I fiuri di Ramona

Caro Diario, sono troppo contento di condividere con te il racconto a puntate di Ramona Pisano, che tra le cento cose che pensa e che fa è insegnante e artista.
Tutto quello che c’è da raccontare te lo racconta Ramona, io giusto per incuriosirti un po’ ti anticipo che l’azione si svolge a Cip, Caselle in Pittari, e che leggerai storie di fiori che non sono fiori e di porte che all’inizio sono solo porte e che poi diventano piccole opere d’arte. Basta, ho già detto troppo, mi fermo qui, buona lettura.

Caselle in Pittari, 6 Agosto 2023
LA PORTA DI ANNA

Caro Vincenzo, sarà l’emozione per questa edizione 2013 ma sono sveglia da un po’ e allora ho scritto quello che avevo in testa.
Ripartiamo con Anna. Ma non la stessa della volta precedente, questa volta racconto di una bimba di 7 – 8 anni all’epoca, che ama disegnare e lo fa anche molto bene.
Siamo nell’edizione del 2017, a Maronna ra Grazia, e Anna ha insistito per partecipare, per avere la sua porta da dipingere. Ci vediamo alle 9 in piazza,la trovo lì col suo zainetto e i pennelli preferiti e ci avviamo.
Lei è di poche parole, ma ad un certo punto chiede cosa avrebbe potuto fare. Io le rispondo di lasciarsi ispirare da ciò che vede intorno e soprattutto di lasciarsi andare.
Il quartiere ci accoglie, lì c’è la casa dei miei nonni paterni, c’è Santina che ci offre delle buonissime melanzane fritte, c’è Luigi che si affaccia e ci chiede si vulimu ‘u café.
Anna comincia a dipingere, lo fa per tutta la giornata, al sole, si dimentica di mangiare, si perde in ciò che sta facendo. E alla fine mi dice: “ho disegnato i fiori perché è ciò che ho visto attorno a me”.
Da quel giorno, da quella edizione, sempre più bambini hanno chiesto di partecipare, di dipingere la loro porta e oggi penso di non sbagliare dicendo che sono loro ad essere i protagonisti della manifestazione.
Si mettono a lavoro qualche giorno prima, preparano il bozzetto da soli o in gruppo, ci lavorano, si impegnano, immaginano, creano, raccontano di loro.
Raccogliere i bozzetti è un’emozione unica, sono tesori tra le mani, spaccati di pura bellezza e amore.
Scelgono la porta in base a ciò che faranno, o perché gli suggerisce qualcosa, a volte a caso o perché appartiene a un qualche parente. E per due giorni si perdono nell’arte, si impegnano a portare avanti il loro lavoro, si consultano, chiedono, collaborano e si divertono un sacco.
Ciò che ne viene fuori per me sono sempre capolavori, fotografie di giornate piene ed intrise di pura arte. Ancor più bello del prodotto è il processo che l’ha creato, i momenti condivisi, l’impegno e l’amore profuso.
Allora mi viene da pensare che in realtà questa non è street art, nessun giornale potrà ergerci a paese dei murales, perché da noi non vengono gli artisti importanti, anzi non solo gli artisti importanti, le porte le fanno i bambini, i ragazzi, anche le mamme e i papà. E riflettendoci la nostra forza è quella, il nostro coraggio, il nostro atto di fiducia verso i nostri figli.
Hanno tanto da dire, ma hanno bisogno di qualcuno che li voglia ascoltare, che accolga il loro sentire, le loro parole, che si fidi di ciò che sanno fare. A noi non resta che dare gli strumenti ed essere consapevoli di ciò che abbiamo fatto e di ciò che facciamo per loro, consapevoli che ogni nostro gesto o parola determina il mondo che gli lasciamo.
Qualche sera fa un clown al circo disse: “bambini, avete una grande responsabilità, dovete cambiare il mondo”.
Io penso che loro sono forti, che lo possono fare, ci dobbiamo fidare, di loro e di ciò che gli abbiamo insegnato.

