Prendere una decisione è una faccenda assai più impegnativa e meno banale di quanto di norma si sia portati a credere. Anche quando non ne siamo consapevoli, indipendentemente dal numero dei decisori e dal contesto nel quale viene assunta, essa ha alle spalle un processo che, quando viene svolto compiutamente, produce esiti non di rado sorprendenti.
Ne sanno qualcosa i protagonisti de La parola ai giurati, film capolavoro del 1957 diretto da Sidney Lumet (nel cast Henry Fonda, Lee J. Cobb, Ed Begley, E. G. Marshall, Jack Warden, Martin Balsam, John Fiedler, Jack Klugman). Il processo decisionale attraverso il quale i 12 giurati in questione arrivano a definire l’innocenza del ragazzo accusato di aver ucciso il padre è davvero da manuale. Profetico. Anticipa i risultati della ricerca condotta da Garfinkel sul processo decisionale delle giurie (pubblicata nel 1967) che evidenzia come i giurati, invece che partire dalla catena danno (sua gravità) – attribuzione della colpa – definizione della pena, siano indotti a decidere prima la pena e poi a individuare i fatti che la giustificano (come suggerisce Weick, 1997, «i fatti erano resi sensati retrospettivamente per sostenere la scelta del verdetto da parte dei giurati»).
Ancora a proposito del processo decisionale è molto interessante quanto afferma Drucker a proposito delle differenze esistenti tra Occidente e Giappone in merito a ciò che significa «prendere una decisione». In Occidente – egli sottolinea – l’attenzione è rivolta alla possibilità – necessità di approcciare in maniera sistematica la «risposta alla domanda». In Giappone, invece, l’elemento portante, l’essenza della decisione, è rappresentato dalla definizione della domanda (c’è bisogno di prendere una decisione? che cosa essa riguarda?); nella misura in cui la risposta alla domanda (ciò che per gli occidentali rappresenta la decisione) dipende dalla sua definizione, il processo decisionale è riferibile alla definizione di ciò che effettivamente riguarda la decisione piuttosto che a quale decisione dovrebbe essere presa.
Ciò detto, si può aggiungere che una decisione può essere data dal progetto consapevole di un attore razionale, e in questo caso sarà stata presa sulla base del modello decisionale sinottico; può essere il risultato contingente di un processo condizionato dai limiti soggettivi e oggettivi della razionalità umana e ci si riferirà in questo caso al modello della razionalità limitata; può rappresentare l’esito di mediazioni e accomodamenti tra attori partigiani e dunque riferirsi al modello decisionale incrementale; può essere il prodotto casuale dell’incontro tra problemi, soluzioni, partecipanti e occasioni di scelta e in questo caso ci si riferirà al modello decisionale del garbage can; poi ancora può essere presa sulla base di scelte classificabili nell’ambito del modello comportamentista, di quello politico – burocratico, di quello partecipativo.
Le differenze che caratterizzano i diversi modelli possono riferirsi a seconda dei casi ai soggetti abilitati a decidere, ai criteri principali di scelta, al tipo di razionalità, alle condizioni nelle quali si decide, al significato attribuito alla decisione, al tipo di organizzazione, all’analogia organizzativa proposta, al livello di attuazione della decisione.
Decisione razionale sinottica
Gli assiomi fondamentali sui quali si regge il modello della decisione razionale sinottica – il cui campo di applicazione per eccellenza è dato dalla Organizzazione Scientifica del Lavoro -, sono nella sostanza due:
1. i fini già prefissati possono essere raggiunti utilizzando in maniera ottimale i mezzi a disposizione (dato che decidere vuol dire risolvere un problema, è fondamentale mettere chi decide in uno stato di informazione perfetta);
2. è necessario avere in ogni fase un unico decisore dato che l’unità di comando assicura piena coincidenza dell’interesse individuale e collettivo, unifica gli scopi e i criteri valutativi.
Nell’ambito di questo modello la razionalità orientata allo scopo (sostanziale) e le decisioni vengono assunte secondo tecniche di elaborazione organizzate in quattro fasi cronologicamente distinte:
1. identificazione e gerarchizzazione di obiettivi e valori;
2. padronanza di tutti i mezzi atti a raggiungerli;
3. valutazione delle conseguenze connesse a ciascuna alternativa;
4. scelta dell’opzione che massimizza il risultato raggiungibile.
