L’INCONTRO | 23 MAGGIO 2024
Cara Irene, magari prima o poi diventa un format, intanto questa cosa di annunziare la storia che verrà comincia a piacermi un sacco. Alla fine bastano poche righe, qualche foto rubata, e lo schizzo può prendere forma, incuriosire, fare da segnaposto, da preludio all’incontro e al racconto. Ieri è accaduto a Pisciotta, con Benedetta G. Caputo e La Bottega dell’Occhio, preparati il caffè e mettiti seduta comoda, così ti racconto.
Spesso tocca a me questa parte, questa volta è stata Cinzia la prima a farci caso. “L’occhio sulla porta è come se mi avesse chiamato”, mi ha detto dopo. Luca era quasi arrivato alla macchina quando gli ho fatto segno di venire, che valeva la pena. La bottega di Benedetta dice un mondo, è un racconto fatto di bellezza, di dolcezza, di occhi che sorridono sinceri, di approccio artigiano, di ricerca, di sostenibilità e unicità, di valore della durata e del tempo, di mobili realizzati dal padre, di occhiali fatti con le mani, con la testa e con il cuore.
Mentre parliamo, Cinzia misura un paio di occhiali e poi un altro e un altro ancora. Il primo a me piace molto, lei sembra presa dai suoi soliti dubbi, il naso, gli spigoli del viso e altre cose così, però il giudizio di Benedetta sembra rassicurarla, solo che quando ne approfitto per insistere la ragazza dice che quello è un prototipo, che ha qualche difetto, che però li può fare, che Cinzia può scegliere il colore e le tonalità della montatura e delle lenti, ma io non mi arrendo.
“Le imperfezioni sono aspetti dell’unicità”, le dico, “io per la verità i prototipi non li vendo”, risponde dolce, “però oggi è il compleanno di Cinzia”, aggiungo, e nei suoi occhi colgo un attimo di cedimento, ma contro una donna è difficile vincere, contro due è impossibile, Cinzia ha piacere di scegliere tutto quello che può scegliere e di ritornare, e va bene così.
Parlano tra loro, Luca si guarda in giro e ogni tanto Cinzia mi chiede un parere a cui rispondo distratto, sono impegnato a ripetere come in un gioco, in una litania?, che a me piace il prototipo. Quando questa parte finisce dico a Benedetta che, se ha piacere, quando veniamo a ritirare gli occhiali vorrei che mi raccontasse la sua storia. Questa volta non mi dice di no, anzi è contenta, e rimaniamo così.
Prima di salutarci la ragazza chiede a Cinzia di dare un nome agli occhiali, lei si imbarazza, Benedetta propone di chiamarli come lei, Cinzia. Il passo successivo è il nome da dare al materiale con lo specifico colore e le specifiche tonalità con cui realizzarà la montatura, stavolta Benedetta chiede a me, propongo Miseno, viene approvato. Siamo alla stretta di mano quando i miei occhi si focalizzano su alcuni oggetti sullo scaffale alle spalle di Benedetta; uno di questo è un corno di capra, Cinzia durante il nostro giro ne aveva comprato uno da regalare ai nostri amici bacolesi che ieri sera hanno inaugurato Verd e Acqua, comincio a fare cento domande, con gentilezza e generosità Benedetta me lo regala, è troppo bello, lo vedi nella foto.
Ecco cara Irene, direi che per ora è tutto, spero di averti incuriosita abbastanza, ritorno appena sono pronto con la storia di Benedetta.
LA STORIA | 7 LUGLIO 2024
Cara Irene in questo fine settimana siamo tornati a Pisciotta da Benedetta, gli occhiali Cinzia – Miseno erano pronti da un po’ in bottega e pure la storia della nostra amica nella testa mia.
Gli occhiali sono una favola, le foto non gli rendono giustizia, però confido nella storia, spero che almeno quella sia all’altezza dell’opera di Benedetta.
