Le emozioni di Andrea

Caro Diario, questa storia qui ha inizio il 30 Novembre a #BTO2016, avevo finito da qualche minuto il mio racconto del #lavorobenfatto e mi si presenta Andrea D’Onofrio, mi dice che insieme ad altri a Giugno organizza a Terracina il Festival delle Emozioni e che avrebbe piacere ad avermi anche lì con le mie storie di lavoro ben fatto. Ci lasciamo con una constatazione – Giugno è lontano – e una promessa – a meno di imprevisti alla terza edizione del Festival delle Emozioni ci saremo pure io e il #lavorobenfatto. Ipse dixit. Con le sue citazioni non sempre politically correct ma assai efficaci mio padre diceva «l’omme cu ‘a parola e o’ voja cu ‘e corna» – l’uomo si contraddistingue dal fatto che onora la parola data e il bue dal fatto che ha le corna – e perciò Venerdì sono partito nonostante prima sia saltato il week end di vacanza che intendevo associare all’evento e poi sia sopraggiunto uno sciopero semi selvaggio dei treni che «’a fernute ‘e mbriacà ‘a grammatica», ha complicato ulteriormente le cose.
Ora devi sapere, amico Diario, che il mercoledì precedente chiedendo per cortesia in chat ad Andrea che trovasse qualcuno che il Sabato di buon’ora mi riportasse a Formia, mi era piaciuto leggere dopo qualche minuto «non si preoccupi, sono un presidente operaio, mi occuperò personalmente di accompagnarla.» E il mio quinto senso e mezzo si è attivato di nuovo quando il Giovedì sera gli ho riscritto per dirgli dello sciopero che mi avrebbe costretto ad arrivare a Formia anche all’andata – invece che a Monte San Biagio come convenuto – e lui mi ha risposto «non c’è problema, la vengo a prendere io.»
Come dici? Che cosa presiede Andrea? Il Consorzio Terracina d’Amare, però adesso non correre, che qui ci arriviamo dopo.

Intorno alle 14:00 di Venerdì sono a Formia, qualche minuto e arriva Andrea, salgo in auto, cominciamo a chiacchierare, propongo di passare al tu, comincio a curiosare nella sua vita e resto molto presto colpito dalla semplicità e dalla sincerità di quest’uomo di 43 anni che parla cercando di non dare un’immagine di sé finta o edulcorata. «Vincenzo – mi dice a un certo punto – non mi sento un vincente in questo mondo, ma un operaio si, uno che mira a far bene il suo lavoro e a condurre in modo saggio la sua vita, nel rispetto di tutto e tutti. Non sono perfetto, ma in me tutti i muscoli vogliono tendere al ben fatto».
Sorrido, sono contento di questo nuovo link, di questo nuovo rapporto umano, mentre Andrea mi racconta del percorso scolastico fatto, dall’asilo fino alla terza media, dalle suore, delle sue difficoltà a stare fermo nel banco e ad applicarsi nello studio, dei genitori che lo educano all’onestà e alle buone maniere «ma sono tutt’altro che opprimenti alla voce studio», dei professori che più che stimolarlo lo tollerano e lo promuovono senza preoccuparsi molto del suo livello di apprendimento, a prescindere, complice probabilmente lo zio prete e la retta che la famiglia paga ogni mese. Poi, con la pagella di metà anno in terza media, quella indicazione che a lui arriva quasi come uno schiaffo: «si consiglia di frequentare una scuola di avviamento al lavoro».
No, Andrea non ci sta, è abituato a reagire alle ingiustizie o comunque alle cose che sente come tali, pensa che non hanno capito niente di lui, ancora adesso colgo un pizzico di rabbia quando mi dice «Vincenzo, sentivo che il loro consiglio era quello di chi non ti era mai stato a sentire e così scelsi di iscrivermi al liceo classico.»

