rara considerata la mia scarsa memoria, mi sono ricordato della volpe, che da lì in poi è stato facile: «Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai i capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano. Per favore, addomesticami.Così il piccolo principe addomesticò la volpe.»
Credimi amico Diario, io ogni volta che leggo “e amerò il rumore del vento nel grano” mi emoziono. Spero sia piaciuto anche a te. A domani.
CECILIA, VINICIO E LA BESTIA NEL GRANO
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Caro Diario, oggi sono molto contento di presentarti Cecilia Landi, una mia @mica sui social, perché lei è la prima che ha risposto all’appello che ho rivolto alla comunità del lavoro ben fatto chiedendo di contribuire a con una filastrocca, una storia, un’opera d’arte, una canzone, una startup, una immagine, un ricordo, una tradizione locale, una poesia dedicata al grano.
Cecilia ha segnalato la bellissima canzone di Fabrizio De André, La guerra di Piero, dove il grano anche se non è il protagonista principale ha però un ruolo importante e insomma essendo anche la prima segnalazione te l’ho voluta segnalare, e poi anche un detto popolare, «’A acena ‘a acena se face la macena», «chicco dopo chicco si completa la macina», può valere per il grano ma anche per le olive.
Vinicio è invece Vinicio Capossela, di cui grazie a questi racconti ho scoperto una canzone che non conoscevo, «La bestia nel grano». Ti dirò amico Diario, mi è piaciuta la canzone, mi è piaciuto il video che puoi vedere tra un attimo e mi è piaciuto soprattutto la connessione che mi è venuta spontanea tra «la bestia nel grano» e il cinghiale, che a sentire i miei amici di #Cip e del Cilento è diventato un vero e proprio flagello per i campi di grano. Come dici? Non è colpa del cinghiale, è la sua natura? Certo che si, però la cosa non elimina il problema. Anche il terremoto è un evento naturale, però non è che se ci crolla la casa in testa siamo contenti. A domani.
AGNES DENES E IL CAMPO DI GRANO A NEW YORK
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Caro Diario, oggi ti racconto di Agnes Denes e del suo Wheatfield.
Ti dico la verità amico Diario, quando ho letto qui che nel mese di Maggio 1982, nella parte bassa di Manhattan, a due isolati da Wall Street e dal World Trade Center, di fronte alla Statua della Libertà, dove c’era una discarica, è stato creato un campo di grano di due acri, mi sono emozionato come quando ero piccolo con la Befana, che a quel tempo da noi a Secondigliano Babbo Natale era assolutamente una figura di secondo piano.
Facciamo così, ti sintetizzo qualche numero tra quelli che poi puoi leggere nell’articolo: 200 camion carichi di sporcizia portati via; 285 solchi liberati da rocce e rifiuti e scavati a mano; semi seminati a mano; realizzazione di un sistema di irrigazione; il 16 Agosto sono state raccolte oltre 1000 libbre di grano dorato sano.
Come è raccontato nel post, caro Diario, piantare e raccogliere grano su una terra del valore di 4,5 miliardi di dollari ha creato un forte paradosso. Wheatfield è diventato un simbolo. E così il grano raccolto ha viaggiato in ventotto città di tutto il mondo in una mostra intitolata “The International Art Show for the End of World Hunger”, organizzata dal Minnesota Museum of Art (1987-90) e i semi sono stati portati via da persone che li hanno piantati in molte parti del globo.
Guarda per darti ancora meglio l’idea ti metto anche lo screenshot delle foto realizzate dalla grande Agnes Denes, però tu poi vai a guardarle sul sito, che le puoi ingrandire ed è tutta un’altra storia.
Come dici amico Diario, anche se è successo quasi 36 anni fa tutto questo conserva una carica creativa e innovativa straordinaria? Sono d’accordo con te. E pensa che io di tutto questo prima che cominciasse questa mia piccola ricerca sui campi di grano neanche avevo idea. Mammà come sono ignorante. A domani.
ANGELO, RUSINA E LA CARUSEDDA
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Caro Diario, oggi è il giorno della più bella storia di ciucci e di grano che sia mai stata scritta, l’ha raccontata Angelo Tempadelfico Avagliano e la puoi leggere qui.
Insieme alla bellezza della storia, che è bella, bella, bella, ci stanno altre due ragioni che mi hanno spinto a proportela: la prima è mastro Angelo, che in questo nostro meraviglioso, contraddittorio e molto spesso finto mondo ha deciso di vivere una vita fatta di cose vere, cose come l’ospitalità rurale, l’agricoltura organica e rigenerativa, la biodiversità, la ciucciopolitana, la cumparete; la seconda è che il racconto di Angelo è un meraviglioso esempio di quante storie straordinarie possono venir fuori se riusciamo a moltiplicare le autrici e gli autori dei nostri racconti del grano. Sì, spero che dopo averlo letto un po’ di nostre lettrici e lettori si decida a inviare i loro racconti. Ecco, per oggi è tutto, adesso leggiti la storia di Rusina e della Carusedda, noi ci sentiamo domani.
LA CANZONE DEL GRANO E DICITENCELLO VUJE
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Caro Diario, ti ricordi di George Siemens e delle sue idee sul connettivismo? La storia che «i processi di apprendimento sono riferibili all’ambito della socialità più che a quello dell’informazione?». Ricordo che quella storia lì la intitolai «Mi connetto, dunque so», ecco, il racconto del grano di oggi ne è un esempio.
Cercavo un canto o una canzone del grano che avesse una storia interessante, e come sempre ne ho trovate tante, compresa una legata all’ingresso dei partigiani a Milano. Come puoi leggere dal sito, «si basa su una melodia albanese intonata dal pittore Kodra, in un bar del quartiere di Brera. Su questa melodia venne improvvisato il testo dai vari poeti, artisti e intellettuali presenti» e «fa parte della colonna sonora del film Il sole sorge ancora di Aldo Vergano».
Sì, amico Diario, sono stato tentata di proportela, però poi sono inciampato in La Canzone del Grano, del 1935, in pieno fascismo, una canzone piena di retorica come il periodo richiedeva e per i miei gusti abbastanza brutticella, e che però è cantata da Enzo Fusco, che grazie a Melodieantiche, ho scoperto essere napoletano, autore oltre che interprete di Dicentencello vuje, impiegato nelle Ferrovie dello Stato, spinto al suicidio dal tumore che aveva scoperto di avere a soli 52 anni. Non so come dire, ma il fatto che l’autore di una delle 3 canzoni napoletane più famose del pianeta, «tra le dieci composizioni più conosciute in assoluto», fosse un ferroviere, napoletano, che ha scritto e cantato Dicintencelle vuje e La canzone del grano mi è sembrata una cosa troppo unica per non essere raccontata.
Come dici amico Diario? Quante cose ho imparato un colpo solo?
Sono contento che tu l’abbia detto, è questo il senso più profondo del racconto di oggi, le cose che possiamo conoscere, connettere e imparare a partire dai nostri racconti del grano. Dai, non te lo dico più, appena puoi mandami qualcosa anche tu.
GOCCE
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Caro Diario, oggi per genio e per caso mi sono ricordato di una bellissima poesia di Rabindranath Tagore:
«Viaggiai per giorni e notti per paesi lontani.
Molto spesi per vedere alti monti, grandi mari.
E non avevo gli occhi per vedere a due passi da casa
la goccia di rugiada sulla spiga di grano!»
Come dici? C’è una bellissima goccia anche nel video che ha dato inizio a questa storia, «sotto la neve c’è il pane?». Esatto, è anche per questo che ti voglio bene, ormai tu e io ci capiamo a volo. Allora lo sai già cosa ho fatto, mi sono rivisto il video e ho fatto lo screenshot della goccia del video, ti metto l’immagine qui, per me sono due gocce meravigliose, poi fammi sapere cosa ne pensi tu.
MA NOI SIAMO DELLA PAZIENZA DEL GRANO
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Caro Diario, ieri sera mi sono messo in cerca di murales che raccontassero il grano, e grazie a un bellissimo articolo dell’Agosto 2012 di Susanna Trossero su GraphoMania ho scoperto i murales di Orgosolo e tra questi quello con la scritta «ma noi siamo della pazienza del grano, siamo del vento che sposta le montagne …».
L’articolo di Susanna Trossero ti consiglio di leggerlo tutto, perché è bello assai, per darti un’idea ti metto di seguito qualche riga e la foto pubblicata su GraphoMania. Poi fammi sapere cosa ne pensi.
«Quanta fatica essere grano, quante aspettative gravano su di lui quando ancora è seme da cospargere sulla terra brulla con gesto di benedizione, e quante torture gli verranno inflitte quando diverrà spiga, prima che contribuisca al miracolo del pane! Grandi scrittori sardi hanno raccontato la sua sorte, la “passione”, il suo destino d’esser vita per l’uomo. Cosa si cela in quella spiga che trasforma una terra morta in luogo di resurrezione? Forza. Coraggio. Dignità.»
LO SPAVENTAPASSERI AUMENTATO
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Caro Diario, oggi è la volta dello spaventapasseri aumentato, un prototipo made in #Cip realizzato da un gruppo di lavoro che a Maggio lo porterà in Turchia al Festival degli Spaventapasseri.
Il video è stato pubblicato ieri, ma come puoi immaginare quando Jepis me ne ha parlato, qualche giorno fa, ho vuluto saperne di più, ma lui mi detto di aspettare e di guardare il video aggiungendo solo che la comunità di Barbaros, in Turchia, quest’anno sarà uno dei nuovi cumpari partecipanti al Camp e al Palio del Grano e che lo spaventapasseri a Giugno torna a Cip e a Luglio durante il camp saranno costruiti altri suoi compagni che saranno affidati ad alcuni produttori del Monte Frumentario. «Vincenzo comunque la cosa più importante è il software che sarà realizzato per lo spaventapasseri, il Quaderno di Campo, che vedrai diventerò un supporto molto utile per i contadini.»
Che ti devo dire amico Diario, questo ha detto a me Jepis e questo dico io a te, adesso guardati il video e fammi sapere. Io torno domani.
A TUTTO SPIANO
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Caro Diario, questi racconti del grano non finiscono mai di stupirmi. Non so tu che sei giovane, ma io che vado per i 63 anni ho utilizzato e ho sentito utilizzare un numero esagerato di volte l’espressione «a tutto spiano» eppure solo ieri ho scoperto grazie a Wikipedia che «lo “spiano” era appunto la misura della quantità del grano che ogni mese gli Ufficiali della Grascia o dell’Abbondanza assegnavano ai fornai per la panificazione: se non c’erano carestie o particolari scarsità del prodotto la quantità erogata con profusione era appunto quella a “tutto spiano”, mentre in caso contrario veniva ridotta a mezzo spiano o anche di meno.»
Non so a te amico Diario, ma a me queste cose qui fanno impazzire, perché sai uno magari ci è passato cento volte per la Loggia del Grano a Firenze e però non è che sai, come racconta Wikipedia, o almeno io non lo sapevo poi dimmi se tu invece si, che «il mercato di Orsanmichele fu dismesso per la devozione popolare verso la Madonna e sant’Anna, che trasformò la loggia delle granaglie in un luogo di culto. Fin dal 1356 venne allora scelto un luogo vicino palazzo Vecchio, dove già si svolgeva un mercato delle erbe e uno vinicolo. Per l’occasione venne deciso di creare un nuovo edificio, detto il “Palco” o la “Munizione del grano”, che sacrificò alcune case dei Foraboschi, dei Talani, dei Filipetri e dei Fogni» e che «già nel 1690 però la Loggia perse il suo ruolo in favore del nuovo Granaio dell’Abbondanza in Oltrarno, e da allora subì spesso trasformazioni e cambi di uso.»
Ti consiglio di leggerlo tutto l’articolo, caro Diario, e ti lascio con questa bella foto di Firenze fatta da Cinzia dalla bellissima terrazza del Plaza Hotel Lucchesi. A domani.