Piacere, mi presento
Cominciamo a parlare di lei, delle cose che ama e di quelle che invece no, a volte la interrompo quando non dovrei, mi capita di più quando mi faccio prendere dall’entusiasmo, ma alla fine siamo umani perché sbagliamo, spero di non aver fatto danni esagerati.
“Vincenzo ho 32 anni, ad Ottobre però, per adesso ancora no.
Mi sono diplomata al liceo scientifico e poi laureata in ottica con specializzazione in optometria, dopo di che ho frequentato un politecnico di design, un politecnico dell’occhiale, un ITS che ti forma tecnicamente, dove ho imparato la progettazione e la realizzazione dell’occhiale.
La bellezza mi piace
Mi piacciono tante cose, nel senso che cerco di cogliere la bellezza nei mondi che ho intorno, sostanzialmente sono un’osservatrice. Mi soffermo molto a guardare, a osservare, a cercare di cogliere la bellezza in tutti i suoi aspetti, in qualsiasi cosa che mi circonda e che vivo durante la giornata: un oggetto, un tramonto, un paesaggio, una persona.
Direi che per lo più sono incline alla bellezza, sono una persona molto attenta che trova la bellezza ovunque. Potrebbe sembrare un’affermazione banale però è questo.
Ricerco la bellezza in ogni cosa, in un gesto, nelle persone, in qualunque persona, anche se la trovo principalmente nei bambini, trovo che siano molto spontanei, a volte li preferisco come amici.
Mi piace un sacco avere a che fare con i bambini, mi circondo spesso di loro anche a livello lavorativo, qua in negozio.
Questa mia bottega è frequentata da bambini, insieme abbiamo disegnato anche una collezione di occhiali. Nei bambini c’è semplicità e penso che la bellezza sia anche, forse soprattutto, semplicità.
Ciò che più mi avvicina e che mi educa alla bellezza forse è l’arte, in particolare nel periodo che ho vissuto a Milano ho frequentato molto i musei, ho scoperto molti artisti, ho iniziato a studiare la storia dell’arte.
Sono stata 4 anni a Milano, è stata una grande scuola, mi ha insegnato tanto, ho vissuto appieno la città.
Avevo appena preso la laurea quando ho iniziato a lavorare in un negozio di ottica, da Salmoiraghi Viganò, è un’esperienza che rifarei, perché mi ha insegnato molto e perché mi ha dato la possibilità di sbagliare non a spese mie, che è un bel vantaggio. Naturalmente ho cercato di sbagliare poco, però gli errori li ho fatti, questo mi ha insegnato tanto, è stata una scuola formativa, mi ha dato la possibilità di formarmi sul campo, insomma una bellissima esperienza che però poi ho abbandonato perché sono tornata nel negozio di famiglia, abbiamo un negozio di ottica più o meno dagli anni ’60, io sono la terza generazione di ottico, come puoi immaginare avevo un forte richiamo.
Mia madre e zio Gerardo
Prima di me è mia madre che fa questo lavoro e poi una persona per me molto cara, lo definirei nonno anche se in realtà non lo era, non abbiamo avuto un legame di sangue ma è come se lo avessimo avuto. Se sono quella che sono lo devo anche a lui, si chiamava Gerardo Bruzzese.
Bergamasco come la moglie, però di origine cilentana, erano tornati qui e mia madre ha iniziato a lavorare come donna delle pulizie nel loro negozio. C’è rimasta per 16 anni e con il tempo è diventata quasi come una figlia e a un certo punto ha preso l’abilitazione come ottico.
Mia madre ha iniziato due anni prima che io nascessi, posso dire che io sono proprio nata nel negozio di ottica e insomma lui è stato la nostra fortuna, gli dobbiamo tanto, mi emoziono sempre quando ne parlo. È venuto a mancare l’anno scorso, anche se lo chiamavo zio Gerardo per me è stato veramente come un nonno, lui e la moglie non avevano i figli vicino, quindi tutte le ricorrenze le passavamo insieme.