Caselle in Pittari, 17 Luglio 2023
SIMONE, ANNA E LA MAMMA

Caro Vincenzo, rieccomi con la seconda puntata dei miei fiuri, o anche la seconda e la terza, perché sono un po’ due storie in una, una racconta Simone e l’altra una figlia e una mamma.
È il lontano 2016 quando, salendo dalle grotte di Caravu, ho un’illuminazione, fiori alle porte, un omaggio che sento di dover dare al mio paese, alle mie origini, dove si raccontano i fiuri, le serenate casellesi che i miei nonni mi cuntavanu sin da piccola.
Scrivemmo, io e il mio compagno, una bozza di progetto, dove illustravamo l’idea di rappresentare, ispirandoci alla tradizione, quelle storie, componimenti, stornelli, che si tramandavano solo in forma orale, come i cicli troiani prima di Omero.
Alla trascrizione associare l’immagine, potente e trasversale, mio codice comunicativo prediletto, mio sapere donato e dovuto alle mie radici. In quella edizione avemmo l’onore di ospitare Simone, nome d’arte Collettivo Fx, di passaggio in Cilento e a cui feci conoscere nonno Minicuccio, all’epoca ancora nel pieno della sua loquacitá e che Simone omaggiò con una bellissima opera, laureandolo Dante di Caselle.
Oltre a lui c’ero io, che accompagnata dal sax del mio compagno di vita e d’arte, Gianluca Guarino, giravamo per vichi e vicarielli con un secchio di pittura bianca e un tubetto di nero.

Mentre passeggiavamo per i vicoli del paese ricercando porte e spiegando ciò che volevamo fare agli abitanti del centro storico, mi viene incontro Anna che con le lacrime agli occhi delicatamente e sinceramente mi chiede di dipingere le porte del suo “stieri”, perché sua mamma non sta bene, perché una cosa bella potrebbe aiutarla a stare meglio.
I fiuri casellesi, da quello che ho potuto dedurre dalle mie ricerche, potevano essere d’amore, di ingiuria o per celebrare nascite, battesimi e compleanni.
Pochissime di temi esistenziali, personalmente credo che la scarsità dei numeri sia ben compensata dal loro contenuto, ma questa è un’altra storia. Ci sono dei canovacci che di volta in volta e a seconda del caso, vengono modificati ed adattati all’occasione.
Pensai che per Anna e sua mamma ci voleva una cosa così, la celebrazione di una donna che si sublima nell’atto della creazione, che tutto può. E allora dipinsi, solo col nero e col bianco, e desiderai regalare bellezza, attimi di dimenticanza. Perché l’arte deve fare questo, portarci oltre e ricordarci che a volte gli occhi e la mente si sbagliano.
E Anna e la sua mamma mi fecero il caffè, e stettero a guardare, e sorrisero.