WHEAT IN ART
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Caro Diario, come sai sto cercando di coinvolgere la comunità del lavoro ben fatto nella realizzazioni di questi nostri racconti, mi piacerebbe molto che fossero in tante/i a partecipare, e così l’altro giorno ho «sfruculiato» Mario Amura, sì, sì, proprio lui, il nostro amico fotografo e direttore della fotografia ideatore di Phlay, ma sì, con Maria D’Ambrosio lo abbiamo coinvolto nelle attività de Il Piccolo Principe, ecco, perfetto, proprio lui. Allora, gli ho scritto segnalandoli i nostri racconti e chiedendogli se per caso tra le tante storie realizzate con Phlay ce ne fosse una dedicata al grano, e dopo qualche minuto lui mi ha scritto di no, e che però gli faceva piacere farla realizzare apposta.
Ti dico la verità amico Diario, un poco mi sono sentito in imbarazzo, perché insomma siamo tutte persone impicciate e una cosa è avercela pronta una cosa e un’altra è farla apposta, ma lui ha insistito in un modo molto affettuoso, e io naturalmente sono stato contento. Mi ha riscritto ieri, inviandomi il link al video che puoi vedere tra un minuto acompagnato dal seguente messaggio: «Carissimo Vincenzo, ho chiesto a Massimiliano Iannitti, un artista che collabora con noi, di fare un phlay sul grano. Dopo avere letto il tuo articolo ha realizzato questo video che a me piace molto, spero piaccia anche a te. Un abbraccio forte. Mario»
Che ti devo dire caro Diario? Buona visione. Io torno domani.
FRATELLO BOSCO, FRATELLO GRANO
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Caro Diario, oggi ti racconto di Michele Sica Bosconauta e di Giuseppe Jepis Rivello, che non lo so se ce la faccio a farti capire quanto sono grandi senza sembrarti esagerato, perché non sono esagerato, Bosconauta e Jepis hanno testa, cuore e mani così grandi che tu guardi le cose che sanno, che sanno fare e che hanno fatto e ti sembrano inconciliabili con la loro giovane età, 32 anni Michele e 30 tra qualche giorno Giuseppe.
Del motivo per il quale oggi stanno qui ti dico tra un minuto, prima ti voglio dire di non perderti Incartata, Residenza Rurale, e di Jepis Bottega, perché da lì puoi scoprire un bel po’ di cose sul daimon, il codice dell’anima, la streppegna di Bosconauta e Jepis, che se fosse stato ancora da queste parti papà avrebbe detto che «chiste so’ guagliune ca so’ nate viecchie», nel senso del pensiero, della saggezza, della responsabilità, della capacità di esplorare il futuro, perché aveva ragione Eliot amico mio, «i vecchi dovrebbero essere esploratori», e loro due questo sono.
Guarda, dato che non la posso fare troppo lunga perché altrimenti tu dici che faccio le preferenze, ti metto i titoli di alcune delle cose che hanno combinato fin qui questi due cumpari, da soli, assieme, assieme ad altre belle cape come le loro: Camp di Grano; Un asino all’università di Salerno; Cumparete; Comunità del cibo Slow Food Grano di Caselle; Rivoluzione dell’aria e del fuoco.
Ecco, potrei stare qui fino a domani, e invece vengo al punto. È l’autunno del 2011, Bosconauta è a Caselle in Pittari con Jepis per un’escursione bucolica, a un certo punto decidono di impersonare uno il Bosco e l’altro il Grano e danno origine alla conversazione che puoi leggere qui nell’edizione originaria. In seguito i due cumpari hanno cambiato il titolo, l’hanno chiamata «Fratello Bosco, Fratello Grano», anche a me è piaciuto di più e così ho deciso si utilizzare questo. Buona lettura. Io torno domani.
INTERSTELLAR E IL CAMPO DI GRANO
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Caro Diario, il racconto di oggi è più che altro una curiosità, però di quelle curiosità che fanno venire voglia di pensarci su. Partiamo dall’inizio: ma tu lo sapevi che il campo di grano di Interstellar il film diretto dal mitico Christopher Nolan che a molti, me compreso, ha fatto venire il mal di testa, non era stato creato al computer ma era vero? Io no, l’ho scoperto ieri pomeriggio e mi sono chiesto «perché?», «che senso ha piantare un campo di grano di 500 acri?».
Come dici caro Diario? Qual è la risposta? Non lo so. Dalla mia piccola ricerca sono venute fuori due cose che potrebbero suggerire una risposta, ma non mi hanno soddisfatto.
Come dici? Sei curioso di sapere quali sono queste due cose? Eccole:
1. Il regista Zack Snyder, per il film L’uomo d’acciaio, del quale Nolan è stato soggettista e coproduttore, aveva fatto piantare a sua volta un campo di 200 acri.
2. Che avendo avuto, come dichiarato dallo stesso Nolan, un ottimo raccolto, alla fine il campo di grano si è dimostrato un buon investmento.
Capisci amico Diario, faccio fatica a immaginare che la ragione vera di una operazione di questo tipo siano i soldi o la voglia di superare il collega, che quelle cose lì si fanno da bambini, con le gare a chi la inventa più grossa. No no, secondo me c’è di più, un’emozione, un qualcosa che ha visto durante le riprese de L’uomo d’acciaio, qualcosa che ha voluto trasmettere attraverso il grano a noi spettatori.
Sai che faccio? Continuo a cercare, e se proprio non trovo niente magari gli scrivo e glielo chiedo, magari mi risponde, non si può mai sapere. A proposito, protesti aiutarmi anche tu nella ricerca, io ritorno domani.
IL GRANO A CASTEL SANT’ELMO
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Caro Diario, il racconto di oggi ha per protagonista un artista, Gian Maria Tosatti, uno dei magnifici castelli di Napoli, Castel Sant’Elmo, e naturalmente lui, il grano.
L’anno è il 2014 e, come si può leggere dal sito, l’artista Tosatti realizza My dreams they’ll never surrender, installazione (permanente) che «consiste in un campo di grano costruito nel cuore più buio, profondo e fortificato di Castel Sant’Elmo, la grande fortezza carceraria di Napoli. Il campo ha bisogno costantemente delle cure dei cittadini per poter essere rigenerato ed essere mantenuto vivo quale metafora delle eredità lasciateci dai grandi uomini a cui l’opera è dedicata.»
Molto bella anche la dedica che si puo leggere sempre sul sito dell’autore e che ti riporto anche qui: «Quest’opera è dedicata a quelli che hanno speso le loro vite in carcere a causa delle loro idee e che da una cella sono stati capaci di cambiare la Storia che sembrava averli battuti. Sono uomini che in una prigione sono stati capaci di generare sogni di libertà e di giustizia che hanno ispirato le generazioni. Uomini come Antonio Gramsci, Luisa Sanfelice, Nelson Mandela o Rubin “Hurricane” Carter.»
Come dici caro Diario? Questi racconti diventano più belli ogni giorno che passa? Spero che lo pensino anche le nostre lettrici e i nostri lettori. In ogni caso per quanto mi riguarda, sono assolutamente d’accordo con te. A domani.
LA FIABA DELLA SPIGA DI GRANO
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Caro Diario, La fiaba della spiga di grano che ti segnalo oggi l’ho trovata sul Blog della Compagnia Zappa e Rastrello, che come potrai leggere è stato realizzato da un gruppo di ortolani biologici di Mogliano Veneto, in provincia di Treviso.
Diversamenente da altre di autori più famosi, questa fiaba tratta da «Fiabe nei barattoli. Nuovi stili di vita raccontati ai bambini», di Marco Aime, Ed. EMI, mi è piaciuta molto perché è un elogio della diversità, che fa rima con biodiversità, che sono due parole che come sai mi piacciono molto.
Mi piace la diversità come forza motrice del cambiamento, come possibilità di connettere l’uomo, la terra e l’ambiente, come via per rendere le nostre vite più degne di essere vissute e credo che sia molto importante trasmettere questi concetti con parole semplici che possono raggiungere tutti, a partire dai più piccoli, come quelle delle fiabe. Buona lettura.
IL BUONO, STRAMPELLI E IL CATTIVO
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Car Diario, non ti ho raccontato ancora che a inizio Marzo, mentre facevo un po’ di ricerche sul nostro amato grano, ero inciampato in Nazareno Strampelli, ed ero stato colpito dalla diversità dei racconti su di lui. Che sia stato uno dei più grandi agronomi e genetisti agrari a livello mondiale era cosa difficile da negare, però per il resto chi lo definiva conservatore e chi innovatore, chi creatore (di nuovi grani) e chi distruttore (di quelli antichi).
Ora non so tu che cosa avresti fatto caro Diario, però ti dico quello che ho fatto io, ho scritto al mio amico Angelo Tempadelfico Avagliano, sì sì, lo conosci, te ne ho parlato più volte, quello che mi ha raccontato la storia di Rusina e della carusedda.
Come dici? Cosa gli ho scritto? Questo: «Buona sera mastro Angelo, scusa la domanda posta in modo stupidp, ma Nazareno Strampelli nella storia del grano sta dalla parte dei buoni o dei cattivi? Un abbraccione.»
E leggi lui che mi ha risposto: «Ciao Biciè, Strampelli era fra i buoni, solo che ha collaborato con il fascismo nella guerra del grano. Secondo me i critici hanno riempito di connotazione negativa il concetto di autarchia che invece si basa molto sul concetto di resilienza e di sovranità alimentare. Sarebbe ora di innescare anche una seria riflessione su questo.»
Ecco caro Diario, ora non è che voglio risolvere io che non ci capisco quasi niente di grano la querelle, però un sassolino nello stagno provo a lanciarlo, e in ogni caso mi faceva piacere parlarne a te e a chi ci legge, che magari qualcuno si incuriosisce e gli viene voglia di approfondire. A domani.
ROSA E LA DEA DEL GRANO
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Caro Diario, la nostra amica Rosa Barbato ha scritto una storia apposta per i nostri racconti, si chiama La Dea del Grano, me l’ha inviata ieri accompagnata da questo messaggio: «Caro Vincenzo, finalmente sono riuscita a terminare questo breve testo. Credo mi abbia aiutata il candore della neve, la poesia delicata e passionale che sa emanare e che risuona nel mio sangue.
Sai quanto io ami scrivere, ma sai anche che non mi definisco una scrittrice o poetessa. Cerco sempre di ascoltare il cuore. Lo lascio parlare. Lì accade la magia. Dal cuore al sangue che guida poi la mano e tutto si trasferisce su un foglio bianco.
Ecco. Così nasco, talvolta.»
Ecco, non ti dico niente altro, solo che sono contento, e ti lascio leggere la storia.
La Dea del Grano
L’alba sorgeva timida. La sua luce si levava lenta dai monti e si colorava di un giallo paglierino. Delicata, non accecante, morbida.
È in quel tempo e in quello spazio, scalza tra i giovani verdi steli di grano, passeggiava.
Carezzava piano, ma parea baciasse quegli steli teneri e tenaci; quella vita che aveva avuto il coraggio di germogliare; quella vita deposta un dì nel grembo della Madre. “Non temere il buio, non ti parla di morte. Nutri te stesso e trasformati proprio nel profondo della terra e, con coraggio, vieni a conoscere il Sole e corri ad abbracciarmi.” Ad ognuno di quei semi aveva sussurrato dolci parole e baciandoli li aveva lasciati al proprio destino.
Il tramonto declinava deciso. La sua luce si disperdeva rapida dietro i monti e si colorava di un arancio denso. Dirompente, passionale, sinuosa.
Poggiava ora il suo corpo sul caldo campo che ospitava i giovani verdi steli di grano, amava.
Abbracciava i suoi steli e gli cantava frasi d’amore prima di lasciarli nuovamente alla notte. Li amava, li nutriva, li rincuorava.
Era trascorso un altro giorno. Sarebbe arrivata una nuova alba.
Era trascorso l’inverno. Sarebbe giunta la primavera.
Era il seme. Sarebbe nato il grano.
“Spighe d’oro vestite e forti e fecode cingeranno il mio ventre e adorneranno la mia veste bianca. Chicchi generosi, profumati e sani tramuteranno in pane.”
E per mille e mille albe e per mille e mille tramonti, accudirà ancora i suoi semi, li nutrirà e li porterà alla luce.
E per mille e mille albe e per mille e mille tramonti, ritornerà a parlare d’amore e di speranza.