Per noi è stato tanto. Se sono un ottico, adesso un’artigiana che fa occhiali, è anche grazie a lui. Pensa Vincenzo che l’ho sognato una notte e mi ha chiesto di realizzare un occhiale che poi non ho realizzato, però questo per me è stato un segno. C’è stato davvero un forte rapporto con questa persona che è stato un faro nella nostra vita, nella mia vita e in quella della mia famiglia, grazie a lui la nostra vita è cambiata.
Per fortuna il mondo dell’ottica, essendo un’attività più o meno sanitaria, non è stato ancora toccato dalla forte crisi che hanno subito tante altre attività. Certo, prima era un’attività ancora più florida, ma comunque si sta ancora bene, e comunque a noi ha dato la possibilità di studiare, di avere un tenore di vita diverso, ed è grazie anche a zio Gerardo.
Mio padre
Mio padre invece fa il geometra. Posso dire di essere cresciuta con lui, era libero professionista e aveva un suo studio, stavo tanto tempo nello studio con lui, perché mia madre, come ti ho detto, faceva orari di negozio.
Il negozio è bello, però a volte può sembrare una prigione.
Oltre a essere geometra mio padre è un bravissimo artigiano, gli piace molto lavorare con la testa e con le mani come dici tu, potrei dire che sa fare tutto, nel senso che sa lavorare tanti materiali, il legno, il ferro e anche altri tipi di materiali, qualsiasi cosa.
Lui dice sempre che se non sai progettare non puoi realizzare perché alla base della realizzazione secondo lui c’è la capacità di progettazione. Perché sì, lui è un geometra, ma in realtà di base è un progettista, uno che comunque sa progettare molto bene.
Personalmente sono affascinata dai suoi lavori, lui ha sempre fatto delle case bellissime secondo me, possiede proprio il dono dell’armonia. Prima che lo dici tu te lo dico io che sono innamorata di mio padre, forse come un poco tutte le figlie femmine, però trovo che sia, non so, un genio della creatività.
Comunque possiede l’armonia, è proprio una delle sue doti, e io sono cresciuta con questi suoi progetti di case che per me erano bellissime. Prima di questo avevo un altro negozio, solo stagionale e anche quello me l’aveva arredato tutto mio padre.
Cosa non mi piace
Non mi piacciono le cose brutte, in particolare le case brutte.
Le case che rompono l’armonia del paesaggio non mi piacciono, anche qui nel Cilento abbiamo casi di abusivismo e comunque ci sono case che non sono in armonia con il paesaggio e questo mi disturba parecchio, come ti ho detto mi piace l’armonia.
Non mi piace l’ingiustizia, non mi piacciono le guerre, vorrei che fossero totalmente lontane da noi. Lo so, anche questo potrebbe essere banale, ma è una cosa che mi pesa molto.
Vorrei vivere in un mondo dove tutti potessero vivere in maniera giusta e in pace, è difficile da spiegare, diciamo che mi sento fortunata e vorrei che tutti lo fossero come me. Comunque le ingiustizie e le guerre non mi piacciono per niente.
Non mi piace volare, non mi piace prendere l’aereo, lo vivo male. Un analista un po’ matto che ho conosciuto a Milano – a Milano ho conosciuto tante persone interessanti – diceva che la paura di volare corrisponde a istinti sessuali repressi. Non so se sia vero, ripeto che era un poco matto, però era una brava persona.
Non mi piace la carne, qualunque tipo di carne. Ogni tanto la mangio, quando proprio ne sento il bisogno, però ne faccio volentieri a meno. E anche i colori troppo accesi non mi piacciono, che ne so, certi verdi acidi, certi arancioni.
