Caro Diario, questa storia l’ho pubblicata la prima volta – in un allegato formato .pdf – insieme ad altre nell’ambito di un’idea progetto che insieme a Robi Veltroni abbiamo chiamato senza troppa fantasia ma con discreta accuratezza «La Maremma del #lavorobenfatto». Rileggendole, ho pensate che queste storie sono così belle che meritano di essere riproposte una alla volta, con calma, proprio come si fa nel mondo degli atomi con i libri di successo quando vengono ristampati.
Comincio con Marco de Carolis, che lui la sua storia l’ha raccontata così bene che non me la sono proprio sentita di metterci le mani.
«Come è strana la vita: sin da piccolo dicevo di voler fare il contadino e alla fine ci sono riuscito. Non so dire come mai ma da fin da quando ero piccolo ricordo di aver sempre detto di voler fare il Contadino. Di campagna e di contadini non sapevo nulla, ma continuavo a giocare con gli animaletti di plastica e la fattoria organizzando l’idilliaca vita di un piccolo contadino. Eppure ben presto questo sogno l’ho dimenticato e la vita con i suoi doveri mi ha portato molto lontano da lì e a desiderare cose ben diverse. Certo, la passione per gli animali e la vita di campagna è sempre rimasta, e però celata sotto chili di libri, sogni e nuove ambizioni.
A metà dei miei studi mio padre, senza un senso conscio o un progetto che mi riguardasse, compra un’azienda agricola; è un investimento, nulla di più, forse un tentativo di riconciliazione con avventure familiari finite male. Appena però sono pronto a scegliere la facoltà universitaria vengo calorosamente invitato dai miei genitori a prendere in considerazione la possibilità di frequentare la facoltà di Agraria. Non lo prendo bene questo invito, soprattutto perché mi porterà lontano dal mio piccolo mondo fatto di amici e abitudini per gettarmi nel pieno della pianura padana in anni in cui ancora la nebbia si tagliava con il coltello. Proprio la nebbia e l’agricoltura mi accompagneranno così per alcuni anni ma ad aprirmi gli occhi rispetto al mondo e alle possibilità che avevo intorno saranno i miei nuovi amici e compagni di corso, agricoltori per tradizione familiare.
Visito le loro aziende, respiro l’odore del letame e del sudore e qualcosa comincia a cambiare anche se ancora non sono pronto a cimentarmi con questa vita, e così ben presto mi allontano di nuovo dal contadino che c’è in me, cambio facoltà e passo a Giurisprudenza, più breve e più facile da digerire per uno come me che non ha tanta voglia di studiare.
Gli anni passano e i nuovi amici restano ma la mia storia è ancora condizionata dalla nebbia, una nebbia più esistenziale, ma pur sempre tale. Comincio a lavorare, faccio file, fotocopie e ingoio bocconi amari sognando quello che non c’è, soprattutto comincio a capire davvero che i sogni e le inclinazioni vanno seguiti, che la mia strada deve essere un’altra e così mi ricordo di quell’azienda che mi aspetta in Maremma: basta, ho deciso, voglio fare il Contadino!
Ne parlo ovviamente con i miei genitori che, altrettanto ovviamente, me lo sconsigliano: è un lavoro faticoso, poco redditizio, fai l’avvocato, poi nel tempo libero verrai in campagna e la campagna sarà per te sempre un buon rifugio, anche economico. Ma anche questa volta nulla, è troppo tardi, mi lascio alle spalle gli anni di sconforto con l’idea viscerale che quella sia la mia strada, vado contro il consiglio spassionato dei miei e arrivo al podere.
E’ abbandonato da anni ma io adesso, senza sconforto ma con lucida follia, vedo il mio futuro. Come accade quando le cose non si conoscono, all’inizio sembra tutto facile: hai scelto una strada e hai gli «investitori» giusti, i tuoi genitori, ma con il tempo ti accorgi che in realtà sei solo con te stesso e le tue incertezze. Slanci e delusioni si susseguono e ben presto capisci che non esistono sogni con delusioni perché quelli si chiamano incubi.
Fino al mio arrivo l’azienda era stata gestita da una cooperativa che aveva lavorato per noi i terreni e si era occupata di vendere i prodotti; essendo questa l’unica strada da cui partire decido di assecondare il corso degli eventi. Mi ci vogliono alcuni anni – anche grazie al confronto con gli agricoltori del posto – per capire bene dove mi trovo, cosa posso fare e soprattutto cosa non posso fare. Mi scontro con un mondo arcaico basato sulla tradizione che considera ogni mia idea di cambiamento come inutile e insensata: qui non si fa, mai sentito, non te lo consiglio proprio, lascia perdere.