Andrea arriva al liceo negli anni più difficili per la sua famiglia. Il papà, commerciante ambulante di generi alimentari e prodotti per la casa, dopo una vita da mediano, dalle 6:00 alle 22:00 – prendi l’auto all’alba, fai 50 km per arrivare a Cisterna di Latina dove c’è il magazzino, prendi il mezzo attrezzato e vai nei mercati, torna al magazzino, vai dai vari produttori e distributori per rifornirti di merce, carica, torna al magazzino, ordina e carica sui mezzi ambulanti ciò che serve per il giorno dopo -, complici il boom dei supermercati e due gravi incidenti stradali in cui, incolpevole, è coinvolto, il secondo con alcuni morti, decide di assecondare il proprio spirito libero e si mette a fare il pescatore, la passione che coltivava da sempre nei week end con il suo piccolo gozzo.
«Vincenzo, mio padre era un anarchico senza saperlo, un uomo buono che aveva fatto la sua scelta, ma non sapeva bene come si fa a fare il padre anche perché il suo lo aveva perso molto presto, in pratica non lo aveva avuto. In buona sostanza perdiamo sicurezza economica e mia madre, da anni casalinga, riesce a portare avanti la famiglia grazie a tutti i lavori che si mette a fare e a mio nonno che ci aiuta.»

Come se non bastasse, come in tante famiglie per bene anche in quella di Andrea si affaccia il demone della droga, per fortuna la mamma se ne accorge abbastanza presto, anche perché come si legge nelle storie senza lieto fine servono sempre soldi, spariscono gioielli e altre cose vendibili, i litigi diventano sempre più frequenti. A casa D’Onofrio però il lieto fine c’è, la mamma giustamente si dedica anima e corpo alla sua pecorella smarrita, lo accompagna ogni giorno in comunità, e insomma presto le cose si rimettono per il verso giusto.
«Sì Vincenzo, alla fine la battaglia più importante la vinciamo. Anche io in quella situazione avrei potuto trasgredire, avrei potuto fare qualche cavolata, ma mi prende il senso di responsabilità. I problemi erano già tanti, non potevo metterci anche il mio, sarebbe stato troppo anche per mia madre, così rigavo dritto, ricordo che lavoravo anche a  casa, facevo pulizie, aiutavo in tutti i modi possibili.»

Come ti dicevo, caro Diario, mentre tutto questo accade, il Liceo, con Andrea che sconta l’impreparazione che si portava dietro, il fatto di essere arrivato lì senza sapere la differenza tra soggetto e complemento oggetto. Per fortuna incontra professori giovani che capiscono che è una persona buona e che ha tanta voglia di fare. Questa volta le motivazioni ci sono, ma alla fine dell’anno, nonostante i progressi in italiano e in altre materie, in latino e in greco non ce la fa.
«Ricordo che ogni giorno prima di andare a scuola passavo all’edicola per comprare la Repubblica e il Corriere dello Sport, leggevo tutti gli articoli, senza saltarne neppure uno, penso che anche questo mi abbia aiutato con l’italiano. Come ti dicevo per la prima volta mi sentii compreso dai miei insegnanti, pensa che la professoressa di latino e greco non avrebbe voluto bocciarmi e mi chiese se me la sentivo di mettermi a studiare forte durante l’estate. Vuoi sapere cosa le risposi?»
«Certo che lo voglio sapere.»
«Le dissi che per quanto mi dispiacesse un sacco far piangere mia madre conveniva che mi bocciasse, perché io meritavo di ripetere, che altrimenti non ce l’avrei fatta a recuperare le lacune accumulate.»

