Caro Diario, quello che era un pensiero ed è diventato un post sta diventando una serie, ho organizzato una sorta di indice dell’idea, degli sviluppi e della discussione, così è più facile seguire e/o intervenire. Alla prossima.
INDICE
28 Ottobre 2021; 30 Ottobre 2021; 1 Novembre 2021; 2 Novembre 2021
5 Novembre 2021
Caselle in Pittari, 28 Ottobre 2021
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Caro Diario, la mia salute non la vuole smettere di dare fastidio, ma naturalmente non è di questo che ti voglio parlare. Come sai, a Caselle vivo da solo e il mio livello di autosufficienza con i verbi tipo “cucinare” è zero, anzi zero spaccato. In più, in casa il telefono non piglia e non tengo whatsapp, insomma se vuoi comunicare con me puoi usare soltanto la chattarella, quella che per il resto degli umani è Messenger. Per non farla lunga, ecco un po’ delle cose che sono successe in questi due giorni che sono stato costretto a casa:
Giuseppe mi ha portato da mangiare, ha parlato con il medico, mi ha portato le medicine sia la mattina che il pomeriggio, è passato 3 o 4 volte per chiedere come stavo e se avevo bisogno di qualcosa, stamattina prima di andare in giro per lavoro è ripassato, insomma stiamo continuamente in contatto, non come “tutto il calcio minuto per minuto” ma quasi;
Giampiero è venuto ieri per visitarmi e per dirmi come procedere – 99% dovrò tornare in ospedale per fare un piccolo intervento ed eliminare il problema che mi sta creando un sacco di dolore e problemi – è poi è tornato oggi per vedere come stavo, se avevo ancora la febbre, ecc.
Bruno ieri sera mi ha pulito la parte per quello che ha potuto, mi ha medicato e mi ha messo in condizione di dormire in maniera decente dopo più di una settimana, dopo di che oggi è tornato, mi ha rimesso la pomata, mi ha rifatto la medicazione e mi ha confermato che appena la parte si sarà sfiammata bisognerà andare in ospedale e fare quello che si deve fare per bene.
Michele oggi mi ha mandato per pranzo un po’ di riso con i funghi (3 porzioni abbondanti) e un pezzettino di crostata (una fettona di crostata, tre panzerotti dolci e 5 baci con le castagne).
Mario e Graziella hanno telefonato a Cinzia per dirle se avevo bisogno di qualcosa e se mi potevano portare da mangiare, e lo stesso hanno fatto Mirella, Rossella e Mario via chattarella.
Stamattina, quando Riccardo mi ha videochiamato gli ho raccontato un po’ della giornata di ieri, e lui a un certo punto mi ha detto “uà pa’, tra Jepis e la comunità a Cip non te lasciano ‘e pere un secondo”, che tradotto vuol dire “non ti perdono di vista un attimo, si prendono molta cura di te”. In risposta alla sua considerazione ho sorriso, e ho sentito un formicolio nella testa. Più tardi, quando Cinzia mi ha scritto delle telefonate e ha aggiunto “sono troppo belli, stanno tutti preoccupati per te e vogliono mandarti cose”, il formicolio è aumentato. Ancora un paio d’ore e ho pensato che l’amicizia di Jepis è un ammortizzatore sociale, e da lì a “l’amicizia è un ammortizzatore sociale” e “la comunità è un ammortizzatore sociale” il passo è stato breve.
In queste ore ci ho pensato ancora, e il piccolo risultato di tutto questo l’ho racchiuso in questa frase: L’amicizia e la comunità sono un bene pubblico!
Come dici amico Diario? Sì, sì, la conosco la storia di Benjamin Franklin che presta dei soldi a Mister Webb a condizione che la somma elargita, invece di essergli restituita, fosse a propria volta imprestata a una persona in difficoltà, mi piace anche molto, ma la mia idea si muove su assi cartesiani diversi del “pay it forward“.
Guarda, mi faccio aiutare dalla definizione di “bene pubblico” nel dizionario di economia e finanza dell’Enciclopedia Treccani comincia così: “Il bene pubblico è dotato di due caratteristiche: la non rivalità e la non escludibilità. La prima indica la circostanza in cui l’uso di un bene da parte di un agente non incide sulla facoltà di goderne completamente da parte di terzi. La seconda rappresenta invece l’impossibilità di estromettere terzi dal consumo di un determinato bene.”
