Why! Perché? #BTO2016 Report

L’IDEA
#BTO2016. Una questione di senso

L’APPUNTAMENTO
Why! #BTO2016
30 Novembre – 1 Dicembre 2016, Fortezza da Basso, Firenze

IL PDF
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GLI HASHTAG
#bto2016 #causalità #collaborazione #competizione #consapevolezza #contesto #cultura #enactment #etica #identità #industria4.0 #lavorobenfatto #organizzazione #propensione #retrospezione #senso #serendipity #significato #startup #talento #tecnologia

IL DIARIO
5 Settembre 2016; 10 Settembre 2016; 16 Settembre 2016; 28 Settembre 2016; 19 Ottobre 2016; 27 Ottobre 2016; 31 Ottobre 2016; 3 Novembre 2016; 10 Novembre 2016; 13 Novembre 2016; 16 Novembre 2016; 18 Novembre 2016; 19 Novembre 2016; 27 Novembre 2016; 28 Novembre 2016; 30 Novembre 2016; 3 Dicembre 2016; 4 Dicembre 2016; 5 Dicembre 2016; 2 Gennaio 2017; 3 Gennaio 2017; 4 Gennaio 2017;

5 Settembre 2016 Torna al Diario
Caro Diario, questa storia ha inizio con il mio incontro con Giancarlo Carniani, in Maremma, nel Marzo scorso. L’occasione in sé è abbastanza normale, nel senso che ci ritroviamo a parlare nello stesso giorno nello stesso posto, io ascolto lui, e mi piace quello che dice, lui ascolta me, e a pranzo scopro che anche quello che ho detto io gli è piaciuto, perché mentre saluta Robi Veltroni e Rodolfo Baggio – due amici miei che sono anche amici suoi – mi dice che sta pensando di invitarmi a Firenze per la fine dell’anno. Ora tu lo sai come funziono, ho il quinto senso e mezzo peggio di Dylan Dog, che quello già mi aveva pizzicato nel corso dell’intervento mattutino, però la curiosità di saperne di più riesco a tenerla a bada bene.
Passano quasi tre mesi prima che ci ritorni su, ma quando accade non lascio tempo al tempo e contatto Giancarlo per capire se riesco a raccontarlo per le mie storie di #lavorobenfatto. Gli scrivo in chat – come sai non sono molto telefonico, mi piace di più scrivere, pensare, aggiustare, cancellare, riscrivere -, gli accenno come nascono le mie storie, gli dico che mi piace raccontare l’uomo, non il personaggio, e gli domando se ha voglia di giocare con me a questo gioco. Mi risponde «proviamo» e dopo qualche giorno mi manda una storia che è ancora più bella di come me l’ero immaginata. Naturalmente la pubblico, la leggono in tanti, sono contento, e questa prima parte della storia finisce così, con l’happy end.
Trascorrono ancora un paio di mesi e una mattina mi ritrovo in posta un messaggio di Giancarlo e due file con un po’ delle idee intorno alle quali lui e altri stanno lavorando in vista di Firenze. Nel messaggio mi spiega cosa troverò nei due file e prima dei saluti mi chiede se ho voglia di far parte della Band. Apro, leggo, mi entusiasmo, mi piace un sacco la storia di questo grande evento che comincia un po’ di anni fa con il «che fare», si interroga negli anni successivi sul «come fare» e giunge quest’anno alla domanda più bella e più complicata di tutte: «perché fare». Credimi, avessi seguito l’istinto avrei scritto «si, si, si, sarei felice di esserci anch’io», invece mi prendermi un po’ di tempo per pensarci su, per essere proprio sicuro, ma questo te lo racconto la prossima volta.

10 Settembre 2016 Torna al Diario
Caro Diario, dove eravamo rimasti? Ah si, ai giorni che mi sono preso per riflettere. Lo so che lo immagini già come è finita, ti dico solo che più ripensavo alle cose che Giancarlo e gli altri componenti del board avevano scritto più la loro storia mi piaceva, e così quando il mio amico mi riscrive chiedendomi un feedback mi ci metto con la testa, con le mani e con il cuore, nel senso che lo scrivo proprio come penso che vada scritto e insomma alla fine gli invio tre cose:

La prima è una epigrafe a mo’ di background, dove raccolgo i seguenti pensieri:
«È questa la vera domanda, no? «Perché»? Il «come» e il «chi» sono diversivi per il pubblico.  [JFK – Un caso ancora aperto]»
«Quando vedi qualcosa che tecnicamente è allettante, ti butti e lo fai; sulle conseguenze ci rifletti solo dopo che hai risolto il problema tecnico. Con la bomba atomica è stato così. [Robert Oppenheimer, Diario]»
«Fare è pensare [Richard Sennett, L’uomo artigiano]»
«Agisci come mai più potresti agire [Elias Canetti, La provincia dell’uomo]»
«E’ dunque questo che chiamano vocazione: la cosa che fai con gioia, come se avessi il fuoco nel cuore e il diavolo in corpo? [Josephine Baker
«Essere capaci di ispirare significa dare agli altri uno scopo, un senso di appartenenza che non ha nulla a che fare con incentivi esterni o vantaggi da conquistare. I veri leader riescono ad attrarre un seguito di persone che si comportano in un certo modo non perché si sono lasciati influenzare, ma perché sono state ispirate. In questo caso la motivazione al comportamento è più profonda e personale. Le persone sono meno disponibili a lasciarsi allettare da incentivi, ma sono disponibili a pagare un sovraprezzo, ad andare incontro ad inconvenienti, persino a soffrire. Chi sa ispirare gli altri attira a se un seguito di persone che agiscono per il bene comune, non perché devono farlo, ma perché scelgono di farlo. [Simon Sinek, Starts with Why]»
«L’esecutore di un’impresa atroce immagini d’averla già compiuta, s’imponga un futuro che sia irrevocabile come il passato. [Jorge Luis Borges, Il giardino dei sentieri che si biforcano]»
«Le storie aiutano la comprensione, perché integrano quello che si sa di un evento con quello che è ipotizzato […]; suggeriscono un ordine causale tra eventi che in origine sono percepiti come non interconnessi […]; consentono di parlare di cose assenti e di connetterle con cose presenti a vantaggio del significato […]; sono mnemotecniche che permettono di ricostruire eventi complessi precedenti […]; possono guidare l’azione prima che siano formulate delle routine e possono arricchire le routine quando sono state formulate […]; consentono di costruire un database dell’esperienza da cui è possibile inferire come vanno le cose. [Karl E. Weick, Senso e significato nell’organizzazione]»

La seconda è un elenco di parole chiave selezionate dai contenuti dei due file che mi aveva inviato:
ascendente, cambiamento, carisma, convinzioni, destini (condivisi e intrecciati), disciplina, fedeltà, immaginazione, influenza, innovazione, interpretazione (dei comportamenti delle persone), matrice narrativa, metodologie, motivazioni, ospitalità, perché (della scelta del viaggiatore e dei mestieri dell’ospitalità), qualità, racconti, redditività, relazione, scelta, scopo, storie, strategie, successo, visione, vite (anziché posti letto), vocazione.

Nella terza raccolgo alcune mie riflessioni sul «perché» come questione di senso e sul mio interesse a collocare le parole e le domande contenute nei due file suddetti in un processo di costruzione di senso e significato. Se, come scrive Giancarlo, «nel 2016 si vuole capire perché alcune organizzazioni sono più innovative, più influenti e più profittevoli di altre» io propongo di provare a «surfare» sulle rotte del sensemaking, di approfondire i processi di senso e significato che queste organizzazioni hanno saputo attivare.
Per completezza di informazione aggiungo i titoli delle sette proprietà fondamentali del sensemaking, che Weick – il suo ideatore – definisce come un processo: fondato sulla costruzione dell’identità; retrospettivo; istitutivo di ambienti sensati; sociale; continuo; centrato su (e da) informazioni selezionate; guidato dalla plausibilità più che dall’accuratezza. Ribadisco che il mio piccolo messaggio nella bottiglia è che se sai dare senso a quello che fai e sai dare senso a quelli che gli altri fanno con te hai maggiori possibilità di successo. Sottolineo che naturalmente anche la narrazione di quello che si fa sta dentro una narrazione di senso, una narrazione che ci farà scoprire che dare senso alle cose non è solo bello e giusto, ma conviene, sia nel senso utilitarista di Jeremy Bentham che nel senso letterale del termine, perché si vive meglio, si lavora meglio, si ottengono più risultati. Porto come esempio proprio questo blog e il progetto «A scuola di lavoro ben fatto, di tecnologie e di consapevolezza». Gli chiedo di farmi sapere se secondo lui questa traccia si può approfondire.
Sto per premere invio quando mi torna in mente Hannah Arendt con la sua idea che senza pensiero diventiamo vittime della tecnica; facciamo cose senza capire quello che facciamo; ci fermiamo al «che fare» e al «come fare» senza chiederci «perché»; siamo «animal laborians» invece che «homo faber». Aggiungo anche queste alle mie riflessioni e sottolineo ancora due cose: 1. che tutto questo non vale solo se stai alla catena di montaggio o fai il lavapiatti, vale anche se sei uno scienziato come Robert Oppenheimer, direttore del progetto di Los Alamos; 2. che Richard Sennett –  con la sua idea che Fare è pensare, che la cultura materiale è importante  -, ha cercato di spostare più avanti questo limite, di definire un contesto meno bloccato, di riconnettere la testa con le mani, il sapere con il saper fare.
Ecco, caro Giancarlo, – concludo -, nella ricerca del «perché» io cercherei di «surfare» anche tra la Arendt e Sennett, provando a stare in mezzo con le nostre questioni di senso, con la nostra attenzione al pensare (metodologia, approccio, consapevolezza) e al fare (comunità, identità, decision making, partecipazione).
Come dici, amico Dario? Vuoi sapere cosa è successo dopo? Te lo dico la prossima volta, che con il report che sto scrivendo sono a buon punto ma a buon punto non vuol dire che è finito e la dead line è per il 20 di questo mese.

