Lezioni Artigiane | Bottega HIA | 2024

Cara Irene, oggi ti racconto “Il lavoro ben fatto come approccio organizzativo“, il corso di 20 ore che apre di fatto l’anno accademico a HIA – Hospitality Innovation Academy, nello splendido Campus – Hotel Mulino di Firenze.
Ti presento subito la Bottega HIA 2024 – 2025, per ora bastano nome e cognome, avrai modo di conoscerle/i meglio nel corso del racconto: Filippo Boldrini, Filippo Campesan, Gabriele De Angelis, Aida Yvonne Meza Ecan, Victoria Laschet, Alessia Montefusco, Massimo Nesti, Cesare Pasqual, Vittoria Pupa, Gabriele Todini, Sara Ugolini, Tommaso Vender, Omar Zago, Mirco Zheng. Al lavoro con me la preziosa Francesca Mannini, Responsabile Segreteria Didattica e, nei modi consentiti a chi deve pensare e fare tante cose insieme, Lorena Orrea, Direzione aziendale e Sviluppo progetti.
Trattalo bene questo racconto amica mia, suggerisce un po’ di cose sia sulle possibilità del lavoro ben fatto e della didattica artigiana e sia sui talenti dei nostri giovani e sulla loro fame di futuro.

CAPITOLO 1 | IDENTITÀ

La prima parola che ho tirato fuori dal mio abbecedario del lavoro ben fatto è identità. È così che abbiamo cominciato, con chi sono e chi siamo, l’importanza dell’approccio, il concetto di organizzazione che apprende e la poesia Siam Molti di Pablo Neruda. Dopo di che è stato il momento dello speech, breve, e delle domande, a cui la bottega ha reagito con intelligenza, interesse, creatività.

Abbiamo iniziato con la musica e i libri. Ecco le risposte della Bottega:
Gazzelle, Le ragazze di san Frediano; Rihanna, Comentarios Reales de los Incas; Vasco Rossi, L’arte di saper ascoltare; Marco Carola, Padre ricco, padre povero; Eagles, La biografia di Alessandro Magno; Myke Towers, Il lavoro ben fatto; Sfera Ebbasta, Non mi piace leggere; Post Malone, 7 pilastri ospitalità; Bruno Mars, the president and the freedom fighters; Sfera Ebbasta, Non è un’assassina; Geolier, La porta; Sade, La psicologia dei soldi; Capo Plaza, Hackiko; Coldplay, Tutto chiede salvezza.

E abbiamo continuato con gli obiettivi e il perché della scelta HIA:
1. Formazione, crescita, cambiamento, maturazione; gestire e far crescere le 3 strutture di famiglia, portando il mio pensiero e la mia voglia di innovazione nell’ospitalità. | Acquisire le competenze che mi permettano di far crescere al meglio l’azienda ed essere una figura di riferimento sul turismo alberghiero della città.
2. Riuscire a rendere fieri il mio papà e mio nonno. | Sono a HIA perché me ne ha parlato mio padre e per la mia passione verso il settore.
3. Scoprire che cosa mi piace. | L’università in senso classico non faceva per me.
4. Formarmi e fare la differenza nella mia vita professionale. | Credo nell’approccio professionale di Hia e nella sua visione di formazione.
5. Mi sono innamorata dell’ospitalità e vorrei avere o dirigere un albergo che rende; vorrei che il mio nome e la faccia siano associati con l’ospitalità. | Sono qui perché mia madre è amica del direttore e lo stima e perché voglio imparare di più sull’ospitalità.
6. Mi piace questo settore e mi piace molto viaggiare. | HIA è un’accademia molto buona; a mia madre ne ha parlato un suo amico che lavora in quest’ambito.
7. Migliorare come persona e cercare di realizzare la mia felicità trovando, in un percorso di passione, la strada più giusta per me. | Trovo che questo di HIA sia un percorso formativo adatto alle mie esigenze, in grado di coniugare la didattica con la pratica fin da subito.
8. Aiutare i miei genitori albergatori e renderli orgogliosi. | I miei genitori hanno saputo di HIA tramite Best Western e ho deciso di studiare qui per la grande qualità degli insegnamenti.
9. Portare avanti il mio percorso di studi e scoprire sempre di più di questo mondo – settore. | Ho conosciuto HIA attraverso i social e una volta terminato l’open day i ha convinto al 100 per cento per l’importanza che danno agli studenti, il tipo di approccio e l’ambiente.
10. Avere consapevolezza delle mie capacità e imparare il più possibile. | Avere una formazione completa dal punto di vista professionale.
11. Continuare a coltivare la passione che ho per questo mondo e più in generale perché ho “fame” di conoscenza. | La passione per questo mondo, le persone del settore che mi hanno spinto a iniziare e infine Firenze, la città del cuore.
12. Crescere professionalmente e diventare hotel manager. | Cercando sul web una scuola che mi formasse in hospitality ho trovato HIA; Mi ha attratto in particolare l’ultimo anno in Svizzera, voglio andare in Svizzera.
13. Amo tutto dell’ospitalità, mi piace la cultura italiana (sono del Perù) sono appassionata del mondo. | Per la dedizione che mettono nel loro lavoro tutti, insegnanti compresi e perché HIA mi mostra ogni giorno che è una famiglia.
14. Voglio imparare a conoscere questo settore e, una volta finito questo percorso, lasciare un timbro, un mio marchio, nel mondo degli eventi. | HIA è l’unica carriera accademica – universitaria che mi può formare nel settore dei miei sogni, gli eventi.

