Caro Diario, rieccomi con i miei racconti citati che poi non sono miei però mi piacciono tanto. Come hanno già fatto Silva, Carlo, Laura e Simone, Letizia Salomone racconta se stessa a partire dalle otto citazioni che le ho proprosto più una nona che ha scelto lei. Che ti devo dire, io mi sono emozionato a leggerla, e quando parla di suo nonna Nicola mi sono anche commosso, ma non so se faccio testo, io ero sentimentale già da ragazzo, figuriamoci adesso che tengo 65 anni.
Buona lettura amico mio, e dedica un minuto alle foto, fanno parte anche loro del racconto.
1. Pablo Neruda, Siam Molti
Di tanti uomini che sono, che siamo, non posso trovare nessuno: mi si perdono sotto il vestito, sono andati in altre città.
Questa è una di quelle frasi che, nel momento stesso in cui la leggi, ti si crea nella mente un’immagine viva, fatta soprattutto di percezioni, d’ispirazione. Un’immagine che parla d’altri ma forse, se guardi meglio, parla anche un po’ di te. E allora, lasci che la tua mente vaghi, che segua il percorso di pezzi di te; di quelli andati, sfuggiti al tuo controllo e di quelli rimasti lì accanto. Pezzi di un unico incastro.
Mi chiamo Letizia. Porto questo nome perché era quello di mia nonna. Una donna minuta, gentile e forte, che ha accompagnato la mia crescita tenendomi letteralmente per mano. Sono cresciuta seguendo i suoi passi, accarezzata e cullata dalle sue mani.
Quel nome affidatomi nella culla, è diventato parte di me; quel vestito che indossi e che calza alla perfezione; quello che combacia perfettamente con la tua anima, permettendoti di osservarti allo specchio senza vedere nessuna macchia.
Qualcuno potrebbe dire, è solo un nome. E invece no, non è solo un nome. E’ qualcosa di più. Quel nome è emozione, amore, sorrisi e lacrime, forza, rabbia, fragilità e mille altre sfumature ancora.
E poi c’è la vita, quella che percorri da sempre, che affronti o schivi a fasi alterne, lasciando andare pezzi di te e conservandone altri che andranno a colmare tasselli importanti del tuo essere donna.
E dentro questa vita ci sono io. Sono una e sono tante. Sono quel che governo e quel che sfugge al mio controllo.
E chissà, probabilmente è proprio quel che sfugge a mostrare realmente ciò che sono.
Raccontare di sé non è mai semplice, o meglio, non lo è per me. Sono una di quelle persone che ama stare dietro le quinte, non sotto ai riflettori. Mi piace immaginarmi così, sarà per gli studi che ho fatto, chissà, fatto sta che vedo me stessa su un meraviglioso palcoscenico teatrale, ma dietro, dall’altra parte. Lascio che sia il pubblico, chi osserva dalla platea, a giudicare in qualche modo il mio lavoro, o semplicemente, a lasciarsi catturare da ciò che vede.
Ho lasciato, da sempre, che fossero le mie mani a parlare per me, anche quando da bambina realizzavo i miei disegni e parlavo davvero poco, per tanta timidezza, anche lì, aspettavo che fossero gli altri a dirmi cosa ne pensavano. E non perché non fossi sicura di me o di quello che avevo creato, questo no, era semplicemente un mio bisogno d’ascolto.
Uno scambio.
Ho iniziato da piccola a disegnare. Ho iniziato accanto a mio padre, che come già ti ha raccontato mia sorella, disegnava paesaggi di montagna e baite in prospettiva. Non saprei dirti per quante volte ho provato e riprovato a disegnare quella baita, fatto sta che saprei, ancora adesso realizzarla esattamente come trent’anni fa accanto a lui.