Adesso capisci meglio cosa intendo caro Diario? Pensare l’amicizia e la comunità come bene pubblico innesca molti processi positivi, te ne dico due, il primo di carattere generale, universale, l’altro di carattere particolare, una sorta di app del concetto generale.
A livello generale, sperando che ce ne rendiamo conto al più presto da soli, gli anni che verranno ci faranno toccare con mano che siamo una sola comunità che condivide un destino comune. Rafforzare il senso di amicizia tra le persone, le comunità, i popoli ci può fare solo bene, da tanti punti di vista.
Educarci all’amicizia e sentirci parte di un’unica comunità, bisogna che facciamo così se vogliamo avere futuro, la Meditazione XVII di John Donne a questo proposito dice tutto: “Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te”.
Vengo così all’aspetto di carattere particolare, mi è venuto alla mente quando mi sono detto “Vincenzo, nelle piccole comunità è più facile, ma nelle grandi città, nelle metropoli, come si fa a “non lasciare ‘e pere” le persone. Si fa.
Io a Secondigliano ho vissuto in un grande condominio, 100 appartamenti, fai una media di 4 persone per famiglia, 400 persone, ma ci sono condomini grandi come Caselle e anche di più, non ne parliamo poi dei posti dove ci sono i grattacieli e cose così.
Ma secondo te è vita vivere sullo stesso pianerottolo senza conoscere quelli che abbiamo di fronte, al piano di sotto o a quello di sopra? Non averli mai invitati a cena e non essere mai stati invitati? Non esserci mai chiesti se potevamo fare qualcosa per loro e se loro potevano fare qualcosa per noi? Certo, non sempre e non dappertutto è così, solo nella stragrande maggioranza dei casi. E se facessimo di ogni palazzo, di ogni condominio, una piccola comunità? Un posto dove le persone si salutano, si danno una mano, si incontrano, mangiano assieme, si sentono comunità?
Come dici caro Diario? Ogni palazzo una piccola Cip? Adesso non sfottere, non è questo, però sì. Un palazzo alla volta facciamo una via, una via alla volta un quartiere, un quartiere alla voltà una città, una città alla volta un mondo.
Post Scriptum
Caro Diario, non ho fatto la scoperta dell’acqua calda perché lo so che è la scoperta dell’acqua calda. Quello che ci metto di più io rispetto a quelli che l’hanno pensato e scritto prima di me, quelli importanti, è l’approccio maccheronico, la concretezza, la possibilità, l’occasione concreta di migliorare la nostra vita con dei cambiamenti che in fondo non sono poi così enormi. In più c’è il fatto che oggi non abbiamo più il tempo che avevano prima, e anche questo cambia, altroché se cambia.
Caselle in Pittari, 30 Ottobre 2021
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Caro Diario, secondo me su questa storia dell’amicizia e della comunità vale la pena tornarci su. Per farlo uso come segnaposto alcuni commenti che sono arrivati e alcune cose che mi sono capitate ieri. Tralascio invece i messaggi pubblici e privati, però dico che anche loro aiutano a stare bene.
Parto dai commenti. Luciano Petrizzo, tra le altre cose, scrive: “Prof., nei piccoli paesi ancora si conserva questo prendersi cura del vicinato o di chi ti vuole bene (o ver’). E certamente in una piccola comunità, dove la vita è meno frenetica, dove ci sono più anziani pronti ad ascoltarti e raccontarti della propria vita, è tutto più facile. È questa la solidarietà, una parola che nei nostri paesi regge l’urto della City!!”. Silva Giromini, dopo avermi preannunciato un suo prossimo intervento sul tema, che naturalmente ti segnalerò, aggiunge: “Ti do solo la partenza: gli amici si vedono nel momento del bisogno.” Monica Manno, dopo aver affermato che ci si potrebbe scrivere una tesi su questo argomento e avermi ricordato che lei con me ne ha fatta già una scrive: “Prof., mi sono totalmente immedesimata nel racconto e trovandomi, mio malgrado, nella posizione diametralmente opposta, la cosa che mi chiedo è: La comunità funziona nei piccoli paesi e/o funziona quando sono gli attori che sono predisposti? Voglio dire: persone genuine, aperte, senza fronzoli e anche, perché no, di ottima compagnia? O forse tra le due cose c’è una correlazione positiva e le due sono condizioni necessarie per la nascita della comunità? I miei genitori sono nati e cresciuti a Secondigliano, e ne coltivano le amicizie (ormai da 3 generazioni) tutt’oggi, intorno ai 70 anni. A me manca molto tutto questo, ho provato a coltivarlo, ma il mio pollice verde funziona come i suoi verbi casalinghi.”