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Dpo di che ognuna/o si è raccontato con 3 parole e 1 immagine.

Questo il risultato:
Ambiziosa, perfezionista, passionale | Tramonto
Testardo, pigro, giocherellone | Roma
Passione, bontà, emozioni | Tramonto da casa
Generoso, solare, amicizia | Sole
Buona, solare, spontanea | Magritte
Disponibile, affidabile, sensibile (emozionabile) | Mignolo del piede
Onesta, appassionata, responsabile |
Bonaccione, romano, buono | Sole
Determinato, passionale, altruista | Alba. Sole che si specchia nel mare al mattino
Felice, amichevole, multiculturale | Farfalla
Nessuno, apertura, sacrificio | Formica
Introspettivo, curioso, sognatore | Tao (simbolo)
Pazienza, tenacia mentalità | Panda
Preciso, diverso, fedele | Samurai

Per finire il gioco del che cosa so e del che cosa so fare:
1. Cosa voglio dal mio futuro. | Trasmettere Emozioni e idee: so comunicare.
2. Parlare diverse lingue. | Ascoltare e aiutare le persone; cucinare.
3. Esprimere emozioni; che persona vorrei essere; che cosa vorrei fare nel mio futuro. | Ascolto attivo; essere organizzata e precisa; sciare; andare a cavallo.
4. Adattarsi; cucinare; lavorare in gruppo; far parlare le persone.
5. Ascoltare; dare consigli; adattarsi; organizzare; aiutare; disponibile; motivare.
6. Adattarmi nei momenti di difficoltà per renderli positivi. | Ascoltare e aiutare.
7. Ascoltare; essere empatica e multiforme. | Organizzare eventi.
8. Organizzare eventi; ispirare fiducia; essere responsabile. | Salire su un palco e portare avanti uno spettacolo dall’inizio alla fine; prendermi cura degli altri.
9. Aiutare gli altri; guidare; gestire situazioni complicate; cooperare con gli altri.
10. So che la mia esperienza, la mia storia, mi consente oggi di essere ciò che sono, cercando di migliorare ogni giorno per progredire e diventare ciò che non so di essere. | So far divertire gli amici, comprendere le persone che mi circondano, che tutto quello che voglio ottenere dipende dal mio impegno nel volerlo ottenere.
11. Parlare con le persone, organizzare, cucinare, fare le torte e i dolci, stare calma in un momento in cui tutti sono in panico, organizzare un evento, pulire una casa.
12. Il 64 per cento di tutto. | Capire.
13. Non si sa nulla finché non si sa qualcosa di tutto; consapevolezza, ascolto, aiuto, flessibilità.
14. Ascoltare. | Organizzare, interessarmi alle cose.

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CAPITOLO 2 | LAVORO

In che senso e perché il lavoro ben fatto cambia la vita? Sono partita da questa domanda per raccontare di metodologia, di approccio, di modi di essere e di fare, di cultura organizzativa. Dopo di che abbiamo visto il video con i cinque passi del lavoro ben fatto e ci abbiamo ragionato e a lavorato su.

Ciascun componente della bottega ha scelto uno dei cinque passi e ha spiegatoil perché. Ecco le risposte raggruppate per passo scelto:

Ho scelto “perché farlo?” perché:
Bisogna sempre partire dalla motivazione che ci spinge a fare una cosa.
Per poter fare una cosa per sempre bisogna capire.
È la motivazione per la quale scegliamo di svolgere quella cosa; qualunque cosa essa sia, in qualunque modo tu voglia farlo, l’importante è sempre il perché lo si fa.
Dare il meglio di sé in qualsiasi contesto è giusto, è meglio e conviene.
Se vai a fare un servizio o la tua professione e la fai male a questo punto lascia il posto a un altro così il lavoro è fatto bene e le persone e il lavoro stesso non soffre e così ti puoi sentire comunque orgoglioso.

Ho scelto “Chi lo può fare?” perché:
Lo possono fare davvero tutti, anche chi pensa di non riuscirci e neanche ci prova; ci si deve mettere e dopo un po’ si vedranno i risultati, dai più piccoli ai più grandi; dedicato ai più pigri e ai più non motivati.
Tanti ragazzi si sottovalutano e pensano di non essere all’altezza e non si rendono conto di quello che possono fare.
Credo sia il valore aggiunto del lavoro ben fatto e in più lo rende applicabile a qualsiasi cosa e contesto.
Se una persona ci crede e si impegna per me può fare tutto.
In questa ricetta per fare tutto bene la materia prima sono le persone che automaticamente porteranno ad un mondo migliore.
Si pone come uno stile di vita basato sul valore del lavoro posto in essere come un mix di identità e proprio destino.
È uno stile di vita che porta a svolgere qualsiasi attività con cura, passione e responsabilità; ognuno nel suo piccolo con più responsabilità, cura e impegno può cambiare l’approccio; in questo senso è un processo di inclusione totale.