16 Settembre 2016 Torna al Diario
Caro Diario, direi di provare a finire questa parte della storia, che tanto ormai manca poco.
Come dici? Cominciavi a pensare che ti volevo escludere? Ma cosa mi dici mai, se non lo dico a te a chi lo dico, è che il lavoro è lavoro sempre, per me per primo, te lo immagini l’ideatore del lavoro ben fatto che non fa bene il proprio lavoro?
Come dici? Così ti sembra un poco presuntuoso da parte mia? Niente affatto! Non concepisco altro modo di fare le cose che farle bene, l’ho detto e scritto mille volte e lo ripeto ancora, è cominciato che avevo dieci anni grazie a mio padre, operaio elettrico con la licenza di quinta elementare, che mi spiegò la distinzione tra «il lavoro preso di faccia», quello fatto con impegno, rigore, passione, e «il lavoro fatto ‘a meglio ‘a meglio», quello che invece no, e non è finito più. È per questo che sono stato contento quando ho letto di Nuto che dice ad Anguilla – ne La luna e i falò di Cesare Pavese – che «l’ignorante non si conosce mica dal lavoro che fa, ma da come lo fa»; o anche di Steve Jobs che mentre accarezza le assi della staccionata della casa paterna dice a Walter Isaacson che «suo padre gli aveva inculcato un concetto che gli era rimasto impresso: era importante costruire bene la parte posteriore di armadi e steccati, anche se rimaneva nascosta e nessuna la vedeva. Gli piaceva fare le cose bene. Si premurava di fare bene anche le parti che non erano visibili a nessuno».
Come dici? A te è piaciuto anche Primo Levi ne «La chiave a stella» e in «Se questo è un uomo»? Certo che si, si potrebbero fare tantissimi esempi, non necessariamente di intellettuali o scrittori, lo racconta anche Luigi che fa le merende che «il lavoro è lavoro sempre. Non è che perché faccio il salumiere che fa i panini e non il chirurgo che fa le operazioni a cuore aperto o l’architetto che progetta i palazzi significa che il mio lavoro non vale. Un panino è un panino, e se lo fai buono è bello uguale, uno lo mangia e dice questo è un panino fatto come si deve, è una cosa seria.»
Si, amico Diario, quello che penso io è che il lavoro ben fatto ti cambia la vita; è un approccio alle cose, un modo di essere e di fare che ti fa vivere meglio con te stesso e con gli altri, che poi capita che il risultato sia diverso da quello che ti aspetti e che magari ti meriti, ma questo fa parte del gioco della vita, saperlo accettare è un pregio, non un difetto. Nell’approccio no, non conosco altro modo di fare le cose che farle bene.
Ma torniamo al punto, altrimenti non la finiamo più: neanche ho inviato la mail a Giancarlo che già fremo al pensiero di quale potrebbe essere la sua risposta, perché sono fatto così, non c’entrano i miei 61 anni, le tante cose che ho fatto e che faccio, i libri e le cose che ho scritto, quando una cosa mi emoziona davvero faccio fatica a controllarla.
Come dici? Così è un poco esagerato? Questa volta sono d’accordo con te. Infatti faccio passare un paio di settimane buone prima di inviare in chat a Giancarlo questo messaggio: «Ciao, gli appunti che ti ho mandato li hai trovati talmente brutti che non trovi la maniera di dirmelo?». Vuoi sapere cosa mi ha risposto? Questo: «Talmente che li ho trovati belli e commoventi che li ho condivisi  con tutta la Direzione Scientifica!».
Si, amico mio, a te lo posso dire, sono stato contento assai, poi nei giorni successivi ci siamo sentiti ancora e gli ho detto che avrei scritto questa storia di senso che di certo ci accompagnerà fino a Firenze e magari anche un poco più in là.
Come dici? I processi di sensemaking sono per definizione continui? Esatto! Anche se preferisco chiuderla come avrebbe fatto mio padre: «se son rose, fioriranno».

28 Settembre 2016 Torna al Diario
Caro Diario, ti ricordi di quando un po’ di anni fa per errore stavo per fare un bel casino violando l’embargo e pubblicando un articolo che annunciava la scoperta di due miei amici scienziati? Ecco, anche se per fortuna riuscii a riparare e non successe niente, da allora non me lo sono fatto capitare più, quindi non continuare a lamentarti che non ti ho detto ancora di quale evento si tratta, primo perché se ti impegnassi anche solo un poco magari ci arriveresti da solo, secondo perché fino a quando non sarà il momento da me su questo punto non verrà fuori una parola in più del necessario.
Come dici? Allora perché sono tornato? Perché qualche cosa da raccontare ce l’ho, riguarda il nuovo libro di François Jullien che sto leggendo, Essere o vivere, edito da Feltrinelli, che più vado avanti e più mi manda al manicomio tanto che lo trovo bello.
Prima di venire al punto, del quale peraltro ti ho già accennato in un altro post, ti devo dire che se vuoi capire bene di cosa parlo convenga che tu legga il libro, perché io non sono Jullien e la mia capacità di riassumere è naturalmente fortemente condizionata da questo dato di fatto; ciò premesso, aggiungo che Jullien parte dall’idea che noi occidentali «consideriamo da un lato la situazione e dall’altra la sua evoluzione»; ci avverte poi che così facendo «lasciamo in un buco nero non tanto il passaggio dall’uno altro, quanto l’inseparabilità dei due aspetti della questione, ovvero il fatto che le cose si costituiscono perché evolvono», dopo di che scrive: «propensione mi pare il termine più appropriato per far fronte a questa mancanza, per designare questa inseparabilità e delimitarla». Ancora una o due pagine e racconta che nel pensiero cinese antico c’è un termine, «shi», che viene tradotto «sia con situazione che con evoluzione, sia con condizione che con corso delle cose» e infine, quasi alla fine del primo capitolo – «propensione vs causalità» – scrive: «La Storia non è fatta di un pullulare indefinito di cause, impossibili da inventariare e alle quali non si può che risalire arbitrariamente; è fatta di propensioni sempre globali, più o meno di vasta scala, che vanno crescendo e poi si invertono; o meglio, mentre vanno crescendo e si livellano cominciano già discretamente a invertirsi al punto che diventa impossibile stabilire, se non in modo artificiale, quando “qualcosa” è cominciato, poiché gli eventi salienti sono essi stessi dei mutamenti e le situazioni dichiarate non sono altro che transizioni». Le ultime righe sono dedicate a un esempio, ma questo non te lo dico, così ti lascio con la curiosità e magari cerchi il libro e lo leggi.
Come dici? Perché ti racconto tutto questo? Per almeno tre ragioni: la prima è che quando un libro lo trovo così bello mi piace condividerlo; la seconda è che vorrei riuscire a raccontare questa mia piccola storia del perché alla luce della propensione, cercando insomma di tenere l’occhio sia alla situazione che alla sua evoluzione; la terza è che mi vado facendo l’idea che questa storia della propensione – che poi penso sia anche la storia del cambiamento, della trasformazione, della visione, della capacità di comprendere il corso delle cose prima e nel mentre accadono – possa essere utile anche per i protagonisti di questa bella storia. Spero di non averti annoiato. A presto ritrovarti.
bto201619 Ottobre 2016 Torna al Diario
Caro Diario, da oggi si gioca a carte scoperte, perché ieri, a Roma, alla Stampa Estera, c’è stata la presentazione di #BTO2016, 30 Novembre e 1 Dicembre a Fortezza da Basso, Firenze, che se vuoi puoi vedere qui il video di presentazione di adnkronos. Un po’ alla volta conto di ritornarci su, per adesso ti dico due cose: la prima è che quest’anno a #BTO2016 c’è anche Startup Italian Open, uno vero e proprio torneo nel quale le startup del mondo del travel si confronteranno in match testa a testa e chi vince avrà la possibilità di presentare la propria startup alla Phocuswright Europe Conference 2017 di Amsterdam; la seconda è che io, con tutto il rispetto, non sono un giornalista, piuttosto un sociologo, un sensemaker, un narratore, e insomma quello che cercherò di fare da qui all’appuntamento del 30 Novembre e 1 Dicembre e magari anche oltre è per l’appunto raccontare dal mio punto di vista questa storia di senso. Si, cercherò di fare proprio questo, raccontare il senso del lavoro fatto bene a prescindere, il senso della passione che metti in quello che fai, il senso della fatica necessaria a farlo bene, il senso delle identità, delle persone e delle organizzazioni, il senso di collaborare e competere, insomma il senso di #BTO2016. Alla prossima. Io speriamo che me la cavo.