E per mille e mille albe e per mille e mille tramonti, ripeterà il suo atto d’amore.
Era del Grano la Dea. È del Grano la Dea.
Post Scriptum
Scusami caro Diario, ti volevo dire che l’immagine di Demetra – Cerere, la Dea dell’agricoltura e del grano, l’ho presa da qui.
18.446.744.073.709.551.615
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Caro Diario, per favore non mi chiedere come si legge 18.446.744.073.709.551.615 perché non lo so, se lo sai tu o qualcuna/o che ci legge me lo dite e io lo scrivo.
Come dici? Speri che almeno ci sia una buona ragione perché te ne parlo qui?
Certo che sì, 18.446.744.073.709.551.615 è il numero di chicchi di grano che sono necessari per riempiere le 64 caselle di una scacchiera mettendo 1 chicco di grano sulla prima casella, 2 sulla seconda, 4 sulla terza, 8 sulla quarta, 16 sulla quinta e così via discorrendo fino alla 64esima.
Come di certo sai questa faccenda dei chicchi di grano è legata a una leggenda che alcuni fanno risalire all’invenzione degli scacchi ed è raccontata in tantissime versioni una volta con un principe indiano, un’altra volta con un faraone, un’altra volta con un principe persiano ecc., però ti assicuro che io non mi ricordavo di Archimede, e di Gerone di Siracusa, in una variente con i chicchi di grano per ogni camera e invece l’ho scovata su Wikisource in questo bellissimo articolo di Angelo Luigi Fiorita del 1958. Ti consiglio di leggerlo, perché scoprirai un sacco di cose curiosi e interessanti, ad esempio che «per trasportare quel grano con delle navi, ognuna delle quali ne potesse caricare 10.000 tonnellate, ossia navi di forte tonnellaggio, occorrerebbero navi 9.223.372; se ognuna di esse fosse lunga metri 150, la lunghezza totale delle navi sarebbe di Km. 1.383.506; schierate per il lungo sopra un meridiano, fascerebbero 34 volte e mezzo la terra.» A domani.
LAURA BERTOLINI E SHEN NUNG
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Caro Diario, chi è Laura Bertolini lo sai già, la mia nuova amica che per vivere fa poesia, non so se sai anche chi è Shen Nung, io l’ho scoperto ieri grazie a lei che mi ha scritto questo messaggio: «Vincenzo, guarda tu le cose come vengono a portata di mano. Mangiavo dei semplici cereali, mi è cascato l’occhio sulla scatola e così ho saputo di Shen Nung, che era un imperatore cinese che intorno al 2700 A. C. dichiarò il grano un dono del paradiso e instituì una cerimonia annuale, penso che sia ancora attiva, in cui si piantano 5 tipi di grano differenti. Che dici? Può essere utile per uno dei racconti del grano e magari per una piccola ricerca nell’antica Cina?».
«Certo che sì cara Laura», le ho risposto, e per dare il buon esempio ho cominciato a fare qualche ricerca anche io, e ho trovato l’imperatore, il riferimento all’agricoltura e ai cinque cereali, mentre non ho trovato ancora riferimenti alla festa annuale.
Come dici amico Diario? Può essere lo spunto come ha proposto Laura per una bella ricerca della nostra comunità su Shen Nung e sul suo rapporto con il grano? Sono d’accordo con Laura e con te. Chi trova nuove notizie scagli pure il primo post. A domani.
P. S.
L’immagine l’ho presa da qui.
TIZIANO ARRIGONI E IL CAPRO ESPIATORIO
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Caro Diario, ieri o l’altro ieri, la differenza di fuso orario tra l’Italia e la California fa brutti scherzi, Laura Bertolini ha coinvolto nelle nostre ricerche su Shen Nung – nostre non nel senso di mie e sue, nel senso di mie, sue, tue e di chiunque abbia voglia e interesse a partecipare – il nostro amico Tiziano Arrigoni, e oggi il nostro amico è arrivato con il messaggio che puoi leggere tra un minuto e il meraviglioso documentario del 1959 di Lino del Bra, che ha avuto come consulente scientifico un genio assoluto come Ernesto De Martino e che rimanda, come si legge nel commento al video, al saggio «Il ritorno del Dio che balla» scritto da Andrea Romanazzi, edito da Venexia, che mette in relazione «La passione del Grano», questo il titolo del documentario, «ai culti legati al tarantolismo e al tarantismo pugliese, nonchè all’argia sarda». Lascio la parola a Tiziano:
«Caro Vincenzo, il fatto stesso che Laura Bertolini riesca a tirar fuori una storia del genere leggendola su una scatola di cereali da colazione ci fa capire quanto le vie del grano siano infinite e inaspettate (tipo una colazione a Davis, California).
Non so molto di Cina, ma Shen Nung (o Shennong, ma noi dobbiamo metterci d’accordo con la grafia cinese dai tempi di Mao) […] è un leggendario personaggio di quella rivoluzione agricola che interessò varie zone fertili del mondo e ricche di piante da addomesticare durante l’Età del Bronzo. Ma fin qui tutto facile, Shennong è colui che deve proteggere i cinesi dal “vuoto vegetale”, dalla mancanza del raccolto, è colui che protegge i contadini, i mercanti di riso, chi conosce le erbe medicinali. Per quanto riguarda la festa ho capito che si svolge nel mese di Aprile, ma sulle modalità per ora non saprei dire di più. Però tutto questo mi ricorda che ovunque sia nata l’agricoltura del grano, lì sono nati riti propiziatori che vanno indietro, indietro, affondano nella profondità della nostra storia e della nostra mente di uomini. Era il 1959 (d.C, cioè ieri, non a.C.) e nelle campagne della Lucania si svolgeva e si svolge ancora il rito del “capro espiatorio”, una danza magica che vuole cacciare la malannata rappresentata da un demone animalesco e salvare il grano, fonte di vita. Così da millenni, così in ogni cviltà agricola. Come vedi la scatola di cereali di Laura mi ha già portato lontano da lei e dalla Cina e più vicino a noi. Intanto consiglio di non perderti questo video.»
IL MOSTRO GENETICO DI DARIO BRESSANINI
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Caro Diario, oggi il nostro racconto è sintetizzato da un’immagine che è contenuta in un articolo che ho trovato molto interessante di Dario Bressanini, si intitola «Quel mostro genetico chiamato frumento».
Te lo segnalo non solo per la chiarezza e per la qualità e la quantità delle cose che mi ha fatto conoscere, ma anche perché ha in parte decostruito, come direbbe il grande Derridà, il mio concetto di «naturale» riferito al grano, insomma ci sto ripensando su, e magari viene voglia di farlo anche a te, e a qualcuna/o che ci legge, e ne discutiamo assiemme, che guardare le cose da diversi punti di vista fa bene alla salute. Buona lettura.
‘U CASCIONE
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Caro Diario, tra una cosa e l’altra o, meglio, tra mille cose e mille altre, ogni tanto con Jepis riusciamo a scambiarci qualche idea su questi racconti e sulle cose che ci possiamo inventare per fare sostanzialmente due cose:
1. allargare il numero degli autori dei racconti, fare in modo che la narrazione diventi sempre più partecipata; fin qui ci sono stati contributi meravigliosi, penso a Rosa Barbato, a Angelo Avagliano, a Tiziano Arrigoni, a Laura Bertolini, a Michele Sica, però sono stati più o meno tutti «spintanei», mentre il salto di qualità vero alla voce partecipazione lo fai quando i contributi che ti arrivano sono spontanei;
2. fare in modo che i racconti siano letti, vissuti, agiti, diventino patrimonio condiviso, siano considerati rappresentativi di mondi, culture, possibilità.
Ecco, ci scrivevamo di pressa e con improbabile grammatica quando Jepis mi ha scritto questo: «Vincè, per prima cosa dobbiamo creare ‘u cascione dei racconti del grano, proprio come «’u cascione ru grano», era una grande cassa di legno dove veniva stipato il grano. Vincé, ‘u cascione era un oggetto sacro nelle famiglie contadine, secondo me a Luglio, durante il Camp e il Palio del Grano, tutti questi racconti dobbiamo trovare il modo di metterli dentro ‘u cascione.»
Ti devo dire la verità amico Diario, non ho ancora capito bene come si può fare, ma non mi preoccupo, quello Jepis è un mago e prima o poi un modo lo troviamo.
Prima di lasciarti un’ultima cosa, Jepis mi ha detto anche che Antonio Quaglialatte Pellegrino, ti ricordi, la sua storia l’ho raccontata qua, gli ha scritto che con questi racconti vuole fare anche La Notte del Grano Narrato, magari nell’aia. Questa storia diventa ogni giorno più bella, ma credo di avertelo detto già, perciò ti saluto e ti dò appuntamento a domani.
I CERCHI NEL GRANO
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Caro Diario, innanzitutto scusa l’ora tarda, ma oggi la giornata è stata particolarmente piena di cose e non ho avuto materialmente il tempo di venire prima.
Allora, come hai visto dal titolo oggi è il giorno dei Cerchi nel grano o agroglifi che, come ci ricorda l’ottima Wikipedia, «sono aree di campi di cereali, o di coltivazioni simili, in cui le piante appaiono appiattite in modo uniforme, formando così varie figure geometriche (talvolta indicate come “pittogrammi”) ben visibili dall’alto. A seguito del numero crescente di apparizioni di queste figure (soprattutto in Inghilterra) a partire dalla fine degli anni settanta del XX secolo, il fenomeno dei cerchi è diventato oggetto d’indagine per determinare la genesi di queste figure.»
Come dici amico Diario? Tu non hai mai creduto alla tesi degli alieni che sono venuti sulla terra per comunicarci qualcosa? Per molti versi sono d’accordo con te, anche perché la mano dell’uomo nella loro creazione è stata ampiamente provata.
Allora perché sono d’accordo con te per molti versi e non completamente? Perché in queste cose non mi piace essere così assertivo, alla fine se non ho le conoscenze per affermare che neanche solo uno di questi cerchi non sia di origine umana perché lo debbo escludere per principio?
Ciò detto, ti dico la ragione perché ho voluto dedicare ai «cerchi nel grano» il racconto di oggi, una ragione che non ha a che fare con la loro origine ma con la loro bellezza.
L’idea mi è venuta leggendo il post dal quale ho preso l’immagine che vedi sotto, ti consiglio di andarci e di guardare senza pregiudizi le foto che magari ti viene da pensare la stessa cosa che ho pensato io: «ma perché tutti stanno a discutere di chi li ha fatti e nessuno discute di quanto sono belli?».
Belli sì, al punto che ho pensato che un anno mi piacerebbe che si relizzasse un cerchio nel grano anche a #Cip. Magari ho detto una fesseria, ma intanto lo dico a Jepis e a Quaglialatte che non si può mai sapere. A domani.
LE FOTO DEL GRANO
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Caro Diario, come sai una parte del mio lavoro consiste nel decostruire la connessione tra «testo» e «racconto», naturalmente non per negare il nesso tra parola e racconto, che se fosse così io sarei già morto, ma per sottolineare come allo stesso modo si possa raccontare con le foto, con i video, con le mani, con gli occhi, con il corpo, con il silenzio e con tanto altro ancora. Per venire al racconto di oggi, nella storia ormai ultradecennale del Palio e del Camp di Grano ci sono foto meravigliose, sul mio hard disk ne costudisco alcune dei miei amici Giuseppe Cacetta Pellegrino, Giuseppe Jepis Rivello e Mario Marius Mele che ogni tanto quando voglio fare pace con la bellezza me le vado a guardare, e se non mi credi quando puoi fai un salto sul sito del Palio del Grano che ne trovi sicuramente un bel po’. Ciò detto, la foto del grano che ti propongo oggi non è, per così dire, nostrana, l’ho trovata su Fotografia Moderna in un post intitolato Ecco le 7 foto incredibili senza photoshop. Il campo di grano perfettamente simmetrico di fianco al campo di lavanda mi è piaciuto un sacco, e mi sono piaciute pure le altre 6 fotografie anche se non c’è il grano e insomma mi è sembrata una buona idea condiderle con te e con chi ci legge. Buona visione. A domani.