Ho scelto “Cosa succede?” perché:
La conseguenza del lavoro ben fatto gratifica gli sforzi e le fatiche fatte per il raggiungimento degli obiettivi. È un processo più lungo per raggiungere il risultato finale ma allo stesso tempo ti arricchisce per sempre, perché una volta raggiunto è nostro per sempre.
Se funziona tutto nel migliore dei modi avremo anche un mondo migliore.

Come hai visto, cara Irene,  nessuna/o ha scelto “che cos’è” e “come si fa”. È un dato, che però a me ha suggerito una considerazione e una domanda.
La considerazione: avendo letto il libro prima di iniziare il corso, la bottega ha dato per scontata la risposta a “che cos’è?”.
La domanda: vale lo stesso per “come si fa?”, hanno davvero tutte/i interiorizzato l’importanza di abituarsi a fare bene le cose, tutte le cose che fanno, da quando si svegliano a quando vanno a dormire?

La domanda successiva è stata introdotta da un mio breve speech sui pensieri e le parole del lavoro. In particolare mi sono soffermato sul concetto di lavoro che ci rende autonomi, in grado cioè di vivere la nostra vita, di avere una nostra casa e una nostra famiglia se desideriamo averla. E poi anche sull’idea che si può vivere senza lavorare ma non senza lavoro, perché tutto ciò che ci circonda è un prodotto del lavoro di noi esseri umani e delle macchine. Dopo di che un incipit e una richiesta. L’incipit è “per me il lavoro è”, la richiesta quella di completare la frase. Il risultato lo puoi leggere dopo l’immagine della slide.

Per me il lavoro è:
1. Un atto di responsabilità, dignità personale e cura in quello che si fa; anche se non si viene controllati.
2. Un bene personale, un bene di tutti partendo dalla propria persona.
3. Divertimento!!! Può sembrare che il lavoro sia paura, complicazione, disagio, ma alla fine diventa una routine, una cosa normale, leggera e soprattutto divertente e bella nel farlo; a quel punto diventa tutto più facile e sensato, diventi preciso in quello che fai.
4. L’elemento che accomuna tutti, che sia in piccolo o in grande tutti fanno qualcosa e permettono di arricchire l’esperienza di vita di ognuno di noi.
5. Importante, essenziale, passione.
6. Soddisfazione, impegno, maturità, apprendimento, crescita.
7. Creatività.
8. Amore, sentirsi soddisfatti e appagati dopo una giornata di lavoro quando poggi la testa sul cuscino.
9. Soddisfazione personale, realizzazione, passione.
10. Orgoglio in te stesso e nella vita.
11. Bellezza, senso, giustizia, possibilità, soprattutto convenienza.
12. Famiglia, passione, obiettività, razionalità.
13. Vita, ciò che realizza la felicità dell’individuo, ciò che lo appaga in una vita in cui senza lavoro perderebbe il proprio senso; amare il proprio lavoro rende possibile il miglioramento sia del singolo che della collettività.
14. La tua essenza, la dimostrazione di ciò che sei veramente dimostrando ciò che sai e che sai fare.

Dopo la definizione di “lavoro” siamo tornati sul libro. L’indicazione è stata di scrivere ognuna/o una cosa che è piaciuta e due che invece no. Queste le risposte:
1. Dice con parole vere cosa vuol dire lavorare con passione. | Come vanno le cose con il papà.
2. La passione nel lavoro e nel raccontarlo. | Penso che quando qualcuno si mette in gioco esprimendo la propria opinione, le imperfezioni del caso passano in secondo piano.
3. Le parole e il significato del messaggio che ha cercato di mandare. | Può sembrare scontato, ma non lo è.
4. Il trasporto che è riuscito a trasmetterci. | Troppe ripetizioni e troppi esempi.
5. Il racconto dedicato al padre. | A volte troppi giri di parole; le persone di cui si parla a volte non si sa chi sono.
6. Leggero da leggere. | Troppi nomi che non si conoscono e fanno perdere il filo del discorso; un po’ ripetitivo nei significati del lavoro ben fatto.
7. Un altro punto di vista sul lavoro; non avevo mai pensato al lavoro come soddisfazione ma soltanto dal punto di vista economico. | Ho avuto difficoltà nel riconoscere i personaggi perché non ero informata; in certe parti non capivo subito il concetto principale.
8. Ho trovato molto interessante e compassionevole la metodologia nel raccontare la storia e condividere l’obiettivo del libro.
9. Il libro ritorna sempre al “noi”, è veramente inclusivo e l’ho potuto fare mio. | Le idee delle volte sono ripetute.
10. Il messaggio e la filosofia che c’è dietro, perché lo trovo un messaggio semplice che nella sua semplicità racchiude un grande significato; un’altra cosa che ho apprezzato è il concetto di blockchain. | Purtroppo la società di oggi mi porta a pensare che non è pronta a comprendere il concetto e il messaggio.
11. Il rapporto tra esperienza pratica e teoria che fonda le basi per poi essere applicata; una teoria stimolante che consente una introspezione costruttiva volta al miglioramento delle nostre vite, applicabile da qualsiasi persona. | I molti nomi presi ad esempio, che nonostante l’importanza delle loro esperienze non rendevano il concetto perché troppo soggettive, allungando il senso del concetto e rendendolo più complicato.
12. La storia fotografica, che ho trovato molto interessante. | L’inserimento di tanti nomi di persone che ha reso la lettura più confusa.
13. Il capitolo sul papà, l’ho trovato toccante e allo stesso tempo ha riassunto perfettamente il libro. | Ripetitivo in alcuni argomenti.
14. La visone che dà e che ognuno di noi dovrebbe avere nella vita, sia professionale che di tutti i giorni. | In certe parti troppo ripetitivo anche se utile al significato che vuole trasmettere il testo.