Ecco invece le cose che mi sono capitate. Mentre mi stavo strascicando (la mattina avevo 35.1 di temperatura) in una specie di passeggiata e mi chiedevo come organizzarmi per il pranzo mi chiama Michele Croccia, mi dice che a casa sua c’è la lasagna e aggiunge che lui, Mimma e i ragazzi mi aspettano a pranzo. Continuo a strascicare senza più pensieri e poco prima di pranzo mi presento, Michele arriverà a minuti, Mimma mi dice che la lasagna è già bella e pronta, ci mettiamo a chiacchierare del più e del meno e già mi sento meglio, molto meglio. Grazie alla compagnia di Mimma, e poi di sua cognata, che arriva con il suo piccolo e sorridente bimbo biondo, quando arriva Michele sono quasi una persona normale. Dopo il pranzo – lasagna più una squisita fetta di pizzaiola, con l’aglio, come Dio comanda, e una fetta di crostata – sono un uomo nuovo, ma non solo per il pranzo, per le chiacchiere, per la spensieratezza, per gli inciuci affettuosi, per la socialità. Michele mi accompagna a casa poco proma delle 6 p.m. riesco, faccio un piccolo giro per il paese, chiedo alla signora Graziella se Demetria e Antonio appena nato sono tornati a casa, mi dice di sì e me ne ritorno. All’inizio di via Indipendenza incontro la cara Maria Tramontano con la figlia Catherine e l’amica Maria Ragone, cominciamo a chiacchierare, a un certo punto mi racconta una storia bellissima, accaduta 25 anni prima che io scrivessi il mio piccolo post, in estrema sintesi si è trovata vivere, insieme al marito, ripeto 25 anni fa, in una cittadina alle porte di Roma. Non conosceva nessuno, e le mancavano tanto il resto della famiglia, la comunità, la socialità a cui era abituata. Per niente disposta a sentirsi avoida, senza patria, ha cominciato a fare plumcake, a bussare alle porte dei vicini di piano, a presentarsi e a regalarli come gesto d’amicizia, poi ogni volta che stava affacciata al balcone salutava le persone intorno, chiedeva come stavano, da balcone a balcone, le incontrava giù al palazzo o nei negozi, insomma dopo alcuni mesi era amica non dico di tutti ma di tanti, mi sono commosso quando mi ha detto della signora che ha cominciato a fare con il filo la cuffietta per la bimba, Catherine, che doveva nascere, e da lì la maglietta, il golfino, la gonnellina, un intero corredo. Se non me ne fossi dovuto andare per prendere l’antibiotico sarei stato ad ascoltarla tutta la notte, perché adesso lo so che con il mio maldestro riassunto non si commuove nessuno, ma io che tutto questo l’ho ascoltato da Maria a un certo punto ho pianto, per fortuna che la mascherina e il buio mi hanno protetto, altrimenti non era certo il massimo.
La storia raccontata da Maria secondo me dà anche una possibile risposta alle domande di Monica Manno, per me funziona proprio come suggerisce anche lei, è un mix di ambiente e di approccio personale, però l’approccio personale è determinante. Ce lo siamo detti anche stamattina con Annalena, con la quale abbiamo chiacchierato di smart working, di ritmi delle città, della differenza che si percepisce – ha detto a un certo punto Annalena – tra Napoli e Cip (sì, lei è una giovane napoletana), e se c’è differenza tra Napoli e Cip tu immagina tra Milano e Cip, tra Bruxelles e Cip, tra Las Vegas e Cip.
Prima di finire mi resta da dire cosa ho pensato io grazie a Luciano, Silva, Monica, Michele, Maria, Annalena e anche cosa ho imparato da loro, lo dico per punti, che è il modo più breve che ho per esprimermi:
1. Ho sbagliato a dire che si può fare, si fa già da sempre, l’amicizia e la comunità sono da sempre due parole chiave della nostra vita.
2. Quella che prima era una possibilità oggi è diventata una necessità, di fronte alle sfide che abbiamo davanti – ambiente, fame nel mondo, virus, altro – la risposta individuale o della piccola comunità non basta più. Secondo me, Napoli, Roma, Milano, Parigi, Berlino, Londra, New York, Dubai, Pechino e compagnia bella prima lo capiscono che bisogna ridare valore all’amicizia e alla comunità, ripensare la politica, l’economia, la società a partire da questi valori, e meglio è. Dal piccolo al grande, e viceversa, anzi dal piccolissimo al grandissimo, e viceversa.
