Caro Diario, sono troppo contento di condividere con te il racconto a puntate di Ramona Pisano, che tra le cento cose che pensa e che fa è insegnante e artista.
Tutto quello che c’è da raccontare te lo racconta Ramona, io giusto per incuriosirti un po’ ti anticipo che l’azione si svolge a Cip, Caselle in Pittari, e che leggerai storie di fiori che non sono fiori e di porte che all’inizio sono solo porte e che poi diventano piccole opere d’arte. Basta, ho già detto troppo, mi fermo qui, buona lettura.
Caro Vincenzo, la porta con cui voglio iniziare questo mio racconto è quella dedicata a mio nonno. Si può dire che tutto è partito da lui. Minicucciu era conosciuto in paese come u mulinaru, dato che tra le mille cose che ha fatto c’è anche il lavoro di mugnaio, o come u bannista, essendo il banditore ufficiale del paese. Come tutti i cosiddetti uomini d’altri tempi era un instancabile lavoratore, contadino, coltivare, allevatore, padre di 4 figli e nonno di parecchi nipoti.
Ho passato molto tempo della mia prima infanzia con nonno Minicuccio e nonna Maria, ero molto piccola ma alcune cose le ricordo ancora.
Ricordo che dormivo nel loro letto, che li tenevo svegli toccandogli i capelli per tutta la notte e che quando nonna Maria andava “nde chiani ri Vattipaglia”, nella piana di Battipaglia, a raccogliere le fragole, era nonno ad accompagnarmi all’asilo.
Ricordo i pomeriggi passati fuori la casa loro impegnata nel passatempo che preferivo e di cui nonna mi incaricava mentre lei si occupava delle faccende, ovvero lavare fazzoletti in una bacinella piena d’acqua.
Ricordo la tranquillità, il silenzio e la lentezza di quelle giornate. Tra i ricordi più vividi ci sono i racconti che mi facevano della loro giovinezza, tempi lontanissimi, umili, fatti di stenti e povertà eppure per me tanto poetici, ad anni di distanza direi lirici.
In mezzo a quei racconti spesso c’erano proverbi, poesie, stornelli, canti o, come si chiamano a Caselle, “i fiuri”. Mio nonno faceva parte di quei cantastorie che di notte si univano per portare le serenate nel paese vecchio. Solo nei suoi racconti però, perché in realtà non l’abbiamo mai visto esibirsi in una vera e propria serenata, a noi era solito raccontarle a mo di poesia, magari nei pomeriggi passati insieme e più spesso dopo conviviali pranzi dove si onorava il buon vino di cui lui era un eccellente produttore (mi ricordo del suo distillato e della sua meravigliosa grappa cu a murtidda).
Ogni buon pranzo o cena di famiglia si concludeva con le sue declamazioni a volte divertenti, altre volte sognanti, rarissimamente tristi. Tutti noi di famiglia conoscevamo ormai l’intero repertorio con tutte le storie che c’erano dietro e quando partiva con le sue declamazioni puntualmente la nonna si arrabbiava, lo scuoteva tutto e gli ricordava di fare la persona seria, ovviamente col sorriso sotto i baffi e nell’ilarità di tutta la compagnia.
Arrivata a Napoli da studentessa fuori sede, quando raccontavo di me c’erano sempre storie dei miei nonni e quasi tutti i nuovi amici di città venivano a Caselle a conoscere questo straordinario mondo di cui amavo discorrere. Tutti restavano colpiti, innamorati, mentre per me quel mondo continuava a essere una certezza, un punto fermo, di forza anzi.
Intanto il tempo passava e nonno si faceva grande, o come lui diceva sempre si faceva giovane, perché solo gli stupidi facevano passare il tempo invecchiando. Quando cominciò a dimenticare maturai nella mia testa l’idea che tutto quel repertorio orale, senza le persone che avevano vissuto quelle storie, sarebbe andato inesorabilmente perso, cancellato. Per me divenne dunque urgente la necessità di registrare, conservare ma anche tramandare, riattualizzando in un contesto differente da quello di origine, tutta questa Memoria. Per quanto riguardo il come farlo mi vennero in soccorso le parole del Maestro Salvatore Cantalupo: “Quello che hai da dire, dillo con l’arte”.
Nacque così l’idea di Fiori alle porte, un festival d’arte che partiva dalla tradizione delle serenate e stornelli di un altro tempo come traccia da rielaborare e riattualizzare attraverso una visione contemporanea. In 7 anni la manifestazione è cresciuta autonomamente, si è evoluta naturalmente in un evento che ingloba diverse generazioni e differenti forme artistiche, quasi come un organismo a sé stante ché si nutre dell’entusiasmo, della bellezza che chi vi partecipa porta con sé.
La porta del nonno riporta scritta la frase “il fiore che ti canto” che era l’incipit usuale delle serenate e una frase che nonno spesso ripeteva. Potrei continuare a scrivere a lungo su di lui, sui ricordi che ho, ma esemplificativa è una storia che mi raccontava di quando era giovane, che per me è stato un grande insegnamento.
Dopo una nottata passata a purtá i fiori nei vicoli del paese vecchio, nonno tornò a casa che era giá l’ alba. Il mio bisnonno, che si era appena svegliato per andare in campagna, quella mattina bisognava pulire dalle erbacce il granturco, a zappuliá u graurignu, e vedendo mio nonno gli chiese, infastidito, se quella era l’ora di tornare a casa, dato tutto il lavoro che c’era da fare in campagna.
Nonno Minicuccio, sapendo che la verità avrebbe fatto arrabbiare suo padre, disse che si era appena svegliato, mentendogli. Ovviamente il mio bisnonno, Michelangelo, non gli credette ma stette al gioco. Andarono in campagna e quella mattina il lavoro fu più faticoso del solito. Dopo aver zappato tutto il campo, sfinito, Minicuccio si stese all’ombra di un albero e si addormentò. Peccato che il riposo durò poco, in quanto fu svegliato poco gentilmente da nonno Michelangelo che lo prese a bastonate.
Questa storia mi ha sempre fatto riflettere sul significato più profondo dell’arte, che non ha un riscontro immediato su quelle che sono le attività fondamentali, di sussistenza dell’essere umano. In un certo senso l’arte non ha utilità, è fine a sé stessa, ma nello stesso tempo è connaturata a noi umani, poiché la ricerca della bellezza è un’esigenza dell’anima.