In agricoltura si seguono i flussi, per un po’ di anni tutti produciamo grano, poi il prezzo crolla e allora si producono le cipolle, poi orzo e via così.
Ma io che ci faccio qui? Questo non era il mio sogno, il mio era il sogno di un fanciullo che seguendo il suo cuore credeva in un mondo semplice, giusto, in un equilibrio perfetto basato sulle capacità e sul riconoscimento delle stesse, il mio è un sogno che si schianta inesorabilmente contro una realtà granitica: qui non si cambia nulla, torna da dove sei venuto finché sei in tempo.
E il contadino che c’è in me? Dov’è finito? E il suo cuore puro? Sembrava sepolto da un mondo reale in cui i sogni non si possono vivere ma servono solo per sperare di vivere meglio una vita logora e sconsolata: un contadino che diventa imprenditore agricolo, una fattoria che si chiama azienda agricola, degli animali che devono rispettare protocolli e leggi per essere anche solo tuoi compagni di vita; niente di idilliaco, niente Georgiche, niente Bucoliche, Virgilio ha sbagliato e di molto.
Si, qui tutto è molto complicato, e io adesso che faccio?
E’ qui che rientrano in gioco i miei «investitori», che forti della loro esperienza di vita e forti dell’amore per un figlio che forse sbaglia ma che comunque va incoraggiato mi spingono ad andare avanti, a scegliere una mia strada, a percorrerla. E’ una iniezione di fiducia e di speranza molto importante.
Bene, è deciso, non mi interessa chiamarmi imprenditore e lavorare in una azienda agricola, io voglio fare il contadino in una fattoria, devo assecondare me stesso e le mie inclinazioni per provare a essere felice e vincente, devo mettere la testa nel mio cuore. Voglio essere un uomo che non fa il contadino per lavoro ma che vive da contadino, coltivando la terra e allo stesso tempo se stesso, scendendo il meno possibile a compromessi con i soldi e con le altrui abitudini e puntando tutto su un sogno, il suo sogno. Basta pensare ai contributi che diminuiscono e al grano che non si vende più, non posso farmi influenzare dalla negatività e dallo sconcerto che mi circondano.
Si, è deciso, oltre alle colture tradizionali produrrò ortaggi, mi comporteranno sicuramente più lavoro fisico ma meno incertezza di reddito, in fondo sono giovane e posso farlo.
Incomincio con 2 ettari di cipolle, che ci vuole? Certo il seme è un po’ costoso, servono molti trattamenti diserbanti ma alla fine è una coltura che rende, allora è facile! Per nulla! Avete mai visto 400 quintali di cipolle da raccogliere tutte a mano, da tagliare, da mettere nelle cassette per poi trasferirle nei cassoni? Io si! Abbiamo lavorato in 5, io, i miei genitori e i miei suoceri, dei ragazzini, per circa 20 giorni, tutto il giorno, dall’alba al tramonto, in piena estate, stando in ginocchio per terra o seduti sulle cassette. Ricordo ancora che tornavamo a casa completamenti ricoperti di terra e con un odore di cipolla addosso che neppure una doccia poteva lavare, ma io ero stanco e felice e tutti eravamo stanchi e felici! Giorno dopo giorno incominciano così ad arrivare assieme alla fatica anche i soldi, che arrivano solo grazie ai miei preziosi collaboratori, ingegneri e professori, un mondo agricolo un po’ onirico fatto di sudore e sogni!
La strada sembra segnata. Cipolle per sempre? Giammai! Dopo pochi anni il prezzo delle cipolle crolla, siamo ai limiti del non guadagno, meno della metà del prezzo degli anni precedenti e purtroppo in questo pazzo mondo agricolo il prezzo del tuo raccolto non lo sai mai prima e non potrai mai deciderlo tu.
Basta cipolle! Basta agricoltura! Intervengono di nuovo gli «investitori» che non sono d’accordo. Mi prendono in giro richiamando i Malavoglia e la storia del lupini, nessun abbandono, nessuna tragedia, bisogna continuare. Ma allora cosa si produce? Sempre ortaggi, oramai siamo raccoglitori esperti, diversifichiamo e razionalizziamo i periodi di raccolta.
Parto come sempre di slancio, un ettaro di zucchine, e poi pomodori, melanzane e peperoni. Tutto ben organizzato questa volta. Venderemo i prodotti ad una Cooperativa Ortofrutticola, nessun contratto ma mi dicono che non c’è problema, di ortaggi ce ne è sempre bisogno.
