I formaggi di Angela, 300 pecore, 20 capre e l’omega 3

Caselle in Pittari, 17 Agosto 2021
Caro Diario, da quando sto qui a #Cip mi capita spesso di parlare della nostra amica Angela, in particolar modo con Michele Croccia ma anche con Mario di Zì Filomena e con altri amici.
Oggi su una pagina social di Slow Food Italia ho trovato un post e una foto, te li metto qui nell’ordine:

PREMIO INTITOLATO AD AGITU IDEO GUDETA
Angela Saba, produttrice del Presidio del pecorino a latte crudo della Maremma (Toscana).
Perché rappresenta un esempio e un punto di riferimento per tutti coloro che vogliono intraprendere la strada, bella e difficile, dell’allevamento e della produzione di formaggio. Una strada particolarmente difficile per le donne e per chi vuole produrre cibi sani, buoni e in armonia con la terra.
Il padre di Angela è un pastore sardo, la mamma è abruzzese. Lei cresce in Maremma, dove i genitori – arrivati dal Logoduro – con tanta fatica trovano un’azienda da rilevare. Angela cresce in azienda fin da piccola e, nonostante l’opposizione del padre, studia Scienze Agrarie a Pisa e prende in mano la fattoria assieme al fratello. Oggi si prende cura di 300 pecore e 20 capre, seleziona con attenzione foraggi e pascoli, evita qualsiasi prodotto possa far male agli animali o alla terra. Lavora solo a latte crudo e senza l’aiuto di fermenti chimici, combatte per i diritti dei pastori e produce straordinari pecorini.

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Sono stato contento assai amico Diario, sono stato contento come sono contento ogni volta che leggo di lei, del suo meraviglioso lavoro ben fatto, del modo in cui sta sul punto ogni giorno, tutti i giorni, che non è facile.
Ne è passato di tempo da quando il padre tuonava “Aiò, non fatemi risalire, su” e bisognava scendere al buio e al freddo a guardare il gregge e a mungere, ma lei è rimasta sempre lei, è un privilegio aver pubblicato la sua storia qui e io sono davvero onorato di essere suo amico. Niente, in questi 5 anni potevo tornare a parlarti tante volte di Angela ma ho pensato sempre che la sua storia è così bella che non c’era bisogno di aggiungere altro; questa volta no, questa volta non potevo fare a meno di dirtelo. Alla prossima.

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Maremma Toscana, 8 Luglio 2016
Caro Diario, questa storia qui è della serie «’O fridd ‘ncuollo», il freddo addosso, la pelle d’oca. Angela se l’è scritta da sola, ma tu leggila, e poi vedi se non mi dai ragione.