Ho coltivato nel tempo quella passione e non l’ho mai abbandonata. Anche se, a volte la vita, come spesso accade, mi distoglieva da quel percorso, in un modo o nell’altro era lì che tornavo. E devo dire che in questo, i miei genitori mi hanno accompagnata. Sai, sono cresciuta in un clima di totale libertà. Mio padre, anche se severo, ha accompagnato noi figli nel nostro percorso di crescita senza interferire o deviare il nostro cammino. Ha accettato qualsiasi nostra scelta, dandoci sempre libertà di pensiero. Ha creduto in noi, nelle nostre capacità ed oggi, sono convinta che sarebbe contento nel vedermi creare i miei fiori.
Sai quante volte ho visto negli occhi della gente un giudizio negativo per quello che realizzavo? E non perché non fosse bello ciò che vedevano (parlo al passato ma in realtà è ancora così) ma, non era considerato di sostanza, non so come spiegarti. Disegnare sì, ma poi? Cosa vuoi fare del tuo futuro? Ecco, la mia fortuna è stata non avere genitori che fossero chiusi in un mondo ristretto ma che osservassero infinite possibilità.
Io posso solo dirti che, da sempre, ho avuto la sensazione di essere privilegiata, perché ho una passione che muove le mie mani e, comunque andranno le cose sono certa che, avrò sempre un’ancora di salvezza, quella cosa che rimarrà lì e che ritroverò ogni volta che mi volterò a cercarla.
La bellezza sai dove sta? Nel poggiare la testa sul cuscino la sera e immaginare quello che l’indomani vuoi realizzare. Non credi che avere questo sia un privilegio?
2. Cesare Pavese, La luna e i Falò
L’ignorante non si conosce mica dal lavoro che fa, ma da come lo fa.
Mi ricollego a quello che ti dicevo prima e ti dico che credo fermamente che in cima a tutto ci sia la passione che mettiamo in quello che facciamo.
Se ognuno di noi, avesse la possibilità di esprimere al meglio le proprie capacità, in un lavoro che ama e che, quel lavoro, fosse l’esatta interpretazione dei propri desideri, beh, sono certa che avremmo a che fare con pochi esempi di lavori fatti male.
L’ignoranza, a volte, parte proprio da lì, dal non avere passione e consapevolezza per ciò che si sta facendo.
3. Elias Canetti, La tortura delle mosche
Chi ha imparato abbastanza, non ha imparato niente.
È proprio così eppure, è un errore comune che tutti, prima o poi commettiamo, nonostante sappiamo bene che non finiremo mai d’imparare. La vita è in continuo divenire e noi, che quella vita l’abitiamo, non siamo immuni da questo, nel senso che, non possiamo pensare di rimanere fermi nella stessa posizione per sempre. Ci evolviamo di pari passo con il mondo che abbiamo accanto, dunque anche il nostro sapere, è in continua evoluzione. Oggi, ci rapportiamo in un modo completamente diverso rispetto a dieci anni fa e sarà così per il futuro che verrà. La nostra capacità sarà proprio nel tenere gli occhi vivi sul mondo; sarà nel meravigliarci, e nell’avere quella sana curiosità di comprendere tutto ciò che ci circonda. Non essere dormienti ma persone vive insomma.
4. Manifesto del Lavoro Ben Fatto, Articolo 3
Ciò che va quasi bene, non va bene.
Quando da piccola disegnavo, cercavo di riprodurre fedelmente qualcosa che avevo davanti. Non importava cosa fosse, se un paesaggio, un viso o un’opera scultorea, l’importante per me era raggiungere la perfezione. Sono cresciuta così, provando e riprovando e, anche a lavoro finito, non aver mai la sensazione di averla raggiunta. Ancora adesso, quando realizzo i miei fiori di carta, non sono mai totalmente soddisfatta e, questo mi dà la possibilità di provare ancora, di studiare ancora e ancora.
Non ho mai fatto qualcosa che ai miei occhi andasse “quasi bene”. Ma questo è un discorso ben più ampio e che, a mio avviso, non vale solo per il lavoro, ma vale per la vita.
