La pittura di Marino Iotti, l’arte, la musica e la montagna

Caro Diario, Marino Iotti l’ho conosciuto nel 2012 a Reggio Emilia, grazie al mitico Giovanni Trisolini che, come ho raccontato ne Il lavoro ben fatto, nella mia vita di persone belle ne ha portate tante.
Tra me e Marino è stata simpatia e amicizia a prima vista, quando nel 2013 stavo per pubblicare Testa, Mani e Cuore gli ho chiesto la foto di un suo bellissimo dipinto per la copertina, e lui ha acconsentito senza difficoltà.

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L’anno successivo è stato uno dei protagonisti della Prima Edizione Nazionale de La Notte del Lavoro Narrato a Reggio Emilia, Alessio Strazzullo gli fece una bella intervista, Paesaggi di pittura, la puoi vedere qui.
Bellissimi ricordi insomma, fino a qualche giorno fa, quando sui social ho visto una locandina che mi è piaciuta un sacco, dalla locandina al dipinto ci ho messo un attimo, mi ha preso dentro, nonostante non siano i miei colori, l’ho fatta vedere a Cinzia, che ha sorriso e ha detto “è fantastico”. È stato lì che mi sono ricordato che io a Marino non l’ho mai raccontato, e ho pensato di farlo, anzi di chiedere a lui di farlo, e adesso sono troppo contento che tutto questo sia accaduto. Bupna lettura.

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Caro Vincenzo, sono nato a Reggio Emilia nel 1954 da mamma casalinga di origine contadina e papà impiegato di origine operaia, un ex partigiano che a 20 anni perde un braccio in un pastificio, (al cambio di turno non si era presentato il suo collega quindi ha dovuto fare 16 ore consecutive). Mio padre per me  è stato un vero modello di vita, non si è mai perso d’animo e ha comunque sempre lavorato e mantenuto la famiglia con grande dignità.
Ho un fratello più vecchio di me di un anno, di indole solitaria vive in una casa nell’Appennino.
Sono sposato da 42 anni con Silvana e ho una figlia, Giulia, che a suo tempo credo tu abbia conosciuto.

Nella mia vita ho sempre lavorato,  fin da ragazzo, facendo veramente di tutto. Se dovessi elencare tutti i miei lavori farei una lista lunghissima: cameriere, barista, operaio, impiegato, garzone di pasticceria, venditore di enciclopedie, commesso in negozio, grafico, insomma di tutto, di più.
Dopo le scuole medie, anche se avevo come orientamento l’Istituto d’Arte,  mi sono iscritto a un Istituto Alberghiero a Salsomaggiore Terme, mi sarebbe piaciuto lavorare su una nave, ma presto mi sono dovuto ricredere; una scuola molto dura e compagni poco “simpatici” mi hanno fatto desistere, così sono tornato a Reggio e mi sono iscritto a un Istituto Commerciale.

Dopo le superiori ho fatto per molti anni l’impiegato, ma è stato un periodo sofferto, non mi piaceva, così pur di cambiare lavoro mi sono improvvisato grafico in una azienda di alta fedeltà per auto. Ricordo che al colloquio per l’assunzione mi avevano chiesto “cosa sai fare come grafico” e alla mia risposta, “nulla”, mi hanno assunto. Ancora oggi non so dire se hanno premiato il mio coraggio o la mia disperazione.
Siamo ai primi anni 80, era il periodo di transizione tra la grafica manuale e i primi  computer Apple, è stata dura imparare la tecnica di stampa, la fotolito, la fotocomposizione, poi con l’avvento della grafica computerizzata sono sparite in pochi anni professionalità di grandissimo valore.
Negli anni successivi ho lavorato, sempre come grafico, prima in una  litografia poi da un editore, fino a che a 40 anni non ho aperto una mia agenzia di pubblicità.
Durante tutti questi anni mi sono sempre dedicato alla pittura, chiaramente nel tempo libero, ma in modo molto costante, cioè quasi  tutte le sere mi ritiravo nel mio studio a dipingere, sempre con grande impegno e passione.
Nei primi anni 70 avevo frequentato una scuola di pittura a Reggio Emilia tenuto da un anziano professore, pittore e scenografo, dove ho imparato l’ABC del mestiere, cose come il disegno e la prospettiva colore. Dopodichè la mia formazione è stata da autodidatta, non ho frequentato l’Accademia, e ti devo dire che non sono pentito, penso di essere stato più libero, meno condizionato nella ricerca della mia personale via artistica.
Ricordo con affetto la mia prima piccola mostra in un Circolo Sociale di Reggio con un altro pittore per diletto, l’emozione che provai nel vedere stampato il mio nome su una misera locandina è ancora impressa nella mia memoria. Mi rivedo di ritorno dalla tipografia in bicicletta “sparato” a casa per mostrare ai miei genitori il foglietto della mostra.