IL PIANO DELLE FOSSE DEL GRANO
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Caro Diario, oggi sono particolarmente contento di portarti con me a Cerignola, che come di certo sai è la città natale del grande Giuseppe Di Vittorio. L’occasione mi è stata data dalla scoperta del Piano delle Fosse del Grano, che, come racconta Viaggiare in Puglia proprio a Cerignola,«A sud del centro abitato, a pochi passi dalla Chiesa di San Domenico», rappresenta «l’ultimo esempio in Capitanata di un’antica modalità di conservazione del grano […] con almeno 600 fosse estese su un’area di 26.000 metri quadri.»
Ti consiglio di leggerlo tutto il breve articolo, amico mio, che poi se vuoi approfondire puoi andare su Wikipedia.
Come dici amico Diario? A furia di fare ricerche mi sto facendo una cultura? Direi piuttosto che sto scoprendo e imparando tante cose, e questo come ti ho già detto mi fa contento assai, perché una persona quando ha finito di imparare ha finito di vivere.
Comunque, prima di darti appuntamento a domani, ti voglio lasciare con l’inizio e la fine di uno scritto di Giuseppe Ungaretti relativo proprio alle fosse del grano, che tutto intero lo puoi leggere su Manganofoggia.it, il pezzo si intitola Fosse granarie: «Piazza ovale che non finisce più, d’una strana potenza. È tutta sparsa di gobbe, sconvolta, secca, accesa di polvere. […] Ho visto cose antiche, nessuna m’è sembrata più antica di questa, e non solo perchè forse il Piano c’era prima di Foggia stessa, come fa credere la curiosa analogia fra “Foggia” e “fossa”, ma questo alveare sotterraneo colmo di grano mi riconduce a tempi patriarcali, quando sopraggiungeva un arcangelo a mostrare a un uomo un incredibile crescere e moltiplicarsi di figli e di beni.Nessun luogo avrebbe più diritto d’essere dichiarato Monumento Nazionale.»
Mi raccomando, caro Diario, non ti perdere né lo scritto di Ungaretti e né l’articolo di Alberto Mangano. A domani.
LA PASTIERA DI LUCA
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Caro Diario, oggi il nostro racconto non poteva che essere dedicato a lei, sua maestà «la» pastiera. Sì, «la» pastiera, quella di grano, che per carità è giusto che ciascuno abbia le sue usanze e le sue tradizioni, a partire da mia madre Fiorentina che al suo paese, nell’alto Casertano, la pastiera si faceva di riso, però non c’è paragone, è come il casatiello napoletano e il casatiello dolce, non c’è storia, però questo non lo dire a Cinzia perché a Bacoli si fa proprio quello dolce.
Per altro, anche alla voce pastiera napoletana solo io ne conosco un centinaio di varianti, con più o meno cedro, acqua millefiori, grano intero o passato et cevesa et cevesa, e allora io mi sono fatto dire da mio figlio Luca la sua ricetta e te la scrivo qui, così magari l’anno prossimo la provi.
Perché proprio quella di mio figlio Luca? Innanzitutto perché la fa bene, perché anche se fatta da mio figlio io la pastiera appezzottata non me la mangio, e poi perché quest’anno gli ho ricordato per tempo che volevo essere messo anche io nella lista della salute.
Che cosa vuol dire? Vuol dire che lui ogni anno ne fa cinque o sei per amici e parenti e anche quest’anno quando gli ho detto che volevo la pastiera anche io ha provato a dire che ogni anno me ne conserva una bella fetta, e così gli ho dovuto ricordare che «je song ‘o pate» e mi tocca una pastiera intera, e così giovedì sera me l’ha portata, e io e Cinzia venerdì l’abbiamo assaggiata, e poi gli ho scritto che era squisita.
Come dici? Sicuramente gli avrà fatto piacere? Immagino di sì, però la telefonata me l’ha fatta per cazziarmi, della serie «ma che hai fatto l’hai già mangiata?, quella per insaporirsi deve stare almeno due giorni riposata.»
Che cosa gli ho risposto io? Non te lo posso scrivere, non è political correct, però sappi che anche ieri ne abbiamo mangiata mangiata un’altra fetta eheheheh.
Ciò detto, ecco come devi fare:
«Preparare una pasta frolla con 250 g di farina, 125 g di zucchero, 125g di burro, 1 uovo e 1 tuorlo. Lavorare lo zucchero con le uova, aggiungere il burro ammorbidito e infine la farina setacciata. Formare una sfera con l’impasto e farla riposare in frigo.
Per il ripieno amalgamare mezzo chilo di ricotta con 3 uova e 3 tuorli e 450g di zucchero. Lasciare riposare in luogo fresco per due giorni.
Far sciogliere in un pentolino mezzo chilo di grano con latte quanto basta e unire alla ricotta il grano, 250g di canditi a piacere e cannella e acqua di fiori d’arancio, sempre a piacere.
Infine stendere la pasta in un ruoto da 24 cm, versare il ripieno e coprire con striscioline di pasta come la crostata. Cuocere 1 ora a 170 gradi. Assicurarsi che sia dorata prima di spegnere il forno.»
Questo è tutto, amico Diario, anzi no, perché ti devo dire ancora che Cinzia poi il casatiello napoletano me l’ha fatto, e ci ha messo anche le 4 uova sopra, e ieri sera non ho aspettato neancheche si raffreddasse del tutto e ne ho mangiato una bella fetta.
Com’è? ‘Na squisitezza.
RAMEN, SOBA E UDON
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Caro Diario, oggi è ti porto con me in Giappone, perché il fatto che i giapponesi amino il riso non vuol dire che non abbiano a che fare con la pasta, che hanno importato a suo tempo dalla Cina. Per la verità ero partito dal ramen, che da quando con Luca, sì, sempre lui, quello di ieri della pastiera, siamo tornati dal Giappone ogni tanto mi capita di mangiarlo, e cercando cercando ho scoperto la soba e l’udon, che insomma se vai sulle pagine di Wikipedia che ti ho appena linkato puoi scoprire un sacco di cose interessanti e magari ti viene voglia di assaggirli. Per incoraggiarti ti metto qui la versione naponica (napoletana nipponica) della ricetta del ramen che cucina Luca, tratta dal nostro libro, Enakapata:
Ingredienti per 8 persone: 3 patate grandi, 4 zucchine, 4 carote, 500 gr. di spinaci o bieta (a seconda dei gusti), 1 cipolla bianca, 500 gr. broccoletti di sicilia, 500 gr. bocconcini di maiale, 350 gr. tagliolini all’uovo, sale d’alga (si trova in un buon negozio di prodotti orientali), peperoncino in polvere.
«Tagliate patate, carote e zucchine a dadini, non troppo piccoli perchè li dovrete prendere con le bacchette, la cipolla a julienne. Mettete tutte le verdure in una pentola e aggiungete acqua finchè non sarà piena per metà. Fate cuocere a fuoco basso fino ad ottenere un brodo vegetale. Cuocete a vapore i broccoletti e teneteli da parte. Fate rosolare in padella i bocconcini di maiale aggiungendo pochissimo olio, appena saranno dorati esternamente incorporateli al brodo. Aggiungete il sale d’alga e il peperoncino e portate il tutto ad ebollizione. Buttate i tagliolini, pochi minuti e il ramen sarà pronto. Servite in ciotole o in scodelle da brodo molto fonde aggiungendo come ultimo ingrediente i broccoletti. Per calarsi meglio nell’atmosfera orientale andrebbero usate le bacchette. Ma non è pesce crudo. Quindi anche forchetta e cucchiaio vanno bene. Buon appetito.»
Ciao amico Diario, a domani.
I MONTI FRUMENTARI
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Caro Diario, oggi ti racconto una cosa così bella che quando Antonio «Quaglialatte» Pellegrino l’ha raccontata a me mi è venuto «’o fridd ‘ncuollo», sì, hai capito bene, la pelle d’oca.
Allora, per prima cosa ti debbo dire che questa storia qui la trovi tutta intera e raccontata come si deve sul sito di Monte Frumentario, l’ultima magnifica creatura di Terra di Resilienza, Cooperativa Sociale di giovani cilentani che si occupa di agricoltura sociale ed ecoturismo.
Detto ciò, aggiungo che come puoi leggere anche quando vai sul sito «I Monti Frumentari nascono alla fine del XV secolo come enti mutualistici per prestare ai contadini più poveri il grano per la semina con un minimo interesse sulle derrate prestate. I contadini, afflitti costantemente da penurie e carestie, spesso erano costretti a mangiare anche quello che doveva essere riservato alla semina e l’ente costituiva un’essenziale forma di sostegno per molte famiglie. I Monti frumentari sono la testimonianza delle pratiche comunitarie e solidali esistenti nel Mezzogiorno e le loro alterne fortune riflettono l’andamento della storia civile di questa parte d’Italia.»
Ribadito che il resto te lo vai a leggere alla fonte, che anche io mi arrabbio quando mi copiano tutto, ti anticipo solo che la cosa che mi piace da impazzire è il fatto che pur tra mille difficoltà questa meravigliosa pratica di solidarietà e di mutualismo non sia andata persa. Perché sì amico Diario, in questi tempi così pieni di rabbia e di egoismo di semi di solidarietà abbiamo bisogno come il pane. A domani.
CAMP DI GRANO 2017
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Caro Diario, in attesa che arrivino un po’ di storie dalla nostra bella comunità in giro per l’Italia – ieri sera mi sono arrabbiato un po’, vedo troppa passività in giro, tutte/i o quasi che aspettano me, e questo non va bene – ti racconto del Camp di Grano, che nasce come un percorso di avvicinamento al Palio del Grano e si trasforma già dal primo anno in una straordinaria esperienza rurale a #Cip.
Come dice amico mio? «In una settimana di vita rurale sul campo in cui si imparerà dagli antichi contadini cilentani l’arte delle mietitura tradizionale e di tutti i processi di lavorazione del grano fino alla molitura in mulino a pietra ad acqua, nella vicina Oasi del WWF di Morigerati, e il corso di panificazione naturale con lievito madre. Un momento laboratoriale, di osservazione e sperimentazione, di esperienza e di conoscenza, di scambio e di apprendimento.»
Ciò detto sai che faccio, ti metto in fila i 5 video dello scorso anno, quello dei cinque RE: Residenza, Resistenza, Restanza, Resilienza e Relazione. Con calma guardateli tutti e cinque, che ti assicuro ne vale la pena. A domani.
LA TERRA MI TIENE
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Caro Diario, oggi ti racconto di una cosa troppo bella che si fa il 24 e 25 Aprile 2018 nel Centro Storico di Atena Lucana, si chiama La terra mi tiene, da un verso di una meravigliosa poesia di Rocco Scotellaro che trovi sul sito.
Come puoi leggere dalla foto, La Terra mi Tiene non è un evento e neanche una manifestazione, è una festa di gente libera. «Continuiamo la nostra resistenza e ancora una volta diamo vita ai vecchi forni del centro storico di Atena Lucana con i compari che verranno con il loro grano e le loro braccia a fare il pane.»
Come dici amico Diario? «C’è odore di pane e libertà nella nostra terra» è un pensiero di una forza straordinaria? Sono d’accordo non una ma mille volte con te. I forni di Atena Lucana che si aprono ai cumpari e il grano che diventa pane e dunque libertà è allo stesso tempo un esempio, un messaggio e una possibilità da condividere e da moltiplicare.
Sì, caro Diario, oggi sono troppo felice di raccontarti questo, e anche di dirti che ad Atena Lucana ci sarà anche il forno delle meraviglie di Vincenzo Bardascino, ricordi?, te l’ho raccontato qui.
La foto, che ho «rubato» alla pagina social de La Terra mi tiene, è accompagnata da queste parle che mi fa piacere condividere con te: «Questo poi, é il forno delle meraviglie. Poesia, delicatezze e la gioia di stare assieme. Il mastro fornaio Vincenzo Bardascino e i suoi assistenti: Angelo Tempadelfico Avagliano, Michele Sica bosconauta, e la maestra d’arte Donatella.» A domani.