Come dici amico Diario? Sembro un matto? Non lo so, ma nel caso lo sembro, non lo sono. Il Pil è un numero, la felicità una condizione e il futuro una possibilità, non più una certezza. A meno che non vogliamo accontentarci di Meta, dove il signor Facebook ci farà rifugiare per vivere esperienze sempre più strabilianti per noi e più remunerative per lui.
3. Questa storia di vivere solo per fare soldi, per accumulare sempre più ricchezza mi ha sempre fatto ridere. No, no e no, non sono matto, anche qui scopro solo l’acqua calda. Non so se conosci questa frase di Toro Seduto: Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche. Ci siamo molto vicini. E sai come si dice a Napoli? ‘O tavuto nun tene sacche, la bara non ha tasche, non ti porti niente appresso una volta che sei morto. La cosa impressionante è che non se non sono accorti i faraoni, né gli imperatori, né i signor facebook.
Naturalmente la discussione resta aperta.
Caselle in Pittari, 1 Novembre 2021
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Caro Diario, pare che scoprire l’acqua calda piaccia, nei giorni scorsi sono arrivate Laura Ressa e Silva Giromini.
Questo il commento di Laura, postato sui social: Altro che metaverso, Cip per me rappresenta il multiverso: la dimensione parallela in cui tutto il bello, se lo pensi, è possibile. Non tanto un paradiso terrestre ma una bellissima possibilità. Di posti come Cip ce ne sono, ma secondo me pochi ancora per quella rivoluzione che aspetto con ansia. Una volta questo spirito di comunità che hai descritto lo respiravo nel condominio di mia nonna, dove non mancavano mai la porta aperta, l’aiuto reciproco e una mano tesa per sorreggerti. Sull’ultima scala prima del terrazzo ricordo una fila interminabile di piante e un’altra pianta rampicante che incorniciava la porta della casa di nonna. Prendendo esempio dal mondo delle piante, agendo un passo alla volta, un seme alla volta, credo che potremmo arrivare ad estendere le radici buone un po’ ovunque. Perché, come dicono gli esperti, la terra prima o poi si riprende tutto ciò che le è stato sottratto. Allo stesso modo la bellezza e le comunità prima o poi si riprenderanno ciò che di bello la società del denaro ha portato via.
Silva ha scritto invece un pensiero più lungo, ti suggerisco di leggerlo cliccando qui. Per incuriosirti ti anticipo il primo e l’ultimo pensiero del suo scritto: “Scriverò per frasi fatte, che se si chiamano così, per me è perché qualcuno le ha fatte, e sono diventate patrimonio comune; ma cercherò di scavare nel significato profondo che hanno per il singolo e nella comunità.”; “C’è molto lavoro da fare, anche nelle piccole comunità.”.
Ecco, per oggi è tutto, io torno domani, che oggi ho parlato con Nicola Calabrò e ho scoperto che …
Caselle in Pittari, 2 Novembre 2021
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Eccomi come promesso caro Diario. Ieri mattina, sono andato a fare un po’ di spesa da Mirella e Bruno e ho incrociato il figlio Nicola con la moglie nnamaria e la piccola Margherita.
Nicola mi ha preso un po’ in giro, con i Calabrò è così, mente sveglia e lingua affilata, lo sfottò è obbligatorio, e poi abbiamo cominciato a chiacchierare.
Per la verità è stato Bruno, il Calabrò padre, ad accennare a una memorabile bottiglia di Barbera che si era bevuto la sera precedente, o due sere prima, adesso non ricordo, e da lì Nicola mi ha detto che erano stati in Toscana, in Germania, a Milano e poi in Piemonte, “ci allunghiamo ogni tanto anche là, abbiamo degli ottimi amici – clienti.” “Anche loro Casellesi, immagino”, ho chiesto, “all’origine sì, adesso il giro si è un po’ allargato, devo dire che questi nostri amici clienti ci danno una bella mano, quando arriviamo invitano loro amici, a volte comprano non solo per loro ma anche per altre persone di cui in precedenza hanno preso gli ordinativi, bravissime persone insomma”.
Come avrai già capito Nicola Calbrò vende prodotti alimentari di qualità del Cilento e del Vallo Di Diano alle comunità casellesi in Italia e in Germania.