27 Ottobre 2016 Torna al Diario
Caro Diario, oggi ho pensato di dirti qualche cosa di più su Startup Italia Open, il contest ideato nell’ambito di #BTO2016.
 Ti segnalo le tre cose che mi piacciono di più, perché come sai mi piace avere un approccio (pro)positivo, lo ritengo quello più produttivo, a patto naturalmente di non smarrire il rigore, la capacità critica, la serena consapevolezza che nessuna cosa è perfetta e tutte possono essere migliorate.
La prima cosa che mi piace è l’idea, che di per sé non è inedita, anzi diciamo pure che è un po’ anche una moda, che come ho letto qualche tempo fa su StartUp News «oggi non puoi più dire apro una salumeria, ti danno retta solo se dici voglio avviare una startup innovativa per il selling on demand di insaccati sliced». Però se vuoi moltiplicare un po’ di opportunità questa delle startup è una buona via, dici e dai qualcosa a loro e loro dicono e danno di più a te. Come dici? Si chiama economia dello scambio? Economia delle opportunità? Chiamala come vuoi, anche economia della felicità, a me basta il fatto che sia una buona idea, che aiuta a fare sistema, a migliorare la qualità della Organizzazione Rete che si è sviluppata negli anni intorno a BTO.
La seconda è il premio per chi vince, la possibilità di presentare la startup alla Phocuswright Europe Conference 2017 ad Amsterdam, considero anche questo un buon modo per moltiplicare le opportunità; lo sai, l’ho detto e scritto tante volte, fosse per me persino nei pacchi dei format televisivi che vanno per la maggiore al posto dei soldi metterei opportunità, che ne so, la possibilità di laurearsi all’estero, un’esperienza di formazione lavoro in un’azienda della Silicon Valley, di Tokyo, di Shangai e così via discorrendo.
La terza è la modalità con la quale si svolgerà la competizione, con le 16 startup che si confrontano face to face. Competizione vera insomma, che mi auguro però non perda di vista la collaborazione, che io l’ho imparato in Giappone un po’ di anni fa che non puoi essere competitivo ad altissimo livello se non cooperi ad altissimo livello. Competere. E collaborare. Se vuoi andare lontano non puoi fare a meno di quei due verbi lì.
Ecco, direi che per ora mi fermo qui, perché poi anche questa parte della storia mi piacerebbe raccontarla a competizione in corso, tra un viaggio e l’altro nei mille sentieri che si biforcano del sensemaking.
bto_startup
31 Ottobre 2016 Torna al Diario
Caro Diario, ti segnalo questo articolo che Edoardo Colombo ha scritto su Agenda Digitale, si chiama «Ecco come il turismo entra nell’Agenda digitale: tra fibra, Wi-Fi e nuovi scenari», secondo me è molto interessante, mette ordine e suggerisce relazioni tra una serie di questioni che se uno le legge come a sé stanti non riesce a coglierne fino in fondo la rilevanza, le potenzialità, i possibili effetti. Insomma sì, mi è piaciuto, e quando è così mi capita sovente di partire da lì e di ritrovarmi a inseguire pensieri e idee che poi a un certo punto se ne vanno per i fatti loro.
Come dici? Non si capisce? Vuoi che ti faccia un esempio? Va bene, ti dico allora che dopo aver letto l’articolo di Edoardo mi sono ritrovato a pensare che alla fine per farcela hai bisogno di tre cose: talento, organizzazione e contesto.
Il talento delle persone è il punto di partenza, più ce n’è a disposizione più le possibilità di avere buone idee e di svilupparle nel modo giusto aumenta. Poi però ci vuole l’organizzazione, perché solo in strutture di altissimo livello il talento può esprimersi compiutamente, non a caso chi è molto bravo tende ad andare in organizzazioni di questo tipo, e questo è uno dei motivi per cui in posti come la Harvard Society of Fellows, il Center for Advanced Study in the Behavioral Sciences o il Caltech in California, il Cavendish Laboratory a Cambridge, il Massachusetts Institute of Technology a Boston il talento non manca mai. Infine è fondamentale il contesto, cioè la cultura, le risorse, le reti materiali e immateriali che caratterizzano un determinato ambiente. Insomma c’è un rapporto molto stretto tra il talento individuale, la forza dell’organizzazione nella quale il talento opera e le caratteristiche del contesto (l’ambiente) con il quale l’uno e l’altra hanno a che fare.
Magari mi sbaglio, ma io penso che a determinare la storia e il carattere, i successi e i fallimenti delle idee, dei progetti, delle imprese non bastano, di per sé, né le persone con il loro talento e il loro lavoro né la forza e la consistenza delle strutture nelle quali esse lavorano, né le opportunità potenzialmente presenti in un determinato ambiente o contesto. La chiave di volta potrebbe essere piuttosto nelle opportunità di crescita che le persone e le organizzazioni riescono a cogliere e a moltiplicare, in un contesto dato, mettendo a valore ciò che sanno, ciò che sanno fare, le reti e i sistemi di relazione di cui fanno parte, la loro capacità di competere e di collaborare.
Come dici, caro Diario? Hai bisogno di pensarci su? Pure io, intanto te l’ho detto, così poi magari ci ragioniamo insieme a tutti gli altri.
P.S.
Giovanni Arata, Lidia Marongiu e Rodolfo Baggio hanno scritto dei brevi commenti che ti giro per conoscenza, che tu fai il difficile e i social network non li frequenti:
Giovanni Arata: molto interessante; le tre precondizioni suggerite consentono anche di porci domande sulle ragioni che rendono così difficile l’affermazione delle novità nelle istituzioni turistiche nostrane.
Lidia Marongiu: Caro Vincenzo, cogli il nocciolo di una riflessione che mi sta molto a cuore e non solo applicata al turismo. Quei tre fattori sono i tre ingredienti insostituibili e fondamentali: tutte le ricette che abbiamo visto fallire nel turismo negli ultimi anni nel migliore dei casi trascuravano uno dei tre, in molti altri casi li ignoravano tutti e tre.
Rodolfo Baggio: bella sintesi, e in effetti non c’è molto da aggiungere se non forse che talento, organizzazione e contesto devono poi avere come obiettivo non la produzione di prodotti scintillanti, ma devono lavorare soprattutto sulle fondamenta, quelle che si vedono poco e sono poco vendibili e visibili pubblicamente, ma che alla lunga sono le uniche a poter garantire il raggiungimento degli obiettivi di crescita economica e sociale (soprattutto) che interessano.
P.P.S.
Edoardo Colombo ha postato invece lo schema che puoi vedere sotto. E con questo davvero è tutto per oggi.
edo
3 Novembre 2016 Torna al Diario
Caro Diario, ieri sera sul tardi sono inciampato in un post targato 3 Agosto 2012 di Robi Veltroni su Officina Turistica. Come dici? Perché ti parlo di una cosa scritta 4 anni fa? Per almeno tre buone ragioni:
La prima è il titolo – Di quando mi innamorai di BTO – che già da solo vale il click e la lettura.
La seconda è l’attività di retrospezione, che come sai è una fondamentale caratteristica dei processi di sensemaking. Ti faccio un rapidissimo riassunto: le persone, le comunità, le organizzazioni hanno bisogno di attribuire senso, di capire cosa è successo, di comprendere le scelte, di creare ordine e chiarezza, di attivare comportamenti coerenti per raggiungere i propri scopi; i significati sono per definizione molteplici e dunque difficilmente classificabili e controllabili; si può comprendere fino in fondo solo ciò che è già avvenuto; l’osservazione e l’analisi retrospettiva di ciò che è stato fatto aiutano a dare significato al presente e a immaginare il futuro, cosa che per esempio cerco di fare io nel 2016 scrivendo di Robi nel 2012 che però scrive di lui e BTO nel 2008. No, non è uno scioglilingua, al massimo è retrospezione al quadrato.
La terza, che poi è quella sulla quale mi piace fermarmi un po’ di più, è che tutto questo – la mia scoperta del post di Robi, l’innamoramento di Robi per BTO, i nostri viaggi retrospettivi, ecc. – ha molto a che fare con la Serendipity, con le scoperte per genio e per caso, che poi se vai a guardare bene il caso c’entra molto poco.
Come racconta Robert K. Merton, il modello della Serendipity «consiste nell’osservazione di un dato imprevisto, anomalo e strategico che fornisce occasione allo sviluppo di una nuova teoria o all’ampliamento di una teoria già esistente». Merton argomenta così la sua definizione: «Prima di tutto, il dato è imprevisto. Una ricerca diretta alla verifica di una ipotesi dà luogo ad un sottoprodotto fortuito, ad una osservazione inattesa che ha incidenza rispetto a teorie che, all’inizio della ricerca, non erano in questione. Secondariamente, l’osservazione è anomala, sorprendente, perché sembra incongruente rispetto alla teoria prevalente, o rispetto a fatti già stabiliti. In ambedue i casi, l’apparente incongruenza provoca curiosità, stimola il ricercatore a trovare un senso al nuovo dato, a inquadrarlo in un più ampio orizzonte di conoscenze. [ …] Affermando che il fatto imprevisto deve essere strategico, cioè deve avere implicazioni che incidono sulla teoria generalizzata, ci riferiamo, naturalmente, più che al dato stesso, a ciò che l’osservatore aggiunge al dato. Com’è ovvio, il dato richiede un osservatore che sia sensibilizzato teoricamente, capace di scoprire l’universale nel particolare».
Per cogliere il dato anomalo, imprevisto e strategico e, dunque, attivare il processo che siamo soliti definire Serendipity, occorrono, in definitiva, occhi e menti allenate che risultano particolarmente sollecitate quando operano in ambienti sociocognitivi serendipitosi.
Ecco, caro Diario, mi piace pensare a #BTO2016 come a un crogiuòlo di occhi e menti allenate su turismo, tecnologie, opportunità, futuro dal quale estrarre un po’ di idee e connessioni serendipitose.
Come dici? Lo speri anche tu? Secondo me sperare non è il verbo giusto, perché alla fine ha ragione Robi, anche se adesso non se lo sognerebbe mai di chiamare Giancarlo «il coordinatore Carniani» e nel frattempo il web da 2.0 è diventato 4.0, e con lui pure l’industria: a BTO già dalla prima edizione si racconta il futuro, un futuro che è sempre più un luogo e sempre meno un tempo. Il 30 Novembre e il 1 Dicembre questo luogo è Fortezza da Basso, Firenze, un luogo che uno più lo pensa e più finisce come il mio giovane amico Giuseppe Jepis Rivello, l’inventore di Jepis Bottega,  che dopo che ha letto queste pagine mi ha scritto «Vincè, mi è venuta voglia di venire a Firenze, mannaggia». Alla prossima.

