Questa di Maria Grazia è la storia vera

Caro Diario, questa storia nasce con Francesco, 3 anni e mezzo, che scorazza per l’Urmu ora con il nonno e ora con la mamma e il papà, che i  bambini così sembrano fatti apposta per fare amicizia, senza contare che qui a #Cip abitiamo sulla stessa strada, e quindi abbiamo una lunga tradizione di saluti, e poi il portone bello di legno che ogni volta che ci passi non puoi fare a meno di notarlo.
Ti dico la verità, di Maria Grazia Ferro, la mamma di Francesco, della sua storia e dei suoi problemi di salute avevo già sentito parlare, la comunità è piccola ed è quasi inevitabile che tutti sappiano tanto, a volte troppo, di tutti, e la cosa come puoi immaginare aveva soltanto fatto aumentare la mia ammirazione per il sorriso e la forza di questa piccola grande donna. Il fatto è accaduto un po’ di sere fa, Cinzia e io stavamo tornando verso casa e Francesco, ancora lui, scorrazzava su e giù per via Indipendenza incurante dell’ora improbabile. I saluti, un po’ di chiacchiere, Pantaleo, il papà, che si preoccupava giustamente del ritorno a Pavia e della necessità di riabituare il bimbo ai suoi orari normali, quando a un certo punto Maria Grazia mi ha detto che avrebbe avuto piacere di raccontarmi la sua storia. “Naturalmente se fa piacere anche a lei”, ha aggiunto.  “Spero che il mio racconto possa essere di aiuto ad altre persone, in particolare alle donne come me”.
Come è finita lo puoi immaginare amico Diario, ci siamo dati appuntamento e lunedì scorso Cinzia e io siamo andati a trovarla. A casa c’erano tutti, Francesco, Pantaleo, Giuseppe e Rosaria, i genitori di Maria Grazia, e ci hanno accolto con quella semplice cordialità che scalda il cuore. Questa che puoi leggere di seguito è la storia della mia nuova amica raccontata da sé medesima. Buona lettura.


“Vincenzo, come sai mi chiamo Maria Grazia Ferro, sono nata a Pavia, ho 41 anni e mi sono diplomata al liceo socio-psico-pedagogico, quello che un tempo era l’istituto magistrale.
Mi piace moltissimo stare insieme alle persone, ho bisogno di parlare, di stare con gli altri, di giocare, in particolare con mio figlio. Adoro stare insieme a lui anche nelle piccole cose. E poi mi piace passeggiare con il mio compagno, ascoltare musica, raccontare storie al bimbo, in particolare la favola di Pinocchio. Sono una persona che si fida degli altri, a volte troppo, e mi piace tantitissimo il mio lavoro, adoro farlo bene, ma di questo ti racconto tra poco.
Non mi piacciano la cattiveria, la negatività, la falsità delle persone, ho vissuto malissimo il covid, che è stato ed è la negazione di tutto ciò che amo. Ah, non mi piacciano i thriller, se li guardo poi la notte non dormo, mi fanno paura.”

“Mio padre, Giuseppe, da Caselle è emigrato prima in Germania e poi, dal 1971, a Pavia, dove è stato operaio in una fabbrica di televisori. Anche mia madre Rosaria è stata operaia, in una fabbrica di tappi in alluminio per olio e vino.”

“Per quanto riguarda me, anche mentre studiavo non me ne sono stata con le mani in mano, ho fatto la baby sitter, la commessa in un negozio che vendeva scarpe su misura e anche lezioni private.
Dopo la maturità ho lavorato nelle scuole come educatrice, in particolare ho seguito dalla scuola materna fino ai 7 anni un bambino con i genitori separati e una storia molto difficile alle spalle. Stavamo insieme tante ore al giorno, mattina e pomeriggio, perché il papà, che lo aveva avuto in affidamento date le condizioni della madre, si fidava di me e spesso lo tenevo anche a casa, gli facevo un po’ da tata. Questo bambino mi ha dato tantissimo, il rapporto con lui è stato molto importante per me.
Il lavoro come educatrice è andato avanti per diversi anni. Lavorando per parecchio tempo con bambini che avevano problematiche di vario tipo, compreso l’autismo, ho capito che la mia dimensione era lavorare nel sociale, non so come dire, aiutare questi bambini dava senso non solo al mio lavoro ma anche alla mia vita. Detto ciò, che per me era ed è molto importante, rimaneva il fatto che non avevo una cattedra, vivevo una condizione di precarietà che non mi soddisfaceva, e così ho ripreso a studiare fino a diventare operatrice sanitaria, O. S. S. come si dice adesso.
Dal 2008 lavoro in ospedale, l’Humanitas di Rozzano, a Milano. Il lavoro mi gratifica molto, mi impegno al massimo, aiutare gli altri a stare bene, siano essi bambini, adulti o anziani, mi fa stare bene, mi dà soddisfazione, come ti ho detto mi gratifica. È stato sempre così, ma da quando ho scoperto la mia malattia lo è diventato ancora di più, perché essere paziente e avere bisogno della gentilezza e della professionalità degli altri ti spinge ancora di più a essere a tua volta sempre gentile e professionale. Penso che oggi abbiamo bisogno più che mai di questa empatia, di questa attenzione verso gli altri, credo che con il Covid si sia persa un bel po’ di umanità, in ogni caso le persone mi sembrano meno  disponibili,  lo stress è aumentato, credo che la condizione stessa nella quale stiamo vivendo ci spinga in questa direzione.”