E così Andrea ripete l’anno, il primo ginnasio bis trascorre senza problemi ma poi al secondo c’è un cambio di professori e gli ricapitano di nuovo quelli della serie «invece di domandarmi chi ho davanti ho già la risposta» e dunque di nuovo un braccio di ferro e seconda bocciatura. Con la bocciatura ancora un cambio di classe e ancora un cambio di professori.
«Questa volta sono fortunato, Vincenzo. Ormai ho capito come funziona e ripetendo – a torto come la seconda volta o a ragione come la prima – tra una cosa e l’altra ho recuperato le basi che mi mancavano. Così dal primo anno di liceo in poi va tutto liscio. Non che siano tutti 8 o 9 ma mi difendo, resto una persona che gli piace stare in giro con gli amici e che non considera la scuola come il primo dei suoi problemi, però insomma arrivo agli esami che mi vedono promosso dopo 7 anni con 42/60esimi. Non era il minimo ed ero lontano dal massimo ma era non male per chi era partito come me. E soprattutto mi ero diplomato al liceo classico, non alla scuola di avviamento. Ah, non ti ho detto che durante l’ultimo anno venni eletto rappresentante di istituto, erano gli anni di Mani pulite, ero l’unico rappresentante a candidarsi con un programma di attività da realizzare.»

Finito il Liceo Andrea si iscrive all’università, Giurisprudenza, alla Sapienza. Non la frequenta mai, non si può permettere di fare troppi viaggi né, tantomeno, di prendere casa a Roma come facevano quasi tutti i suoi compagni. «Mentre studiavo continuavo naturalmente a lavorare, soliti lavori, non mi potevo permettere di fare troppo il difficile, cameriere, barista, gelataio, manovale, ti dico però che in ogni cosa che facevo cercavo di eccellere e mi riusciva spesso di essere apprezzato dai miei datori di lavoro. Non lo facevo per loro, lo facevo per me, mi far star bene fare le cose per bene. Ti posso fare un esempio?»
«Certo che puoi.»
«Quando lavoravo come barman mi piaceva un sacco mettere una fettina di limone nella birra come in quegli anni era di moda, però invece di tagliarla e poi prenderla e infilarla con le mani,  avevo sviluppato una tecnica che con il coltello riuscivo a tagliare il limone e a infilarlo in bottiglia senza usare le mani. Mi devi credere, godevo ogni volta che lo facevo e vedevo negli occhi e nei sorrisi dei clienti il loro apprezzamento.»
«Lo infilavi nel bicchiere, non nella bottiglia.»
«No, no, nella bottiglia, quello della Corona, quella messicana, si usa metterlo sul beccuccio della bottiglia e incastrarlo per mandarlo dentro, questo era il difficile e spesso i barman non attenti questa operazione la facevano prendendo il limone con le mani, talvolta arrivavano a spingerlo nella bottiglia infilando il dito, come puoi immaginare un’operazione non proprio elegante e igienica. Io con un coltello da barman riuscivo a farlo senza toccare niente con le mani e questo mi faceva passare per un genio, anche se in realtà non era così difficile.»

Il primo esame di Andrea all’università è quello di Economia Politica. Lo scritto, poi l’orale alla fine del quale la prof. gli dice che più di 18 non può dargli.
«Vincenzo, in me prevaleva ancora l’approccio minimalista, in pratica mi accontentavo di superare lo scoglio. Del resto, ero stato considerato per così tanto tempo un “cattivo studente” che prendere il minimo non mi sembrava sbagliato. E invece quando dico alla professoressa che per me 18 va bene lei va su tutte le furie, quasi mi insulta, mi dice che non posso accontentarmi di un 18, di fatto mi costringe a rifiutare e a tornare il mese successivo. Anche la seconda volta all’orale capito con lei. Prendo 26, le ricordo che sono quello del 18 del mese prima e lei mi riempie di complimenti. Ti assicuro che il piacere che provai è una delle sensazioni che più mi hanno influenzato positivamente nella vita. Superai poi altri esami, ma nel frattempo avevo iniziato ad avere un lavoro fisso. Passai a Scienze della Comunicazione, ma dopo 8-9 esami quando con mio fratello avviammo l’agenzia di pubblicità dovetti desistere, anche se ho continuato a pagare le tasse per diversi anni con la speranza di riuscire prima o poi a riprendere gli studi.»