Nella disccusione che ne è seguita ci siamo soffermati ancora sulle cose che non sono piaciute e le indicazioni che sono venute fuori sono state davvero interessanti e migliorative. In previsione della prossima edizione del libro è stato  un contributo utile e per me è impotante sottolinearlo.

Dopo il libro, il Manifesto e le Carte del lavoro ben fatto. Il Manifesto nella versione in 10 articoli, le carte disegnate da Laura Ressa si riferiscono invece alla versione del Manifesto in 52 articoli.

Dopo aver letto e discusso brevemente i 10 articoli, ho chiesto di scrivere su un post l’articolo ad avviso di ciascuna/o più importante e poi di registrare un audio spiegando perché.

Questi gli articoli scelti, tra parentesi il numero di volte che sono stati scelti:
8 (3), 3 (3), 4, 1, 7 (3), 2 (2), 5

La pagina con tutti gli audio la trovi invece qui amica mia.

Per quanto riguarda invece le carte ho chiesto a ogni componente della bottega di estrarne una a caso dalle 52 che compongono il mazzo e di commentarla. Dopo di che da un altro mazzo ho fatto scegliere un’altra carta e ho chiesto di tenerla per sé un po’ per ricordo e un po’ come omaggio al buon lavoro che stavano facendo.

CAPITOLO 3 | RACCONTO

Alla voce “racconto” abbiamo iniziato con quattro citazioni e la richiesta, alle/ai componenti della bottega, di adottarne una e di raccontare il perché.

Queste le risposte relative alla scelta delle citazioni: Sennett (2), Czarniawska (3), Weick (2), Rovelli (7). La discussione sui perché ci ha permesso di scavare un poco più a fondo e di verificare che nella zona di confine tra un pensiero e l’altro si possono fare parecchie scoperte interessanti.

Dopo i pensieri abbiamo ragionato di epica ed eroi, sia classici che contemporanei.

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Anche in questo caso un mio breve speech è servito a condividere il senso e il perché, al tempo del lavoro ben fatto, abbiamo di una nuova epica e di nuovi eroi come Paul Jobs, Pasquale Moretti e Lorenzo Perrone.
Dopo di che la palla è ripassata alla bottega, che ha scritto l’eroe classico e l’eroe contemporaneo a cui è più affezionato.

Questi gli eroi classici: Achille (3), Ulisse e Penelope, Ulisse (2), Penelope, Don Chisciotte de la Mancia (4), Mosè, Athena, Noi.
E questi quelli contemporanei: Bep Guardiola, Nonno (4), Papà (3), Zio, Mamma (3), Genitori (2), Le mie 2 mamme, Le persone normali, Domenico Quirico. (Qui il totale è più di 14 perché alcune/i hanno indicato più di una persona.)

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A concludere la parte dedicata al racconto il lavoro di brainstorming, sceneggiattura, registrazione ed editing per realizzare la serie podcast “Bottega HIA all’opera”.

Dopo che abbiamo definito tutti assieme il soggetto della serie e suddiviso la bottega in tre gruppi, ciascuno con un episodio da realizzare, i gruppi si sono messi al lavoro.

Il primo gruppo, formato da Gabriele De Angelis, Victoria Lasher, Alessia Montefusco, Vittoria Pupa e Gabriele Todini, ha realizzato l’episodio Il viaggio.

Il secondo, formato da Yvonne Meza, Massimo Nesti, Sara Ugolini, Tommaso Vender e Mirco Zheng, ha realizzato l’episodio Imparare a vivere.

Il terzo, formato da Filippo Boldrini, Filippo Campesan, Cesare Pasqual e Omar Zago, ha realizzato l’episodio Quattro personaggi in cerca di futuro.

Alla fine ciascun gruppo ha scelto una/o speaker con il compito di raccontare, con uno speech di 5 minuti, il lavoro realizzato. Uno speech da fare come se io, Lorena Orrea e Francesca Mannini avessimo deciso di investire 1 milione di euro da destinare al lavoro migliore e più convincento, non so se mi sono spiegato.

CAPITOLO 4 | LEADERSHIP.

Il lavoro intorno alla leadership comincia con il trailer di Invictus, il film diretto da Clint Eastwood con Morgan Freeman e Matt Damon che racconta un pezzo di vita di Nelson Mandela.

Da Mandela al mio breve speech su cosa vuol dire esssere leader e sul perché tutte/i possiamo aspirare ad esserlo, il passo è breve. Dopo di che la mano passa alla bottega che ha il compito di definire con tre parole le principali caratteristiche del leader.

Ecco il risultato:
Preciso, impassibile, coerente. Punto di riferimento, motivatore, ascoltatore. Ascolto, gruppo, punto di riferimento. Organizzatore, Intuitivo, empatico. Traghettatore, organizzatore, positivo. Sicurezza, intelligenza, forte. Responsabile, punto di riferimento, umiltà. Capitano, professionista, relazioni. Sa ascoltare, organizzato e giusto, preciso. Disponibile, onesto, empatico. Giusto, non dittatoriale, deciso. Sicuro, affidabile, inarrestabile. Guida, esempio, coordinatore. Flessibile, supporto, amichevole.