Un’altra bugia! Siamo pronti a raccogliere, chiamo la Cooperativa per sapere come organizzarmi. La risposta: porta tutto in cella qui non si vende niente. «Ma come, io sono pronto!» «La cella è piena e non si può conferire.» «Ma fino a quando durerà questa situazione?» «Non si sa!». Torno a casa di nuovo con il mondo che mi crolla sulle spalle e l’idea dei Malavoglia che mi perseguita e di nuovo gli «investitori» intervengono. Mia madre sale in macchina e va al mercato dai suoi fornitori e chiede loro se vogliono comprare delle zucchine e degli ortaggi. Volete sapere la risposta? Magari!
Si ricomincia a sognare, io e mia madre tutte le mattine alle 5 a raccogliere fino a 300 kg di ortaggi e poi mio padre dalle 7 a fare le consegne, torna la fatica ma torna l’idea del successo e sempre grazie alla positività degli «investitori».
Finalmente dopo tanti alti e bassi, polvere e sogni, la strada da seguire è chiara: produrre qualità a prezzi giusti e solo per il dettagliante o il consumatore finale, tutto quello che c’è in mezzo è speculazione e nel mio sogno gli speculatori non sono annoverati.
Produco per chi vende il mio prodotto, per chi ne riconosce il valore e la qualità, tutto il resto non interessa.
Dopo gli ortaggi, che sono rimasti a tutt’oggi una attività consolidata nella mia fattoria, decido di impiantare la vigna, Merlot e Sangiovese. Merlot? Ma tu sei pazzo, Merlot in Maremma, non si è mai visto; non importa io voglio quello, voglio quel sapore che mi riporta in Francia o in Trentino e voglio il Sangiovese per la tradizione. Coinvolgo nella scelta dei cloni il mio amico Gianfranco, agronomo con cui ho condiviso nel tempo, studi, casa e sogni. Scegliamo il meglio, i migliori cloni, poca produzione e di qualità, i tempi stanno cambiando. Per imparare vado da lui in Franciacorta per potare e vendemmiare e imparare tutti i segreti della viticoltura ; in fondo non sono ancora un contadino.
E via con questa nuova avventura, dopo i primi 3 anni arriva la vendemmia, che facciamo dell’uva? Nel frattempo il Merlot è richiestissimo in Maremma e il prezzo al quintale è molto alto, decido di vendere e di incominciare a monetizzare l’investimento. Uno, due, tre vendemmie vanno avanti così, l’uva è sempre più bella ma poca, ne servirebbe di più perché pian piano, come al solito, i prezzi scendono. Non cado più nella trappola dell’altalena dei prezzi, non cedo al mercato e investo di nuovo su me stesso e metto su una cantina, semplice ma efficiente. L’uva me la lavoro da solo e venderò il vino, solo così sarò capace di dare valore al mio prodotto, di selezionare la mia clientela e di fare il prezzo giusto perché io possa rientrare dei costi e guadagnare qualcosa per continuare a fare il contadino e farlo bene.
Prendo coraggio e con questa ricetta rimetto in attività il grande uliveto e ne pianto un altro e l’olio che produco lo vendo da me. Fino ad allora ho fatto tutto da me ma la mia schiena non riesce a stare più al passo con gli impegni e sui miei genitori non posso di certo contare in eterno, hanno già fatto troppo e devo emanciparmi da loro; la soluzione è trovare qualcuno che condiva con me fatiche, gioie e sogni, mi sento pronto ad assumere qualcuno che mi aiuti.
Ma ecco che mia moglie rimane senza lavoro, la soluzione più evidente è quella di lavorare insieme.
Meglio di niente è la sua risposta ma è chiaramente un ripiego! Lei a differenza mia ha un altro sogno, fare quello per cui ha studiato, fare la tecnologa alimentare e già dopo anni di industria per farsi una famiglia ha rinunciato al suo sogno e al suo amato lavoro per un impiego simile in una azienda agricola, una rinuncia in cambio della famiglia. Dopo sette anni altalenati per umore e soddisfazioni è certo che non si possa andare avanti con questo lavoro e allora farai la contadina con me, mi aiuterai con l’agriturismo e con la campagna. Ma ciò non basta, non è facile sposare il sogno di un altro per farselo piacere come se fosse il proprio e di certo la soddisfazione non è piena.
Passano così un paio di anni incerti fino a quando si decide di impiantare un frutteto e di incominciare a produrre confetture; un po’ di industria entra in fattoria. E’ il suo progetto nel mio e questa può essere la strada giusta, la dobbiamo percorrere. La nostra forzata vicinanza oltre ai prevedibili attriti ci fa riflettere sul lavoro e sulla qualità dei nostri prodotti. La «tecnologa» nasce in Trentino e porta con sé la cultura per il cibo buono e sano e il rigore della produzione e delle regole. Io imparo presto e capisco che devo fare un ulteriore passo in avanti, produrremo biologicamente.