E non mi piacciono i rapper, secondo me cantano un amore che non è positivo, non vorrei mai essere adolescente e sentire i loro testi. Non so come dire, non mi piace quello che raccontano, non mi piace pensare che viviamo nella società che raccontano loro, mi spaventa ascoltare quei testi e pensare che veramente i ragazzini vivono e amano in quel modo. I loro testi hanno contenuti che non mi piacciono, cantano un amore che non mi piace, che a volte mi fa persino paura.
Il negozio and me
La mia prima immagine alla voce lavoro è il negozio. L’ho sempre vissuto il negozio, sono stata responsabilizzata dall’inizio. Ricordo che, a differenza delle mie sorelle, che non so perché non hanno avuto questo stesso trattamento, io d’estate avevo quest’obbligo di svegliarmi per andare in negozio. Nel negozio ci sono cresciuta.
Non avevo una paghetta, però c’erano le mance dei clienti. Di norma il mio compito nel negozio era quello di riparare gli occhiali, attività che insieme all’assistenza al cliente era solitamente gratuita, dunque quando andavo a consegnare gli occhiali al cliente e loro mi chiedevano che cosa dovevamo io rispondevo niente e così spesso mi lasciavano la mancia, o comunque mi davano qualcosa. Ecco, quel qualcosa lo tenevo per me, era mio personale, la mia gratificazione economica per il lavoro che avevo fatto.
È con mia madre e con zio Gerardo che ho cominciato, diciamo, la mia attività di ottica, quella che poi è diventata la mia specializzazione, anche se per la verità c’è stato un periodo che ho fatto anche altri lavori.
È stato nel periodo in cui i miei genitori si erano separati, ci siamo ritrovati in una situazione economicamente più complicata, diciamo che siamo passate dalla fase in cui eravamo delle principesse a quella in cui ci siamo trovate come tutte le ragazze della nostra età, che poi è anche quello un modo per crescere.
È stato in quel periodo, dopo 5 anni i miei genitori sono tornati insieme, che mi sono messa a lavorare in alcune botteghe artigiane e così ho imparato a fare i sandali e a lavorare il vetro.
Gigino e i sandali modello Positano
Avevo già finito l’università, erano gli anni in cui ho deciso di ricominciare gli studi e di fare l’ITS. Ricordo che mia madre – che mi ha dato sempre una grande spinta positiva in tutta la mia vita, non mi ha mai limitato in niente, mi ha sempre detto vai, fai se quello che ti fa stare bene – mi guardò e mi disse “va bene, se lo vuoi fare fallo, però io adesso non ti posso pagare gli studi”. Fu così che, dato che avevo chiuso il mio negozio estivo, ho cominciato a lavorare come artigiana e ho imparato a fare i sandali modello Positano da Gigino, lo dovresti raccontare, ha una storia bellissima, e poi anche la lavorazione dei gioielli con il vetro di Murano, sempre a Palinuro.
La cosa che mi è piaciuta di più è stata imparare a fare i sandali, lavorare con Gigino mi ha fatto capire di essere artigiana. Lui è un maestro artigiano, ha più o meno 80 anni e fa sandali da quando ne aveva 9, un giorno mi guardò e mi disse “tu hai manualità” solo questo. Sentirmi dire “hai manualità” da un maestro come lui è stato, penso, il complimento più bello che abbia mai ricevuto. Sì, mi è piaciuto tantissimo lavorare con lui nella bottega, e poi l’odore del cuoio e della pelle, e i rumori, è stato tutto bellissimo.
Prima non avevo fatto altri lavori, neanche durante l’università, in questo senso sono stata fortunata, fino alla laurea non ho mai avuto la necessità di lavorare per mantenermi agli studi, mentre dopo ho fatto i 4 anni a Milano di cui ti ho parlato già. A proposito di quel periodo, prima, quando ti ho parlato della mia esperienza alla Salmoiraghi, non ti ho detto che per due dei quattro anni complessivi ho lavorato da stagionale, perciò durante l’estate tornavo qui dove avevo aperto un negozio stagionale dove vendevo degli articoli molto particolari.