«Forza, forza, sono le tre passate! Aiò, non fatemi risalire, su: così tuonava mio padre la mattina presto. Era buio e freddo, ma non c’erano storie: o ti alzavi o ti alzavi, meglio il sonno che lui!
Sin da piccola con mio fratello e mia sorella maggiore abbiamo munto le pecore mattina e sera, a mano, con grande fatica e amarezza nel cuore, perché senza nemmeno aver finito le elementari dovevamo star dietro al bestiame, guardare il gregge, mungere, andare nei campi per caricare il fieno e la paglia da portare al coperto, abbeverare gli animali trasportando bidoni pieni d’acqua a mano e mille e mille altri lavori che vissuti da bambino sono incredibilmente pesanti e ti lasciano il segno nel fisico e nella mente, per tutta la vita. Non c’erano pause, giochi o uscite, solo lavoro e pianti; l’unica cosa bella le carezze della mia mamma.
Ho voluto iniziare il mio racconto di lavoro ben fatto così perché questa è stata la mia vita fino a 20 anni e poco più: grandi, enormi sacrifici fatti per poi decidere di scappare verso la libertà, verso l’Università, verso quella vita che mi ha permesso di amare me stessa e l’ambiente dalla quale provengo, la campagna.
 Ma andiamo con ordine.
Circa 50 anni fa mio padre, sardo d’origine e di carattere, decide di lasciare la Sardegna dove faceva il pastore per raggiungere uno dei fratelli in Toscana e lavorare con lui. Voleva cambiar vita: niente più pecore, niente più vacche e cavalli o colline pietrose. Ma non è mica un sardo qualunque lui, orgoglioso e testardo com’è mai e poi mai avrebbe accettato ordini da qualcuno, tant’è che nel giro di pochi anni oltre a un discreto numero di figli mette su nuovamente un bel numero di animali, pecore, maiali, vacche, polli, insomma una fattoria a tutto tondo, con mia madre e noi piccoli ad aiutarlo nella conduzione o forse – è il caso di dirlo – come forza lavoro.
Un po’ alla volta spariscono varie tipologie di animali allevati, sono troppi e comportano troppo lavoro; prima le vacche, poi i maiali e le galline e i polli, alla fine rimangono solo le pecore, tante, da latte e di razza sarda.
Lavoro, scuola e lavoro, le nostre giornate sono scandite così, levata la mattina alle tre e letto la sera tardi dopo i compiti. Dopo la mungitura mattutina, c’è da correre a scuola, poi i lavori del pomeriggio e la sera dopo cena ancora non è finita. 
Eppure, tra una dormita e l’altra sui banchi di scuola, prima arriva la maturità delle scuole superiori – una ragioniera poco ragionevole – e poi, dopo lotte durissime che mi portano a «scappare» di casa, l’Università, la mia fantastica Facoltà di Agraria a Pisa.
Non intendo dilungarmi sulle grandi difficoltà affrontate per studiare e mantenersi senza l’aiuto della famiglia, preferisco raccontare come da un certo punto in poi l’amore per la mia terra e il mio lavoro di pastora mi abbiano riportato letteralmente all’ovile con un apertura mentale diversa e uno spirito imprenditoriale che mai avrei pensato di avere.
 Durante gli studi Universitari tornavo spesso – oltre che a trovare la mia splendida mamma – ad aiutare mio padre e mio fratello in azienda e quell’amaro e quel rancore per una gioventù mancata piano piano si affievolivano. L’amore per gli animali, per i prati, il verde intenso dei pascoli, l’erba fresca profumata appena falciata, l’aria che sa di fiori e di letame, una pecora che partorisce tra le tue mani, l’amore per la stalla, la sfida con se stessi per far sempre meglio e di più, l’orgoglio di fare le analisi del latte all’Università e scoprire di avere in mano qualcosa di superlativo, gli anni che passano frenetici e alla fine scopri che quel senso di oppressione sta lasciando spazio all’entusiasmo.
Nel 2004 mio padre muore, così, senza darci il tempo di godere della sua trasformazione, quella stessa trasformazione che rende docili tutti gli anziani bisognosi e così io e mio fratello decidiamo di prendere in mano l’azienda in accordo con le altre sorelle che ormai hanno preso strade e vite diverse, lontane dall’azienda di famiglia. 
Facciamo società e nasce l’azienda Saba di Saba Antonio e Saba Angela. Introduciamo da subito macchinari che possano facilitarci nel lavoro, mungitura meccanica, un sala mungitura con annessa sala refrigerazione, ampliamento della stalla con miglioramento del ricovero animali. Riduciamo il gregge affinché possa essere meglio controllato e gestito e da lì in poi partiamo con la nuova sfida.
 Grazie alla collaborazione con l’Università, alle amicizie e ai rapporti mantenuti anche negli anni dopo gli studi, prende vita un progetto straordinario: siamo nel 2006, le analisi del latte del nostro gregge sono straordinarie, pascoli naturali, lavorazioni agronomiche particolari e semine di cultivar foraggere a nostro giudizio ottime funzionano! Mi viene proposta una sperimentazione quanto mai strana: dare il lino in alimentazione al gregge per ottenere un latte ricco di acidi grassi polinsaturi, omega 3. Scettica ma pronta alla ennesima sfida convinco mio fratello e da lì il mondo inizia a girare molto più velocemente.
Correre, correre, correre. Passare dalla mungitura alla mangiatoia volando per evitare che una pecora mangi la razione dell’altra; pesatura, prelievo del sangue e via, prossimo gruppo, trattato e controllo, quella mangia vorace, l’altra non ne vuol sapere, separiamole; le gialle, le rosse, cambia colore, cambia spray, mungi il latte delle trattate, separato dall’altro, misuriamo l’incremento giornaliero. Una vita frenetica che ci ha accompagnati per qualche mese e poi il formaggio ottenuto con quel latte straordinario spedito al Brotzu di Cagliari per essere somministrato a pazienti affetti da varie patologie cardiovascolari ma soprattutto colesterolemia elevata. Sì, il progetto consiste nel ricavare da un latte così particolare un pecorino altrettanto particolare che dia a tutti la gioia di ricominciare a mangiare il formaggio senza il terrore del colesterolo che sale: grassi buoni, grassi omega 3 ed omega 6, le HDL (lipoproteine ad alta densità, comunemente definite colesterolo buono) salgono e le LDL (lipoproteine a bassa densità, comunemente definite colesterolo cattivo) scendono, un ascensore della salute mangiando semplicemente un pecorino.