Qual è il senso, mi chiedo, di fare qualcosa che non soddisfa pienamente le nostre aspettative? Quel “va quasi bene” come può darci la spinta giusta per proseguire?
E torniamo alla passione, all’amore che metti in ciò che fai. Perché sono convinta parta tutto da lì. Qualsiasi cosa facciamo, fatta con amore, sarà vicina alla perfezione.
5. Thomas A. Edison, Aforismi
Il genio è l’uno per cento ispirazione, il novantanove per cento sudore.
Non si può pensare di poter fare un buon lavoro senza metterci impegno, passione e sudore. L’ispirazione è quella luce che ti guida, che deve esserci per avere la possibilità di creare qualcosa di diverso, ma l’impegno quotidiano è la cosa fondamentale, è ciò che deve guidarti nel cammino per approdare poi, a quel lavoro ben fatto di cui parliamo.
Per quanto riguarda me, posso dirti che sto mettendo tutta me stessa, quotidianamente, nella realizzazione del futuro che ho in mente. E per farlo ho bisogno di tempo, impegno e sudore quotidiano. Ho bisogno di aggrapparmi anche al più piccolo secondo della giornata pur di aggiungere, tassello dopo tassello, pezzi importanti di quella che sarà poi la base dalla quale poter partire. Mi permetto di aggiungere una cosa. Quel sudore, per noi donne, vale ancora di più. E’ un sudore pieno di coraggio, di forza, di tenacia, di lotta, di amore, di speranza, di rispetto, di libertà.
6. Walter Isaacson, Steve Jobs
[…] Suo padre gli aveva inculcato un concetto che gli era rimasto impresso: era importante costruire bene la parte posteriore di armadi e steccati, anche se rimaneva nascosta e nessuna la vedeva. Gli piaceva fare le cose bene. Si premurava di fare bene anche le parti che non erano visibili a nessuno.
Sorrido leggendo queste parole perché ho sempre lavorato pensando allo stesso modo. Qualsiasi cosa io realizzi, deve avvicinarsi quanto più possibile alla perfezione. Non importa quello che si vede e ciò che invece rimane nascosto, la bellezza sta nei dettagli.
Penso a quando creavo modellini in scala per il corso di scenografia, disegnandone prima i bozzetti; beh, anche in quelli quindi, prima ancora della realizzazione, pensavo al retro, ossia, ai dettagli che non potevano essere visti. Credo che, se vogliamo realizzare qualcosa di bello, qualcosa che abbia un’anima, dobbiamo lavorare pensando alla totalità, non soffermandoci solo su ciò che vediamo, ma anche e soprattutto su ciò che non vediamo. Non so se sono riuscita a spiegarmi. E’ come quando leggiamo un buon libro. Dove sta la magia? Proprio nel non detto. In ciò che si cela dietro.
Posso farti un altro esempio. Durante il periodo natalizio realizzo presepi in polistirene. Lo faceva mio padre, ed io ho continuato a farlo seguendo però una tecnica diversa. Insomma, lui esattamente come me lavorava sui dettagli. Con minuzia e pazienza era lì a mettere in piedi una scena che fosse completa. Anche negli interni, anche sul retro.
Posso farti un esempio ancora. E qui, ti parlo dell’oggi, del mio presente. I fiori che realizzo, e tu lo sai bene, sono studiati nei dettagli, perché se voglio avvicinarmi quanto più possibile al reale, devo essere attenta anche al più piccolo particolare, anche se non è visibile agli occhi di chi guarda, perché nel lavoro finito, quel dettaglio, farà la differenza.
Questo per me è un lavoro ben fatto.