Il sogno di creare l’oggetto
Il mio sogno era quello di creare l’oggetto, ero affascinata dalla creazione dell’occhiale.
La mia domanda più ricorrente era: come si fa un occhiale, come si fa a creare gli occhiali?
Ora devi sapere che nel negozio stagionale che avevo vendevo dei prodotti molto particolari e quindi era frequentato sempre da belle persone, diciamo che in quel negozio ho conosciuto tante persone che mi hanno fatto crescere sia a livello personale che professionale.
Accade così che un giorno conosco questo ragazzo che disegnava occhiali e quindi gli faccio tantissime domande tipo “ma come hai fatto?”, “io voglio fare questo, come si fa?”
Lui mi risponde “guarda io sono un autodidatta, ma se vuoi c’è questo percorso formativo che puoi seguire, era a numero chiuso, feci la domanda, feci un esame di ammissione e andò bene.
La mia relazione con l’occhiale
Per me gli occhiali non sono solo occhiali, non hanno solo quella funzione, mi suggeriscono anche altre cose, altre situazioni, a partire dal design.
Penso a un occhiale come a un’espressione, una pura espressione della persona che me lo commissiona. Deve esprimere identità, mi piace definirlo il vestito del volto, per questo penso e disegno occhiali cercando di evidenziare la personalità di chi li indossa.
L’occhiale è un gioco, una maschera, un mezzo per esprimere un pensiero, un concetto, fa sì che la persona possa nascondersi, mostrarsi, travestirsi, a seconda del proprio desiderio.
Sì Vincenzo, l’occhiale è un gioco e io sono la persona che disegna questa voglia di travestimento, permetto alle persone di mascherarsi, o anche di nascondersi.
Se ci pensi quello che notiamo prima delle persone è il viso e quindi tutto ciò che è sul viso può servire a sviare, a camuffare, a illudere. La persona che mi sta osservando grazie all’occhiale può essere deviato, sta anche qui il gioco, nel far finta di essere una persona molto seria perché indosso un occhiale molto classico oppure di essere una persona molto estrosa indossando un occhiale estroso.
Come faccio? Per prima cosa osservo il viso, come ti ho detto sono cresciuta in un negozio di ottica, diciamo che già guardando una persona, riesco a capire qual è il modello che potrebbe stargli meglio. Ecco, la prima cosa che faccio è un’analisi del viso, il primo approccio è in pratica di tipo estetico. Il resto lo fa la conversazione.
Tu chiamale se vuoi, connessioni
Tra l’artigiano e il cliente, o comunque tra me e le persone che entrano nella mia bottega, si crea sempre una connessione. Sono convinta che gli incontri non sono mai casuali, se ci pensi anche con Cinzia e con te è stato così.
Con le persone che ti chiedono di realizzare un occhiale si crea sempre una sintonia, sin da subito, talvolta bastano poche parole.
In questo caso le parole chiave sono due: la prima è empatia, penso di essere una persona empatica, di solito riesco a percepire bene le emozioni e le sensazioni di chi incontro; la seconda è esperienza, quella che mi viene da tanti anni sul campo che mi hanno fatto acquisire la capacità di guardare una persona e di capire al volo quale modello potrebbe stargli bene.
È durante la conversazione che viene fuori il carattere. Le domande che faccio sono abbastanza dirette, “che cosa vuoi”, “cosa ti aspetti da un occhiale”, “come ti vuoi definire”. Se hai ben chiaro il focus il rapporto, la relazione che si crea viene da sé.
Posto che l’obiettivo è quello di realizzare un occhiale, piano piano è il cliente che mi dice cosa devo fare, non servono nemmeno tante domande da parte mia, solitamente le persone si aprono, hanno piacere di dirmi che cosa vogliono.