10 Novembre 2016 Torna al Diario
Caro Diario, più il 30 Novembre si avvicina più mi riscopro a riflettere su come raccontare il senso di questi due giorni tra viaggio e innovazione.
Come dici? Hai visto che la mattina del 1 Dicembre ci sono pure io tra gli speaker? Vero, racconto il senso del lavoro ben fatto, ma per adesso non è questo che occupa i miei pensieri.
Come dici? Non mi devo preoccupare, il #lavorobenfatto è una mia creatura? In parte è vero, ma non c’entra nulla, lo sai come funziona, le cose che fai hanno senso solo se le fai bene. Vale per tutti, senza eccezione alcuna: per fare bene una cosa, qualunque essa sia, compreso il racconto del lavoro ben fatto, bisogna pensarci su, organizzarla, metterla giù, rivederla, ripensarci, insomma bisogna stare sul punto. No, non sono esagerato, solo se le fai con rigore e passione le cose riescono davvero bene, solo così riesci a tirare fuori tutte le cose che sai e sai fare, a mettere in campo l’intelligenza, la creatività, la maestria, la capacità di risolvere problemi che serve nelle cose della vita.
Ma torniamo al punto, così magari mi dai una mano: BTO 2015 ha registrato 10.000 presenze in due giorni, 149 eventi, 250 speaker, 400 giornalisti/blogger accreditati e 59 espositori. Ecco, io mi sono ripromesso di raccontare il senso di una cosa così. Non il singolo evento, il tutto. Non il riassunto, tutte le sue parti contemporaneamente.
Come dici? Come si fa? Non lo so. Ci vorrebbe l’Aleph di Borges, una «piccola sfera cangiante» che contenesse e mi facesse vedere distintamente l’intero universo #BTO2016 «senza che la vastità ne soffrisse». Si, mi servirebbe proprio una sfera così, ma in quale cantina la trovo? Ecco caro Diario, il mio enigma attuale è questo e non sono affatto certo di riuscire a risolverlo.
Come dici? Jean Baudrillard diceva che «se tutti gli enigmi sono risolti, le stelle si spengono?» E pure tu hai ragione, della serie chi di citazione ferisce, di citazione perisce. Dai, facciamo così: io continuo a pensarci su e appena ho qualche novità ti faccio sapere, tu intanto ti leggi l’articolo che Rai Economia ha dedicato a #BTO2016 e ti guardi il video con il racconto di Giancarlo Carniani. Alla prossima.
aleph_bto2016

13 Novembre 2016 Torna al Diario
Caro Diario, oggi cedo la tastiera a Danilo Beltrante, me ne ha parlato Giancarlo qualche giorno fa, mi ha incuriosito, e così gli ho chiesto il contatto, gli ho scritto ed eccolo qua. Te lo posso dire? A me questa storia qui piace ogni giorno che passa sempre di più.
«Ciao Vincenzo, il mio viaggio con BTO comincia prima di BTO, ma con l’anima di BTO, Giancarlo Carniani. Oggi sono socio e amministro 3 SRL di successo, l’ultima nata il Franchising Nazionale di affitti per studenti Help Accommodation con la sua sede fiorentina Help Firenze.
Nove anni fa ero un giovane con zero soldi e di buone speranze. Seduto ai banchi di scuola del Centro Studi Turistici, cercavo strategie per il posizionamento e la promozione del mio piccolo B&B. Sono restato a bocca aperta per 80 ore. Mi colpì la passione di Giancarlo per quello che diceva, come lo diceva e la sua visione del potere della “condivisione della conoscenza”. In quelle ore non ho imparato solo il Revenue Management o il Web Marketing. In quei giorni ho imparato a scegliere cosa è buono per me nella mia attività extra alberghiera.
Negli anni successivi, grazie anche al supporto continuo della formazione in BTO, ero primo nei motori di ricerca con il mio sito e primo su TripAdvisor. Via via ho acquisito le competenze per avere sempre il “vento in poppa”.
E diciamolo pure: mentre tutti vedevano lo sviluppo del settore extra alberghiero come un pericolo per il vecchio sistema turistico e gli alberghi vetusti, BTO ha sempre lasciato fuori la polemica e invitato gli operatori a condividere il “bello” di questo nuovo modo di viaggiare, che va incluso nel sistema e non ignorato.
In BTO 2014 ho avuto l’onore di salire sul palco della Main Hall, proprio in un momento particolare della mia vita professionale. Avevo appena creato Vivere di Turismo®, azienda di consulenza e coaching turistica, unica nel suo genere. Ho condiviso a tutti la mia visione del turismo: Il Franchising Extra Alberghiero.
Puoi restare piccolo ma devi ragionare da grande.
In futuro è obbligatorio lavorare sodo nelle proprie realtà per comunicare come fa una catena di Franchising qualsiasi. Ne va del rispetto verso i nostri ospiti, che sono chiamati ormai a scegliere tra centinaia di offerte online, e hanno bisogno di capire subito cosa differenzia una offerta dall’altra.
Oggi Vivere di Turismo® accompagna nella crescita e sviluppo centinaia di attività extra alberghiere, e a due anni dalla nascita di questo progetto, ammetto che ancora una volta BTO ci ha visto lungo. Ha creduto in me quando neanche a casa capivano cosa stessi facendo!
Una delle mie aziende, la terza appunto, si chiama Family Apartments®, ed è nata e cresciuta a Firenze e la Toscana, una delle regioni del mondo che investe di più per la crescita dei giovani. E forse non è un caso che io lavori qui.
BTO crede concretamente nello sviluppo dei giovani, del Turismo e dell’Italia.
Ci offre una finestra sul futuro del turismo online. Così che ognuno di noi abbia la possibilità di sbirciare, almeno una volta l’anno, e prepararsi ad affrontare al meglio le sfide che comunque, volente o nolente, dovrà affrontare lo stesso.»
daniloCome dici amico Diario? La storia di Danilo ti è piaciuta un sacco? E ci credo. Come si diceva da ragazzi ce ne vorrebbero cento, mille, magari anche un milione come lui, ma comunque non è il solo, lo sai come la penso, in giro per l’Italia ci sono tante teste, tante mani e tanti cuori che ogni giorno creano futuro. Bisogna raccontarle di più, creare contesti più adatti allo sviluppo dei loro progetti e dei loro sogni, ma insomma noi nel nostro piccolo ci proviamo perciò smettila di brontolare e resta sintonizzato. A presto.

