Nanda, Enrico e io

L’inizio
Cara Irene, quasi sempre i regali che ci facciamo con Giuseppe non sono regali, non lo sono in molti sensi, per esempio sono immateriali, non sono legati a una data, non prevedono pacchetti, fiocchetti e ringraziamenti. Poi ci sono le eccezioni, altrimenti il quasi davanti al sempre non servirebbe,come è accaduto per esempio un po’ di sere fa, quando sono passato in libreria e ho comprato La fine è il mio inizio di Tiziano Terzani, l’edizione rilegata è bella e mi fa piacere averlo anche nella libreria di casa qui a #Cip, è un libro che prima o poi conto di rileggere, sono trascorsi più di 10 anni dalla prima volta e sarà sicuramente una lettura diversa.

Messo il libro nello zaino, con Giuseppe facciamo ancora un po’ di chiacchiere e poi mi avvio verso casa. Giunto nei pressi della pizzeria di Michele Croccia sento il telefono che squilla, rispondo, e dall’altro lato il mio amico mi chiede se posso risalire un attimo.
“Che problema c’è”, rispondo, faccio dietro – front e ritorno sui miei passi. Lo trovo mi aspetta fuori la libreria. “Un regalo per te”, mi dice, mentre mi porge il bel sacchetto di carta “Crea Racconta Ricrea Libreria” con dentro un libro.
Resto un attimo sospeso, sorpreso, un po’ tutta la dinamica, il modo, il come, mi fa strano, ma è giusto un attimo, dopo di che ringrazio, prendo il sacchetto e riprendo la mia strada.
Giunto a casa, appoggio lo zaino e il sacchetto, mi tolgo la giacca e  tiro fuori il libro. È Nanda e io di Enrico Rotelli, Giuseppe me ne aveva parlato qualche giorno prima, l’Autore racconta i 5 anni vissuti come assistente di Fernanda Pivano. Me lo rigiro tra le mani, lo sfoglio, lo annuso, lo richido e lo appoggio sulla libreria dell’ingresso insieme a quello di Terzani.
Ieri ho cominciato a leggerlo. Oggi l’ho finito.

Il libro raccontato con le “recchietelle”
Il libro mi è piaciuto un sacco amica mia. Aveva ragione Giuseppe, è molto molto molto molto bello, così ho deciso di raccontartelo, però a modo mio: invece della recensione, le frasi che mi sono segnato con le “recchietelle” (piccoli risvolti in alto o in basso alla pagina che le conteneva).
Sia chiaro che non sono le frasi più belle e/o memorabili del libro, sono solo quelle che mi hanno colpito di più nel corso della lettura, non sono neanche letterali e tutte intere, dato che ho tolto i riferimenti alle persone che le hanno dette. Perché l’ho fatto mi pare evidente: per evitare che tu, le nostre lettrici e i nostri lettori vi facciate prendere – condizionare dall’ammirazione per chi ha detto quella cosa e vi lasciate invece ispirare dal suono, dalla riflessione, dal senso e dal significato della frase. Insomma vorrei tanto che leggeste il libro e spero in questo modo di colpire la vostra curiosità, perciò ecco le mie frasi con di fianco indicato in grassetto il numero di pagina:
La mia memoria è qui, eppure sono passati anni | 11
Non devi la tua vita a nessuno. | 44
Ti prego, cerca di essere un po’ felice. Meglio se molto. | 48
Quasi forse, rispose lei, con un’espressione che amava usare quando le conversazioni senbravano prendere una piega troppo seria. | 53
La certezza di cosa fare da grande era ancora lontana, ma la strada era giusta. | 89
Per essere un adulto affidabile devi prima incontrare lo stesso numero di persone che serve a costruire un grattacielo a New York, no? | 89
La morte è come il foglio d’argento di cui uno specchio ha bisogno se vogliamo vedere qualcosa | 93
Presidente, guardi, se lei vuole guadagnare un sacco di soldi, ma tanti tanti tanti tanti, molti più di quella che immagina, pubblichi questo Kerouac che i suoi funzionari non mi lasciano far uscire. | 94
O scrivo o faccio la puttana, insieme è troppo faticoso. | 97
Il passato remoto è da professori. | 100
I sogni si devono realizzare, altrimenti si chiamano utopie. | 109
Come sono fortunata a non aver dovuto fare la donna a ore. | 121
La lesse e ritagliò le righe dattiloscritte per dare a quei versi la forma di un fungo atomico. | 132
Ma allora non hai capito niente, daughter, una parola può distruggere una pagina. Bisogna scrivere in modo semplice, parlare di cose semplici, conoscere le cose semplici, studiare le cose semplici. Solo così si può volare. | 139
Avere una tradizione è meno che nulla, è soltanto cercandola che si può viverla. | 145
Quando lavorava fine a notte fonda sentiva la mancanza di un marito che le dicesse vieni a letto. | 147
Da buddhista a buddhista, perdonami. Da buddhista a buddhista, ti perdono. | 151
Forse è vero che la chiave per vivere la vecchiaia è l’umorismo, o forse per vivere tutta la vita. | 154
Diceva sempre di non fidarsi di chi aveva compiuto trent’anni, forse perché a quell’età non ci siamo ancora rovinati con tutte le fesserie che facciamo per compiacere gli altri. | 162
Non posso più bere, non posso più mangiare, non posso più andare a caccia, non posso più fare l’amore. Non posso più scrivere. | 168
La felicità è bella di per sé, non sempre importa se a viverla sei tu o qualcun altro. | 169
Possiamo avere una vita formidabile e una morte del cazzo. | 173
Riuscire a fare il lavoro che ti piace significa chiedersi spesso se quello che fai è un lavoro oppure un gioco. | 177
Ha lavorato perché le donne siano di supporto l’un l’altra e non in competizione. | 179
Mi chiamo Melville. Sono il signor Melville. | 185