Questa è la parte un po’ più libera, poi c’è un iter sartoriale da seguire, l’occhiale sartoriale richiede un’analisi della forma del viso.
Ristabilire l’armonia
Quando una persona vuole un occhiale esclusivo, il caso di Cinzia è un esempio, si fa prima un’analisi della forma del viso, mi aiuto con queste cartine dove sono definite tutte le forme del viso, e poi definita la forma del viso ci sono delle linee guida da seguire.
Vincenzo, a ogni forma del viso corrisponde un occhiale e l’obiettivo dell’occhiale è quello di ristabilire o donare armonia al viso. Sì, dal punto di vista estetico la funzione
dell’occhiale è quella di ristabilire l’equilibrio al viso sapendo che ogni viso ha delle caratteristiche che possono essere evidenziate o nascoste.
Di norma si pensa che la forma dell’occhiale deve essere contrapposta alla forma del viso, quindi per un viso rotondo l’occhiale che potrebbe ristabilire l’armonia è quadrato, ma a me questo non basta, quello che penso io è che ogni viso è unico e che gli occhiali che una persona indossa debbono abbracciare le differenze, è la prima frase che leggi nella guida che ho preparato io.
È vero, ci sono delle indicazioni da seguire, però non sono rigide, come ti ho detto per me l’occhiale è espressione di identità, deve ristabilire l’armonia, dunque è più importante che esprima un’idea, un concetto, più che seguire delle regole.
Non è semplice ma per fortuna accade poco e si fa
Che succede quando trovo un o una cliente che, alla fine di questo percorso, mi chiede di fare un occhiale che so già che non dona al suo viso?
Fare qualcosa che non è nelle mie corde è una delle parti più difficili del mio lavoro.
Naturalmente lo posso fare perché il mio lavoro è proceduto da anni di studio, con metodo e tecnica posso realizzare anche cose che sono fuori dalle mie corde, però dal punto di vista emotivo l’impatto che hanno su di me è un po’ negativo.
Ti garantisco che non è semplice disegnare qualcosa che non appartiene alla tua mano, però lo faccio perché giustamente il lavoro è lavoro sempre e anche l’obiettivo è sempre quello di soddisfare il cliente.
Del resto è per questo che la definisco sartoria ottica e non sartoria ottica dell’ovale, che secondo me è la forma che ha più in armonia. Anche se di solito le mie forme presentano dei motivi ovali – avevo una linea che si chiamava l’Ovale, era un progetto bellissimo – non posso fare solo forme ovali. Quindi non è semplice però con metodo e tecnica si fa.
Comunque io sono sempre molto onesta, cioè se penso che un occhiale a una persona sta male lo dico, e devo dire che molto spesso le persone mi ascoltano, si fidano del mio giudizio.
Fai tu
Comunque raro che realizzo occhiali che non sono alle mie corde, anzi molto spesso le persone mi dicono “fai tu” e in quel caso per me è tutto più semplice, più in sintonia con me. Talvolta me lo chiedo anche io come mai le persone ripongono in me tutta questa fiducia, però di solito è così, la maggior parte delle volte mi lasciano carta bianca e questo per me è molto divertente e gratificante. Avere carta bianca è una delle cose più belle perché ti dà la possibilità di spaziare totalmente tra i tuoi pensieri consapevole della fiducia che quella determinata persona, quel determinato cliente, ripone in te.
Anche l’ultimo occhiale che sto facendo rientra in questa tipologia, ero scettica, non avrei mai detto che quella persona avesse indossato un paio di occhiali così, e invece mi ha detto di sì, che lo avrebbe indossato con gioia. La morale della storia è che sto realizzando un’occhiale che per me è stato divertentissimo sia da progettare che da realizzare, un’emozione nel senso vero del termine.
Il tempo e il lavoro
Vincenzo ti devo dire un’ultima cosa, dedico molto tempo al lavoro, veramente tanto, ci pensavo in questi giorni.