16 Novembre 2016 Torna al Diario
Caro Diario, non so se te l’ho mai raccontato, ma ogni tanto incrocio qualcuno che mi segnala che l’orologio del mio computer non è settato con il fuso orario di Roma.
Come dici? Da cosa dipende? Dalle ore improbabili in cui mi capita di spedire le mail, che tu lo sai come funziona, quando hai una scadenza hai una scadenza, non è che puoi far finta di no, e così capita che fai le 2 di notte se tiri avanti la sera o che ti alzi alle 3 di mattina se ti tocca farlo, che io la mattina la preferisco, anche se secondo Cinzia e i miei figli io la chiamo mattina ma quella è ancora notte.
Come dici? Perché ti racconto tutto questo? Perché quando ne trovo altri che funzionano come me sono contento, mi sento meno eccentrico, meno matto se vuoi. Questa volta qui è capitato con Edoardo Colombo, che in questi giorni è a Pechino, e che dopo che abbiamo chiacchierato un po’ in chat di #BTO 2016 mi ha detto «a proposito, avevo scritto una mail con un po’ di miei pensieri che avevo inviato a Giancarlo Carniani» e allora io gli ho detto «perché non me la mandi, magari nel mio viaggio alla ricerca del senso ci sta bene», e lui «volentieri, grazie» e me l’ha mandata, e naturalmente l’ho letta, e poi gli ho scritto che finivo delle cose e poi procedevo, e che naturalmente l’avrei avvisato, e allora lui prima ha postato un grande sorriso e poi mi ha scritto «Vincenzo, qui a Pechino sono le 2:34». Eccone un’altro, mi sono detto senza però dirlo a lui, gli ho scritto solo «buonanotte, a domani».
Ciò detto ecco la mail che mi ha girato Edoardo: 
«WHY! L’intrigo è coinvolgente, e il punto esclamativo associato a ciò che normalmente si accompagna con il punto interrogativo, è una sfida molto stimolante. Esplorare i comportamenti non solo digitali, per comprendere le ragioni di chi sceglie, vive e racconta una destinazione attraverso, o attraversando, le tecnologie è un esercizio ad alto valore aggiunto. Il motore di trasformazione delle abitudini di viaggio sono le e-mozioni, un coinvolgimento permanente always on che rende superata la segmentazione tra momenti offline e online. La sigla che accompagna questo interrogativo è quella del tormentone estivo: “è più importante condividerlo, che viverlo”? Il racconto con i tempi del live show, l’instant gratification on demand, l’affidabilità e la sicurezza, la nuova frontiera della blockchain, le informazioni che si collocano nell’intorno più prossimo a chi viaggia sul reticolo cartesiano della disponibilità di tempo, di soldi e di livello di interesse, o anche la ricerca dei pokemon più introvabili sono alcune delle espressioni che sarà stimolante interpretare per capire le motivazioni della loro diffusione. Condividere interpretazioni ed esplorare il «Perché!» con lo sguardo dei fruitori e non dei fornitori, aiuterà chi opera nell’economia dell’ospitalità ad aggiornare forme e linguaggi adeguando la fruizione dell’esperienza.»
Come dici? Lo trovi un ragionamento po’ troppo complesso? Direi di no, tieni presente che è una mail tra due persone che conoscono molto bene le cose di cui stanno parlando; no, no, io non vedo una questione di complessità, rifletterei piuttosto su quello che Edoardo definisce il tormentone estivo – è più importante condividerlo, che viverlo? – per riproporre un’altra parola chiave: consapevolezza. Si, ammesso e per ora non concesso che l’inversione di priorità tra ciò che viviamo e ciò che condividiamo sia un problema, la chiave per risolverlo è la consapevolezza, l’approccio consapevole alle cose, vale per il viaggio, vale per le tecnologie e vale per la vita.
Come dici? Così è ancora più complesso? Secondo me no, però ne parliamo un’altra volta, ho bisogno di continuare a pensarci su.
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18 Novembre 2016 Torna al Diario
Caro Diario, oggi ti scrivo per segnalarti una foto e un’intervista al signor BTO, il nostro amico Giancarlo Carniani, e per farti una domanda.
Come dici? Faccio troppe domande e do poche risposte? Le domande sono le chiavi che ci permettono di aprire le porte della conoscenza amico mio, per le risposte c’è tempo, che poi se riesci a farti le domande giuste – che anche quello non è mica automatico – le risposte sono più semplici da trovare, addirittura a volte vengono da sé, sono insite nella domanda stessa.
Partiamo dall’intervista, la trovi qui, si intitola «Come sta cambiando il sistema turismo in Italia?» ed è stata pubblicata qualche giorno fa su Inside Marketing.
La foto invece è questa qui, Giancarlo l’ha pubblicata sulla sua pagina Social con questo commento: «Come mi odieranno i miei colleghi albergatori!».
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Come dici? Non capisci? All’inizio neanche io, perché non avevo riconosciuto la «A» di Airbnb a Los Angeles. Come dici? Adesso hai capito? La foto dice un mondo sulla capacità di Carniani di pensare e lo sviluppo del Turismo in termini di sistema e non di segmento? Bravo. E’ un po’ come la storia dei processi di competizione collaborazione di cui ti ho raccontato qualche tempo fa, nel senso che bisogna lavorare da matti per migliorarsi, per essere primi, e bisogna essere consapevoli che se non si collabora con gli altri, con tutti gli altri, anche con quelli che competono ferocemente con te, non si va da nessuna parte. Ti ricordi cosa ha scritto qualche giorno fa Danilo Beltrante?: «E diciamolo pure: mentre tutti vedevano lo sviluppo del settore extra alberghiero come un pericolo per il vecchio sistema turistico e gli alberghi vetusti, BTO ha sempre lasciato fuori la polemica e invitato gli operatori a condividere il “bello” di questo nuovo modo di viaggiare, che va incluso nel sistema e non ignorato.» Ecco, penso che ci siamo capiti, posso passare alla domanda con cui ti lascio: «Ma #BTO2016 è un evento? Per carità, un evento grande, interessante, importante, ma comunque soltanto un evento? O è anche una Comunità, l’incontro di persone che hanno mille punti di vista diversi ma si riconoscono in un approccio, una cultura, un modo pensare e di fare le cose?»
Come dici? Secondo te la scelta di dedicare #BTO2016 al «Perché» potrebbe essere per l’appunto il tentativo di fare questo salto dall’evento alla comunità, dalla dimensione tecnica alla dimensione politica (nel senso caro a Hanna Arendt) della risposta alla domanda? Perché no, complimenti, vedo che stai entrando nella parte, io invece a costo di deluderti ti dico che ho bisogno di pensarci ancora. Alla prossima.

19 Novembre 2016 Torna al Diario
Caro Diario, dopo l’ultimo aggiornamento il mio amico Michele Cignarale ha scritto in un commento «BTO2016 potrebbe essere una comunità temporanea e allora io gli ho chiesto «cioè?» e lui mi ha inviato questa riflessione: «Comunità Temporanee: Nel corso degli eventi in cui la creatività e le connessioni sono l’elemento centrale, la cosa più interessante, a mio avviso, è la costruzione di una comunità temporanea sull’argomento trattato. Questa logica è una naturale conseguenza della teoria antropologia delle web-tribe. La rete di cui parliamo si genera dalle connessioni positive di chi vive fisicamente l’evento e di chi, anche a migliaia di chilometri di distanza, interagisce. L’esperienza cresce e l’intelligenza collettiva che si crea, anche se in un periodo temporale definito, vive come un organismo e lascia le sue tracce nel tempo. Anche noi startupper che ci siamo incontrati con te per l’evento dedicato all’innovazione all’interno della Quarta Festa Cgil Basilicata, abbiamo generato una comunità temporanea che ha poi continuato a rendere visibili i suoi effetti, se ci pensi anche il nostro rapporto ne è una conseguenza. Quello che penso io insomma è che sempre più gli eventi devono superare la loro caratterizzazione spazio temporale per dare vita ad organismi fatti da intelligenze che si riuniscono democraticamente in tribù per fornire interpretazioni originali della realtà. Se volessimo saperne di più potremmo applicare i principi dell’etnografia digitale, in modo da osservare le dinamiche di sviluppo dei sistemi complessi che si generano (attraverso la teoria dei grafi) e valorizzare le connessioni per dar vita a nuove relazioni positive. Se riuscissimo a garantire validazione oggettiva alle relazioni potremmo generare un sistema complesso e quasi perfetto, che è poi una delle possibili applicazioni di quel famoso protocollo blockchain di cui tutti parlano e di cui anche io ho scritto su Che Futuro! in riferimento a Matera e alla Basilicata.»
Come dici amico Diario? La «Comunità temporanea» ti sembra una terza via interessante? Sembra interessante anche a me, però per favore non parlarmi di Terza via che neanche immagini quanto porti male. Alla prossima.

27 Novembre 2016 Torna al Diario
Caro Diario, prima dello sprint finale verso #BTO2016 mi fa piacere condividere con te una immagine e un video.
L’immagine è in realtà lo screenshot della pagina dei partecipanti a Startup Italian Open, da lì puoi partire per leggere le schede dei 16 selezionati.
bto_startup
Il video dura appena 30 secondi, ci terrei molto che tu lo guardassi, è nato per gioco, a Caselle in Pittari, in un’ora rubata a due giornate molto belle e intense di amicizia, di vita e di lavoro con Giuseppe Jepis Rivello e i Fiscina. L’idea è stata di Giuseppe, con il quale parlo spesso di te e di #BTO, e così lo abbiamo fatto. Ho detto anche a Carniani di guardarlo, spero che piaccia un poco anche a lui, magari domani ti faccio sapere.