ODE AL PANE
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Caro Diario, oggi mi ha scritto il mio amico Giovanni e mi ha fatto fare una bella risata perché mi ha detto che ieri sera stava raccontando a tavola che mi ero arrabbiato perché sono troppo poche le persone che mi stanno aiutando a raccogliere questi racconti sul grano quando il figlio Antonio gli ha detto che a scuola – il ragazzo frequenta la terza media – la prof. di italiano gli ha fatto leggere una poesia di Pablo Neruda intitolata Ode al Pane.
Giovanni mi ha chiesto se la conoscevo e quando gli ho risposto di no me l’ha mandata, dopo di che gli ho telefonato, mi sono fatto passare Antonio, l’ho ringraziato, gli ho detto che la poesia mi è piaciuta tanto e che l’avrei condivisa con te. A domani.
Ode al pane
Pane,
con farina, acqua e fuoco t’innalzi.
Spesso e lieve,
ripiegato e tondo,
riproduci il ventre della madre,
equinoziale germinazione terrestre.
Pane,
come sei facile e profondo:
nel bianco vassoio della panetteria
si allungano le tue fila
come utensili, piatti o fogli,
e d’improvviso, l’onda della vita,
congiunzione del germe e del fuoco,
cresci, cresci d’improvviso
come i fianchi, la bocca, i seni, le colline della terra,
vite, sale il calore, t’inonda la pienezza, il vento della fecondità,
e allora resta fissato l’oro del tuo colore,
e quando rimasero pregni i tuoi piccoli ventri,
la scura cicatrice lasciò la sua bruciatura
in tutto il tuo dorato sistema di emisferi.
Adesso, intatto,
sei azione d’uomo miracolo reiterato,
volontà della vita.
Oh pane d’ogni bocca, non t’imploreremo,
noi uomini non siamo mendicanti di vaghe divinità o angeli oscuri:
del mare e della terra faremo pane,
semineremo frumento sulla terra e sui pianeti,
il pane d’ogni bocca, di ogni uomo, in ogni giorno,
arriverà perché andammo a seminarlo ed a produrlo,
non per un uomo soltanto ma per tutti,
il pane, il pane per tutti i popoli
e con esso ciò che ha forma e sapore di pane
distribuiremo: la terra, la bellezza, l’amore,
tutto ciò ha sapore di pane, forma di pane,
germinazione di farina,
tutto nacque per essere condiviso,
per essere donato, per moltiplicarsi.
Per questo, pane,
se fuggi dalla casa dell’uomo,
se ti nascondono, ti negano, se l’avaro ti prostituisce,
se il ricco fa bottino di te,
se il frumento non cerca il solco e la terra,
pane, non pregheremo,
pane, non mendicheremo,
lotteremo per te con altri uomini,
con tutti gli affamati,
per ogni fiume ed aria andremo a cercarti,
tutta la terra divideremo perché tu possa germinare,
e con noi andrà avanti la terra:
l’acqua, il fuoco, l’uomo lotteranno con noi.
Andremo avanti incoronati di spighe,
conquistando terra e pane per tutti,
e allora anche la vita avrà la forma del pane,
sarà semplice e profonda, innumerevole e pura.
Tutti gli esseri avranno diritto alla terra e alla vita,
e così sarà il pane di domani
il pane d’ogni bocca sacro, consacrato,
perché sarà il prodotto della più lunga e dura lotta umana.
Non possiede ali la vittoria terrestre:
ha pane sulle spalle, e vola possente
liberando la terra come una panetteria
portata in giro nel vento.
Pablo Neruda, Odi elementari, 1954
CHIUSO PER FERIE FORZATE FINO A DOMANI
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Caro Diario, ti ringrazio per il tuo messaggio, mi hai regalato un sorriso di cui davvero sentivo il bisogno. Lo sai, a me non piace lamentarmi, ma dopo un mese questo è il terzo giorno che non pubblico il racconto del grano e, a parte te, non se ne è accorto nessuno.
Come dici? Jepis lo aveva detto che era meglio pubblicarne solo un paio a settimana? Scusami ma io continuo a non essere d’accordo. Come ho scritto più volte lo scopo per il quale ho avviato questa avventura non era e continua a non essere quello di dimostrare che io riesco a raccontare o a scovare 30 o 100 belle storie sul grano, bensì quello di realizzare una narrazione collettiva, tante storie a più teste, a più mani e a più cuori, con più linguaggi e più media, intorno al grano e al pane. Questo è quello che vorrei fare io, raccogliere storie che arrivano dalla nostra bella comunità e pubblicarle.
Come dici? Forse dovrei prendere atto della realtà delle cose? Forse, ma per ora preferisco continuare a sperimentare una possibilità, e se non arriva nessuno domani ricomincio io, e vado avanti almeno un’altra settimana, dopo di che poi vediamo cosa succede.
Come dici? Se i narratori si moltiplicano, continuiamo, altrimenti ci fermiamo? Potrebbe essere ma anche no, per esempio io potrei ritagliarmi esclusivamente il ruolo di animatore e se e quando mi arrivano storie le pubblico, senza mettere più niente di mio. Comunque c’è tempo. A domani.
LA BIBLIOTECA DEL GRANO
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Caro Diario, come promesso rieccomi qui per parlarti di una delle più belle esperienze legate al grano che io conosca, la biblioteca del grano. Leggi qua cosa scrivono i miei amici di #Cip che sono anche gli ideatori di questa splendida iniziativa:
«Abbiamo pensato di dare attenzione ai grani locali come se ci trovassimo difronte a degli affreschi che raccontano un pezzo della nostra storia. Un lavoro del recupero e della cura che considera un seme come un processo culturale e colturale e che sostiene la biodiversità come fatto fondante. È cosi che nell’area del campo di gara del Palio del Grano, dal 2008, abbiamo iniziato a seminare i grani tradizionali. La “Ianculidda” e la “Russulidda” sono cosi tornate a rinascere a Caselle in Pittari ed il percorso di recupero ha visto negli anni nel nostro campo anche la “Risciola”, la “Saraodda”, la “Solina”, la “Trimunia” e il “Senatore Cappelli”.»
Ah, ti devo dire due altre cose prima di salutarti. La prima è che nella biblioteca del grano sono raccolte ad oggi oltre 70 varietà diverse di cereali. La seconda è che partecipano a questo progetto la ProLoco di Caselle in Pittari, l’Associazione Terra Madre e l’Istituto Comprensivo di Caselle in Pittari.
Come dici amico Diario, tutto questo è bellissimo? Sono d’accordo, ci vediamo domani.
LA TRESCA
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Caro Diario, mi ha scritto Veronica Testa, che domenica ha raccolto la testimonianza di suo padre relativa a La Tresca, una antica manifestazione che si svolge a Carovilli, in provincia di Isernia.
Sì, sono molto contento amico Diario, vorrei che ogni giorno ci fosse un racconto così, quando parlo di narrazione partecipata parlo proprio di questo, ma adesso ti lascio al racconto di Veronica e di suo padre Antonino, che però in paese è chiamato da tutti Tex.
«Caro prof., come d’accordo le riassumo quello che mi ha raccontata mio padre. Allora, la nostra antica tradizione sul grano è chiamata “La Tresca”, e naturalmente non non è intesa come, da significato etimologico, un ballo con movimento delle mani o dei piedi, e neppura come una relazione amorosa non lecita.
La Tresca nella nostra storia va intesa come “la trebbiatura dei cereali buoi o cavalli sull’ aia”.
Già tantissimi anni fa, la penultima domenica di agosto, in località S. Domenico, a Carovilli, si organizzava, per l’appunto, questa manifestazione.
Proprio a San Domenico, su di un colle, c’è una chiesetta situata sul tratturello che collega il tratturo Castel di Sangro/Lucera e il tratturo Celano/Foggia, in pratica a poche centinaia di metri dal centro abitato di Carovilli che lei ben conosce.
La manifestazione, mi scusi non so se è corretta chiamarla così ma non mi viene un altro termine, era un modo di ringraziare la Madonna Incoronata per il raccolto fatto durante l’anno. I covoni che servivano per fare questa iniziativa venivano offerti dai contadini e per tutti c’era vino gratis, che anche quello come lei sa dalle nostre parti ci piace non farcelo mancare.
Dopo un periodo in cui per varie ragioni era stata interrotta, circa 40 anni fa un gruppo di amici decide di riproporre questa festa tradizionale, che da lì in poi verrà riproposta ogni anno, sempre la penultima domenica di agosto.
Più nello specifico “La Tresca” consiste nella rievocazione dei gesti e dei modi che si usavano un tempo per far uscire il chicco di grano dalla spiga o dai cereali in genere, in pratica battitura dell’aia, spargimento dei covoni sull’aia, battitura con gli animali adatti e allenati.
Le operazioni si svolgono più o meno in questo modo:
1. al centro dell’ aia si saprgono i covoni, creando un cerchio enorme dove vengono fatti girare a turno i cavalli;
2. successivamente, con le forche, si lancia in aria la paglia che, portata via dal vento, lascia a terra il chicco di grano, che poi viene raccolto in sacchi venduti successivamente all’asta.
3. il ricavato viene devoluto alla festa.
Ecco, più o meno è il succo della cosa, aggiungo solo che ormai “La Tresca” è diventato un appuntamento imperdibile per grandi e piccoli, che in quel giorno ci sono stend con piatti tipici della tradizione, vino per tutti, musica e balli sull’aia, giochi popolari antichi e molto altro. A presto.
Veronica»
LA FESTA DEL GRANO DI FOGLIANISE
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Caro Diario, ancora della serie Feste del Grano oggi ti parlo di quella di Foglianise, in provincia di Benevento.
L’ho pescata anche questa su Wikipedia, come sempre preziosa in questi casi, e ti consiglio di cliccare sulla pagina Festa del Grano di Foglianise per farti un’idea davvero precisa di quanto sia antica questa festa che alcuni fanno risalire al culto di San Rocco, intorno al 1700, e altri, in particolar modo sociologi, antropologi e similari, a una tradizione pagana molto più antica, fermo restando che attualmente la Festa del Grano è strettamente legata alla Festa di San Rocco.
Per oggi è tutto, ti lascio al piacere della lettura, mi raccomando, non te la perdere questa bella storia, ci troverai anche delle bellissime foto dei carri di grano.
A proposito, molte altre foto sui carri di grano le trovi qui, mentre la foto che vedi di seguito è tratta dal sito Pro Loco Telesia. A domani.
GRANI SANI
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Caro Diario, con un po’ di ore di ritardo ma ci sono, con un bellissimo racconto cantato che mi è stato segnalato da Jepis ieri sera, che se solo avessi avuto il modo di accorgermene mi sarei evitato pure il ritardo. La canzone si chiama Grani Sani ed è tratta “Fatti di Terra”, LP di Giana Guaiana e Pippo Barrile, la puoi vedere nel video, ti consiglio di non perdertela, è bella la musica e sono belle anche le parole, che dicono tanto su come noi umani siamo bravi a complicarci la vita a partire dalle cose veramente essenziali come il pane, e l’acqua aggiungo io senza dire niente di originale.
Ti lascio anticipandoti che le riprese sono state fatte tra luglio e settembre 2017 in provincia di Agrigento e Palermo e che il gruppo è formato da: Giana Guaiana: voce, ukulele; Pippo Barrile: voce, chitarra; Peppe Corsale: chitarra, tastiere, sampler; Rosario Saladino: basso elettrico; Nino Lala: batteria. Le parole le trovi a commento del video su Youtube.
CRISCI Ù GRANU CRESCI
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Caro Diario, domani è giusto un mese che non ti racconto storie di grano, però ritorno alla grande, con il video che lancia l’edizione X+IV del Palio e del Camp di Grano. Per il resto che ti devo dire, la notte del lavoro narrato 2018 prima e le mie Novelle Artigiane poi mi hanno tenuto un poco lontano, però stai tranquillo che questo filone del grano non lo abbandoniamo, non esiste, è troppo bello. E poi proprio grazie alla nostra notte sono arrivate un po’ di amiche nuove che secondo me ci danno una mano. Ritorno appena riesco.