Dopo le caratteristiche le domande, nello specifico quelle che si deve fare un buon leader. Ci aiutiamo con 5 domande raccontate da Giancarlo Carniani, a ogni componente della bottego il compitodi aggiungere la sesta.

Il risultato questa volta è il seguente:
Riesco a dare le giuste attenzioni a tutti? Perché farlo (fare le cose) nel modo giusto? Che direzione prenderà l’ospitalità nel futuro? Le persone mi considerano un leader? Come posso far rendere al meglio i miei collaboratori? Sei felice in questa azienda? Secondo gli altri sono un leader e un punto di riferimento presente nel lavoro? Riesco a comprendere e soddisfare al meglio gli obiettivi dei miei collaboratori? Che cosa faccio per premiare i miei dipendenti? Sto facendo le cose giuste? Sono un punto di riferimento per i miei dipendenti? Qual è la cosa più difficile dell’essere un leader? Sono un buon esempio? Posso accettare critiche dal mio staff?

Un altro mio breve speech fa da preludio alla richiesta di dare un proprio ordine di priorità all’elenco con 10 caratteristiche del leader proposto nella slide:

Il risultato del lavoro della bottega te l’ho riassunto così:
1, 8, 9, 2, 5, 10, 4, 6, 7, 3 | 1, 8, 5, 2, 6, 4, 7, 10, 3, 9
1, 5, 10, 4, 9, 8, 7, 3, 2, 6 | 5, 1, 3, 6, 4, 8, 7, 10, 3, 2
5, 1, 4, 2, 8, 7, 10, 6, 3, 9 | 2, 9, 4, 8, 1, 10, 6, 3, 7, 5
1, 8, 5, 6, 4, 9, 2, 10, 7, 3 | 9, 10, 6, 5, 8, 1, 2, 4, 3, 7
1, 4, 10, 8, 7, 5, 3, 2, 9, 6 | 10, 9, 1, 2, 8, 7, 5, 6, 4, 3
5, 1, 6, 8, 9, 2, 3, 7, 4, 10 | 5, 10, 1, 9, 7, 4, 8, 6, 2, 3
8, 2, 1, 4, 6, 10, 9, 5, 3, 7 | 1, 8, 6, 4, 9, 2, 7, 5, 3, 10

CAPITOLO 5 | DECISION MAKING

È dal 2003, l’anno del mio primo corso di Sociologia dell’Organizzazione all’Università di Salerno che il mio modulo sul processo decisionale inizia con un pezzetto di “La parola ai giurati”, lo splendido film con Henry Fonda diretto da Sidney Lumet. È così anche più di 20 dopo a HIA.

Il breve speech che segue mi permette di contestualizzare il film e di collegarlo alla ricerca di 10 anni dopo di Garfinkel sulle carceri americane oltre che per leggere e commentare, insieme alla bottega, tre fantastici pensieri di Quenteen Tarantino, Sun Tzu e James March.

Dopo il breve speech la discussione sul film e sui pensieri citati, dopo di che la palla torna a me per raccontare i tre principali modelli con cui ogni giorno prendiamo, anche quando non lo sappiamo, le nostre decisioni. Mi faccio aiutare da tanti e semplici esempi, è importante che la bottega mi segua, condivida con me gli aspetti principali della questione.

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Conclusa la mia illustrazione dei tre modelli, chiedo alla bottega di fare degli esempi.
Questi sono quelli relativi alla logica della conseguenza:

1. Tra venire a HIA in auto o in autobus, ho scelto l’auto perché è più veloce e comodo.
2. Tra auto e moto ho deciso di comprare la seconda perché mi piace di più ed è più comodo in città.
3. Ho deciso di smettere di giocare a calcio per iniziare un nuovo percorso.
4. Ho deciso di lavorare invece di andare in vacanza come i miei amici perché la vacanza volevo pagarmela da solo.
5. Gioco a tennis da un po’ di tempo, divento bravo e inzio a fare tornei per migliorare la mia competitività.
6. Aiutare ed essere sempre presente per i miei nonni.
7. Tra Unimore e HIA ho scelto HIA perché mi parlava di più di cosa volevo fare nella mia carriera.
8. Non sono andato in vacanza per lavorare in hotel e imparare.
9. Ho preferito non iniziare l’università perché non ero sicuro di quello che volessi fare.
10. Ho deciso di dare più importanza alla mia passione che alla vita sociale.
11. Tra HIA e altre possibilità ho scelto HIA perché era la più formativa e adatta a me.
12. Tra frequentare HIA e una accademia in Trentino ho scelto HIA.
13. Ho deciso in base a ciò che pensavo io piuttosto che seguire il programma stabilito dal mio tutor, per fortuna è andata bene.

