Il lavoro ben fatto di Assunta e il libro raccontato a Sorrento

I contenuti aggiuntivi del libro
Le note a margine
Le recensioni
Acquista il libro su Amazon

Caro Diario, questo è il racconto del lavoro ben fatto di Assunta Vanacore e della presentazione di Il lavoro ben fatto. Che cos’è, come si fa e perché può cambiare il mondo a Sorrento, proprio come dice il titolo. Ti consiglio di leggere dal principio, perché è anche il racconto della determinazione di una giovane donna e, credimi, pure tu e io abbiamo molto da imparare.

Giovedì 1 Ottobre. Notte
Adda passà ‘a nuttata. La battuta pronunciata da Gennaro Jovine – Eduardo De Filippo alla fine di Napoli Milionaria è il mio mantra per tutta la notte. Potrei addurre motivi di privacy amico mio, in realtà non ha senso che mi metto a raccontare in pubblico i miei problemi fisici, perciò mi fermo qui.

Venerdì 2 Ottobre. Mattino
Scrivo ad Assunta che bisogna annullare la presentazione del libro il giorno dopo a Sorrento. Sono costernato, mi dispiace assai, la settimana prima l’abbiamo rimandata per il maltempo, adesso la dobbiamo annullare, sarebbe stata la prima presentazione dal vivo, mi sembra quasi una maledizione.
Nonostante l’ora mattutina, Assunta arriva poco dopo, mi scrive che non se ne parla, che la presentazione si farà, che proporrà alla Fondazione Sorrento di allestire un collegamento con grande schermo in maniera tale che io possa essere presente da remoto.
In un altro momento avrei fatto salti di gioia, ma la nottataccia che ho alle spalle mi rende scontroso, avrei voglia soltanto di non pensarci più, Assunta se ne accorge e a un certo punto si arrabbia, non è che mi metto paura però capisco che ha ragione e divento più collaborativo. Ci salutiamo con l’impegno a risentirci nel pomeriggio per le conferme del caso.

Venerdì 2 Ottobre. Pomeriggio
Assunta Vanacore return. Il collegamento si farà, devo mettermi in contatto con Sabatino Calabrese, tecnico incaricato a gestire il collegamento, se ti dicessi che faccio salti di gioia sarei bugiardo caro Diario, non sto neanche in condizione, ma una volta che una cosa devi farla conviene farla bene, vale anche per me, così chiamo il tecnico, che si dimostra da subito cortese e disponibile, dopo una serie di “questo è incompatibile” e di “questo non lo uso”, sempre da parte mia, decidiamo di collegarci con Hangouts e ci diamo appuntamento per il giorno dopo un’ora prima dell’inizio, prevista alle 19:00, per fare una prova.

Venerdì 2 Ottobre. Sera
In chat con Assunta decidiamo come procediamo, bisogna avvertire le persone invitate che non sarò di persona a Sorrento, mi prendo la responsabilità di dire una bugia, credo legittima, parlerò di problemi logistici, come ti ho detto non me la sento di parlare dei malanni fisici che da qualche anno mi perseguitano.
Alla tredicesima chat Assunta mi dice che sarebbe carino che io facessi un video per scusarmi e per dare appuntamento agli invitati al pomeriggio, prima le dico no e poi si, te l’ho detto, è una locomotiva.

Sabato 3 Ottobre. Mattino
Faccio il video, lo carico sulla pagina del libro su Youtube e passo il link ad Assunta per pubblicarlo sulla pagina dell’evento. Comincio parafrasando don Abbondio, della serie “questa presentazione dal vivo non s’ha da fare”, ricordo che sarebbe stata la prima dal vivo ma settimana scorsa il maltempo e questa settimana i miei problemi lo hanno impedito e aggiungo il mio ringraziamento sincero ad Assunta, alla Fondazione Sorrento e agli altri organizzatori, a Sabatino Calabrese e a Marcello Aversa, mio partner nell’iniziativa, comunque se vuoi dargli un’occhiata lo trovi qui.
Assunta fa quello che deve fare, mi rassicura sul fatto che stasera andrà tutto benone – ma dove la trova tutta questa forza? – e mi dà appuntamento al pomeriggio.

Sabato 3 Ottobre. Pomeriggio
Dopo un po’ di peripezie le prove, a Villa Fiorentino c’è molto vento, Sabatino mi dice che non è certo di poter assicurare il collegamento video, decidiamo che nel caso sarò presente in audio con un breve intervento all’inizio, passo a Sabatino il link al video i 5 passi del lavoro ben fatto, magari faranno vedere quello. L’unica che continua a ripetere che andrà tutto bene e che il collegamento video funzionerà è Assunta, comincio a pensare che lo dice per farsi coraggio.