E noi? E noi tre lunghissimi anni di attese, di prove, di produzioni e spedizioni di prodotto, con la risposta che non arriva mai. Nel frattempo creiamo il nostro piccolo laboratorio, un vecchio magazzino usato come granaio vede la luce, grazie a un mutuo viene dotato di polivalente, cella e varie altre attrezzature e diventa di fatto la mia prima casa. 
Io che non mangio carne d’agnello e che non ho mai voluto mangiare pecorino, forse ne avevo mangiato troppo da piccola, mi ritrovo grazie all’insegnamento di mia mamma a fare il formaggio, imparo velocemente e mi appassiono, latte crudo senza fermenti e senza alcun tipo di trattamento termico, proprio come lo si faceva una volta, come mio padre aveva insegnato a mia madre, lui che tagliava la cagliata nel paiolo, ne metteva un po’ nella mano, la strizzava e me la dava da mangiare ancora calda e grondante di siero ed io ero contenta. 
Un procedimento rischioso per il prodotto finale, ma la fortuna del principiante e una materia prima incredibilmente pura mi hanno dato e continuano a darmi una grossa mano.
Ma non di solo cacio è fatto il mio mondo, in quegli stessi anni lotto come una pazza – dopo aver subito tanti attacchi da predatori al gregge – per far si che qualcuno si accorga di noi, di noi pastori intendo. Vado in giro per la Toscana a raccogliere firme per riportare in essere la direttiva habitat, cioè deroghe che consentano l’abbattimento di predatori se in esubero. Conosco tutti gli allevatori possibili e immaginabili e con una voglia pazza di riportare a livelli dignitosi il mio mondo, partecipo alle trattative regionali per il prezzo del latte ovino, prima con il sindacato agricolo poi a titolo personale, semplicemente come pastore e imprenditrice agricola. Una vera e propria rompiscatole, una Giovanna D’Arco dei pastori. Arriva Marzo 2009 e con esso una telefonata che mai scorderò: «Angela reggiti forte, ci siamo. Il tuo pecorino non solo non ha alzato il colesterolo ad alcun paziente, ma addirittura lo ha abbassato fino al 15%. E’ una cosa straordinaria!». 
Mi metto a piangere, chiamo mio fratello e mia mamma e dò la buona novella; possiamo partire, possiamo finalmente dire alla gente di cosa siamo stati capaci e cosa stanno acquistando. 
Etichette, brochure, sito per farci conoscere, ma non ce n’è bisogno, perché poco dopo la telefonata succede di tutto: un comunicato stampa che parla di noi e di questo grande risultato poi ripreso dal Corriere della Sera fa il giro del mondo, un incredibile bagno mediatico a cui certamente non ero abituata. Rai Uno con Uno mattina, TG1, Terra e Sapori, Linea Verde, Tv locali con trasmissioni sulla salute e via e via, non c’era giorno senza intervista e il mio punto vendita sempre pieno, tutti che vogliono il formaggio «miracoloso». Ovviamente impossibile soddisfare le richieste con così poco prodotto. 
Nascono negli anni successivi altri progetti – sempre con L’Università come partner – e con la partecipazione del mio Comune e di altre figure del territorio cerchiamo di creare un paniere di prodotti, carne e formaggi superiori da un punto di vista nutraceutico (studio di alimenti che si pensa possano avere un impatto benefico sulla salute umana, vedi progetto Carpeinnova) e anche questo volta riusciamo nell’intento, sempre con la massima trasparenza ed etica lavorativa. 
E’ normale che in queste situazioni se ti lasci prendere dalla smania del successo il rischio è di fare il passo più lungo della gamba, ma fortunatamente la vita mi ha insegnato che la misura è la saggezza di noi piccoli e così sono rimasta, ad oggi, con un piccolo gregge di circa 300 capi, allevato nel massimo rispetto dei tempi dettati dalla natura, nutrito con pascoli naturali e integrazioni di semi di lino per mantenere la giusta percentuale di acidi grassi polinsaturi, una quindicina di capre che mi garantiscono un minimo quantitativo di formaggio caprino  per coloro che sono intolleranti al lattosio e una scelta di pecorini “omega3” abbastanza basilare, il tutto fatto in maniera totalmente artigianale e totalmente innovativa, perché mai come nella mia azienda tradizione ed innovazione camminano di pari passo. Mio fratello si occupa dei campi e della loro coltivazione, insieme gestiamo il gregge, e io mi occupo della trasformazione del latte in quello che è il mio amato formaggio, degli obblighi sanitari e amministrativi dell’azienda e infine della vendita del prodotto. Con i clienti si è instaurato un rapporto di estrema fiducia, felici che il loro colesterolo non aumenta anzi cala e felici di mangiare un formaggio  – come loro stessi dicono – «vero».
 A oggi ricopro diversi ruoli in ambito agricolo, sono Presidente Regionale del settore ovicaprino di Confagricoltura, sono membro del CIF (Comitato Imprenditoria Femminile) alla Camera di Commercio di Grosseto, lavoro in vari progetti volti alla valorizzazione del territorio e dedico totalmente la mia vita a quella che è l’attività che mi dà in assoluto più soddisfazione: la pastora casara. Adoro il sorriso della gente quando mi saluta e mi stringe la mano con stima; non ho fatto grandi cose, ma le ho fatte e continuerò a farle con amore e passione, perché non saprei vivere altrimenti.»