Questi invece quelli relativi alla logica dell’appropriatezza:

1. Tra indossare scarpe da running o da calcio ho scelto le seconde perché sono un calciatore.
2. Da piccolo, anche se non mi piaceva, sono stato costretto ad andare a messa.
3. Quando giocavo, il sabato stavo a casa invece di uscire con gli amici.
4. Ho deciso di andare a letto presto perché la mattina dopo dovevo giocare un torneo.
5. Se devo viaggiare in auto per 10 ore scelgo il sedile davanti perché altrimenti mi viene mal di stomaco.
6. Iniziare ad allenarsi.
7. Mi sono svegliato alle 6:00 per iniziare il turno alla reception.
8. Tra Italia e Spagna ho scelto Italia perché non voglio stare lontana dalla mia famiglia.
9. Se vedo una cosa sbagliata non posso fare a meno di reagire.
10. Non ho potuto credere in me stessa visto come mi hanno trattato gli altri.
11. Tra uscire e no ho deciso di non farlo per esigenze lavorative.
12. Tra Ungheria e Inghilterra ho scelto la prima perché non ho il passaporto.
13. Per 6 mesi non sono uscita il sabato perché ero a lavoro.

Per quanto riguarda invece il modello decisionale a cestino dei rifiuti, il “garbage can”, ho chiesto alla bottega se aveva una decisione ambigua, difficile da prendere, da raccontare. Questo è il modello più complesso, non a caso i suoi ideatori, March e Olsen, lo hanno paraganato a un campo inclinato con tante parte e tanti palloni che lo attraversano contemporaneamente e che bisogna colpire senza sapere in quale porta. Così ho raccontato io la differenza tra l’incertezza che caratterizza i primi due modelli e l’ambiguità caratterista di questo e ho aggiunto qualche altro esempio pescando dalle mie mie esperienze, da conflitti etici e da paradossi decisionali.
La bottega avrebbe avuto bisogno di più tempo. Il tempo che ci è mancato anche per vedere un pezzetto di “La scelta di Sophie, il film con il quale la protagonista, Meryl Streep, ha vinto l’Oscar. Il tempo che ci avrebbe permesso di ritornare con più efficacia anche sui due modelli precedenti, ma magari il prossimo anno ce la faremo.

CAPITOLO 6 | MANUFATTI NARRATIVI

I manufatti narrativi sono stati l’occasione per tornare all’importanza del racconto e per fare da ponte tra il racconto e l’attribuzione di senso e significato tipica dei processi di sensemaking.
Questa volta abbiamo iniziato dalla visione del piccolo documentario girato da Giuseppe Rivello in Jepis Bottega durante il workshop per la realizzazione della vandera manifesto di Caffè Carbonelli.

A seguire un mio breve speech nel quale racconto il concetto di manufatto narrativo e mi soffermo sulla vandera (grembiule di lavoro) e sui 5 campi organizzativi che la compongono: identità, talenti, valori, storia e visione. Con il passo successivo definiamo il nuovo percorso: formazione di 3 gruppi, con componenti diversi dai precedenti; scelta dei 3 temi; definizione della disposizione, dei colori e delle parole chiave (da 3 a 9) di ciascun campo organizzativo; realizzazione della vandera manifesto.

I tre manufatti narrativi li puoi guardare qui amica mia:

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Terminato il lavoro, ogni gruppo ha individuato ancora una volta un o una portavoce a cui è stato affidato il compito di raccontare la vandera. Infine a ciascun gruppo è stato chiesto di scrivere una sintesi del lavoro svolto.

Il gruppo 1, formato da Alessia Montefusco, Filippo Boldrini, Yvonne Meza, Cesare Pasqual e Sara Ugolini, ha realizzato la vandera manifesto di HIA. Questa la sintesi del loro lavoro:

Il nostro gruppo ha scelto HIA come tema centrale.
Siamo partiti con l’identità collocata al centro, dato che è il cuore pulsante di ogni argomento al quale poi si collegheranno la storia, i valori, la visione e i talenti. Il colore scelto per rappresentare il cuore pulsante è il rosso, dato che raffigura l’amore, la passione, qualcosa di forte che ha bisogno di esplodere: l’epicentro di un terremoto è raffigurato in rosso, il fuoco è di colore rosso.
Continuiamo con la storia, rappresentata in blu, dato i colori di HIA. Oltre a definire con esattezza l’evoluzione dell’accademia abbiamo deciso di inserire anche dei contenuti che per noi fanno parte della sua storia.
Continuiamo con la visione, in verde, come la speranza di un futuro, di essere seguiti anche una volta finiti gli studi. Speranza per l’evoluzione continua che l’accademia farà.
I valori, in oro, perché sono speciali, sono le fondamentali di un lavoro.
Ed infine i talenti, in fucsia, un colore che spicca e da vivacità. I talenti degli studenti che ogni anno arrivano da ogni parte del mondo per esaltarli. I talenti che vengono messi in mostra dai professionisti e dai docenti che ci accompagnano in questo magnifico viaggio. Questa per noi è HIA.

Le sintesi del gruppo 2, formato da Omar Zago,  Gabriele De Angelis, Victoria Pupa, Tommaso Vender e Mirco Zheng, tema “La figura del leader”, e del gruppo 3, formato da Filippo Campesan, Victoria Laschet, Massimo Nesti e Gabriele Todini, tema “Four Season, sono in arrivo.