Fernanda Pivano, Antonio S. e io a via Lungara
Rieccomi amica mia, credo di non averti mai detto che Fernanda Pivano io l’ho conosciuta, sono a stato a casa sua a via Lungara, a Trastevere, la sua kasbah, la casa dove ospitava Allen Ginsberg, Gregory Corso e tante/i altre/i quando stavano nella Capitale.
Avevo 18 anni o giù di lì, come ci sono arrivato arrivato purtroppo non me lo ricordo, il motivo invece sì, avevo portato da lei un mio amico poeta e ottimo chitarrista jazz, Antonio S., per farle ascoltare alcune poesie che aveva scritto e avere un suo giudizio.
Ricordo ancora l’emozione quando bussai alla porta, il primo romanzo che ho letto nella mia vita è stato Sulla strada di Jack Kerouac, seguito a ruota da I sotterranei con la prefazione di Henry Miller e la sua introduzione che comincia citando “The in and out book” che, a proposito della Beat Generation, dice: “È out dire che la beat generation è out; ma la beat generation è out”.
Ci venne ad aprire un uomo, me lo ricordo sulla trentina, che per i modi e come si muoveva doveva essere il suo assistente di allora. Fui colpito dal profumo intenso di incenso, da lei che scendeva da una scala, forse di legno, non sono certo, e dalla sua squisita gentilezza. Dopo aver mangiato un biscotto o due e bevuto della Coca Cola il mio amico lesse due delle sue poesie, qui ricordo solo la sua voce e il silenzio attento intorno.
Non conservo un ricordo preciso delle parole a commento di Fernanda Pivano, ma di sicuro furono di incoraggiamento, perché lei non avrebbe mai scoraggiato un ragazzo che amava la poesia, dopo aver letto il libro di Rotelli ne sono assolutamente certo, e perché ricordo molto bene la contentezza del mio amico, la sua gioia, persino la gratitudine nei miei confronti. Ah, ricordo anche, forse non dovrei, il mio inutile commento negativo al fatto che ci era stata offerta la Coca Cola, che per noi giovani anarchici di Secondigliano era uno dei simboli dell’imperialismo amerikano. Chissà, forse a volte non ti puoi fidare neanche di quelli che hanno meno di trent’anni.

Le conseguenze
Siamo così giunti alla fine, cara Irene, mi resta di parlarti solo di alcune conseguenze che ha avuto il libro di Rotelli su di me. Perché sì, i libri che per qualche motivo ti prendono veramente hanno delle conseguenze, è accaduto con Ginsberg, Borges, Hillman, Veca, Jullien, l’I Ching, un po’ di altri libri che ho cominciato a raccontare qua e anche altri.  Penso che accadrà ancora, anzi ne sono sicuro. Comunque non ti preoccupare che non la faccio lunga, giusto tre cose che spero di fare prima che finisca l’anno:
1. Chiedere a Luca e a Riccardo se posso riprendermi i miei vecchi libri di Ginsberg e Kerouac, Jukebox all’idrogeno, Sulla strada, I sotterranei e compagnia cantante.
2. Chiedere a Giuseppe di ordinare La mia kasbah, che adesso che sono passati 50 anni da quando ne avevo 18 e ho l’età giusta per capire fino in fondo in quale casa sono stato, e come devo essere grato di aver avuto questa possibilità, anche se solo per un’ora o poco più.
3. Trovare una copia dei Diari (1917-1973) di Fernanda Pivano curati da Enrico Rotelli per i Classici Bompiani e leggerla.

Il post scriptum
Un regalo per la tua pazienza, amica mia, la videointervista del 1966 di Fernanda Pivana a Jack Kerouac su Rai Teche. Imperdibile.

Il post post scriptum
Ovviamente il titolo di questo è esso stesso un omaggio al libro di Rotelli, altrimenti confermo che non mi sarei preso la confidenza di chiamare “Nanda” Fernanda Pivano. E neanche “Enrico” Enrico Rotelli.