È il 2001 quando Andrea inizia il suo viaggio con la Young Communication. Il fratello lavorava nel mondo dei concerti e degli spettacoli come organizzatore, lui sa che deve farsi le ossa, con il computer che qualche anno prima si era fatto regalare dal nonno impara, da autodidatta, a utilizzare diversi software e comincia a viaggiare nel web, che rappresenta una fonte di conoscenza incredibile. La voglia di imparare è tanta, le connessioni con professionisti e fornitori cominciano ad ampliarsi, Andrea vince un bando e arrivano un corso e un piccolo finanziamento da Sviluppo Italia, e si parte.
«Vincenzo, sono passati 16 anni da quando sono partito da zero con i soldi e quasi da zero con le competenze e ti garantisco che non c’è stato forse giorno in cui oltre alle cose da fare io non abbia continuato a studiare, leggere, conoscere, analizzare così come al liceo leggevo ogni giorno tutto il giornale che poi non so neanche bene perché lo facessi. Oggi assisto diverse aziende e imprese, molte delle quali ho l’onore di seguire da molti anni. Con la mia società Tango, fondata nel 2010 dopo che mio fratello ha fatto altre scelte di vita, con i miei colleghi, prima di tutto la mia compagna Pamela De Meo, mi occupo di comunicazione strategica, in poche parole aiutiamo le aziende a organizzarsi per portare il loro prodotto/servizio sul mercato, farlo conoscere, apprezzare positivamente, farlo vendere. Non improvvisiamo, non cerchiamo di fare i tuttologi, mettiamo però in campo le nostre competenze per guidare team di professionisti che possono essere attivati di volta in volta a seconda del progetto (progettisti grafici, copywriter, programmatori, sviluppatori, analisti, fotografi, etc.). Lavoriamo per clienti di settori diversi, dalla cantieristica navale alla grande distribuzione, dalle società di consulenza a quelle finanziare, dal turismo all’agricoltura e anche se non mi sono laureato oggi posso dire di avere competenze e conoscenze che mi permettono di essere considerato un buon professionista da molti clienti e colleghi e non di rado vengo chiamato a tenere corsi di formazione o singole lezioni anche in ambito accademico.
Non mi ritengo un imprenditore di successo, tutt’altro. La mia è una piccola azienda che fa fatica come le altre, che soffre come le altre. Ho però chiaro l’orizzonte, ho chiari gli errori commessi, ho chiaro che la strada da seguire è quella di ricercare sempre un lavoro ben fatto e con questi principi a farmi da bussola da qualche tempo sono certo di andare nella giusta direzione.»

Come dici caro Diario? Andrea è troppo forte? Sono d’accordo, ma non correre, perché non è ancora finita, devo raccontarti ancora del Consorzio Turistico Terracina d’Amare, e del Festival delle Emozioni, anzi, facciamo così, il Consorzio ce lo facciamo raccontare da lui:
«Il Consorzio è nato nel 2011 e opera senza scopo di lucro, con la volontà di mettere insieme gli imprenditori della città per migliorare la qualità dell’offerta turistica. Dal 2013 sono stato eletto presidente. Rappresento probabilmente l’azienda più piccola, ma senza falsa modestia mi sono guadagnato la fiducia dei colleghi con la competenza, la trasparenza, la garanzia di perseguire l’interesse comune, la passione, il fatto di credere nel lavoro in rete come investimento per sé stessi e per la collettività. Sono una persona sincera che crede in quello che dice e penso di riuscire a trasmetterlo.
Il Consorzio aderisce a Unindustria Lazio e anche lì, pur essendo con il nostro piccolo consorzio un outsider rispetto a soggetti come per esempio le Ferrovie dello Stato o le catene internazionali di hotel, hanno apprezzato il nostro lavoro e il nostro approccio e insomma mi hanno eletto vice presidente della sezione Turismo. Sempre con il Consorzio siamo stati promotori a Terracina del Tavolo del Ciclo delle Acque, per promuovere e coordinare a livello di azione amministrativa, iniziative volte a favorire la salvaguardia  dell’ambiente a partire dalle acque di mare e ai corsi fluviali, e del Tavolo del Turismo, organo dell’amministrazione per la concertazione delle strategie di sviluppo turistico. Ci tengo a dirti che il ruolo di coordinatore che svolgo per entrambi i Tavoli è a titolo gratuito. Infine, abbiamo da qualche mese costituito un Consorzio di internazionalizzazione, insieme con altre imprese, denominato Appian Way, per il settore turistico e agroalimentare. Sta muovendo i primi passi, in questa fase sono io che ricopro la carica di presidente.»