CAPITOLO 7 | SENSEMAKING

Qui si comincia dai centimetri di Al Pacino in “Ogni maledetta domenica”. Poco più di tre minuti che sarebbero stati benissimo nel capitolo dedicato alla leadership e stanno benissimo qui. Alla voce “enactment”, istituzione di ambienti sensati, la terza delle 7 caratteristiche del sensemaking, sono un must. Del resto è così che funziona nel mondo della conoscenza, tutto è collegato, interconnesso. Vorrei dire che è l’approccio olistico, è tutto qui, ma rispettosamente evito.

Guardato e commentato il video, un mio breve speech serve a introdurre le 7 caratteristiche del sensemaking così come le ha pensate Karl Weick. Ne approfitto per riassumere perché dare ordine logico, senso, a un flusso di esperienza e organizzare sono esattamente la stessa cosa e perché la realtà non ha un senso in sé, ma ha sempre e soltanto il senso che a essa attribuiscono le persone.
Il riassunto ci rimanda alle cose dette quando abbiamo parlato dell’importanza del racconto e dell’idea di Rovelli che “siamo ciò che raccontiamo”.

Il passo successivo ci porta al puzzle, che Francesca con un poco di aiuto mio aveva tagliuzzato per bene, e alle 7 variabili che vanno associate alle 7 parti del puzzle. Dopo di che la bottega ha abbinato pezzi e variabili, ha ricostruito le figure e le raccontate.

Le parti del puzzle come sono tate proposti le potete vedere qua:

I risultati degli abbinamenti sono invece raccolti qua:

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Prima di scrivere la parola fine al capitolo sul sensemaking abbiamo mostrato alla bottega 10 variabili che definiscono il valore del lavoro, le potete vedere qui:

Dopo di che a ogni componente abbiamo posto una domanda: Cosa vale di più nel lavoro? E abbiamo chiesto di definire il proprio ordine di priorità. Il risultato lo potete leggere qui:

6, 1, 7, 8, 10, 5, 4, 9, 2, 3 | 1, 10, 6, 8, 4, 7, 5, 9, 2, 3
7, 9, 1, 5, 6, 10, 8, 4, 2, 3 | 4, 6, 2, 3, 9, 7, 10, 1, 8, 5
1, 6, 4, 2, 5, 7, 9, 10, 8, 3 | 1, 9, 2, 4, 6, 7, 5, 8, 10, 3
7, 8, 6, 3, 2, 5, 10, 1, 4, 9 | 10, 8, 4, 3, 5, 2, 9, 7, 1, 6
6, 2, 1, 4, 10, 9, 8, 7, 5, 3 | 1, 7, 5, 8, 10, 4, 6, 9, 2, 3
7, 1, 6, 5, 4, 9, 8, 10, 2, 3 | 6, 8, 7, 9, 1, 4, 3, 10, 5, 2
10, 4, 7, 6, 8, 1, 5, 9, 2, 3 | 7, 1, 6, 5, 9, 4, 2, 3, 8, 10

CAPITOLO 8 | PAROLE FORGIATE

Prima della prova d’arte conclusiva ci siamo rituffati nelle parole, nel caso specifico quelle che Giuseppe Rivello e io avevamo forgiato per il nostro libro. Lo abbiamo fatto con l’aiuto di quattro brevi podcast che abbiamo ascoltato e poi discusso tutte/i insieme. Tu chiamalo se vuoi brainstorming, amica mia.

CAPITOLO 9 | LA PROVA D’ARTE

Come prova finale alla bottega di fare una sintesi critica del lavoro che è stato fatto. Quello che si è condiviso, quello che si è imparato, quello che si è insegnato, quello che ci resta. Il tutto in 12 tweet di 260 caratteri, spazi inclusi. Ciascun tweet con un proprio titolo.

Il risultato finale lo potete legegre qui. Se vi dico che è una lettura da non perdere penso che mi potete credere.

Capitolo 10 | PICTURES AT AN EXHIBITION

Un po’ di altre foto da Bottega HIA

CAPITOLO 11 | PICCOLE RIFLESSIONI NELLA BOTTIGLIA

Cara Irene, prima di salutarti vorrei condividere con te qualche piccola riflessione. Lo faccio un poco come un invito a partecipare alla discussione e un poco come segnaposto per possibili successive esplorazioni. Dico poche cose, ma le dico con nettezza, senza mezze parole, così chi legge e si riconosce ha più chiaro il “cosa”, il “come” e il “perché” e chi invece no lo stesso, alla fine avrà più argomenti per motivare i suoi pensieri diverso dai miei.
1. Il lavoro ben fatto fa bene a chi lavora e a chi studia. La didattica artigiana è un approccio didattico che produce risultati importanti.
2. Il lavoro di Bottega HIA lo dimostra con più forza e compiutezza di quanto sia mai stato fatto prima: tenere insieme al massimo livello pensare e fare, teoria e pratica, approccio e risultati, funziona. Lo dimostra il lavoro delle ragazze e dei ragazzi di Bottega HIA molto più del mio, il fatto che ci abbia lavorato per quasi tre giorni per raccontarlo in maniera così dettagliata dimostra fino a che punto io ne sia convinto.
3. Tra i tanti e importanti caratteri innovativi che contraddistinguono HIA – Hospitality Innovation Academy, quello di offrire ai propri studenti, unica in Italia, un corso di “Lavoro ben fatto”, è un seme piccolo che però ha un embrione, un albume e un tegumento molto ricco e buono.
4. La meglio gioventù c’è, esiste, è tanta, bisogna solo sostenerla, ascoltarla e raccontarla di più. SE poi si riesce anche a non soffocarla con l’inutile, a tratti ridicola, retorica, di “ai tempi miei si che …”, è ancora meglio.
5. Il numero di ore necessario per cogliere al massimo le possibilità che offre il corso di lavoro ben fatto sono 36, il fatto che siamo riuscito a farlo con ottimi risultati in 20 ore, o poco più, testimonia dell’impegno e della bravura di Bottega HIA, formata da ragazze e ragazzi sempre molto presenti a se stessi e assamotivati. Detto questo aggiungo che dato che sono ottimista dalla nascita, e e moderato con gli anni, se il prossimo anno le ore fossero 24 lo considererei già un bel passo avanti.
6. Direi che è tutto. Per ora.

