Antonio, Dutty Beagle e una vita raccontata una mollica alla volta

Caro Diario, Antonio l’ho conosciuto a inizio Luglio a Roccagloriosa nel corso della Nona Edizione della Settimana Letteraria organizzata dalla Associazione Culturale Onlus Effetto Donna. È stata una bellissima serata, organizzata con cura e maestria, con Giuseppe siamo stati invitati a presentare AlphaBeta e con noi c’era per l’appunto Antonio e care amiche vecchie, come Maura Ciociano e Marianna Vallone, e nuove, come Cristina Finamore e Carmela Puglia.
Lo sai come vanno queste cose, le canzoni di Antonio mi sono piaciute, mi è piaciuto lui, un paio di settimane dopo ci siamo rivisti per genio e per caso in Jepis Bottega e a un certo punto gli ho chiesto se mi voleva raccontare la sua storia, dopo di che gli ho inviato le mie tre domande, lui mi ha risposto, e il risultato è questo che puoi leggere e ascoltare qui di seguito.

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Caro Vincenzo, innanzitutto grazie per avermi dato modo di tirare fuori, una mollica alla volta, quello che sono.
Mi chiamo Antonio Cusati, in arte Dutty Beagle. Sono nato da Marina e da Carlo in un freddo pomeriggio di febbraio. Appena fuoriuscito prematuramente dal grembo di mia madre, fui trasportato d’urgenza dall’ ospedale di Vallo della Lucania a quello di Napoli. “Suo figlio le darà del filo da torcere” dissero i medici a mammà. Mio caro Vincenzo, i pediatri avevano proprio ragione: io fermo proprio “nun me’ fir’e stà”.
Prova ad immaginare per un attimo l’Homo Erectus quando nel paleolitico “scoprì” il fuoco.
Ecco, da 30 anni a questa parte, ogni volta che approccio una nuova passione credo che la gioia e l’euforia siano molto simili a quelle del mio antenato.
Ho tre sorelle, la prima è fatta di carne ed ossa e si chiama Francesca, un vero angelo, la mia salvezza. Le altre due sono Curiosità e Impulsività, mi accompagnano da sempre, catapultandomi in eventi e vicissitudini che la vita mi riserva.
Non devo essere certo io a dirtelo, nella vita non sempre va tutto a gonfie vele, e poi ci sono io che ci metto il mio. Che ti devo dire, ogni tanto è come se facessi una gran fatica a prendere bene le misure durante un tuffo e così finisce che mi ritrovo con la faccia spiaccicata sulla sabbia. Diciamo che alterno esaltazione e delusioni, che poi anche quelle servono, a volte penso che per me siano l’unico modo per apprendere qualcosa. Credimi, è incredibile come da re del mondo riesco a sentirmi il giorno dopo, solo sopra uno scoglio.

Vivo in Cilento, a Marina di Camerota. Nelle mie canzoni racconto spesso del mio popolo e della sua storia. Le radici e la terra sono il mio punto di forza, l’unico bagaglio che mi porto dietro ogni volta che vado via.
La musica mi ha aiutato in momenti davvero complicati. Credo che ogni persona debba suonare e risuonare o approcciare all’arte in qualche modo. È nella natura di noi umani esprimerci in questo modo.
Solo cantando riesco letteralmente a “vomitarmi”, non so se mpi spiego, cosa che non riuscirei mai a fare nella vita di tutti i giorni. Sono consapevole del passo che compio ogni volta che salgo su un palco. Mi lascio andare mettendo da parte “lo scuorno” ed è lì che la gente percepisce ciò che sono, riuscendo a cogliere la mia essenza, le emozioni, la verità che cerco di raccontare e di cantare.

Oggi giorno, a causa di una vita sempre più frenetica e fondata secondo me su delle logiche sbagliate (profitto e individualismo), le persone non riescono più ad ascoltarsi e a prendersi cura né di se stesse né degli altri. Figuriamoci della natura.
Il luogo che più mi ispira pace è il mare. Mi piace stare davanti al mare. La sua potenza, la sua immensità mi aiutano a farmi sentire meglio. Quanti problemi inutili ci facciamo durante l’arco della giornata? Il mare lava via tutto, pulisce i miei pensieri e contribuisce a mettere in ordine la mia testa. La vita va presa per quello che è.

Caro Vincenzo, anche per me esistono, come dici tu, le cose fatte bene e quelle non fatte e basta, e in quest’ultima categoria rientrano anche quelle che ci “sfastiriamm e fa”, ci scocciamo di fare però le dobbiamo fare.
Amo la manualità: la muratura, la falegnameria, o meglio ancora, trasferire la creatività dalla testa alle mani. Una mia grandissima passione è quella per l’orto. Lavorare la terra mi aiuta a vivere il presente, soffermarmi su una foglia in caduta, su di un’ape che si posa su un fiore.
Il momento per me più significativo è quello della raccolta. Seleziono ogni anno i frutti migliori per trarne sementi forti e resilienti da tramandare nel tempo a chi verrà dopo di noi.
Coltivare è un atto rivoluzionario, contribuisce al sostentamento e all’indipendenza dell’individuo ma soprattutto permette di capire che un frutto o un ortaggio non nasce dal frigorifero di un supermercato.
C’è bisogno di lavoro, di costanza e di osservazione. Entrando in sinergia con la terra si impara ad amarla come fosse una madre.
Con il tempo ho imparato a togliere, a levare, (anche i sassolini dalle scarpe), e a fare a meno, nella vita di tutti i giorni, di cose che prima ritenevo importanti. Non credo di essere una persona matura come i miei coetanei. Posso dirti però che nell’ultimo anno sono molto più attento, meno frenetico, più lento e focalizzato sul presente. Cerco in tutti i modi di vivere la magia del momento, provo ad ascoltare il vento che cambia, a non distrarmi quando un panettiere sta facendo il pane.
Ecco, questo sono io, o comunque una parte di me, perciò adesso ti mando un abbraccio forte e ti saluto con un po’ delle mie canzoni e una frase di una mia canzone che mi rappresenta molto: ‘A vita è nu stizz, fa’ ambress pe’ beve.