Come dici amico mio? Quanto dura la giornata di Andrea? Dura quello che serve, perché come ti ho detto c’è anche il Festival delle Emozioni.
Questa storia qui ha inizio nel 2014 con il preside in pensione di una scuola della città, il professor Giuseppe Musilli, che cerca qualcuno che lo aiuti a realizzare una sua idea, il Festival delle Emozioni per l’appunto, e gli suggeriscono di parlarne con Andrea nella qualità di presidente del Consorzio. Le condizioni affinché Andrea si appassionasse al progetto del prof. Musilli e convincesse il Consorzio a sposarne le finalità c’erano tutte, e così è stato.
«Vincenzo, quella di quest’anno è stata la terza edizione, siamo consapevoli di essere ancora all’inizio, ma la passione che ci guida sta creando una piccola rivoluzione nel nostro territorio. Nel gruppo di lavoro che s’impegna per il festival tutto l’anno ci sono persone fantastiche – il prof. Giuseppe Musilli, Pamela De Meo, Mimmo De Rosa, Rachele Di Vezza – con le quali si discute, ci si confronta, si lavora insieme e già tutto questo ti fa crescere. Ma la cosa davvero bella è che il nostro obiettivo è condividere e moltiplicare le opportunità, insomma di far crescere l’intero territorio. Il Festival non persegue scopo di lucro, il volontariato resta il motore che muove il tutto e anche se il Consorzio e Tango, la mia agenzia, sono due colonne importanti che lo sostengono, ciò che ci spinge è prima di tutto la crescita culturale, l’idea di riuscire a rendere migliore le nostre vite e il tessuto sociale in cui operiamo e viviamo.
Il Festival fin dal suo inizio persegue un modello di progettazione partecipata, invitiamo ogni anno associazioni, scuole, cittadini a realizzarlo assieme a noi, e questo modello ci ha portato ad essere premiati come una delle 18 buone pratiche di eccellenza nell’ambito della progettazione culturale a livello regionale. Quest’anno abbiamo vinto anche un bando regionale per realizzare il festival. Ma i risultati più importanti sono rappresentati dai tanti semi che abbiamo piantato. Alcuni iniziano a germogliare, altri siamo certi che con il calore e con il tempo daranno i loro frutti.
Vedi, io l’altro giorno mi sono commosso a sentire le tue parole, mi hanno generato una emozione fortissima. Guardavo mio cugino che come studente del liceo era in quella sala e ho pensato che lui aveva avuto a 18 anni la possibilità di sentir parlare del #lavorobenfatto, a me è capitata a 43 anni. Ho sperato che ascoltare le tue parole siano per lui e per i ragazzi come lui una fortuna e sono stato contento di pensare che quella fortuna il festival l’aveva favorita. Poi nella sala si è affacciato mio figlio di 4 anni, mi ha visto dietro il tavolo mentre tu parlavi. Chissà se un giorno si ricorderà di te, di sicuro ricorderà le tue parole perché le sente ripetere da me a casa molto spesso. Ecco, per me tutto questo non ha prezzo e per questo investo nel Festival, per questo lo faccio ad occhi chiusi e senza pensare a quanta fatica e soldi mi costa.»
andrea2