28 Novembre 2016 Torna al Diario
Caro Diario, il mio prequel a Giancarlo almeno un poco deve essere piaciuto, mi ha scritto un messaggio come sempre gentile e stamattina è stato condiviso sulle pagine social di BTO.
A proposito di pagine, stamattina mi sono fatto un giro tra siti e social network e sono stato colpito da quante cose accadranno in soli due giorni, a un certo punto mi sono tornati alla mente Amleto e Orazio, della serie «Ci son più cose in cielo e in terra che non sogni la tua filosofia», pensa che ho condiviso il tuo link sui social proprio con questa frase, perché lo sai come funziona, quando una cosa mi piace se posso condividerla sono contento.
Come dici? Con tutte le cose che tengo da fare come faccio ad avere questa «capa» fresca? Non è questione di avere la testa libera, che quello neanche me lo ricordo da quando non mi capita, è questione di amare le cose che fai, perché quando le ami veramente le tieni sempre con te, a prescindere. A proposito, ho pensato anche che visto che tra due giorni si comincia forse è meglio che ti metto qui, tutti assieme, i link che ti potranno aiutare a seguirci.
BTO – Buy Tourism Online è il sito ufficiale;
BTO – Buy Tourism Online su Facebook;
BTO – Buy Tourism Online su Twitter;
BTO – Buy Tourism Online su Flickr;
Startup Italian Open è il sito dedicato al torneo tra le 16 startup del mondo del travel.
Come dici? Ho avuto una buona idea? Sono contento, e per la verità ne ho anche un’altra, spero che ti piaccia uguale. Si chiama #BTO2016 mi piace perché, la lancio sui social e mi rivolgo a tutti quelli che a qualunque titolo, in presenza e a distanza, fanno parte di questa comunità. Si possono usare al massimo 50 caratteri, lo potremmo chiamare BTweet, e vediamo che succede.
Come dici? Magari non succede niente? Può darsi, ma magari forse si, in ogni caso ti faccio sapere.
bto50 30 Novembre 2016 Torna al Diario
Caro Diario oggi si comincia davvero. Ieri sera bella serata con vecchi e nuovi amici, e si è trovato anche il tempo per due chiacchiere semiserie con Robi Veltroni, semiserie nel senso della lettera di Grisostomo al suo figliolo, che con Robi è ogni volta così, lui riesce a parlarti delle cose mescolando creatività, competenza e battutacce, che insomma il maremmano che è in lui non si riposa mai.
Ieri sera mi ha raccontato di etica, di reputazione, di viaggiatori e di lavoratori, ha cominciato con un un po’ di belle domanda che oggi sarà al centro del panel moderato da Lidia Marongiu con Luca Carrai, Mirko Lalli, Roberto Necci e Luciano Scauri, dalle 15.15 nella #2 Focus Hall: caro viaggiatore (o turista) quanto sei disposto a spendere perché i valori in cui credi siano compresi nel prodotto che acquisti?; quanto sei disposto a spendere per una vacanza in cui oltre all’ospitalità e all’accoglienza 5 stelle ti sia garantito il pieno rispetto dei diritti dei lavoratori di quell’azienda?; che prezzo ha la felicità di chi lavora negli alberghi?
Perché si, amico Diario, diciamoci la verità, come hanno fatto i presentatori del panel sul sito: «di etica e moralità parliamo spesso soprattutto quando ci indigniamo di fronte a fatti di cronaca dove i diritti umani non sono rispettati o quando grandi multinazionali o paesi interi le regole sociali, ambientali e anche economiche. Davanti alle tastiere dei nostri potenti computer siamo pronti a boicottare un intero paese dichiarando che non acquisteremo ma più prodotti di quel mercato o quell’azienda che così impunemente ha calpestato diritti umani sfruttando i lavoratori, inquinato l’ambiente o evaso il fisco per anni a danno di un’intera collettività. Ma poi quando rivestiamo i panni dei consumatori e andiamo a caccia della mega offerta, dello sconto del 70%, del 3×2 o della pensione completa a 24 euro spesso la nostra morale si prende una piccola pausa.»
Meditiamo, caro Diario, meditiamo, che poi ti dico, perché questo panel qui io non me lo perdo per nessuna ragione al mondo.
bto51 3 Dicembre 2016 Torna al Diario
Caro Diario, ieri sono tornato da Firenze dopo due giorni vissuti così intensamente che alla fine non sono riuscito a scrivere nulla. Mi dovevi vedere, ho vagato per due giorni da un posto all’altro e ho ascoltato quanto più ho potuto, sia per imparare che per curiosare, e ti assicuro che in ogni posto dove sono passato ho trovato tante persone, tanti argomenti e tanto interesse. Di seguito ti metto in fila un po’ di cose senza un ordine particolare, come se fossero dei segnaposto, in modo da dare a te il segno di un po’ di quello che è successo e a me il modo di ritornarci su, perché poi quando sarà finito il racconto vorrei mettere assieme qualche pensiero più meditato, spero davvero di farcela, e naturalmente ti faccio sapere. Un’ultima cosa, forse te ne avevo accennato e forse no, ma nei miei vagabondaggi alla ricerca del senso ho dato la priorità ai corpi intermedi più che alle star, che quelle le raccontano già in tante/i, e in ogni caso una volta che le due giornate saranno tutte disponibili in rete ci si potrà tornare su, io ho provato a seguire il mio fiuto, a raccontare la mia storia, che naturalmente può piacere oppure no ma è la mia.

1. Per cominciare non so se hai visto questo post che Leonardo Prati ha condiviso su un social network: «Robi Veltroni, Giancarlo Carniani e Robert Piattelli è stato detto che il panel più interessante e illuminante di questa BTO – Buy Tourism Online, è stato tenuto dai ragazzi di supporto alle sale, all’ingresso, al guardaroba etc. etc. che con il loro sorriso e la loro gentilezza, hanno insegnato a molti le basi dell’ospitalità?». Qui aggiungo solo che sono d’accordo con Leonardo al 100%.

2. Questo invece lo ha postato Robi Veltroni: «I numeri della nona edizione di BTO superano i risultati positivi del 2015 con oltre 10.000 presenze registrate nei due giorni, +10% di ticket venduti e +20% di espositori e sponsor. Un record reso possibile anche dalla presenza degli studenti provenienti da 12 corsi universitari e master italiani che ha contribuito a rinnovare la platea della manifestazione. L’attenzione alle nuove generazioni si è concretizzata anche nel coinvolgimento di 82 giovani nel team BTO 2016, inseriti in un percorso di alternanza scuola lavoro. Alle presenze fisiche si è aggiunto il pubblico che ha seguito l’evento grazie allo streaming: oltre 6.000 gli utenti unici che hanno seguito la diretta video su intoscana.it».

3. Questa invece è la sintesi molto sintetica che ho fatto del keynote di Giancarlo Carniani, poi tra qualche giorno la potrai vedere e ascoltare come quella di tutti gli altri relatori e mi saprai dire se ho saltato qualcosa: «Occorre più consapevolezza e più maturità. I territori sono una risorsa fondamentale per il futuro. Bisogna giungere al cuore delle persone e delle aziende, capire partendo dall’interno, spingersi in profondità, riferirsi alle motivazioni e al senso di quello che si fa. Per questo capire «che cosa» fanno le aziende e le persone e «come» lo fanno è importante, ma capire «perché» lo è ancora di più. Le compagnie mondiali del travel devono il loro successo più al loro «perché» che alle loro strategie di marketing. Le persone comprano il «perché», vale per Apple e per il suo «pensiero differente» e vale per Airbnb e per TripAdivisor. 
Come si fanno i soldi viene dopo, spesso dopo tanti sbagli. Bisogna tenere la barra diritta sul «perché». Vale per le Online Travel Agency (OTA) e vale per i giganti del settore. È in atto un grande rimescolamento di carte rispetto al 2008, quando alla Phocuswright Conference venne coniato il famoso detto «Search, Shop, Buy». Le grandi compagnie stanno perdendo il loro «perché»? Lo stanno ridisegnando? Di certo Google ha spostato il suo, e lo stesso stanno facendo TripAdvisor e le maggiori compagnie alberghiere mondiali, il primo entrando nel modello di vendita che non gli apparteneva, le seconde tentando la carta piglia tutto di essere ricerca e vendita. BTO2016 è l’occasione per capire, per domandare e per ascoltare. WHY! per l’appunto. Insieme al «perché» c’è la «Rivoluzione Industriale 4.0» la rivoluzione dei sensori che collegano le macchine, la rivoluzione della robotica e dell’intelligenza artificiale. Che impatto potrà avere tutto questo sul Travel? Quale immagine di futuro bisogna disegnare e raccontare? Come gestire un cambiamento che sarà complesso e non indolore? Bisogna pensarci e prepararsi. Quale futuro per le migliaia di microimprese turistiche italiane in un mondo dominato dalle concentrazioni di potere economico? Puntare sul brand Italia, sfoggiare con orgoglio la nostra appartenenza. 
L’Italia è il prodotto che si sta vendendo. 
Solo pensando in grande come fanno i grandi si può vincere.»