Razionalità limitata
È Simon a ideare il modello decisionale della razionalità limitata. Egli sviluppa, intorno alla variabile «decisione», la tesi, già introdotta da Barnard, che individua nei comportamenti delle persone invece che nei fini e nelle funzioni proprie delle strutture la chiave per comprendere il funzionamento delle organizzazioni.
Simon sostiene infatti che:
1. sono gli uomini che, attraverso le loro decisioni, determinano il funzionamento delle organizzazioni;
2. tali decisioni non possono essere assunte in condizione di certezza dato che i soggetti agiscono sulla base di criteri di razionalità limitata che non permettono di avere una visione completa né delle alternative disponibili né delle conseguenze possibili delle loro azioni;
3. le persone adattano costantemente il proprio sistema cognitivo, le informazioni e le conoscenze che utilizzano per raggiungere uno scopo, alle condizioni mutevoli che caratterizzano l’ambiente naturale esterno e ciò fa sì che le loro scelte non producano, di norma, disastri, nonostante che esse siano assunte sulla base di visioni estremamente semplificate della realtà;
4. è attraverso procedure che gli consentono di assorbire la sua incertezza e di fare scelte il più possibile programmate, che il soggetto inserito in un contesto organizzato (cioè un sistema di programmazione e di coordinamento delle azioni degli individui finalizzato a rappresentare un modello semplificato della realtà che aiuti a comprenderla e ad affrontare al meglio l’incertezza) è in grado di assumere decisioni, tanto di routine quanto critiche;
5. le decisioni sono assunte sulla base di un criterio tendente non alla massimizzazione dei fini ma a un soddisfacimento medio degli obiettivi e la loro prima funzione è identificabile nel proprio perpetuarsi;
6. è per questa via che l’organizzazione riesce a mantenere una propria unitarietà di decisione, a trovare comunque un accordo su percezioni, valutazioni e scopi, a soddisfare i suoi bisogni, ad adattarsi al proprio ambiente, a sopravvivere.
March illustra questa stessa tipologia di processo decisionale attraverso quattro domande (con annesse risposte – parole chiave) quattro problemi (con i quali il decisore deve fare i conti), quattro processi di semplificazione atti per l’appunto a fronteggiare al meglio le domande, i problemi, i limiti insiti nel processo decisionale:
la domanda «quali azioni sono possibili» conduce al tema alternative;
la domanda «quali le conseguenze di ciascuna alternativa e quali le probabilità che ciascuna di essa si realizzi» al tema aspettative;
la domanda «quanto valgono per il decisore le conseguenze di ciascuna alternativa» al tema preferenze;
la domanda «come si sceglie fra diverse alternative tenuto conto del valore delle loro conseguenze» al tema regola decisionale.
I problemi possono essere invece di:
attenzione (es: tempo e capacità di attenzione limitati; troppi elementi rilevanti; troppi segnali per poter essere seguiti contemporaneamente);
memoria (es: limitata capacità delle persone e delle organizzazioni di immagazzinare informazioni e, ancor più, di recuperarle quando servono; non si conservano tutti i documenti; non si registrano tutti gli eventi; la memoria si inganna; è difficile che la conoscenza accumulata in una parte dell’orga-nizzazione sia utilizzata in un’altra);
comprensione (es: limitata capacità di comprensione, difficoltà a organizzare e collegare gli eventi, a essere consapevole della rilevanza delle informazioni; tendenza a trarre inferenze arbitrarie dalle informazioni in proprio possesso);
comunicazione (es: limitata possibilità/capacità di comunicare e condividere informazioni specialistiche e complesse).
I processi di semplificazione riguardano infine:
l’elaborazione (si può semplificare la ricerca selezionando le informazioni o riducendo il numero di elaborazioni eseguite su di esse);
la scomposizione (si possono cercare soluzioni per le singole parti per tentare di dare una risposta accettabile al problema globale; è una metodologia strettamente legata a divisione del lavoro, specializzazione, decentralizzazione, gerarchia e che dunque non funziona quando i problemi sono strettamente interconnessi);
l’euristica (si può ridurre l’incertezza circa le probabilità di eventi futuri utilizzando la memoria, facendo cioè conto sulla frequenza con la quale eventi simili sono accaduti in passato; per le loro caratteristiche le procedure euristiche possono essere interpretate come risposta a regole);
l’inquadramento (framing) (si possono adottare griglie interpretative per definire il problema da affrontare, l’informazione da raccogliere, le dimensioni da valutare).
Comportamentismo
Cyert e March sviluppano ulteriormente il quadro concettuale proposto da Simon nell’ambito delle grandi imprese multiprodotto che operano in condizioni di incertezza e in mercati imperfetti.