7. Philip Roth, Perché Scrivere
Primo Levi: Ad Auschwitz ho notato spesso un fenomeno curioso: il bisogno del lavoro ben fatto è talmente radicato da spingere a far bene anche il lavoro imposto, schiavistico. Il muratore italiano che mi ha salvato la vita, portandomi cibo di nascosto per sei mesi, detestava i tedeschi, il loro cibo, la loro lingua, la loro guerra; ma quando lo mettevano a tirar su muri, li faceva dritti e solidi, non per obbedienza ma per dignità professionale
Questa domanda è quella che più di tutte mi emoziona perché conosco da vicino quella storia. Perché è la storia di tanti, di milioni di persone passate attraverso campi di lavoro e morte. Perché è la storia di mio nonno. Te la racconto con un peso sul cuore ma con la consapevolezza di aver donato luce ad ogni minuto che mio nonno passò nel buio di quei campi.
Mio nonno, Nicola, aveva tenuto la sua storia per se, non raccontandola a nessuno. La sua famiglia non ne conosceva i dettagli. Solo un nome, Hannover, ed un profondo odio per tutto ciò che gli ricordava la Germania. Due anni fa, decisi che era arrivato il momento di capire. Com’era stato possibile? Come era arrivato in un campo di concentramento? Perché era stato catturato?
Dopo mesi di ricerche, e di dolore profondo per una storia che nonno aveva portato via con sè, sono riuscita a risalire a documenti e lavorato ad incastri che hanno trovato la giusta collocazione. Oggi conosco la sua storia, e quella di tanti altri italiani che, esattamente come lui, furono deportati e utilizzati come forza lavoro in campi di morte.
Mio nonno venne catturato il 07 ottobre 1943 a Roma dalle truppe tedesche, ed insieme ad altri duemila carabinieri, caricato su treni merce e deportato nei campi di concentramento tedeschi. Visse per lungo tempo ad Hannover, o meglio, mi correggo, sopravvisse, in uno dei vari campi di Hannover, sottocampi a loro volta di un campo ben più grande, quello di Neuengamme. Scrivo questo particolare perché credo che ai più, sfugga questo dettaglio. Almeno a me era sfuggito, non so se per ignoranza personale o per una errata spiegazione, alla quale noi tutti siamo abituati, fatto sta che ho scoperto una miriade di campi e sottocampi, sfuggiti totalmente alle mie conoscenze.
Dopo un incrocio di dettagli sono risalita al nome del campo di deportazione: Hannover-Ahlem. E qui, mi ricollego a quanto scritto da Primo Levi, parlando di lavoro e dignità. Beh, mio nonno lavorava sottoterra per la Continental gummiwerke AG. Sformava pneumatici. Questo piccolo particolare mi ha permesso di capire in quale campo si trovasse con esattezza. Pensa, si era tenuto tutto dentro per anni finché un suo giovane amico, molti anni dopo, gli chiese come fosse arrivato in Germania e lui gli parlò del viaggio, dell’arrivo, del filo spinato, dei cani, delle SS, delle violenze, del freddo, del cambio d’abiti, della matricola, della morte di un suo amico. E poi gli parlò del lavoro, di ciò che faceva e delle sensazioni che provava. Pensa, usò queste parole: Nun biria mai né luna né suli, ossia, Non vedevo mai né luna né sole. Questo perché aveva dei turni di lavoro sotterranei e, saliva in superficie, nella sua baracca, solo per riposare. E quella baracca aveva piccole aperture per finestre, e quelle aperture avevano le grate di ferro, e quelle grate di ferro non gli permettevano di vedere alcunché. Visse così per un anno e mezzo, finchè, il 10 aprile 1945, non arrivarono le truppe americane a liberarlo.
È difficile raccontare, è difficile poter comprendere, ma è doveroso farlo.
Ti chiedo la possibilità di ringraziare da qui, dal tuo blog, le persone che mi hanno aiutata e sottolineare una cosa. Ho contattato archivi italiani, tedeschi e statunitensi e, tutti loro, mi hanno aiutata. Posso dirti una cosa, l’umiltà, la delicatezza, la gentilezza che, tutte queste persone, mi hanno dimostrato, è qualcosa che mi ha toccato nel profondo. E non so nemmeno spiegarlo a parole, ecco perché posso solo dire grazie a tutti loro.