4. Infine  un po’ di cose che ho fatto io al di là della mia bella chiacchierata con Rodolfo Baggio e del mio speech che se vuoi puoi leggere qui: ho incontrato alcune/i degli startupper che hanno partecipato al torneo e sono stati eleminati al primo turno, nei prossimi giorni te li presento, la prima sarà Ester Liquori, che lei è una mamma startupper e insomma le cose che ha da raccontare sono davvero tante; ho rivisto vecchi amici, ne ho conosciuti alcuni con i quali avevo solo rapporti digitali e altri che non avevo ancora conosciuto, anche su questo punto novità in arrivo, a partire da Paolo Mele e la sua Lastation, l’ultima stazione a Sud Est d’Italia, puoi vederla nell’immagine sotto; ho incontrato Luca Carrai e gli ho chiesto di raccontarmi di Ethicjobs, che poi mercoledì pomeriggio la presentazione mi è piaciuta tanto ma ci sono alcune cose che non mi convincono e che ho bisogno di approfondire, ho ascoltato la talk del mio amico Antonio Pezzano e oltre a imparare un bel po’ di cose ho apprezzato molto il suo approccio che dà grande valore a due parole troppo spesso trascurate: profondità (dei ragionamenti) e diversità (delle fonti e dei punti di vista). Ecco per ora mi fermo, che tanto poi domani arrivo di nuovo.
lastation
4 Dicembre 2016 Torna al Diario
Caro Diario, eccomi anche oggi con un altro po’ di novità, come funziona ormai lo sai già, per ora cerco semplicemente di mettere in fila le cose senza un vero e proprio ordine di priorità.
1. La storia di Ester Liquori è online, se vuoi la puoi leggere qui.
2. Come ti ho accennato ieri Paolo Mele mi ha inviato la foto che hai già visto e questo testo breve accompagnato dal link alla pubblicazione su Issuu: «Lastation, ultima stazione a sud-est d’Italia, è la cabina di regia per la promozione artistica e culturale del Capo di Leuca. Punto di riferimento per la comunità locale e per un pubblico internazionale. Lastation offre servizi che rendono la comunità protagonista nella esplorazione e nella conoscenza del territorio: spazio espositivo e di residenza, punto di snodo per la mobilità, luogo d’incontro, lavoro e ospitalità. LaSTation è il cuore pulsante delle terre estreme.» Come dici? Anche questa è una bella storia da approfondire? Sono d’accordo, conto nelle prossime settimane di sentire Paolo e ritornarci su.
3. Sempre a proposito di incontri per genio e per caso ancora non ti ho detto che a #BTO ho incontrato anche Ilaria Vitellio che di lei e della sua Mappi[na] ho raccontato un bel po’ di tempo fa qui. La cosa divertente è che io e Ilaria oltre a essere diventati grandi amici abitiamo pure a 2-3 chilometri di distanza, eppure le pazze vite che facciamo fanno si che su 5 volte che ci incontriamo 4 sono lontane da Napoli. A proposito, ho rivisto anche Simona De Martino, che lei l’ho conosciuta in versione ragazzina e adesso me la ritrovo che ha lavorato in Cina, diversi anni a Firenze, e che proprio nella città dei Medici sta per aprire un B&B, chissà che presto non finirà anche lei su #lavorobenfatto.
4. Sto cominciando a pensare alla parte finale del report, quella che scriverò una volta finito il racconto, intanto ho aggiunto etica e industria 4.0 agli hashtag.
5. Robi Veltroni ha scritto un bellissimo post su BTO 2016, lo trovi qui, ti consiglio vivamente di leggerlo.
#lbf1a
5 Dicembre 2016 Torna al Diario
Caro Diario, oggi ti racconto di un po’ dei ragazzi con i quali ho parlato, si si, proprio loro, quelli «di supporto alle sale, all’ingresso, al guardaroba etc. etc. che con il loro sorriso e la loro gentilezza, hanno insegnato a molti le basi dell’ospitalità» di cui ha parlato Leonardo Prati. Ti confermo ancora quello che ha detto Leonardo, e aggiungo che il loro «sorriso» ha ancora più valore perché non era di maniera ma professionale e consapevole.
Come dici? Mi devo spiegare meglio? Ti faccio due esempi. Uno riguarda uno dei ragazzi che stava al guardaroba, credo coordinasse un po’ il lavoro degli altri, l’ho incrociato a pranzo, ho scambiato due chiacchiere e ho intuito che in qualche modo si aspettava di fare qualcosa di più «importante» di quello che faceva, e allora gli ho sorriso e gli ho detto che in occasioni come #BTO2016 ogni cosa che si fa è importante, perché è la somma che fa il totale, ogni piccolo particolare contribuisce alla riuscita del tutto, e che se un ragazzo come lui era stato messo lì era perché era affidabile, in grado anche di farsi ascoltare dai suoi compagni, e allora lui è stato contento, e a sorriso a sua volta, e mi ha detto che è vero, e che comunque partecipando a eventi così anche solo a guardare quello che succede in giro si impara, e che lui ha tanta voglia di imparare, e insomma a me questo è sembrato proprio lo spirito giusto.
L’altro esempio riguardo un episodio accaduto sul finire della seconda giornata, c’era un gruppetto di ragazzi/e fuori alla sala speaker e a un certo punto è arrivato trafelato il mitico Emilio Casalini – di lì a poco sarebbe toccato a lui coordinare credo l’ultimo panel – non so se per bere un bicchiere d’acqua, per prendere un appunto o magari tutte e due le cose. Uno dei ragazzi gli ha chiesto «lei è uno speaker», Emilio ha risposto «si si» e ha fatto per entrare, il ragazzo mentre io me la ridevo gli ha chiesto di vedere il badge ed Emilio glielo ha fatto vedere, e però per qualche ragione che non conosco invece di speaker aveva scritto un’altra cosa ma a quel punto lì il ragazzo ha detto «prego» e quando Emilio è riuscito, mezzo minuto dopo, lo ha salutato e gli ha fatto i complimenti per come ha preso sul serio il suo lavoro. Ecco, è stato qui che mi sono avvicinato, che ho raccontato ai ragazzi un po’ delle cose che fa Emilio, che ho chiesto loro cosa vogliono fare nella vita e quanta fatica sono disposti a fare per riuscirci. Te lo posso dire amico Diario? Erano 6-7 di loro, tutte/i ragazze/i con la testa al proprio posto, cioè sul collo, ragazze/i che non fanno fatica a dirti che devono fare 400 ore di alternanza scuola lavoro e che questo è uno dei modi possibili, e però poi aggiungono anche loro che eventi così sono un’occasione per imparare, incontrare persone, farsi un’idea di cosa può essere il loro mondo domani.
Che ti devo dire, io penso davvero che se diamo più opportunità a queste/i ragazze/i loro le moltiplicano, che poi come sappiamo da questa moltiplicazione verrebbero benefici non solo per loro ma per l’Italia. Già, è questo che dovremmo fare noi che giovani non siamo più, creare opportunità per queste/i ragazze/i, e invece da troppo tempo non lo facciamo più. Mi fermo qui, perché questa questione qua è troppo grossa anche per BTO, ti dico solo che se tra qualche anno qualcuno di queste/i ragazze/i me li ritrovassi tra gli speaker sarei contento assai. A presto.