Ho passato tutto l’inverno qua a lavorare, ieri sera, stamattina?, sono uscita dalla bottega alle due e mezza, l’ultima mezz’ora l’ho passata a mettere a posto le cose perché mio padre dice che quando arrivo la mattina devo trovare tutto in ordine, e ha ragione.
È una cosa che non mi pesa, lo faccio molto volentieri, preferisco lavorare di sera, con il silenzio, con il buio, quando tutti dormono, quando non c’è quasi nessuno in giro.
Mi piace molto lavorare, va bene la scuola, va bene il politecnico, però quello che so e che so fare è frutto di un duro lavoro, tante cose le ho imparate sul campo, da sola, sbagliando tanto, tantissimo, a volte per ogni occhiale fatto ce ne sono 3 4 che vanno male, però si impara.
Passo tanto tempo qua in bottega, mi piace, ma è tanto lavoro, certe volte penso sia troppo.
LA SORPRESA | 8 LUGLIO 2024
Cara Irene, la bellissima storia di Benedetta poteva anche finire qui, ma io avevo l’ultima domanda, che è importante ma non sempre la faccio, però a lei sì, e così le ho chiesto perché il lavoro è importante, vale, e la sua risposta è stata una sorpresa incredibile, io che sono convinto che “una vita senza lavoro è una vita senza significato pure se tieni i soldi” non ci volevo credere, per fortuna che non mi sono arreso.
“Vincenzo, questa è una domanda veramente difficile, perché mi piacerebbe essere miliardaria e non lavorare.”
Proprio così mi ha risposto Irene, hai letto bene, però, come ti dicevo, dopo averle manifestati la mia sorpresa non mi sono arreso e insomma le ho chiesto che cosa ci avrebbe fatto con i suoi miliardi, e leggi cosa ha risposto.
“Sicuramente girerei il mondo, mi piacerebbe conoscere altre persone e altri popoli, mischiarmi con altre culture e studiarle. C’è un testo di D’Andre che dice che la diversità è ricchezza, ne sono convinta tanto anche io.
Mi piacerebbe continuare ad apprendere e imparare, seguire tanti corsi, soprattutto come artigiano, perché ho questa passione, questa devozione, per la manualità. Mi piacerebbe imparare a fare borse, imparare a fare scarpe, mi piacerebbe continuare sempre a studiare, ma questo te l’ho detto gia.
Mi piacerebbe conoscere i popoli del mondo, le loro culture, gli usi, i costumi, mi piacerebbe vedere i vestiti delle donne indiane, stare un mese in Pakistan a studiare le stoffe.
E infine mi piacerebbe molto avere un orfanotrofio. Mi pesa molto pensare che ci sono dei bambini infelici, senza genitori, io ho avuto un’infanzia bellissima e vorrei lo fossero anche loro.
Se fossi miliardaria farei questo, aprirei un orfanotrofio, studierei e imparerei, viaggerai in giro per il mondo per conoscere la diversità e viverla anche.”
Come dici Irene? Viaggiare, conoscere e studiare le culture del mondo, lavorare in bottega, aprire un orfanotrofio sono lavoro?
Lo penso anche io, glielo ho detto, mi ha risposto che più che il lavoro secondo lei è un obiettivo, una missione, che lei la intende così e allora io mi sono messo a parlare dell’importanza di allargare il concetto di lavoro, di portarci dentro il lavoro di cura, il lavoro in casa, il lavoro per imparare e tanto altro ancora e su questo siamo stati d’accordo, infatti ha finito così: “Quello che dici mi piace Vincenzo, così quando torno qua sono arricchita, posso dare di più e posso fare cose più belle. Per me il lavoro è continua formazione e conoscenza, anche se lavoro da sola posso connettermi con tutti gli artigiani e tutte le culture del mondo, e questo mi fa stare bene.”