“Nicola, ma tu quando parti hai già gli ordini?”, gli ho chiesto ha questo punto. Sì, certo, è il lavoro prezioso che fa Annamaria, lei organizza gli ordini e mi organizza i viaggi, più del 90% delle cose che porto sono già vendute, è un grande miglioramento del mio lavoro.”
“Insomma ormai più che un venditore sei un corriere …”, “ahahahahh, sì, possiamo dire pure così, in realtà negli anni si è costruita una rete di fiducia non solo professionale con le persone, alcuni di quelli che acquistano i nostri prodotti ci invitano a cena a casa loro, a volte dormiamo a casa di amici, altre volte ci ospitano nei loro alberghi o BeB, anche questo ultimo viaggio in Piemonte è stato bellissimo, abbiamo mangiato con loro, bevuto un ottimo Barbera, dormito da loro e la mattina presto siamo ripartiti. Naturalmente costruisci questo tipo di relazioni solo se sei serio, affidabile, rispettoso delle persone con cui hai a che fare.”. “Prof.”, ha concluso Bruno, “tu immagina di stare seduto in una cantina con un bicchiere di Barbera e la vista di una vigna a perdita d’occhio, mi spiego?”. “Ti spieghi Bruno, ti spieghi”.
Come dici amico Diario? Esatto! Il lavoro di Nicola aggiunge un tassello molto importante ai nostri ragionamenti sul valore dell’amicizia, della fiducia e della comunità, sul suo valore anche dal punto di vista economico e organizzativo. E affinché tu non pensi che tutto questo accade soltanto nel magico mondo di Cip, che in realtà non ha niente di magico, ti ricordo i principi della organizzazione rete e il pensiero di William Ouchi e la sua teoria del clan in Giappone, che come sai è un approccio organizzativo e non ha niente a che vedere con le mafie. Alla prossima.
Bacoli, 5 Novembre 2021
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Caro Diario, oggi un post di Luigi Maiello e un podcast di Shaquille O’Neal mi hanno suggerito la necessità di fare un recap come si dice oggi, di ripensarci su, come piace dire a me, di ritornare al lavoro ben fatto, al muro maestro, quello che regge l’intera casa dell’amicizia e della comunità.
Ecco il post di Luigi:
“FARE LE COSE BENE CONVIENE”.
Ci ho ripensato ieri, mentre ero alle prese con uno degli step meno creativi e più “antipatici” di un progetto molto ampio.
“Fare le cose bene conviene”, dicevo.
E no, non è una frase fatta, né un concetto ideale.
Conviene per tanti motivi. Non a caso è uno dei punti del “Manifesto del Lavoro Ben Fatto” del sociologo, amico (e tante altre cose) Vincenzo Moretti.
Da quello che ho imparato finora, fare le cose bene:
Ti fa risparmiare tempo: perché eviti di tornare su qualcosa che hai già fatto, per correggere errori, imprecisioni, mancanze;
Dà più valore a ciò che fai: se ti impegni per fare le cose al meglio, gli altri se ne accorgono, così come si rendono conto quando sei superficiale o svogliato;
É un investimento per il futuro: tutti noi veniamo valutati in base a ciò che facciamo e a come lo facciamo. Anche se si tratta di un singolo progetto, bisogna lavorare al meglio per lasciare una buona impressione e creare un terreno fertile anche per collaborazioni future. Non dobbiamo dimenticare che le organizzazioni non sono realtà astratte, ma sistemi composti da persone, che decidono anche a chi affidare il prossimo lavoro.
Chiudo con una riflessione: nella vita nulla è dovuto, ma l’impegno paga sempre, nello studio come nel lavoro, nelle relazioni come nelle passioni.
Qui invece puoi ascoltare il podcast di Shaq, è tutto molto bello ma ti segnalo in particolare la parte in cui dice che i figli si arrabbiano quando dice loro “noi non siamo ricchi, io sono ricco”, aggiungendo che non darà loro un dollaro se non se lo guadagnano, se non studiano, se non fanno qualcosa di buono nella vita, se non hanno un progetto.
nbsp;
Fare bene le cose conviene, ci ricorda Luigi prima di arrivare alla sua riflessione sul valore dell’impegno, e ancora di impegno parla Shaq, i soldi vengono dopo e bisogna guadagnarseli con la propria testa, con le proprie mani e con il proprio cuore, come vedi ritorniamo sempre lì. Ecco, per oggi mi sembra tutto, alla prossima.