saba99
Aggiornamento del 1 Settembre 2017

Caro Diario, nel corso di quest’anno e un po’ sono stato tentato più volte di ritornare, perché nel mondo di Angela accadono tante cose che meritano di essere raccontate, però poi voi per una ragione, vuoi per un’altra ho lasciato perdere. Questa volta no, questa volta dopo aver letto quello che ha scritto Angela almeno una cosa te lo devo dire, e cioè che sono felice di essere suo amico e di averla raccontata?
Come dici? Se lo dico anche a te cosa ha scritto forse è meglio? Hai ragione, ecco qui:
«Sono terribilmente dispiaciuta per tutti coloro che vengono a comprare il formaggio e trovano chiuso, o la scritta si accettano solo prenotazioni. Dato che molti si arrabbiano e si chiedono come sia possibile chiarisco per l’ennesima volta: a parte il prodotto messo da parte per la manifestazione del Cheese a Bra e quello prenotato dai clienti non ho altro. Avrei tanto piacere di poter lavorare tutto l’anno il latte e vendere, ma ciò non è possibile. Le pecore sono in fase di asciutta, si preparano per i nuovi partì e non hanno latte, è fisiologico, è naturale per loro e per noi che le rispettiamo. Non c’è pascolo e quindi anche il poco latte residuo per chi destagionalizza è di scarso valore qualitativo se fatto con altri alimenti.
Forzare gli animali a produrre in questi periodi non è etico ed è innaturale, quindi non prendiamoci in giro, rispettiamo noi stessi e il consumatore, i freschi e la ricotta torneranno in autunno inoltrato, salvo rare eccezioni. Per favore, onestà chiama onestà, è come pensare di mangiare le ciliegie locali a febbraio. Non si può.»
Hai ragione Angela, non si può. Grande!
angelasabaNota a margine
Questa storia, ovviamente senza l’aggiornamento, l’ho pubblicata la prima volta – in un allegato formato .pdf – insieme ad altre nell’ambito di un’idea progetto che insieme a Robi Veltroni abbiamo chiamato senza troppa fantasia ma con buona accuratezza «La Maremma del #lavorobenfatto». Rileggendole, ho pensate che queste storie sono così belle che meritano di essere riproposte una alla volta, con calma, proprio come si fa nel mondo degli atomi con i libri di successo quando vengono ristampati.
Da quando l’idea – progetto è stata presentata nel corso di Join Maremma Online 2016 altre lampadine si sono accese e altre connessioni si sono create, cosicché il racconto della Maremma del #lavorobenfatto continua, continua, continua. Lo posso dire? A me tutto questo «mi» piace. Un sacco mi piace.

La Maremma del lavoro ben fatto
Robi e la Maremma del #lavorobenfatto
La Maremma del #lavorobenfatto
Fabrizio, nonno Foschino e nonno Foscone
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Alessandro, l’archeologia sperimentale e la Natività di Betlemme
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