CAPITOLO 12 | LA LETTERA DI FRANCESCA

Cara Irene, Francesca Mannini, mia preziosa complice durante il corso a HIA, mi ha inviato una lettera che non ho trovato solo bella ma anche ricca di significato e in vari modi rappresentativa del modo in cui abbiamo lavorato. Per farla breve ho chiesto a Francesca se potevo pubblicarla, le mi ha detto di sì e perciò eccola, la puoi leggere qui.

CAPITOLO 13 | RITORNIAMOCI SU

Maura Ciociano
Avvocato, Dottoranda di Ricerca Dipartimento di Scienze Politiche Università Federico II
Ho apprezzato molto la totale condivisione dei contenuti, della metodologia usata e dell’approccio didattico delle tue/vostre giornate di lavoro fiorentine sul “Lavoro ben Fatto”.
Il lavoro artigiano, ma anche quello agricolo con cui condivide molte caratteristiche e che in molte realtà è vissuto insieme (vedi il caso dell’ospitalità rurale), a cui si ispira questo pensiero-azione contiene, nel suo approccio olistico, dei valori e dei beni tra i più importanti per l’uomo: atteggiamento nei confronti del lavoro, senso del tempo e della realtà che ci circonda, creatività e asterità, sguardo al nuovo e piedi fortemente radicati nelle radici delle proprie identità.
In questo approccio culturale e valoriale è contenuto il germe di una reale innovazione sostenibile, priva di qualsiasi inutile etichetta.

Irene Costantini
Maestra elementare, Gianni Rodari Follonica, autrice del volume “A scuola con il lavoro ben fatto”
Dalla narrazione di queste giornate formative si percepisce un clima sereno, motivato, di autentica condivisione, risultato di una attività di vera bottega artigiana, proprio come quella che a piccoli passi cerchiamo di creare a scuola con i più piccoli. I podcast sono emozionanti e ricchi di suggestioni, a significare una bella intesa formativa che si è venuta a creare nel gruppo. Immagino che rimarrà per tutti una esperienza importante e determinante per il futuro, quel futuro che siamo chiamati a disegnare, soprattutto per queste giovani ragazze e ragazzi che ci hanno regalato con gioia i loro punti di vista. Tanti spunti per rinnovare la nostra bottega artigiana. Grazie e buon lavoro ad ognuno di loro!

Maria D’Ambrosio
Professore Ordinario di Pedagogia Generale e Sociale Università Suor Orsola Benincasa
Dentro tutte le piccole e grandi cose emerse e condivise, ci vedo un gran bel lavoro, nel segno del #lavorobenfatto per destrutturare il management e contribuire ad un’alta formazione nel campo dell’ospitalità attraverso una prospettiva che forma alla consapevolezza di sé, alla responsabilità e fa spazio alla necessità di sviluppare sensibilità: tutte doti di matrice artigiana che contribuiscono a costruire una differente cultura del lavoro! complimenti al bel gruppo-aula e l’augurio di essere quella comunità in formazione che saprà fare del proprio ambiente di lavoro uno spazio di passione e continua rigenerazione!

Vincenzo Di Donato
Direzione Risorse Umane e Organizzazione EAV | Responsabile People Strategy e Fattore Umano
Di questi tempi è necessario un nuovo approccio nel campo della formazione aziendale, serve una modalità intensamente partecipata, più impattante, più coinvolgente, più centrata sulle emozioni per rendere ancora più efficace il momento formativo.
È esattamente questo che emerge dalla descrizione di questo racconto, dove viene sapientemente strutturato un ambiente generativo fatto di continui stimoli, citazioni, testi, canzoni, dove le persone possono raccontare e raccontarsi, possono discutere liberamente del proprio vissuto e condividere le proprie esperienze, la propria visione del lavoro e dell’essere lavoratore, il senso e il significato che ha per ciascuno il concetto di lavoro ben fatto.
È un approccio che non solo aumenta l’impegno e l’interazione dei partecipanti, ma permette di scoprire nuove prospettive, stimola ad interrogarsi, a raccontare non cosa fai, ma perché lo fai, e questo è un invito potente che apre ad una consapevolezza profonda che incoraggia la co-creazione di idee e strategie contribuendo a riconoscere il valore di ciascuno nel contesto in cui opera, a rafforzare il proprio impegno e infine a far crescere il capitale umano e sociale dell’organizzazione.
Questo è l’approccio che serve nelle organizzazioni, un approccio che superi definitivamente metodologie formative ancora troppo frontali e tradizionali.