Caro Diario, Giuseppe partecipa da qualche mese a Napoli Foresight Center, Digital twin lab per la rigenerazione urbana. È una gran bella iniziativa, la trovi tra le Storie di Bottega del nostro amico, ti consiglio con tutto il cuore di leggerla. Grazie a questa sua esperienza, sono entrati nella mia vita nuovi racconti, non solo quello che ha scritto sul suo blog, anche quelli orali, che avendo la fortuna di vivere a #Cip, posso condividere con lui la sera, in piazza, al bar o in bottega. Venerdì sera, quando di ritorno da Bacoli siamo saliti in Bottega per salutarlo, sul grande tavolo di lavoro del Lato Beta abbiamo trovato una cosa in più, si chiama Oculus, è un visore per la realtà virtuale.
Che lo dici a fare, dopo che Giuseppe ce lo ha raccontato, la prima a provarlo è stata Cinzia, neanche il tempo di indossarlo e la Bottega si è riempita delle sue espressioni di entusiasmo e delle sue grida. Ha volato con il deltaplano, è scesa nell’oceano tra i pesci, si è fatta spiegare i tasti dei due joystick, VR Controller o come diavolo si chiama. Fosse stato per la compagna della vita mia avrebbe fatto subito un corso accelerato per scoprirne tutte le possibilità.
Io no. All’inizio accade sempre così, come nella poesia di Neruda il conservatore che porto nascosto prende la parola nella mia bocca e comincio a dire che non sono portato per queste cose, che mi ci perdo e mi viene la nausea, che non è che devo provarle proprio tutte per forza e così via.
Tranquillo amico Diario, accade solo all’inizio, diciamo che mi devo ambientare, poi lo scrutatore dei segni del tempo prende il sopravvento. Tanto è vero che quando Giuseppe mi ha proposto di fare un primo giro con il visore stando seduto mi sono fieramente rifiutato, ho indossato il marchingegno, mi sono posizionato all’interno del perimetro che il giovane Jedi aveva disegnato e mi sono ritrovato nel mezzo di The Click Effect, documentario del 2016 diretto da Sandy Smolan, uno dei due che aveva visto Cinzia, quello dell’immersione, nel video puoi vedere il making of.
È stata una bella esperienza, su questo non ci sono dubbi. Però mentre guardavo, sperando che guardare sia il verbo giusto, mi è venuto in mente che lo avevo fatto già. Era il 2017 e mi trovavo a Terracina invitato da Andrea D’Onofrio per il Festival delle Emozioni. Fu Sebastiano Deva, Ceo di Apptripper, che la sera, nel corso di una bella cena, mi fece vivere questo fantastico viaggio attraverso “Le 4 visioni dell’Aldilà” di Jheronimus Bosch. Ricordo che ne rimasi sconvolto, e con me la mitica Annamaria Testa, anche lei componente dell’allegra brigata.
Tornando a The Click Effect, mentre giravo su me stesso e mi districavo tra il fondale, i pesci, i sommozzatori e il sottomarino continuavo a pensare, non lo so se è un difetto di fabbrica, perfino per addormentarmi devo pensare a qualcosa, magari ogni tanto sarebbe meglio rilassarsi e basta.
Cosa ho pensato lo puoi immaginare, è una vita che lavoro, in particolare con le scuole, sulle connessioni tra lavoro ben fatto, tecnologia e consapevolezza, senza contare le mie molte domande sul futuro di noi umani, te ne avevo scritto qualche anno fa in questo articolo dove avevo preso spunto dal tradimento di Cypher in Matrix e mi ero schierato dalla parte del traditore, o comunque lo avevo compreso, e messo in evidenza gli aspetti razionali del suo comportamento.
Come dici? Certe volte faccio veramente ragionamenti strani? Sono d’accordo, ma non in questo caso.
Ti faccio qualche esempio. Se per qualche ragione nel mondo senza visore tu avessi perso l’uso delle gambe e non potessi camminare, quante ore al giorno sceglieresti di vivere nel mondo con il visore dove potresti correre, saltare, passeggiare come se non ci fosse domani? E se nel mondo fuori facessi un lavoro che non ti piace e nel mondo dentro il lavoro dei tuoi sogni, magari anche retribuito, perché mentre te ne stai lì fornisci dati al produttore, ai suoi partner e ai suoi clienti?
Se vuoi possiamo anche salire di un livello. Quante ore saresti disposto a starci per vivere una vita ricca e fantastica invece della tua misera e triste? E se avessi un figlio morto fuori e invece vivo dentro?
Certo, c’è ancora della strada da fare, gli ambienti devono diventare sempre più immersivi e reali, ma una volta risolto questo aspetto, perché tu, io, lui, lei, l’altra, dovremmo vivere fuori? Sì, perché? Che senso ha? Dove sta la convenienza?
Forse non basta più essere “Apocalittici” o “Integrati” amico mio, forse anche la celebre dicotomia di Umberto Eco è superata. Se pensi a quanto sia difficile portare una ragazzina o un ragazzino fuori da un telefonino nonostante i rumori e la vita intorno, la mamma o il papà che lo sgridano e cercano di portarglielo via, è evidente quello che potrà accadere quando la ragazzina o il ragazzino in questione saranno immersi con un visore nel mondo dei loro desideri.
Come dici? Se questo è il quadro non ci riesta che piangere? Niente affatto! Abbiamo tanto da pensare e fare. Per esempio maneggiare nel modo giusto parole come cultura, educazione, lavoro ben fatto, socialità, tecnologia, condivisione, creatività, consapevolezza.
Pensando e facendo, parlando e agendo nel modo giusto possiamo modificare il contesto, essere autori e non consumatori del nostro destino. Teneva ragione Borges caro Diario, “Si può comunicare solo ciò che è condiviso dall’altro. Le parole presuppongono esperienze condivise. […] È come un sapore o un colore; se l’altro non ha visto quel colore o non ha percepito quel sapore le definizioni sono inutili.” Non è facile, ma con pazienza e lavoro si può fare, si fa. Del resto non è che abbiamo tante alternative.
Ecco, direi che questi pensieri diversi sotto il livello del mare sono il pretesto per tornarci su assieme. Tu, io, le nostre lettrici e i nostri lettori, chiunque abbia voglia di scambiare idee ed esperienze, chiunque pensi che valga la pena metterci la testa, le mani e il cuore. Come si fa lo sai, basta scrivere nei commenti al post. Buona partecipazione.
POST SCRIPTUM
Quando sono tornato nel mondo senza visore sono stato contento, la Bottega ha un effetto bellissimo su di me, mi ci sento a casa. A Cinzia e a Giuseppe però questo non l’ho detto, non volevo deluderli, e neanche volevo fare la parte del vecchio, nel senso della persona chiusa, che rifiuta il nuovo. Vecchio nel senso di persona della mia età invece mi piace, ho detto solo che mi è piaciuto, che poi è la verità.
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