MARE DI GRANO
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Caro Diario, il Mare di grano di cui ti parlo oggi è un film di Fabrizo Guarducci con Ornella Muti, Ricardo Maria Chirica, Jessica Barlacchi, Elia Scolari, Sebastiano Somma, Paolo Hendel, Francesco Ciampi, Giacomo Valenti, Alessandro Paci, Sergio Forconi, Simona Borioni, Donatella Pompadour, Gabriele De Pascali e Ivo Romagnoli, per prima cosa guardati il trailer che così ti fai un’idea.
Le ragioni per le quali te lo propongo sono essenzialmente tre: la prima sta nel titolo, che di per sé dice un mondo; la seconda stanno nei bellissimi campi di grano che attraversano i 3 piccoli protagonisti in compagnia della loro papera, un esempio lo vedi nella locandina del film che ho messo alla fine; la terza, quella più importante di tutte sempre, in questo momento nel nostro paese in particolare, è la storia del bambino straniero senza famiglia raccontata nel film, che per la verità non ho visto ancora, ma conto di recuperare in tempi brevi, sono stato stregato dalla sinossi del film e da questa battuta:
Adam: “e perché le persone fanno la guerra?”
Rimando: “perché non si conoscono”.
Alla prossima. Il camp di grano e il palio del grano 2018 si avvicinano, conto di tornare presto.
L’ACQUA DI GIUGNO
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Caro Diario, è successo venerdì scorso, mentre con Giuseppe Jepis Rivello e Antonio Torre eravamo intenti a fare quello che ti ho raccontato qui. Avevamo appena finito di girare i tre video quando un violento acquazzone si è abbattuto su Caselle in Pittari. Mentre riportavamo velocemente in bottega tutta l’attrezzatura, jepis se ne uscito con “l’acqua ri giugnu arruina ‘u munnu”, l’acqua di giugno rovina il mondo, a significare i danni che le burrasche improvvise e molto violente di questo periodo provocano alle culture.
Come puoi immaginare io ho pensato immediatamente al grano, alla pioggia che lo fa allettare, alle piante che si rompono, e insomma ho pensato che pure il grano – tra pioggie di giugno, cinghiali e tutto il resto – fa una bella vita complicata e l’ho detto a Jepis e Antonio, e ci abbiamo sorriso su.
Non lo so, non vorrei essere troppo pesante, però se quando mangiamo un piatto di pasta o diamo un morso a un pezzo di pane avessimo presente tutto il lavoro che c’è – dal campo, al mulino, al fornaio – prima che arrivi a noi forse lo gusteremmo di più, di certo lo capiremmo meglio il valore di quello che stiamo mangiando. Perché torniamo sempre là amico mio, dietro ogni cosa che usiamo, qualunque cosa, c’è il lavoro di qualcuno che l’ha pensata, l’ha raccolta, l’ha fatta, l’ha venduta, non è che arriva il mago e puff appare, il pane, o il frigorifero, o il telefonino.
Vabbene, mi fermo, però è importante non perderlo mai di vista il valore del lavoro, perché altrimenti ci perdiamo uno dei grandi significati della vita, almeno secondo me.
Alla prossima.
Il TAPPICKLE DI NELLY
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Caro Diario, la storia che ti racconto oggi mi piace un sacco, chissà se Jepis la conosce, io no, però avevo il libro in cui è raccontata, Racconti Fantastici dell’Ottocento, a cura da Italo Calvino, Oscar Mondadori, e con l’aiuto del signor Google l’ho trovata.
L’autore del racconto in questione è Philarète Chasles, il titolo è L’occhio senza palpebra, e a un certo punto ho letto questo:
[…] Avevano esaurito in gran parte le antiche romanze epiche quando scoccarono i dodici colpi della mezzanotte, e l’eco di quel suono si propagò lontano. Tutti avevano bevuto abbondantemente. Era giunto il momento dei consueti riti superstiziosi. Tutti, salvo Muirland, si alzarono. «Cerchiamo il kail» gridarono «cerchiamo il kail.»
Giovani e ragazze si sparsero nei campi e tornarono volta a volta portando ciascuno una radice strappata alla terra: il kail. Dovete sradicare la prima pianta che si presenta sotto i vostri passi; se la radice è diritta, vostra moglie o vostro marito saranno ben fatti e amabili; se la radice è storta sposerete qualcuno d’aspetto sgradevole. Se resta della terra attaccata ai filamenti, avrete un matrimonio fecondo e felice; se la radice è levigata e sottile, il matrimonio non durerà a lungo. Immaginate gli scoppi di risa, l’allegro tumulto, gli scherzi campagnoli cui davano luogo queste ricerche coniugali; ci si spingeva, ci si addossava uno all’altro, si paragonavano i risultati della ricerca; anche i bambini più piccoli avevano la loro radice.
«Povero Will Haverel!» esclamò Muirland gettando lo sguardo sulla radice che aveva in mano un giovane. «Tua moglie sarà malfatta; la radice che hai trovato sembra la coda del mio maiale.» Quindi sedettero tutti in tondo, e ciascuno sentì il sapore della radice: una radice amara indica un cattivo marito, una dolce un marito imbecille; se la radice è profumata, lo sposo sarà d’umore gradevole.
A questa grande cerimonia seguì quella del tappickle. Le ragazze, con gli occhi bendati, vanno a cogliere tre spighe di grano. Se il chicco che corona la spiga manca a una delle tre, nessuno dubita che il futuro marito della giovane campagnola debba perdonarle una debolezza commessa prima delle nozze. O Nelly! Nelly! Tutte e tre le tue spighe erano prive del loro tappickle, e non ti vennero risparmiate le canzonature. […]
Che ti devo dire amico Diario, a me questa parte delle tradizioni legate alla terra e al grano mi ha fatto impazzire, e appena vado a Caselle devo chiedere se esistono tradizioni analoghe anche lì, perché nel caso le voglio raccontare. Anzi, perché aspettare di andare a Caselle? Ho tanti modi per chiederlo a Jepis, lo faccio oggi stesso e ti facio sapere.
ELOGIO DELLA ZIZZANIA
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Caro Diario, non è che voglio fare per forza il bastian contrario, che va finire che persino Quaglialatte, Jepis e gli amici di Caselle si arrabbiano con me, ma vorrei spendere una parola a favore della zizzania.
Come dici amico Diario? Se faccio il matto così ti arrabbi pure tu? Aspetta, fammi spiegare, non prendere la cosa in senso letterale, perché naturalmente non mi riferisco alla pianta in sé, al Lolium temulentum, al loglio cattivo, che quello lo so bene che fa male al grano, diciamo che il mio è un modo figurato per dirti che intendo ragionare intorno al concetto, all’idea, perché certe volte facciamo troppo in fretta a dividere il buono dal cattivo, e proprio questa fretta ci porta spesso a essere troppo intransigenti in teoria e con gli altri, e troppo benevoli in pratica e con noi stessi.
Guarda, faccio così, parto proprio da Matteo 13, 24 – 30 e da un articolo del biblista Silvano Fausti di qualche anno fa su Linkiesta
Ecco, senza farla troppo lunga, un racconto che mi dice soltanto che il Diavolo va a mettere la zizzania nel campo di grano e che bisogna lasciarla crescere insieme al grano perché al momento del raccolto si saprà chi è grano (e va in Paradiso) e chi è zizzania (e va all’Inferno) non mi convince.
Non è forse vero che è Dio il Signore e Creatore di tutte le cose del Cielo e della Terra? E non è dunque Lui che ha creato anche la zizzania? E se l’ha fatto ci deve essere una ragione o no?
Come dici? Che c’entro io con questi discorsi visto che sono ateo? Mi dispiace amico Diario, il fatto che io sia ateo non c’entra, mi sto facendo delle domande dal punto di vista umano, non religioso, e dunque ho diritto anche io a ragionarci su per dire, per esempio, che secondo me il senso della parabola è che il bene e il male, il giorno e la notte, il bello e il brutto sono intrinsecamente parte di noi, e che probabilmente la zizzania – sempre in senso figurato – non sta lì per caso, ci vuole suggerire qualcosa, così come Giuda ci vuole suggerire qualcosa, perché come racconta il grande Borges in Tre versioni di Giuda senza il Traditore non esiste il sacrificio di Gesù sulla Croce e dunque non esiste la possibilità dell’uomo di salvarsi secondo il Cristianesimo.
In definitiva quello che voglio dire io, caro Diario, è che oggi più che mai dovremmo imparare a guardare alle cose oltre l’apparenza, dovremmo prenderci il tempo per ragionarci su. Non lo so se in questo modo torniamo a dare valore a Giuda e alla zizzania, forse si e forse no; di certo, soprattutto se guardiamo oltre e ci pensiamo su ogni giorno, senza aspettare il giudizio universale, scopriamo che c’è un modo più bello di essere uomini e donne. Sì, direi che questo è quello che penso io. Viva la zizzania, in senso figurato, s’intende.
CRISCIMU
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Caro Diario, ci siamo, Domenica 8 Luglio si parte con Camp di Grano e la Domenica successiva, il 15, c’è il Palio.
Questo di oggi è un po’ il passaggio del testimone, sto per iniziare il nuovo racconto che ha per titolo Criscimu, che è il claim del Camp e del Palio di quest’anno, Crisci pani, crisci furnu, crisci tuttu lu munno. Ci vediamo tra poco di là.
LA SEMINA
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Caro Diario, si ricomincia, perché se non lo semini adesso il grano non è che poi a Luglio lo puoi tagliare per fare il Palio.
Per ora ti lascio solo il link al video e la foto con il post di Jepis Bottega, ma conto di tornare molto presto.
«Da un po’ di tempo a questa parte c’è un gruppo di lavoro creativo chiamato #VirimuFacimu che si riunisce in Bottega e che si occupa della produzione dei video del Palio del Grano e del #Campdigrano. Questi ragazzi li avevate già conosciuti qui!
La produzione dei contenuti di valore, nella propria terra e per la propria terra, fa parte del loro percorso di vita e di consapevolezza, e questo ci riempie di gioia!
Vi ricordiamo chi sono: Antonio Croccia, Piermichele Barbella, Gabriele Pellegrino, Michele Soria alla voce Giovani; Gaetano Barbella, Giuseppe Cacetta Pellegrino, Antonio Torre e Giuseppe Jepis Rivello alla voce Giovani dentro. That’s #CreaRaccontaRicrea.»
SEMENTIA
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Caro Diario, da venerdì 18 a domenica 20 Gennaio a Benevento, alla Rocca dei Rettori c’è Sementia. Un paio di settimane fa mi ha chiamato Mimmo Pontillo, che fa parte del Comitato esecutivo regionale Slow Food Campania e Basilicata, per invitarmi a partecipare a una delle tante belle iniziative che si terranno nel corso della manifestazione, che quando hai qualche minuto clicca qui che trovi il programma completo. Io naturalmente avrei detto di sì al mio amico Mimmo a prescindere, però immagina come sono stato contento quando mi ha detto che a dialogare con me avrei trovato Giuseppe Savino, Dario Marino e Antonio Tubelli, che i primi due sono anche loro amici cari e il terzo è un maestro di cucina e di saggezza con il quale ho condiviso almeno tre vite. Niente, te lo volevo dire, perché il titolo del mio speech è “I racconti del grano”, e dunque parlerò anche di te. Accade il prossimo venerdì alle 18:00, tra sabato e domenica prometto che ti racconto tutto, perciò resta sintonizzato.
Il SILLABARIO
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Caro Diario, ho ritrovato un vecchio post del Giugno 2013 con una bella idea, volevo definire le parole del grano e creare un sillabario, solo che l’idea è rimasta tale e non sono riuscito a realizzarla. Ho pensato di riproporla qui, anche solo per aggiungere qualche altra parola, chissà che prima o poi qualcuna/o ci si mette e il sillabario del grano lo realizza per davvero.
A come Acqua, Alfabetizzazione, Alimentazione, Architettura, Artigiano, Asino, Attrezzi
B come Biblioteca, Bosco
C come Campo, Caselle in Pittari, Comunità, Condivisione, Contadino, Creatività, Cultura, Cuore
D come Daimon, Donna
E come EcoMerenda.