Sabato 3 Ottobre. Sera
Ore 19:00 in punto, aveva ragione Assunta, il collegamento video funziona. In attesa dell’inizio hanno anche fatto vedere i 5 passi, sono contento, il video è bello, rende bene l’idea, e poi è una parte del mio intervento che posso evitare di ripetere.

A fare gli onori di casa c’è l’avvocato Gaetano Milano, Amministratore Delegato della Fondazione Sorrento, che ha il pregio in pochi minuti di inquadrare due aspetti essenziali del libro, il senso del lavoro ben fatto, e la necessità di definire un contesto atto al suo sviluppo, il bisogno di cambiare paradigma, dopo di che passa la parola ad Assunta, taglio le parti che ha letto, tanto stanno nel libro.

Nella frase che apre il libro si legge: “È il calore che metti nelle cose che fai che fa la differenza”. Questa frase è di Renato Della Corte, a cui è dedicato il libro, del quale Luca alla fine del primo capitolo dice “mi ha sempre incoraggiato a essere la migliore versione di me stesso”. Penso che ognuno di noi dovrebbe avere un Renato nella propria vita. Se è vero che Vincenzo è il papà della filosofia del lavoro ben fatto, che ha inculcato a Luca, Renato per Luca ne è l’esempio più vivo.
La frase di Renato è anche il mio pensiero. In quello che faccio, non solo nel lavoro, provo a mettere “calore”, che per me vuol dire “passione” o meglio ancora “cuore”. Perché le cose fatte col cuore vengono meglio.
Leggendo il libro mi sono convinta del fatto che avrebbero potuto scriverlo tutti. Con questo non voglio assolutamente sminuire il lavoro di Luca e Vincenzo, ma intendo dire che ogni lettore inevitabilmente si immedesima nelle storie raccontate da loro, sente come propri i pensieri espressi dagli autori.
Il lavoro ben fatto è il libro di tutti, il libro che racconta un pezzo di vita di ognuno di noi.
Per quanto mi riguarda la parte che sento più mia è quella sul futuro: “Nel futuro che vorrei …”
In questo futuro io da storica dell’arte troverei una giusta collocazione, quella che ti dà le vere soddisfazioni, quelle di cui si parla spesso nel libro, quelle che in questo presente non riesco ad avere. Oggi, il bagaglio di conoscenze che ho acquisito nel tempo non si è trasformato in un lavoro, ma solo in interessi e passioni. Non è poco, ma non basta.
Riguardo al passato, invece, Vincenzo ricorda: “Ci si riconosceva dal nome di battesimo…”. Questo mi fa pensare a mio nonno materno: Francesco ” ‘o carcarar “, detto così perché lavorava nella fabbrica di cemento a Castellammare di Stabia, un lavoro che ha fatto per tutta la sua vita. E allora mia nonna era la moglie di Francesco ‘o carcarar, i miei zii, i figli e io la nipote di Francesco ‘o carcarar.
Il lavoro era identità e motivo di orgoglio, oggi non è così o almeno non lo è per tutti. Per me non lo è ancora. Fortunatamente per qualcuno sì, per esempio per Marcello Aversa. Prima che lo conoscessi, per me lui era “quello che fa i presepi in terracotta, pure piccoli piccoli che entrano in un’unghia”. Questo è uno dei motivi per cui ho insistito che partecipasse alla presentazione del libro e anche perché la sua storia ha molti punti di contatto con quelle raccontate da Vincenzo e Luca. Sì, Marcello ci starebbe davvero bene nel libro!