8. Luca e Vincenzo Moretti, Il lavoro ben fatto
Una vita senza lavoro è una vita senza significato, pure se tieni i soldi.
Mettendo insieme ciò che ho detto fin qui, riassumerei il tutto dicendoti che la Vita ha senso se la viviamo pienamente, con passione, con amore, con rispetto, lealtà, libertà, coraggio, forza, curiosità. Mettendo tutto questo in ogni momento del nostro vivere quotidiano, ed il lavoro né è ovviamente parte integrante, beh, sono certa che vivremmo tutti molto meglio e in un mondo molto più accogliente di quello che abbiamo oggi.
9. Ermanno Olmi, Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico
“Ascoltai per la prima volta questa frase il venticinque maggio 2007; proveniva dallo schermo televisivo e a pronunciarla era qualcuno che, in quel momento, conoscevo poco o niente. Mi ero soffermata ad ascoltare le sue parole, semplici, profonde e in grado di mostrarti, anche solo per pochi secondi, delle immagini sopite ormai nella nostra mente e, inesistenti nel nostro quotidiano. Osservavo il suo parlare piano; ogni sua parola era frutto di un pensiero nato per arrivare e penetrare nell’animo di ciascun individuo fosse lì, in quel momento, ad accoglierlo. […] Quella frase ormai faceva parte di me; mi tornava spesso in mente e si faceva avanti ogni qual volta mi rifugiavo in un libro, forse per vivere la vita attraverso gli occhi di qualcun altro e trovare la chiave che potesse permettermi di giungere a quella serenità tanto cercata. Ma il tempo e la vita stessa, ti permettono poi di capire che la serenità può sgorgare soltanto da noi stessi nel momento in cui si vive in un’armonia totale. Oggi sono fermamente convinta che nessun libro
potrà mai donare il calore di una carezza, la profondità di uno sguardo, la dolce carezza di una mano solcata dal trascorrere del tempo.”
Da la Prefazione della mia tesi di laurea: Centochiodi. Il senso della vita di Cristo nel nostro tempo raccontato dal maestro Ermanno Olmi.
Vedi Vincenzo, gli anni universitari sono stati importanti per la mia crescita personale. Lì, ho potuto studiare per la prima volta quello che davvero era di mio interesse, ed è stato come respirare a pieni polmoni. Ero così tanto concentrata su quello che stavo facendo, su bozzetti, costumi, prospettive, tragedie greche, cinema, teatro, arte, da non rendermi conto che intorno la vita scorreva e che forse, avrei potuto distogliere anche solo per un attimo lo sguardo e ammirare quel che avevo intorno. Le poche volte che lo facevo, distogliere lo sguardo dall’università intendo, mi rifugiavo in libreria, e lì mi sentivo a casa.
Ecco allora che entrò in gioco quella frase. Fu come aprire gli occhi su un mondo che mi era estraneo e da lì, compresi che potevo vivere meglio i miei anni senza per questo, rinunciare allo studio e alle mie passioni.
Da quella frase partì la mia tesi e il lavoro che ne tirai fuori. Posso oggi affermare che fu un lavoro ben fatto perché la scrissi con tutta la passione che avevo per quelle immagini e per l’essenza stessa del film. Quando portai al Prof. Socci le prime pagine, dopo averle lette mi disse di essere stupito dal mio lavoro, perché era la prima volta che leggeva una tesi scritta in quel modo. Non chiesi dettagli, mi presi le sue parole e ne feci tesoro pensando che, tutto lo studio e il lavoro che c’erano stati dietro, erano arrivati a lui con chiarezza.
Vincenzo, ti assicuro che quella tesi la scrissi con amore perché il cinema è emozione e quel film, quel regista, a me, ne avevano passata tanta.