Caselle in Pittari, 25 Novembre 2022
NONNO MINICUCCIU

Caro Vincenzo, la porta con cui voglio iniziare questo mio racconto è quella dedicata a mio nonno. Si può dire che tutto è partito da lui. Minicucciu era conosciuto in paese come u mulinaru, dato che tra le mille cose che ha fatto c’è anche il lavoro di mugnaio, o come u bannista, essendo il banditore ufficiale del paese. Come tutti i cosiddetti uomini d’altri tempi era un instancabile lavoratore, contadino, coltivare, allevatore, padre di 4 figli e nonno di parecchi nipoti.
Ho passato molto tempo della mia prima infanzia con nonno Minicuccio e nonna Maria, ero molto piccola ma alcune cose le ricordo ancora.
Ricordo che dormivo nel loro letto, che li tenevo svegli toccandogli i capelli per tutta la notte e che quando nonna Maria andava “nde chiani ri Vattipaglia”, nella piana di Battipaglia, a raccogliere le fragole, era nonno ad accompagnarmi all’asilo.
Ricordo i pomeriggi passati fuori la casa loro impegnata nel passatempo che preferivo e di cui nonna mi incaricava mentre lei si occupava delle faccende, ovvero lavare fazzoletti in una bacinella piena d’acqua.
Ricordo la tranquillità, il silenzio e la lentezza di quelle giornate. Tra i ricordi più vividi ci sono i racconti che mi facevano della loro giovinezza, tempi lontanissimi, umili, fatti di stenti e povertà eppure per me tanto poetici, ad anni di distanza direi lirici.
In mezzo a quei racconti spesso c’erano proverbi, poesie, stornelli, canti o, come si chiamano a Caselle, “i fiuri”. Mio nonno faceva parte di quei cantastorie che di notte si univano per portare le serenate nel paese vecchio. Solo nei suoi racconti però, perché in realtà non l’abbiamo mai visto esibirsi in una vera e propria serenata, a noi era solito raccontarle a mo di poesia, magari nei pomeriggi passati insieme e più spesso dopo conviviali pranzi dove si onorava il buon vino di cui lui era un eccellente produttore (mi ricordo del suo distillato e della sua meravigliosa grappa cu a murtidda).
Ogni buon pranzo o cena di famiglia si concludeva con le sue declamazioni a volte divertenti, altre volte sognanti, rarissimamente tristi. Tutti noi di famiglia conoscevamo ormai l’intero repertorio con tutte le storie che c’erano dietro e quando partiva con le sue declamazioni puntualmente la nonna si arrabbiava, lo scuoteva tutto e gli ricordava di fare la persona seria, ovviamente col sorriso sotto i baffi e nell’ilarità di tutta la compagnia.
Arrivata a Napoli da studentessa fuori sede, quando raccontavo di me c’erano sempre storie dei miei nonni e quasi tutti i nuovi amici di città venivano a Caselle a conoscere questo straordinario mondo di cui amavo discorrere. Tutti restavano colpiti, innamorati, mentre per me quel mondo continuava a essere una certezza, un punto fermo, di forza anzi.
Intanto il tempo passava e nonno si faceva grande, o come lui diceva sempre si faceva giovane, perché solo gli stupidi facevano passare il tempo invecchiando. Quando cominciò a dimenticare maturai nella mia testa l’idea che tutto quel repertorio orale, senza le persone che avevano vissuto quelle storie, sarebbe andato inesorabilmente perso, cancellato. Per me divenne dunque urgente la necessità di registrare, conservare ma anche tramandare, riattualizzando in un contesto differente da quello di origine, tutta questa Memoria.  Per quanto riguardo il come farlo mi vennero in soccorso le parole del Maestro Salvatore Cantalupo: “Quello che hai da dire, dillo con l’arte”.
Nacque così l’idea di Fiori alle porte, un festival d’arte che partiva dalla tradizione delle serenate e stornelli di un altro tempo come traccia da rielaborare e riattualizzare attraverso una visione contemporanea. In 7 anni la manifestazione è cresciuta autonomamente, si è evoluta naturalmente in un evento che ingloba diverse generazioni e differenti forme artistiche, quasi come un organismo a sé stante ché si nutre dell’entusiasmo, della bellezza che chi vi partecipa porta con sé.
La porta del nonno riporta scritta la frase  “il fiore che ti canto” che era l’incipit usuale delle serenate e una frase che nonno spesso ripeteva. Potrei continuare a scrivere a lungo su di lui, sui ricordi che ho, ma esemplificativa è una storia che mi raccontava di quando era giovane, che per me è stato un grande insegnamento.
Dopo una nottata passata a purtá i fiori nei vicoli del paese vecchio, nonno tornò a casa che era giá l’ alba. Il mio bisnonno, che si era appena svegliato per andare in campagna, quella mattina bisognava pulire dalle erbacce il granturco, a zappuliá u graurignu, e vedendo mio nonno gli chiese, infastidito, se quella era l’ora di tornare a casa, dato tutto il lavoro che c’era da fare in campagna.
Nonno Minicuccio, sapendo che la verità avrebbe fatto arrabbiare suo padre, disse che si era appena svegliato, mentendogli. Ovviamente il mio bisnonno, Michelangelo, non gli credette ma stette al gioco. Andarono in campagna e quella mattina il lavoro fu più faticoso del solito. Dopo aver zappato tutto il campo, sfinito, Minicuccio si stese all’ombra di un albero e si addormentò. Peccato che il riposo durò poco, in quanto fu svegliato poco gentilmente da nonno Michelangelo che lo prese a bastonate.
Questa storia mi ha sempre fatto riflettere sul significato più profondo dell’arte, che non ha un riscontro immediato su quelle che sono le attività fondamentali, di sussistenza dell’essere umano. In un certo senso l’arte non ha utilità, è fine a sé stessa, ma nello stesso tempo è connaturata a noi umani, poiché la ricerca della bellezza è un’esigenza dell’anima.