L’idea del biologico cambia tutto, la visione è ancora diversa, la produzione è il risultato di un modo diverso di comprendere l’azione umana e facilmente lo sposo, sono disposto a cambiare, a migliorare. Il cambiamento non è certamente frutto del marketing ma nasce dall’idea di produrre per gli altri come si produce per se stessi, nel proprio orto e per i propri figli. Perché adesso entrano nel sogno anche i figli e i loro valori e il loro futuro, non di contadini ma di uomini e donne consapevoli.
Con il biologico arrivano i legumi, i ceci e le lenticchie, produzioni rustiche che ben sopportano il regime biologico e che ci danno un sacco di soddisfazioni. Nessuno nella nostra zona li produce, molti li mangiano ma nessuno ha mai pensato di produrli per il solito principio che nessuno è mai andato dagli agricoltori a chiedere loro di produrli. Ben presto diventiamo produttori seriali di legumi e per ripulirli dalle impurità li portiamo vicino a Viterbo, da un agricoltore che li produce e li rivende.
L’incontro con Claudio è stato anch’esso cruciale. Quando entriamo nel suo laboratorio notiamo subito un piccolo mulino a pietra e tanta farina in giro. Che ci fai con il mulino? Macino la farina, nella stanza affianco produco la pasta e ho i forni, più in là la confeziono. Ecco cosa fare con il grano!!! Non abbiamo mai smesso di coltivarlo ma abbiamo sempre dovuto essere in balia dei mercati e delle varietà richieste, nessuna scelta, nessuna passione. Da allora produciamo pasta da grano duro Senatore Cappelli. Farine di semi integrali macinate a pietra che diventano paste trafilate al bronzo, il tutto in regime biologico e il tutto sempre nel rispetto ideologico che va dal produttore al consumatore o al massimo al dettagliante finale; nessuna speculazione ma rispetto del valore del prodotto e del lavoro mio e degli altri.
Certo è che se guardo al mio passato mi accorgo che oramai da contadino sono inconsciamente diventato imprenditore e ho creato un piccolo circolo virtuoso tra produzione, trasformazione e vendita diretta tra agriturismo e dettaglianti. Sono certo di essere stato molto fortunato e di esserlo ancora perché tutto ciò che ho fatto, errori compresi, mi ha permesso di diventare uomo e di trovare la mia strada. Gli incontri, gli studi, le opportunità presentate e colte hanno fatto il resto. Il mio solo merito è stato quello di voler comunque continuare a inseguire un sogno, una inclinazione, portando sempre la mente al cuore, pensando comunque che era scritto che avrei fatto il contadino e che solo così avrei potuto farlo. Oggi sono ancora qui e posso dire solo dopo circa 15 anni di campagna di essere in fondo diventato quel contadino che volevo essere, si, imprenditore, ma senza pensarci, il profitto non è il fine ma lo strumento che mi permette di portare avanti ancora il mio sogno. Con il mio lavoro e la mia visione riesco ancora a sognare e a divertirmi.
Forse la vittoria è stata seguire una inclinazione, una passione immotivata che rappresenta quanto di più profondo si è. Mi sono emancipato dai miei «investitori» e riesco a mantenere la mia famiglia tanto da poter far sognare i miei figli. A me il lavoro è servito per essere quello che ero in fondo e che non riuscivo da solo a far nascere. Farò l’agricoltore finché sarò vivo perché non conosco più altro modo di vivere in equilibrio. Molti mi dicono: che bello, speriamo che qualcuno dei tuoi figli continui. Io, in cuor mio, non me lo auguro perché questo per me è stato un percorso di vita e non un lavoro. Mi auguro piuttosto che ciò che mi hanno insegnato i miei genitori con il loro esempio possa essermi utile per insegnare ai miei figli a coltivare ed inseguire i propri sogni perché senza la vita non è la stessa. Ah, scusatemi, vedo che non mi sono ancora presentato, io sono Marco de Carolis e il mio sogno si chiama Podere L’Olmaia. Venite a trovarci, penso che vi piacerà.»
Nota a margine
Da quando l’idea – progetto è stata presentata nel corso di Join Maremma Online 2016 altre lampadine si sono accese e altre connessioni si sono create, cosicché il racconto della Maremma del #lavorobenfatto continua, continua, continua. Lo posso dire? A me tutto questo «mi» piace. Un sacco mi piace.
La Maremma del lavoro ben fatto
Robi e la Maremma del #lavorobenfatto
La Maremma del #lavorobenfatto
Fabrizio, nonno Foschino e nonno Foscone
L’EdicolAcustica di Michele
La meraviglia di Tiziano
I formaggi di Angela, 300 pecore e l’omega 3
Basta, ho deciso, voglio fare il contadino!
Alessandro, l’archeologia sperimentale e la Natività di Betlemme
La casa di Anna