Dopo Assunta, Marcello, eccolo, anche per lui ho fatto qualche taglio, ma tanto prima o poi ci ritorno su di lui, e lo racconto:
Voglio partire da una pensiero che si trova verso la metà del libro: “L’auspicio, la scommessa, è riuscire non solo a collegare il lavoro della bottega ad argomenti condivisi ma anche a farlo in un contesto sufficientemente ampio e libero, in modo da mettere chiunque nella condizione di partecipare senza doversi chiedere se è, oppure no, all’altezza”. Ciò mi da il coraggio per affrontare senza ansie questa serata, sperando di esserne all’altezza.
Quando Assunta mi ha invitato a questa presentazione, le ho sorriso, quasi a dire “ma che stai dicendo”, ma lei conoscendomi, mi ha invitato a leggere il libro e poi a riparlarne. E quando Assunta ti chiede una cosa, lo fa con una gentilezza e un suo modo di fare al quale non puoi dire no, così ho iniziato a leggere il testo. Devo dire che mi ha preso già dalle prime pagine, perché sembrava rispecchiare tanti dei miei pensieri e delle mie idee.
Per esempio questo: Una vita senza lavoro è una vita senza significato, pure se tieni i soldi. Il lavoro è insieme la nostra dignità e il nostro destino, identità e destino che si manifestano con tutta la loro forza ogni qualvolta riusciamo a mettere, nelle cose che facciamo, la testa (il sapere), le mani (il saper fare) e il cuore (l’amore per quello che facciamo). Le cose hanno veramente senso solo se le facciamo bene.
Fino ad imbattermi nella storia di Domenico Rosso, il laureato che per passione abbandona il suo lavoro “sicuro” e diventa panettiere. Questa storia rispecchia in pieno la mia. Infatti, anche se non laureato, ma semplicemente diplomato in ragioneria, 25 anni fa, da titolare di una fornace nella quale dal 1400, in un piccolo borgo di sant’Agnello, quello di Maiano, si producono laterizi per forno, ho intrapreso una nuova strada, quella del ceramista, tra lo stupore e se posso dire la rabbia di mia madre e dei miei fratelli, visto che ero uno dei pochi giovani che avrebbe potuto portare avanti la tradizione familiare. Ma la passione del modellare la creta era diventata troppo forte ed io non potevo più trattenerla, così ho seguito il mio istinto e mi è andata bene, soprattutto oggi faccio quello che mi rende felice, ma nulla toglie, Padreterno permettendo, che un domani un’altra passione mi renda ancora una volta prigioniero senza catene.
Parlando di vostro padre, scrivete: “mio padre amava dire che la vita è fatta prima di tutto di soddisfazioni … in un mondo dove ogni giorno diventava più evidente il potere dei soldi, l’importanza che dava alle soddisfazioni mi toglieva peso, mi faceva sentire meglio”. Parlate di un padre che raccontava e del sentirsi orgoglioso quando il racconto era rivolto a voi, da contraltare la situazione del nostro tempo, che voi identificate con questo periodo:
“Non abbiamo mai tempo, e non accade solo alla voce lavoro, che pure lì ci sarebbe tanto da dire, vale anche alla voce vita, come per esempio quando ci rendiamo conto che siamo stati genitori troppo indaffarati per avere tempo da dedicare ai nostri figli”.
Ecco un’altra cosa che in un certo senso mi ha proiettato nel libro come se inconsapevolmente mi sentissi, tra virgolette, “il protagonista” o uno dei personaggi. Mio padre, infatti, che purtroppo ho perso troppo presto, a 18 anni, la pensava allo stesso modo del vostro, leggere di Pasquale è stato come leggere di Luigi. Forse proprio grazie alla sua visione rispetto alle soddisfazioni, la mia scelta di cambiamento non è stata poi così dura.
Ricordo che ogni due tre anni, in panifici e pizzerie si doveva cambiare il suolo del forno, sebbene si cercasse di raffreddarlo in tutti i modi nel giorno di chiusura, mettendo pentole con acqua fredda e ghiaccio, la temperatura era così alta che nonostante il sacco bagnato che mio padre aveva sotto, si ustionava tutta la pancia. Però una volta ritornato a casa, nonostante il dolore e il fastidio delle scottature, aveva un sorriso che difficilmente dimenticherò, sorrideva non perché aveva incassato (arrcuovt, come si dice dalle nostre parti), ma perché il proprietario del forno era rimasto più che soddisfatto. […]
In un’altra pagina voi citate un pensiero da un libro di Walter Isaacson: “è importante costruire bene la parte posteriore di armadi e steccati anche se nessuno li vede”.
Questo episodio mi ha riportato al 1984, quando militare a Napoli presso la caserma di corso Malta, mi fu ordinato da Velardi, un tenente palermitano, di ridipingere il corridoio. Tra le risate e gli sfottò dei commilitoni, spostai tutti gli armadi per dipingere dietro e devo dire che feci un lavoro ben fatto. Con grande stupore da parte mia, che ritenevo di aver fatto solo il mio dovere, il tenente dopo aver controllato il lavoro, guardando anche dietro gli armadietti, sicuro che avessi trascurato le zone invisibili, mi diede una licenza premio di 7 giorni. […]
Voglio ringraziarvi del lavoro che state facendo. Per non dimenticare bisogna raccontare, è solo attraverso il racconto che possiamo salvare quel poco d’identità che rimane a questo Paese, perché la memoria va preservata per chi viene dopo. In ciò il lavoro ben fatto aiuta molto ed è con piacere che ne prenderò due copie per regalarle ai miei figli, nella speranza che capiscano la semplicità e la filosofia di questo messaggio.
Finito di leggere il libro, non so per quale motivo mi è venuta in mente una frase di Martin Luther King: “Un uomo chiamato a fare lo spazzino dovrebbe spazzare le strade così come Michelangelo dipingeva, o Beethoven componeva, o Shakespeare scriveva poesie. Egli dovrebbe spazzare le strade così bene al punto che tutti gli ospiti del cielo e della terra si fermerebbero per dire che qui ha vissuto un grande spazzino che faceva bene il suo lavoro”.

