Il lavoro ben fatto e i perché di Vincenzina

IL LAVORO BEN FATTO
IL MANIFESTO DEL LAVORO BEN FATTO

Caro Diario, ho pensato di raccontare il lavoro ben fatto a una classe di bambine e bambini dai 7 agli 11 anni. Per farlo mi sono inventato una nipote che (ancora) non ho e lo dato un nome improbabile, se penso ai miei figli impossibile, Vincenzina. Ti invito a leggere i suoi perché e le mie risposte, e a restare in ascolto, che poi Vincenzina ritorna e io con lei.

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2 DICEMBRE 2021

Nonno, perché dici che non esistono lavoro umili? Per esempio, chi fa il muratore non fa un lavoro umile? E chi fa lo spazzino?
Se hai un po’ di pazienza al perché ci arriviamo mia cara Vincenzina, prima ti ricordo, con l’aiuto del vocabolario Treccani, che umile deriva dal latino humĭlis e letteralmente significa poco elevato da terra, basso.
Se questo è vero, come è vero, perchè il lavoro del muratore, o dello spazzino, dovrebbe essere considerato basso? Perché viene pagato meno?, perché a livello sociale è considerato meno importante del lavoro di medico o di architetto? Perché di norma chi fa il muratore o lo spazzino ha studiato di meno di chi fa l’ingegnere o l’avvocato?

Nonno, io ti ho fatto una sola domanda e tu invece di rispondermi me ne fai quattro?
No no Vincenzina, come scoprirai tra qualche anno le mie non sono vere domande, sono domande retoriche, mi servono per dirti che per me, quando parliamo di lavoro, l’unica differenza che conta veramente è tra chi fa bene il proprio lavoro e chi invece no. Un bravo panettiere ci permette di mangiare pane buono e un bravo medico ci cura, un cattivo panettiere ci darà del pane bruciato, o crudo, o cresciuto poco, e un cattivo medico mette a rischio la nostro salute. Che cosa ti dice tutto questo?

Che a fare la differenza è la bravura delle persone non il lavoro che fanno.
Esatto! E aggiungo di più: i danni che può fare un medico o un architetto che non fa bene il proprio lavoro sono molto più gravi di quelli che può fare un panettiere o un muratore. In definitiva, bella di nonno, io sono convinto che tiene ragione lo scrittore Cesare Pavese, che in uno dei suoi bellissimi romanzi, La luna e i falò, fa dire al protagonista che “l’ignorante non dipende dal lavoro che fa, ma da come lo fa”.

Forse ho capito nonno.
Brava! Lo sai che mio padre, il tuo bisnonno, ha fatto per tutta la vita proprio il muratore? Per molti anni proprio come mestiere, poi, dopo che ha cominciato a lavorare nell’Enel, come secondo lavoro. Lui aveva fatto solo le scuole elementari, ma non era ignorante, perché il suo lavoro lo faceva benissimo. E non lo dico io perché sono suo figlio, lo dice un grande scrittore come Pavese.

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24 NOVEMBRE 2021

Nonno, perché quando divento grande devo farmi piacere il mio lavoro, e farlo bene, in qualunque condizione e situazione, a prescindere, come dici sempre tu?
Vincenzina, per due tipi di ragioni, una empirica, cioè basata sull’esperienza, sulla pratica, e una etica, morale, basata dunque sui valori, sulle cose in cui crediamo.
Dal punto di vista pratico, se ci pensi, il perché è facile: se facciamo un lavoro che non ci piace è perché non abbiamo alternative. Se potessimo non lavorare lo faremmo, e se potessimo fare un lavoro che ci piace lo cambieremmo.
Ti faccio un esempio concreto, c’è un mio amico che si lamenta spesso del suo lavoro, però quando gli chiedo se può fare a meno di lavorare mi risponde “no”, e lo stesso “no” mi dice quando gli chiedo se ha la possibilità di fare un lavoro migliore, più bello, che gli piace di più, meglio pagato. Se questa è la situazione, fare bene il proprio lavoro, farlo con impegno e dedizione, è l’unica scelta che ti può dare soddisfazione, nel caso del mio amico darà più senso alle sue giornate in fabbrica e sarà meno insodisfatto quando torna a casa.

Nonno, però così è brutto!
Bella di nonno non è brutto, è la realtà. E bada bene che non sto dicendo che bisogna accettarla passivamente questa realtà, al contrario, ogni persona ha il diritto di cercare un lavoro migliore, e anche di organizzarsi per vedere rispettata la sua dignità e riconosciute le sue capacità, ma mentre tutto questo accade l’unica scelta vincente è fare bene quello che deve fare, e qui vengo al secondo aspetto della questione, quello etico, morale, basato sui valori.
Vedi Vincenzina, facendo bene il nostro lavoro diamo valore al nostro lavoro e a quello degli altri, rispettiamo noi stessi e gli altri, non solo quelli che lavorano con noi ma anche quelli che utilizzeranno il prodotto o il servizio che con il nostro lavoro contribuiamo a realizzare, sia esso una bottiglia, un ponte, una raccomandata, una app di quelle che usi sul telefonino o quant’altro.
L’esempio migliore che conosco a questo proposito è quello di Lorenzo Perrone, il muratore che ad Auschwitz salva la vita allo scrittore Primo Levi, che, nonostante odiasse tutto quello che era tedesco, se i tedeschi gli chiedevano di fare un muro lo tirava su forte e dritto.

Nonno, questa cosa non la capisco, ma perché Lorenzo faceva così?
Perché non lo faceva per i tedeschi, lo faceva per se stesso, per la sua dignità di uomo, per la sua dignità di mastro muratore, perché nel campo di concentramento in cui era rinchiuso era l’unica possibilità che aveva di essere e di sentirsi umano. Detto ciò, ribadisco che di fronte all’ingiustizia abbiamo non solo il diritto ma anche il dovere di ribellarci; ma se non abbiamo altra possibilità che fare quella cosa che ci viene chiesta, per noi stessi e per i valori nei quali crediamo l’unica scelta che ha senso è farla bene.

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