Essere pittore è sempre stato il mio sogno, il più grande desiderio della mia vita, così dopo 10 anni come art director sono riuscito a dedicarmi solamente alla pittura, uscendo dall’agenzia pubblicitaria che avevo creato.
Erano i primi anni 90 e la mia è stata una scelta sofferta e anche coraggiosa, lasciare un impegno sicuro e ben retribuito per l’incognita del lavoro artistico non è stato facile, ma oggi posso dire che sono contento della mia scelta.
Vedi Vincenzo, la soddisfazione che si prova vivendo della propria passione è indescrivibile, quando non vedi l’ora di alzarti al mattino per andare in studio il lavoro diventa gioia e dentro di te senti che hai tutto, che non ti manca niente.
Proprio così, il lavoro, perchè contrariamente a quanto si pensa di solito il lavoro dell’artista è fatto prima di tutto di impegno fisico oltre che mentale. Fammi spendere qualche parola per sfatare il luogo comune dell’artista che di notte viene colto dal raptus creativo, si alza e dipinge il capolavoro. Queste sono sciocchezze, caricature, baggianate per non dire altro. Gli ingredienti necessari sono la costanza, la determinazione e la passione, è dalla pratica quotidiana dell’arte che nasce il vero lavoro artistico. Come diceva Edison, l’uno per cento è ispirazione e il novantanove traspirazione, sudore.
A differenza di altri tipi di altre arti, come la musica, il teatro o la danza, il pittore produce la sua arte in perfetta solitudine, ci vuole grande determinazione ad affrontare le difficoltà che inevitabilmente emergono durante il lavoro, l’alternanza di periodi di grande depressione se manca l’ispirazione e di momenti esaltanti quando vedi il lavoro che ti soddisfa pienamente, fino al momento dell’esposizione al pubblico, della mostra, dell’appuntamento decisivo.
Poi c’è il mercato, io personalmente collaboro con molte gallerie ma senza vincoli e contratti di sorta che, se da un lato garantirebbero una sicura entrata, dall’altra condizionerebbero molto la mia produzione artistica. Voglio essere completamente libero di esprimermi come meglio credo e di fare ricerca senza che qualcuno intervenga condizionandomi.
La vendita dell’opera è un momento importante non solo per la necessità di sostenersi ma anche, sopratutto, per il riconoscimento che il tuo lavoro piace e che ci sono persone che hanno la sensibilità di apprezzarlo. Quando porto in casa d’altri i miei quadri è come se lasciassi una parte di me, come se queste persone, guardando il mio lavoro, dialogassero con me, quotidianamente, per anni, e questo è bellissimo. Ci sarebbe parecchio da dire anche sul rapporto con i critici, i collezionisti e i media, che lasciano pochissimo spazio all’arte nei loro palinsesti.

Tra le cose più belle e interessanti che ho fatto nella mia lunga attività, e che tutt’ora faccio, ci sono i laboratori con i bambini delle scuole materne, con i malati mentali e con i detenuti in carcere. Mi hanno fatto capire che l’istinto di creare nasce con noi, che l’arte è una grande cura per chi è in difficoltà e vedere gente che sconta l’ergastolo impegnarsi per dipingere i mazzolini di fiori di plastica è commovente. La bellezza salverà il mondo? Forse.
Altre due grandi passioni che ho sono la musica, mia fonte ispiratrice, e la montagna, che frequento da quando ero ragazzo. Arte, musica e montagna, tre mondi di grande spiritualità.
Tutte e tre queste passioni hanno in comune qualcosa di inspiegabile, di trascendente. Camminare nel silenzio dei boschi o raggiungere una cima, solo per la pura bellezza, senza altri fini è esattamente come la musica e l’arte.

Infine tra le cose che sopporto poco ci sono la musica alta nei locali pubblici, le televisioni accese nei ristoranti, i droni sulle vette delle montagne e i soffioni a motore per spostare le foglie, tanto per citarne alcune. Tra quelle che non sopporto per niente ci sono i negazionisti di tutti i tipi, i razzisti e similari.

Ecco caro Vincenzo, questo è un poco di me, spero che questo piccolo racconto ti piaccia e spero anche che si crei presto un’occasione per rivederci.

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