2 Gennaio 2017 Torna al Diario
Caro Diario, scusami se da un po’ non mi faccio vivo ma le cose sono davvero tante, io sono solo uno e non potendo moltiplicarmi devo accettare di non riuscire a fare sempre tutto nei tempi che vorrei. In più c’è la mia necessità di «pensarci su» – te ne ho parlato più volte in questi mesi – che non è detta tanto per dire, è piuttosto la sarena consapevolezza che ci vuole il suo tempo per connettere i diversi puntini che compongono un discorso. Ciò detto, rimane il fatto che sono tornato e che intendo portare a termine come merita questo mio racconto.
Innanzitutto volevo dirti che sono stati pubblicati i video delle talk a #BTO2016, li trovi qui; nel caso tu avessi voglia di farti un’idea di come me la sono cavata io la mia talk la trovi qui.
Poi volevo scusarmi per le tante cose – piccole e grandi – che non sono riuscito a fare o che ho provato a fare e non hanno prodotto i risultati che speravo. Questo è un aspetto importante del mio lavoro, come ho scritto più volte sono convinto che un racconto come questo per essere vero non può fare a meno degli errori, delle omissioni, delle piste prima imboccate e poi abbandonate, che lo caratterizzano. Sì, amico Diario, resto un tifoso del  Peter B. Medawar, Nobel per la Medicina nel 1960 – che sceglie come titolo per una sua conferenza in televisione «Il saggio scientifico è un inganno?». Perché lo fa? Perché intende mettere in risalto i limiti della documentazione pubblica del saggio scientifico. Riferendosi alla scienza, era stato Robert K. Merton a teorizzare la necessità di ridurre le differenze tra lo Standard Scientific Article e il corso effettivo dell’indagine: il saggio o la monografia scientifica si presentano con aspetto immacolato che poco o nulla lascia intravedere delle intuizioni, delle false partenze, degli errori, delle conclusioni approssimative e dei felici accidenti (Obliterated Scientific Serendipities) che ingombrano il lavoro di ricerca; la documentazione pubblica della scienza non è in grado di fornire gran parte del materiale necessario alla ricostruzione del corso effettivo dello sviluppo scientifico. Ma potrei ricordare anche Jean Piaget che si sofferma da diversi punti di vista sulle differenze tra il modo personale di sviluppare i propri pensieri e l’ordine nel quale essi vengono presentati agli altri o anche quello che per certi versi mi piace più di tutti, Richard P. Feynman, che il Nobel lo vince per la Fisica nel 1965 e approfitta della sua Lecture per raccontare perché bisogna andare al di là dei termini puramente logici con i quali vengono presentate le teorie scientifiche per ricostruire il corso dell’indagine così come è stata effettivamente svolta dal ricercatore: «abbiamo l’abitudine – afferma -, quando scriviamo gli articoli pubblicati sulle riviste scientifiche, di rendere il lavoro quanto più rifinito possibile, di nascondere tutte le tracce, di non prenderla per i vicoli ciechi o di descrivere come la prima idea che si era avuta era sbagliata, e così via, [cosicché finiamo col perdere di vista] quello che si è fatto veramente per arrivare a quel lavoro».
Ecco, caro Diario, io penso che tutto questo non valgo solo per il saggio scientifico ma anche per un certo tipo di narrazione, e così in questi giorni rileggendo il mio rapporto alla ricerca di refusi, errori e orrori mi sono imposto di correggere solo loro – naturalmente quelli di cui mi sono accorto – senza cercare di eliminare incongruenze e cose non fatte, a partire da quella per me più pesante, il non essere riuscito a trovare una chiave per raccontare come avrei voluto i due giorni di Firenze. Ebbene si,  l’Aleph non sono riuscito a trovarlo, non ce l’ho fatta, forse non si poteva e forse si ma non ne sono stato capace, l’importante è che sia chiaro che alla voce «cose fatte» quella cosa lì non c’è.
Infine volevo avvisarti che tra domani e dopo pubblico l’ultimo post, quello con le mie riflessioni conclusiva su questa bellissima esperienza, e insomma tieniti pronto, che ci tengo molto che tu lo legga e mi faccia sapere cosa ne pensi. Come dici? Così ricominciamo daccapo? Ti confesso che mi piacerebbe molto, ma quello non dipenderà più da me. A presto.

3 Gennaio 2017 Torna al Diario
Caro Diario, intanto che metto in ordine i miei pensieri ho deciso di fare un elenco di un po’ delle cose che sono state scritte su #BTO2016. Come puoi immaginare si tratta di un cantiere aperto, ho chiesto aiuto anche a un po’ di amici che nei prossimi giorni mi faranno arrivare i loro suggerimenti, ma intanto partiamo, che ad aggiungere si fa sempre in tempo. Ah, a proposito, gli articoli li pubblico in ordine alfabetico per autore, perché non è una rassegna stampa, piuttosto una rassegna di idee.

Rodolfo Baggio,BTO 2016: la rassegna italiana sull’online tourism, IFITT
Sergio Cagol, BTO: il mio personale Thanksgiving, Medium
Giancarlo Carniani, We do BTO 2016, BTO
Martin Cowen, Partnerships are the way to fight scale, BTO audience told, Tnooz
Mafe De Baggis, Il genio dell’accoglienza, mafedebaggis.it
Antonio Pezzano, BTO. Cosa resta dopo lo storytelling, Officina Turistica
Paolo Ratto, Web Marketing per Hotel. Qual è la strada giusta?, paoloratto.com
Robi Veltroni, BTO non esiste, Medium

4 Gennaio 2017 Torna al Diario
Caro Diario, avrei voluto cominciare ricordando mio padre, che lui ripeteva spesso che «solo quello che non comincia non finisce», così ne avrei approfittato per dirti che Larry e Andy Wachowski, o Lana e Lilly, come pare a loro, l’hanno copiato da lui e dalla tradizione napoletana il loro «A questo mondo tutto quello che ha un inizio ha anche una fine», e invece mentre scrivevo ho pensato che in realtà qui non finisce niente, e non solo perché c’è già la data della decima edizione consecutiva di #BTO2017, Mercoledì 29 e Giovedì 30 novembre 2017, ancora a Firenze, ma perché è il senso di #BTO che non finisce.
Che cosa mi porto a casa dal mio incontro con la Carniani Big Band e #BTO2016? Un bel po’ di cose, te le metto in fila così come le ho incontrate leggendo e rileggendo le tue pagine, considerale per quelle che sono, note e messaggi nella bottiglia per le esplorazioni che verranno da qui a #BTO2017.


1. Avere successo vuol dire non dover mai dire non ha senso.
Si, funziona proprio così: più sei capace di dare senso a quello che fai e a quello che gli altri fanno con te e maggiori saranno le tue possibilità di moltiplicare le opportunità che ti si presentano e di cogliere gli obiettivi che ti sei prefisso.
2. Qualsiasi lavoro, se lo fai bene, ha senso.
Il fatto che questo sia anche il primo articolo del Manifesto del Lavoro Ben Fatto credo suggerisca qualcosa di significativo.
3. Fare bene le cose non è solo bello e giusto, ma conviene.
L’esempio della pasta e fagioli è stato uno dei momenti più convincenti della mia talk a #BTO2016 e ho detto tutto.
4. Nei nostri mondi sempre più connessi e indeterminati la visione è la capacità di comprendere il corso delle cose prima e nel mentre accadono.

La situazione delle cose che abbiamo intorno è sempre connessa alla loro evoluzione. Vale nella fisica, nella chimica, nella filosofia e dunque anche nel turismo.
5. Ogni cosa che accade è un racconto, il «perché» è un racconto.
La narrazione è un potente «mezzo» di comprensione e di cambiamento del mondo in cui viviamo e dei mondi con i quali interagiamo. Raccontare di più le teste, le mani e i cuori che ogni giorno – in Italia e nel Mondo – creano futuro è un modo per creare contesti più adatti allo sviluppo dei nostri progetti e dei nostri sogni.
6. Competere vuol dire non dover mai dire non voglio collaborare.
Non si può essere competitivi ad altissimo livello se non si collabora ad altissimo livello. Competere e collaborare. Non si può andare lontano se non si tengono assieme quei due verbi lì.
7. Per vincere ci vogliono talento, organizzazione e contesto.
Il talento delle persone è il punto di partenza, più ce n’è a disposizione più le possibilità di avere buone idee e di svilupparle nel modo giusto aumenta. Poi però ci vuole l’organizzazione, perché solo in strutture di altissimo livello il talento può esprimersi compiutamente. Infine è fondamentale il contesto, cioè la cultura, le risorse, le reti materiali e immateriali che caratterizzano un determinato ambiente.
8. Siamo autori consapevoli dei nostri futuri.
L’approccio civico e consapevole alla vita, al lavoro, allo studio, alle tecnologie, con tutto ciò che ne consegue dal versante dei diritti e dei doveri di ciascuno, è, al tempo di Internet più che in ogni altra fase, una caratteristica inscindibile dello sviluppo umano.
9. Siamo quelli di BTO, stiamo cambiando il turismo, vogliamo cambiare il mondo
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BTO come comunità, come insieme di persone che si riconoscono in un approccio, una cultura, un modo di pensare e di fare le cose, nel lavoro e nella vita. Persone che si incontrano nel mondo degli atomi e in quello dei bit, che cercano definizioni nuove a parole vecchie come business, etica, viaggio, destinazione. Persone che amano la profondità e le differenze. Persone contente che non si accontentano.
10. Più turismo, più futuro, più sistema.
Il futuro del turismo sta sempre più nella sua capacità di pensare e di fare con un approccio di sistema. Anche oltre se stesso. Ad esempio immaginando le sue connessioni con Industria 4.0, Banda Ultra Larga, Città Intelligenti. Come ha accennato Carniani nel suo keynote, potrebbe essere il tema per #BTO2017, ma c’è ancora tempo per pensarci.
11. #BTO2017 Serendipity Lab 

L’ho chiamato Serendipity Lab. È una «vecchia» idea che ho raccontato anni fa su Il Sole 24 Ore. Un luogo sociocognitivo serendipitoso dove persone diverse per cultura, formazione, punti di vista si incontrano per pensare assieme il futuro, e magari realizzarne un pezzetto.

Ecco, amico Diario, ti confesso che mi piace un sacco pensare a #BTO come a un crogiuòlo di menti allenate su turismo, tecnologie, opportunità, futuro dal quale tirare fuori un po’ di idee, un po’ di connessioni e un po’ di possibilità, un «lavoro» che va avanti tutto l’anno, e che poi nel corso delle due giornate di Firenze si sviluppa e si moltiplica in tutte le direzioni possibili. Come dici? Mi sto allargando troppo? E perché? La mia è solo un’idea, e la punizione corporale per le idee ancora non è prevista. O no?