Contestata la tesi propria dell’economia classica secondo la quale gli obiettivi dell’impresa sono dati dagli obiettivi dell’imprenditore (o in ogni caso da obiettivi formatisi in maniera consensuale), essi propongono la loro concezione dell’impresa come coalizione (e subcoalizioni) di individui e definiscono la decisione in quanto esecuzione di una scelta operata, in termini di obiettivi, su una serie di alternative in base alle informazioni disponibili.
Nello schema concettuale di Cyert e March un’organizzazione economica è un sistema razionale flessibile che apprende dalla sua esperienza, che può assumere numerosi stati, che è soggetta a spinte e urti esterni di disturbo che non possono essere controllati, che è condizionata dall’azione di variabili interne che si modificano sulla base di determinate regole di decisione.
Tutto questo fa sì che lo stato del sistema cambi proprio sulla base del combinato disposto dei disturbi esterni e di variabili di decisioni interne (dato uno stato esistente, il nuovo stato si determina a partire da un disturbo esterno e da una decisione) e che le regole di decisione che conducono a uno stato preferito in un determinato momento abbiano maggiori probabilità di essere adottate in futuro.
Incrementalismo
Il modello incrementale si deve a C. E. Lindblom, che imputa al modello sinottico non solo il difetto di trascurare le facoltà cognitive degli attori ma anche quello di adattarsi molto poco al carattere pluralistico dei sistemi democratici.
L’esistenza di regole formali (separazione dei poteri, più livelli di governo, authority ecc.) e di situazioni di fatto (interessi organizzati, parti sociali ecc.) fa sì che nei confini della politica gli attori siano soggetti non solo alla razionalità limitata ma anche a processi di frammentazione, dato che il campo delle decisioni risulta popolato da più protagonisti, tutti di parte, autonomi nelle scelte e nel giudizio, liberi da ogni tipo di coordinamento sovraordinato, ma legati reciprocamente rispetto alla scelta.
Nella realtà dunque si decide in molti; l’esito della decisione è direttamente connesso alle dinamiche che coinvolgono i diversi attori; questi ultimi tendono ad adattare i fini ai mezzi disponibili dato che non sono in grado di scegliere i mezzi sulla base di obiettivi dati.
Dato questo sfondo, a giudizio di Lindblom la decisione va misurata sulla base della sua capacità di determinare differenze rispetto allo statu quo esistente. A differenze più piccole corrisponde una maggiore facilità di giudizio dei decisori, che più che tentare di raggiungere una meta prefissata procedono per comparazioni successive; la valutazione della decisione dipenderà a propria volta dal-l’accordo raggiunto tra coloro che hanno qualche influenza o interesse sulla posta in gioco (policy makers).
In definitiva, nell’ambito del modello incrementale un criterio di giudizio di natura interattiva o politica sostituisce un criterio di tipo tecnico; l’arte dell’arrangiarsi (muddling through) sostituisce il calcolo razionale. È proprio questo approccio decisionale, secondo Lindblom, a garantire i diritti di libertà, a impedire la concentrazione del potere, a consentire in molte circostanze di decidere potendo contare su un miglior livello di informazione e una maggiore razionalità.
Modello politico – burocratico
L’immagine tipo che contraddistingue i diversi modelli politico – burocratici è rappresentata dal gioco politico competitivo – cooperativo che ha come protagonisti molteplici decisori che occupano diverse posizioni gerarchiche.
Per potersi riferire a tale modello occorre che: i decisori operino in un contesto di potere condiviso; l’ambiente sia caratterizzato dalla necessità di fare qualcosa, da incertezza circa ciò che bisogna fare, da conseguenze cruciali per ogni cosa che viene fatta; anche il non far niente sia una mossa del gioco; la comunicazione sia una variabile decisiva; ciascun partecipante possa e debba fare delle cose a seconda della sua posizione; il gioco sia composto di più sottogiochi contemporanei; ciascuna mossa sia il risultato di compromessi, coalizioni, competizione, confusione circa la vera faccia del problema; ogni giocatore porti con sé il proprio stile di gioco e la sua esperienza.
Nella sostanza, nell’ambito dei modelli politico – burocratici il potere è la vera variabile indipendente; il risultato di una decisione dipende spesso dal potere e dall’abilità di chi la sostiene o si oppone ad essa; attraverso la negoziazione ciascun gioco viene avviato verso la risoluzione (decisione); si decide non in base alla competenza ma in base alle risorse politiche disponibili.