F come Fare
G come Grano
H come Homo faber
I come Ianculidda, Identità, Innovazione
L come Laboratorio, Lavoro, Lavorobenfatto
M come Mani, Maestro, Memoria, Mietitura, Molitura
N come Narrare
O come Oasi
P come Paglia, Palio, Pane, Partecipare, Pensare, Pisatura, Pro Loco
Q come Qualità
R come Relazione, Residenza, Resilienza, Resistenza, Restanza, Rione, Rurale, Russulidda.
S come Sapere, Sementi, Sociale, Societing, Sperimentare, Sterco, Studiare
T come Tablet, Tarantella, Teatro, Tecnologia, Terra, Testa, Tornare
U come Unire, Uomo
V come Vita
W come Workshop
Z come Zappa, Zolla
PANI LIBERI
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Caro Diario, questa volta qui me la cavo con un link, ti porta al bellissimo post di Giuseppe Jepis Rivello su Storie di Bottega, c’è anche un meraviglioso video racconto, non ho bisogno di dirti che vale la pena vederlo, lo sai come lavora Jepis. Buona visione.
PENSANDO AL GRANO
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Caro Diario, con Antonella Petitti ci siamo incontrati la prima volta una decina di giorni fa da Michele Croccia, mi sono fatto raccontare un po’ della sua vita da foodtroter, come ama definirsi, e del suo blog, rosmarinonews.it, dopo di che abbiamo continuato a comunicare sui social fino a quando stamattina non mi sono ritrovato questo suo messaggio in chat: “Buongiorno Vincenzo, ho dato un’occhiata a I racconti del grano. Per me il grano è sinonimo di vita e di identità. Ho scritto moltissime poesie dedicate a lui negli anni passati e ieri sera “pensando al grano” mi sono venuti fuori un po’ di pensieri a metà tra la poesia e il racconto. Ho pensato di condividerlì, come piace a te, che faccio, te li mando? Buona giornata.”
Cosa le ho risposto puoi immaginarlo da solo, dunque eccola qua Antonella con la sua poesia/racconto corredata di foto e anche di un video, appena lo carica su youtube lo condivido. A presto.
PENSANDO AL GRANO
ANTONELLA PETITTI
Il grano sono io. C’era sin da quando sono stata in grado di cominciare ad affacciarmi alla finestra della mia cameretta. Lui è stato il primo mondo che ho sbirciato, che ho potuto osservare, che si è fatto maestro di vita.
La casa dei miei genitori, la precedente, era giusto in mezzo al paese. E quel paese, nel cuore del Tavoliere pugliese, ha la forma di una donna stesa su un fianco. Credo riposi da sempre, il mio paese m’ha sempre dato il senso di qualcuno in dormiveglia. E così, da quel mezzo, mi affacciavo sulle distese dei campi, guardandoli da un fianco.
Il grano mi ha insegnato il ciclo della vita, mi ha fatto capire che cambiare è bello e funzionale alla crescita, che ogni periodo ha il suo colore e che c’è sempre un momento in cui si è finito il proprio percorso e bisogna far spazio.
Per anni i termini come “mietere” o “maggese” sono stati sinonimi delle nostre cose da bambine. Quando era tempo di mietere significava che raccoglievamo i frutti del nostro impegno, quando perdevamo tempo (o non avevamo ottemperato ai nostri doveri) facevamo ‘majes’ (maggese, cioè saltavamo un anno per far riposare il terreno, ma non raccoglievamo niente).
Il grano mi ha insegnato la bellezza della natura (è sempre lui il mio termine di paragone quando i miei occhi si perdono negli orizzonti), il grano mi ha insegnato che c’è un tempo per ogni cosa e che bisogna saper aspettare.
Il suo odore, quello di quando è bagnato o di quando mietuto viene conservato nei sacchi, mi insegue. Delle volte mi accompagna.
Il grano è il punto di partenza del cibo che più di ogni altro mi consola e mi affascina: il pane.
Il grano è poesia. Le mie di ragazza, la mia capacità di guardare dentro agli occhi degli altri.
Il grano è stato la mia vista sul mare, col vento che lo muoveva nelle afose giornate estive vivevo miraggi, allenavo la mia fantasia.
Non c’è niente che, per me, significhi radici più di quei campi di grano che compaiono e scompaiono con le stagioni, con gli anni.
Non c’è niente più di lui che mi doni una malinconia sottile, dolcissima, di cose perdute, magari mai avute.
Il grano sono io che nasco, cresco, maturo, muoio per giusta causa. Sono io che ho bisogno di rifare ancora tutto, tutto il ciclo.
Perché c’è sempre qualcos’altro da capire, da provare, da attraversare, da vivere.
Finché si può si riparte. Il grano lo fa sempre.
Post Scriptum
Caro Diario, come ti avevo preannunciato Antonella mi ha inviato il link al video, sono venti secondi di vento e di grano che mi hanno fatto pensare, poi ti dico.
LA BIBLIOTECA DEL GRANO AGAIN
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Caro Diario, il prossimo 29 e 30 Giugno a #Cip, Caselle in Pittari per chi viene da un’altro mondo, un bel po’ di belle cape (teste) si incontrano per dialogare e lavorare su “I saperi, le pratiche e la biodiversità necessari per il nostro Futuro”.
Come dici caro Diario? Che cos’è la Biblioteca del Grano? Te lo faccio dire da loro: “un campo sperimentale nel quale coltiviamo, in piccole parcelle, diverse varietà di grano. Al suo interno vengono riprodotte annualmente molte varietà e popolazioni locali, varietà di altri territori, grani moderni e miscugli. Abbiamo interpretato la terra come le teche di una biblioteca entro cui organizzare e catalogare i saperi che in questo caso sono i semi.”
Che cosa? Ti sembra troppo bello? Pure a me, e non ti dico quanto è bello il video in cui Antonio Pellegrino e Rossella Torre presentano la Biblioteca del Grano 2019 ed il percorso di ricerca ad essa collegato. Buona visione.
È CANGIATA L’ARIA, di ANTONIO PELLEGRINO
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EDGAR MORIN E LA POESIA DEL GRANO
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Caro Diario, mi ha scritto Matteo Bellegoni che sta leggendo un bel libro e ha incontrato il grano, ma insomma adesso senza che la faccio lunga, gli passo la parola che viene meglio.
«Caro Vincenzo, sto leggendo Insegnare a Vivere di Edgar Morin e ho trovato una cosa che credo ti piacerà molto, te la racconto innanzitutto con le sue parole: “Come abbiamo già indicato, la vita è un tessuto che intreccia o alterna prosa e poesia. Possiamo definire prosa i vincoli pratici, tecnici, materiali che sono necessari all’esistenza. Possiamo definire poesia ciò che ci mette in uno stato secondo: innanzitutto la poesia stessa, la musica, la danza, il godimento e, beninteso, l’amore. Prosa e poesia erano nelle società arcaiche tessute strettamente insieme. Per esempio, prima di partire per una spedizione o nel momento della mietitura c’erano danze, canti, tutto ciò faceva parte dei riti. Noi siamo in una società che evidentemente tende a disgiungere prosa e poesia e una grandissima offensiva della prosa è legata alla grande offensiva tecnica, gelida, meccanica, cronometrata, dove tutto si paga, tutto è monetizzato. La poesia, certo, cerca di difendersi negli amori, nelle amicizie, nei fervori. La poesia è l’estetica, è il godimento, è l’amore, è la vita in contrasto con la sopravvivenza!”
Insomma le parole di Morin mettono in relazione dialettica prosa e poesia come capacità di sopravvivere (prosa) e di vivere (poesia) e il suo riferimento al grano mi ha fatto ripensare ai tuoi racconti di #Cip, del Palio del Grano e del Camp di Grano.
Mi pare evidente che il grano sia anche questione di sopravvivenza, si intrecci con le tecniche di produzione che tendono a massimizzare la produzione di un alimento che, più di altri, fin da epoche antiche, rappresenta appunto una fonte imprescindibile di sopravvivenza per una comunità. Ma il grano, come ricordava implicitamente Morin nelle sue parole, rappresenta anche una fonte di vita. Le danze, i canti, i riti, celebrati al momento della mietitura, mettono in risalto la necessità di andare oltre la funzione di sopravvivenza e celebrare la vita attraverso la poesia del vivere.
Nelle stesse pagine Morin arriva ad una sorta di conclusione: “Niente passione senza ragione, ma niente ragione senza passione.”
Penso che ciò valga sicuramente per ogni singolo essere umano, ma valga anche per una comunità; ecco perché se, come ho provato a sostenere in queste poche parole, il grano rappresenta una fonte di vita e non solo di sopravvivenza, è fondamentale celebrare collettivamente la sua poesia.»
CAMP e PALIO DEL GRANO
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Caro Diario, ieri è stato pubblicato il programma definitivo anzichennò, perché a #Cip tutte le cose cambiano, proprio come nella fisica, nella chimica e nella filosofia, ancora di più quest’anno che è cangiata l’aria.
Detto che per me questa che porta all’edizione X+5 del Palio del Grano è la più bella settimana dell’anno, che arrivo a Caselle martedì sera e che sto contando le ore, aggiungo che una delle cose che devo fare al più presto è parlare con Michele Croccia.
Sì, va bene amico Diario, tieni ragione, non è una novità, però questa volta sì, perché lui mi ha convolto in una delle bellissime iniziative che si fanno Giovedì 18, si chiama “La buona novella della pizza Franceschina”, e ha come sottotitolo “Impasto di acqua, farina e parole”.
Come dici caro Diario? Dove sta il problema? Il problema sa nella promessa che mi ha fatto Michele quando me lo ha proposto, me lo ricordo bene quello che mi ha detto, perché mi sono emozionato veramente, “Vincenzo ti voglio a fare la pizza insieme a me”. Lui quello mi ha detto e io quello voglio fare, la pizza, poi se serve impasto anche le parole, però prima vengono l’acqua, la farina e tutto il resto, e glielo devo dire a Michele, perché lui mi ha dato un’opportunità, e io non intendo in nessun modo lasciarmela sfuggire. Dice ma tu mò una volta che fai la pizza vuoi imparare a fare la pizza? Sì! Ma no che pretendo che venerdì so fare la pizza, ma pretendo che come diceva mio padre imparo il principio, l’approccio, che poi magari la devo fare altre 749 volte prima di farla bene, però prima o poi ci riesco, perché io adesso grazie a Michele tengo un altro scopo importante nella vita, mangiare una pizza Franceschina come si deve fatta da me. Ti faccio sapere.
MITI E LEGGENDE DI UN CHICCO DI GRANO
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Caro Diario, ne è passato di tempo da quando ti ho scritto l’ultima volta, era Luglio dello scorso anno, ma a me questa idea qui dei racconti del grano piace davvero un sacco, e non intendo fermarmi.
Oggi ti segnalo un articolo che a me è piaciuto molto di Oscar Grillo, che ancora non ho il piacere di conoscere, si intitola Miti e leggende di un chicco di grano e l’ho trovato sulle pagine del Centro Conservazione Biodiversità dell’Università degli Studi di Cagliari. Mentre tu leggi l’articolo, io invito le amiche e gli amici del #lavorobenfatto a inviare racconti, aneddoti, storie, ricordi, link che hanno per tema il grano. Come si fa? È facile, basta scrivere a partecipa@lavorobenfatto.org. Alla prossima.
LA FILIERA CORTA DI PIERPAOLO SALAMONE
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Caro Diario, ieri sera in Jepis Bottega Pierpaolo Salamone ha condiviso il lavoro di ricerca che ha realizzato per la sua tesi specialistica in Economia. Il titolo è Filiera corta: creare nuove opportunità rafforzando le reti alimentari locali; un po’ delle cose che sono accadute ieri, un po’ di quelle che sono accadute ieri e l’abstract della tesi le puoi trovare qui.
La filiera come puoi immaginare è quella del grano, e l’occasione a me sembra di quelle giuste per anticiparti due cose che trovi sulla pagina che ti ho indicato, la prima l’ha detta Pierpaolo Salamone e l’altra l’ha scritta Giuseppe Jepis Rivello.
Pierpaolo: Per me é stato un momento di riflessione sul lavoro e sui possibili sviluppi futuri dello stesso. Dall’altra parte, parlo degli attori economici, ho cercato di offrire loro una lettura economica dell’attività che stanno ponendo in essere.