“Il giorno del mio matrimonio è stato bellissimo per me, l’avevo immaginato e l’ho vissuto come il giorno più bello della mia vita e invece è stato l’inizio di un incubo.
Lui mi maltrattava psicologicamente, aveva dei rituali, non potevo toccare nessuna cosa, non ero padrona di niente in casa mia. Sì Vincenzo, sono stati 4 anni terribili, 2 li ho vissuti in cura da uno psicologo, ero distrutta, per fortuna che è arrivato Gas Gas, che ha 7 anni ed è un gatto non un topo come nella favola di Cenerentola. Mi è stato di grande aiuto, è venuto nel momento più buio, non stavo bene, anche adesso gli voglio e gli vogliamo tutti un gran bene ma in quel periodo è stato la mia vita, la mia salvezza, il mio bambino. Ero messa così male che anche dopo la separazione ho pensato che la mia vita fosse finita, ero tornata dai miei genitori e mi ritrovavo sola e con la malattia, di cui ti parlo tra poco, prima ti devo dire di Pantaleo Mastrapasqua, il mio compagno, il padre di Francesco, perché l’incontro con lui ha cambiato tutto.”

“Pantaleo è un poco più piccolo di me, ha 37 anni,  è autotrasportatore da quando ne aveva 20, prima aveva fatto altri lavori saltuari, sono 5 anni che stiamo insieme.
All’inizio non è stato facile, abbiamo avuto momenti di grande difficoltà, io ero stata devastata dall’esperienza precedente, chiedevo il permesso anche per prendere un bicchiere d’acqua e neanche avevamo finito di mangiare che  dovevo lavare i piatti, in generale in ogni cosa che facevo ero dominata dalla paura e dal terrore. Con l’amore e con il tempo le cose sono cambiate e insieme a lui ho trovato la forza per avviare il percorso, per me molto difficile sia fisicamente che psicologicamente, che ci ha portati ad avere Francesco che, come puoi immaginare, oggi è la mia fondamentale ragione di vita.
Sì, l’incontro con Pantaleo ha cambiato tutto, quando penso che era un mio vicino di casa e non me ne ero mai accorta mi sembra impossibile, con lui è cominciata una nuova vita, oggi so di vivere con una persona straordinaria, fuori dal comune, non me lo sarei mai aspettato e invece è accaduto, a volte penso che ci sia un poco di giustizia anche su questa terra.”

“E siamo arrivati così alla malattia. Comincia tutto nel 2014, mentre sto guardando un film non riesco a vedere più i titoli di coda, avverto come un flash continuo all’occhio destro. Naturalmente vado a fare una visita oculista dalla quale emerge che avevo perso di colpo 4 gradi. Faccio altre visite e accertamenti all’occhio e non risulta nulla, quando i medici si rendono conto che l’origine dei miei problemi non è l’occhio e mi fanno fare una risonanza viene fuori che ho la Sclerosi Multipla. Sembra incredibile, ma ancora di più dei mille problemi fisici che avevo – dolori alel gambe, incontinenza, formicolii, ecc – era l’incertezza rispetto al mio futuro a distruggermi psicologicamente. Nonostante fosse molto dolorosa, sono stata io a volere  la rachicentesi, il prelievo del midollo spinale, perché dovevo sapere senza ombra di dubbio qual era la diagnosi.
Caselle in quel periodo è stata molto importante per me, posso dire che mi ha salvato. È stato mio padre che mi ha tramandato l’amore per il suo paese, al punto che anche se non ci sono nata per me è come se ci fossi nata, se non ci vengo d’estate sto male.
Quando sono arrivata ero piena di psicofarmaci, di antidepressivi, stando qui piano piano ho trovato la forza e la stabilità di ridurli e per un certo periodo di non prenderli.  Ricordo che mi ero colorata i capelli di nero perché vedevo tutto buio, adesso lì ho del mio colore, castano, con colpi di colore verde, il verde speranza.
In tutto questo la nascita di Francesco è stata la cosa più bella che mi potesse capitare. Anche questa volta non è stato facile, niente è facile nella mia vita, la ginecologa mi ha studiata e tenuta sotto osservazione per 7 mesi, quando finalmente ho avuto l’ovoluzione, d’accordo con la neurologa, abbiamo interrotto la terapia e con Pantaleo ci abbiamo provato. Per fortuna Francesco è venuto subito, nel senso che sono rimasta incinta subito. Ricordo che all’inizio avevo paura, pensavo potesse svanire, e anche in quel caso me ne sono venuta a Caselle, stavo attento a ogni cosa, temevo che potesse avere qualche problema anche se i controlli dicevano che era tutto a posto, non ti dico la gioia quando è nato e l’ho visto, è stato qualcosa di indimenticabile.
Mi devi credere Vincenzo, non è che voglio insegnare niente a nessuno, però anche mentre lavoro racconto spesso la mia storia alle mamme che non possono avere figli, non solo per dire che se ce l’ho fatta io ce la possono fare tutte, ma per aiutarle a non abbandonare la speranza, a non rinunciare mai a combattere per realizzare i propri sogni.”

“Il mio prossimo obiettivo? Accompagnare Francesco all’altare. Prima però voglio andare in discoteca con lui.”