Garbage can
Il modello decisionale del garbage can (cestino dei rifiuti) si deve a March e Olsen, impegnati in una lunga e proficua attività di analisi circa gli aspetti non razionali delle decisioni nelle organizzazioni.
Lo scopo? Dimostrare che anche ciò che appare caotico e casuale possiede una struttura logica e risponde ad una precisa esigenza funzionale.
Diversamente dai modelli della razionalità limitata ed incrementale, caratterizzati da incertezza, il modello garbage can è contraddistinto da ambiguità e confusione che, in quanto tali, non possono essere ridotte attraverso l’aumento delle informazioni e delle conoscenze disponibili.
Ciò determina secondo gli autori alcune conseguenze importanti:
1. gli attori non possono guidare razionalmente il processo decisionale, dato che gli scopi e le preferenze non possono essere definiti prima e indipendentemente dal processo stesso, ma prendono forma soltanto durante il corso dell’azione nella quale essi si inoltrano (il processo fornisce la base sulla quale gli attori recitano la propria parte);
2. le attività e i compiti di ciascun attore sono necessariamente ambigui e indeterminati;
3. le procedure e i modi di procedere sono fra loro mutuabili ed equivoci;
4. i partecipanti e gli attori impegnati nel processo entrano ed escono dalla scena in relazione al livello d’interesse che li lega ai problemi, cosicché anche la partecipazione risulta fluida e incostante.
Il fatto che non si tratti di un processo lineare fa sì che nella realtà anche queste variabili, più che essere collegate da un ordine di sequenza (si parte da una criticità per arrivare, attraverso la definizione di una specifica procedura da parte degli attori coinvolti nel processo decisionale, a scoprire una soluzione pertinente), si incontrino con una modalità che assomiglia molto a quella del cestino nel quale si trovano ad essere mescolate specie diverse di rifiuti prive di legami tra di loro.
L’idea è insomma che anche nell’ambito del sistema sociale venga depositato un numero ragguardevole di variabili (soluzioni potenziali, problemi latenti, attori rituali, opportunità ecc.), che seguono il proprio corso in maniera indipendente fino a quando non intervengono fattori contingenti e temporali che favoriscono il loro incontro in un ordine di sequenza non necessariamente lineare e che rappresentano i criteri che regolano le scelte.
In particolare March e Olsen individuano tre principali processi di sequenza decisionale:
1. nel primo la scelta finale adottata risponde a un problema, non importa se stabilito in partenza o sostituito nel corso del procedimento. Si tratta di un processo statisticamente poco frequente dato che sono poche le decisioni pubbliche che possono essere ricollegate a problemi chiaramente identificabili;
2. nel secondo la scelta non risponde affatto, o non risponde più, a un problema, che può essere stato perso di vista nel corso del procedimento oppure non essere stato mai evocato. In questo processo, molto più frequente del primo, la scelta si è compiuta proprio grazie al fatto di avere scartato qualunque problema;
3. nel terzo il problema è scartato, non vi è stata scelta finale, il processo si è arrestato per abbandono.
Modello partecipativo
Il modello partecipativo (partecipative decision-making) è marcatamente europeo, strettamente connesso al modello della democrazia industriale, muove dall’idea che la partecipazione sia una questione decisiva per il buon funzionamento di una organizzazione.
La domanda fondamentale alla quale tale modello cerca di rispondere non è «come scegliere» ma «con chi scegliere» e questo lo rende per molti versi anomalo rispetto a tutti gli altri modelli fin qui analizzati.
Tra i diversi studi che sono stati realizzati tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’80, quello di Heller può essere classificato nell’ambito della Teoria della contingenza e si prefigge di mettere in evidenza le connessioni esistenti tra i diversi stili decisionali e tre gruppi di variabili come l’efficienza, l’utilizzo delle abilità e la soddisfazione sul lavoro.
Vedi anche
Cyert; Drucker; March; Simon; Weick
Concetti e parole chiave
Comportamentismo, Garbage can, Incrementalismo, Modello decisionale sinottico, Modello partecipativo, Modello politico burocratico, Razionalità limitata
Indice delle voci pubblicate: Voci da un dizionario; Il dizionario interattivo in cinque mosse; Un background, quattro movimenti, una chiave e una definizione; Serendipity; Decision Making; L’Organizzazione Rete; Le Connessioni di George; Le Quattro Ondate di Miles e Snow; Indice delle voci.