Ecco, a questo punto è toccato a me, e qui la posso fare breve assai, perché in buona sostanza ho ripreso il concetto del lavoro ben fatto, quello che avevano già visto nel video, e ho spiegato perché mio padre in realtà è il terzo autore del libro.
Invece a proposito di Marcello ti devo raccontare una cosa particolare assai, nel senso che quando gli ho detto di non darmi il lei ma il tu mi ha risposto che si scusava ma non poteva farlo, per una questione di educazione, al massimo mi poteva dare il voi, e così ha fatto. Non lo so che ne pensi tu amico Diario, ma io queste cose qui le trovo una poesia.

Finito il mio intervento Marcello mi ha fatto tre domande, che aveva concordato con Assunta, tre domande belle e interessanti su chi sono gli eroi di oggi, su come si fa a insegnare la manualità ai bambini, sul futuro delle nostre città in un mondo dominato dalle tecnologie digitali e dagli influencer, ma anche questo te lo racconto a parte appena riesco, risposte comprese, perché questa storia qui rischia di diventare un altro libro.
Dopo le domande e le risposte i saluti, e la mia gioia, che in un post sui social ho raccontato così: “È stata una presentazione meravigliosa. Incredibile. Inaspettata.”, dopo di che i ringraziamenti e i tag.

Domenica 4 Ottobre. Mattina
Scrivo ad Assunta, la ringrazio ancora, le chiedo un po’ di foto per la storia e le dico che ho deciso di scrivere questo post. La leggo contenta, io lo sono più di lei, ci salutiamo con l’impegno a riscriverci per le foto non appena arrivano.

Domenica 4 Ottobre. Pomeriggio
Assunta mi scrive “Vincenzo, mi sono dimenticata di dirti che le 10 copie che mi avevi mandato sono finite tutte, qualcuno si è anche arrabbiato che non ce n’erano più, per favore mandamene altre 10 che abbiamo altre richieste.

Domenica 4 Ottobre. Sera
Caro Diario, sono qui che ho appena finito di scrivere il post e mi sto chiedendo chi è questa giovane storica dell’arte che si chiama Assunta Vanacore. Certo, io avevo modo di apprezzarne il valore umano e le qualità professionali in occasione de La Notte del Lavoro Narrato, ma qui il livello di difficoltà era di molto superiore, presentare al tempo del Covid-19 un libro senza gli autori, perché a proposito, a te non l’ho detto però a loro sì, ma Luca per essere presente la settimana prima, quella del rinvio per avverse condizioni meteo, aveva fatto un cambio turno al lavoro, e questa settimana proprio non poteva. Ma chi è questa Assunta che con tutte le condizioni avverse compreso l’autore decide che la presentazione si fa e riesce a organizzarla con successo? Lo sai che mi sono risposto amico mio? Assunta è una donna, è ‘na femmena. ‘Na femmena “ca se po’ mettere sott”e piere ‘o rre”, come scrive De Simone ne La Gatta Cenerentola, ma non perché indossa la scarpa, ma perché è brava, sa organizzare, vale, mette intelligenza e amore in quello che fa, e fa riuscire pure le cose che sono difficili assai.
Sì, Assunta è ‘na femmena, una donna, e se questo nostro mondo decidesse di diventare consapevole del valore delle donne, e di agire conseguentemente, sarebbe un mondo migliore. Sì, sì, tieni ragione amico mio, lo dico pure a me, prima ce ne rendiamo conto tutti e meglio è.

sorrento

Sabato 17 Ottobre. Pomeriggio
Caro Diario, la presentazione di Lavoro ben fatto a Sorrento continua a produrre conseguenze positive non programmate, nel senso di non programmate da me, perché alla fine tiene sempre ragione lei, la mitica Assunta Vanacore.
Allora, innanzitutto ti devo dire che ho dovuto farle arrivare altre 15 copie che gliele hanno prenotate tutte, che unite alle 10 della presentazione fanno 25, e poi voglio aggiungere che 2 di queste copie le ha prese Marcello Aversa, che non vedo l’ora di conoscerlo di persona, per Martina e Gianluca, i suoi figli. Insieme ai libri Marcello desiderava che scrivessi uan dedica, ma per una serie di ragione non l’ho potuto fare, così parlando con Assunta – lo vedi che è sempre lei? – abbiamo pensato a una videodedica, che dovrebbe essere arrivata a destinazione poche ore dopo il libro. È la mia prima videodedica, che ti devo dire, vuoi vedere che diventa un format? Dura poco più di un minuto e mezzo, qundo puoi guardala e fammi sapere cosa ne pensi.

 

Photo Credit
Salvatore De Stefano per Fondazione Sorrento