L’obiettivo di oggi era mescolare i dati della ricerca con la testimonianza diretta degli imprenditori coinvolti nella filiera per far nascere nuove idee e stimolare ulteriormente le attività già in essere.
Credo che l’obiettivo sia stato raggiunto, ma saranno gli sviluppi futuri del lavoro e dalla filiera a dirci la qualità di quello che oggi abbiamo seminato in Bottega.
Giuseppe: Uno dei compiti di questa Bottega è quello di supportare il percorso dei talenti della nostra terra.
Soprattutto quando i percorsi di studi si concentrano su temi che riguardano il nostro territorio dobbiamo attivare processi in cui il valore diventa condiviso.
Un’ultima cosa prima di salutarti amico Diario: se Pierpalo non ha niente in contrario, a me piacerebbe pubblicare anche qui su #Lavorobenfatto il .pdf completo del suo lavoro, per chi intenda approfondire o saperne di più. Ecco, adesso è proprio tutto, buona lettura e buona visione.
LA SEMINA, LA PISATURA E I VICCI DI GIOVANNA VORIA
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Caro Vincenzo, stai parlando di grano e io quando sento grano, e riso, torno bambina e rivivo ogni attimo, dalla semina alla pisatura.
La semina del grano avveniva a Novembre e accanto si seminavano i ceci per uso famiglia. Veniva ad arare la terra zi Giovanni, cugino di papà. Aveva una pariglia di buoni affiatati che aveva addestrato bene e che, oltre a dargli da vivere, erano per lui i suoi amici quotidiani, li trattava bene. A volte mi faceva salire sull’aratro mentre arava, i buoi mi portavano all’andata e al ritorno, mi piaceva assai.
Papà, con una bisaccia a tracolla colma di grano, seminava i grani Cilentani che adesso li chiamano grani antichi autoctoni, facendo attenzione che i chicchi cadessero bene tra le zolle mosse. Si faceva colazione nel campo, essendo già inverno c’erano broccoli, frittata, salame e formaggio con il pane fatto nel forno a legna con il grano dell’anno passato. Non mancava il vino già a prima mattina.
A pranzo c’era la pasta asciutta con il cacio ricotta, si portava in testa nel cuofino. L’inverno era lungo, ma tra freddo e pioggia il grano spuntava. Vedevo i miei genitori osservare la nascita del grano che da chicca erano diventati fili verdi come erba.
A Marzo si zappuliava, con un piccolo zappetto si toglieva l’erba, muovendo la terra in modo tale da far sviluppare il grano. Questo era un compito prevalentemente femminile. La sera, quando rientravano con le capre o le pecore, si facevano passare velocemente nel campo di grano, stroncando così un po’ i fili. Era un modo per irrobustire il grano e far felice le capre che ricambiavano in latte.
A maggio si mmonnava, si tirava con le mani l’erba nata, erano sempre le donne grandi e piccole a fare questo lavoro. La stanchezza veniva alleviata da racconti e canti. Ognuna cantava dal proprio campo e per tutta la valle era un concerto di voci e di allegria. Quando arrivava tramontana io restavo incantata a guardare quel verde grano come un velluto che ondeggiava al vento. Allora io scioglievo i miei lunghi capelli e lasciavo che il vento ci giocasse. A volte il vento o la pioggia danneggiavano il grano che, essendo alto, si coricava ed era complicato recuperarlo.
A Giugno i campi diventavano color oro, pieni di papaveri rossi. Io ero l’addetta a far volare via i passeri con due coperchi, guai se ti fermavi. Dopo qualche settimana si iniziava a mietere il grano. Uomini e donne muniti di falce e con i ditali di canna che si mettevano sulle dita per non tagliarsi, iniziavano cantando e ridendo la mietitura del grano.
Io ero felice, perché i campi di grano mi mettevano allegria, perché mamma sarebbe tornata dalle risaie, nel periodo dalla mietitura alla pisatura e poi si mangiava bene. Si iniziava con la colazione aprendo il capocollo e insalata di pomodori e frittate. Con il primo fascio si faceva lo iermete e si lasciava per terra. Le donne poi raccoglievano questi fasci per terra e li univano mettendo insieme e legando con lo stesso grano. In questo modo diventavano gregne e si mettevano in piedi mettendo la parte delle spighe rivolte al sole. A fine giornata si facevano dei covoni sistemando le gregne 4 in basso, 3 più sopra, 2 ancora più sopra e in cima 1, mentre le donne più anziane spigolavano.
Con l’asino si portavano il grano sull’aia e si slegavano le gregne, aprendole. I buoi iniziavano a pisare passando la pietra che trascinava sul grano. A furia di girare il grano si staccava dalla spiga separandosi dalla paglia. Io salivo sulla pietra e un po’ guidavo io i grandi buoi. Dopo pranzo si aspettava il ponente per ventuliare il grano. Quando i sacchi erano pieni capivi che era finito il grande lavoro. L’asino poi li portava nella cantina di casa.
Papà portava il grano al mulino mentre mamma ogni settimana faceva il pane con il criscito nel forno a legna, iniziando con i vicci (pane schiacciato che si inforna prima del pane come prova del forno; si riempiva poi di verdura saltata o frittata o pomodoro e olio) e la pizza con il pomodoro tra il profumo più bello e antico che c’è.
IL MITO E LA SIMBOLOGIA DEL GRANO
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Caro Diario, in attesa che le amiche e gli amici del #lavorobenfatto e del #lavoronarrato mi facciano arrivare i loro racconti, su Art’Empori.it ho trovato un bellissimo articolo di Franca Molinaro, si intitola Il grano: mito e simbologia. Dalla Grande Madre a oggi, come puoi leggere alla fine un’altra versione dell’articolo è stata pubblicata su “Rivista storica del Sannio n. 2/2012, pagg. 71-148, Napoli”.
Come fanno le persone serie come noi lascio il link, in questi casi il ricorso alle fonti è sempre la soluzione migliore. L’articolo è lungo e molto ben documentato, quando hai un poco di tempo, se ti dico che merita mi puoi credere.
LA BIBLIOTECA DEL GRANO 2020
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Caro Diario, questa storia qui l’ho rubata da una pagina social di Monte Frumentario Terra di Resilienza, per evitare problemi sai che faccio?, metto due punti e apro e chiudo virgolette: “La Biblioteca del Grano 2020 presenta 75 varietà, tra grani e miscugli, che abbiamo seminato in un campo che quest’anno ha la forma di un sole: al centro i progenitori del grano e lungo i raggi le varietà che stiamo negli anni recuperando e conservando”.
Sì, sì, hai letto bene amico mio, 75 varietà di grani e miscugli, non lo so se e dove c’è una cosa bella uguale, lo chiederò a Giuesppe Jepis Rivello o, meglio ancora, ad Antonio Quaglialatte Pellegrino.
Prima di salutarti ti invito a farti un giro sulla pagina social di Monte Frumentario Terra di Resilienza, le diverse varietà vengono raccontate una alla volta, io lo trovo fantastico, poi fammi sapere cosa ne pensi tu.
STORIE DI DIVERSITÀ
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Caro Diario, per certi versi le storie di cui ti racconto oggi, Storie di Diversità, sono uno spin-off della Biblioteca del Grano, una serie di interviste / racconti nate per iniziativa di Monte Frumentario Terra di Resilienza e Palio del Grano condotte e dirette da Giuseppe Jepis Rivello.
Tutte le interviste le trovi qui amico Diario, vedi che è una playling list, puoi scegliere da dove cominciare e man mano la troverai arricchita con i nuovi arrivi, oggi per esempio è stata la volta del mitico Antonio La Gamba. Buona visione.
LE FACCE DEL GRANO
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Domani. A Caselle in Pittari. Dalle 10:00 alle 18:00. Le facce del Grano.
Per ora vi dò la notizia, poi domani ritorno.
Sarà una giornata alla scoperta della Biblioteca del Grano del Monte Frumentario. Una giornata per scoprire le varietà della Biblioteca del Grano 2020.
“I campi accolgono le famiglie, alcune seminate dalla mano, altre seminate dal vento. Il principio è sempre la vita. Il fine la diversità”.
La mattina, dalla Biblioteca del Grano, insieme ai soci della Cooperativa Terra di Resilienza, si parlerà di agronomia, fenologia e morfologia della varietà presenti nel campo, che quest’anno ha la forma di un sole.
Poi ci sarà il pranzo tutti assieme e nel pomeriggio le esperienze e ricerche a confronto, la molitura, gli impasti e gli aspetti nutrizionali.
Restate sintonizzati.
LA SPIGA DEL CERVATI
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Caro Diario, lo scorso 2 Agosto fa Giuseppe Jepis Rivello è partito per il Monte Cervati e al ritorno ci ha donato il bellissimo video che puoi vedere sotto accompagnato da questo commento:
“Sul massiccio del Monte Cervati si coltiva il grano. Francesco Petrone ha aperto il suo mulino a pietra a Piaggine ed ha deciso di alimentarlo con il grano di montagna della sua terra.
In questo video ho raccolto qualche scena dalla giornata di mietitura collettiva del grano fatta il 2 agosto 2020. Music by Francesco D’Andrea”. Buona visione.
LA SEMINA 2020
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Caro Diario, oggi al campo che ospiterà il #PaliodelGrano 2021, l’edizione X+7, è stato tempo di semina. È il primo anno che sono qui in questo periodo, non è che sono riuscito a rendermi utile – ci vogliono forza e competenze che non ho – eppure è stata un’emozione forte, ritrovarmi lì con Antonio, Giuseppe, Alessandro, Michele in questo momento così importante non solo dal punto di vista del ciclo della natura ma anche dal punto di vista simbolico. Ho fatto un po’ di domande, ho imparato qualche cosa, ho fatto anche un po’ di foto, che per me non è una cosa usuale.
A proposito, oggi qui a #Cip è anche una giornata limpida e piena piena di sole, non lo so, spero con tutto il cuore che sia un buon segno. Antonio ha detto che la semina è una scommessa, che è come prendere il pane e metterlo sotto terra, proprio così ha detto, perché 400 chilogrammi di semi sono 350 panelle da un chilo, più o meno, una famiglia media ci mangia un anno, non so se mi spiego.
Per ora non aggiungo altro, magari poi ritorno, per ora ti dico solo che sono troppo contento.
LA BIBLIOTECA DEL GRANO 2021
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Caro Diario, secondo me non c’era miglior giorno di questo 25 Aprile 2021 per presentarti la Biblioteca del Grano 2021, lo faccio con le migliori parole possibili, quelle del Monte Frumentario Terra di Resilienza. Buon 25 Aprile.
“Un esercizio di misura è una geometria possibile, una quadratura organizzata, un confine preciso. La #terra è un esercizio. Il #grano una misura.
La #bibliotecadelgrano è esercizio e misura, una sguardo di prossimità ai chicchi della #diversità, all’insieme organico del suolo, delle piante e delle bocche.
Le pratiche queste sono, una parafrasi concreta per la conoscenza, per la contemporanea necessità di #paneverità, alimento del corpo e del paesaggio, cura colta dell’#appennino e del #mediterraneo. La somma non è algebrica, ma evolutiva, non conta solo la genetica, i mattoncini, conta anche l’epigenetica, le #relazioni.
Tutto cambia, tutto si angola nello spazio e nel tempo delle cose, pure la nostra #macina cosmica, l’idea di un racconto sulle spighe e sul sole.
Questo è la Biblioteca del Grano: un esercizio di misura sotto un cielo stellato, una semina, un affido, un attesa di futuro prossimo per animare nuove umanità”
La XIV Biblioteca del Grano, contiene 86 tra monovarietà, popolazioni e miscugli.
Nella prima, del 2008, c’erano 4 varietà.”
SANT’ANTONIU U ND’ORA
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Caro Diario, questo lo ha girato Jepis il 13 di questo mese, la data e il titolo dicono tutto, aggiungo solo che quando lo ha raccontato a me e a Cinzia ci ha detto che stava sul divano a fare altro quando ha sentito che doveva fare qualcosa per Sant’Antonio, ha preso la macchina ed è sceso. Erano quasi le 6:30 e … buona visione.
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