Caro Diario, a pagina 30 di uno dei suoi libri che amo di più, La forza del carattere, James Hillman scrive che “Le facce vecchie sono segnate dal carattere, la loro bellezza rivela il carattere e la loro perdurante forza come immagini di intelligenza, autorevolezza, tragedia, coraggio e profondità dell’anima è dovuta al carattere”; ecco, la cosa che devi sapere prima che io cominci a raccontare questa nuova storia è che la faccia del signor Giovanni, il protagonista di questo piccolo racconto, è proprio così.
Penso di averti già detto che mi piace, il pomeriggio, passare un po’ di tempo in piazza, all’Urmu, cosa che nei mesi “belli” accade per tante ragioni più di frequente. Scrivo qualche riga, bevo un caffè, chiacchiero con gli amici, guardo i bambini che giocano e i ragazzi che fanno acrobazie con le biciclette, mi prendo cura dei pensieri che mi passano nella testa, insomma cose semplici, che mi fanno stare bene, alla fine sta qui il mio senso, il “succo” come lo chiamava papà, nella semplicità, nell’amicizia, nel piacere di stare in pace con me stesso e con gli altri.
Quando capita, con il signor Giovanni mi piace parlare di tante cose. Questioni di carattere. Cose che hanno a che fare con l’intelligenza, l’autorevolezza, il coraggio e la profondità dell’anima di cui parla Hillman. Cose che hanno a che fare con la curiosità, la voglia di capire, la discrezione e la schiettezza di un uomo di 85 anni che ha le sue opinioni belle ferme come un bicchiere di vino rosso buono e però non ha fretta di dire la sua, gli piace molto fare domande, magari te lo dice dopo quello che pensa, e quando lo fa stai certo che va dritto al punto.
Come dici amico Diario? Certo che te lo dico come l’ho conosciuto, grazie ai suoi figli, i miei amici Luciano e Patrizio Fiscina. Le prime chiacchiere con lui le ho fatte a pranzo a casa loro, solo dopo qualche tempo in piazza, un po’ a periodi, te l’ho detto, quando capita, però nelle ultime settimane sta capitando più spesso, e ne sono veramente contento. Il più delle volte sono io ad avvicinarmi, il signor Giovanni è una persona molto discreta, per esempio se mi vede smanettare sulla tastiera mi saluta e basta, sono io che chiudo il mac e mi avvicino, dopo di che io attacco con “cosa mi dite signor Giovanni”, lui risponde con “cosa vi devo dire professore”, ci mettiamo seduti su una panchina e cominciamo a chiacchierare.
Sì, parliamo di tante cose. Delle nostre condizioni di salute, che lo sai come funziona, più si va avanti negli anni e più diventa un tema ricorrente. Parliamo di politica, per esempio il giorno dopo il funerale di Ciriaco De Mita abbiamo fatto un bel tuffo nel passato, con lui che raccontava di dibattiti e incontri a Salerno e io che rispondevo con i comizi in piazza Plebiscito di Enrico Berlinguer. Non lo nego, non abbiamo saputo evitare un pizzico di nostalgia, ma penso sia comprensibile; la nostra politica insieme alle storture, che erano tante pure allora anche se ognuno vedeva soltanto quelle in campo avverso, aveva anche valori, leader, idee, che oggi per tante ragioni, soggettive e oggettive, sono molto più difficili da riconoscere e fare proprie. Parliamo del lavoro in campagna, nel senso che il signor Giovanni racconta e io conosco cose nuove sulle competenze e sulle tecniche che sono necessarie per portare a tavola una buona bottiglia d’olio o un buon bicchiere di vino. E naturalmente parliamo anche di ricordi, che è la parte che mi piace di più, quella in cui il signor Giovanni mi dona pezzetti di memoria e di saggezza, spicchi di vita che hanno un valore oltre il tempo, da qui all’eternità mi viene da dire, almeno questo è quello che penso io.
La settimana scorsa per esempio mi ha raccontato che da piccolo, a scuola, per le ragioni che a quel tempo accomunavano tantissimi bambini di ogni parte del nostro Paese, compresi quelli delle città, aveva fatto fino alla terza elementare. Lui però voleva imparare a leggere e scrivere per bene, e insomma un po’ di anni dopo aveva fatto la scuola serale, e alla fine grazie a un prete aveva conseguito l’attestato di frequenza della prima o della seconda media, non lo ricordava bene ma non importa, non è questo l’aspetto importante. A questo punto si è fermato, si è girato un poco di più dalla mia parte e mi ha detto ‘professore, adesso vi dico che cosa mi è successo quando poi ho fatto il militare. Una mattina, in camerata, mi sento chiamare, ‘Fiscina!’, dal caporale di giornata, rispondo ‘presente’ e lui mi dice di presentarmi in fureria che il maresciallo mi vuole parlare. Io avevo la coscienza a posto, lo sapevo che non avevo fatto niente di male, però non sapevo che cosa voleva da me, magari avevo potuto fare qualcosa di sbagliato e non me ne ero accorto. In ogni caso mi presento in fureria e mi metto a rapporto. ‘Fiscina’, mi dice il maresciallo, ‘da oggi tu sei l’addetto allo smistamento della posta, quando arriva, selezioni quella che va al comando, quella che va ai soldati e così via’. Io sinceramente mi sentivo un poco in imbarazzo e dissi con molta educazione al maresciallo che lo ringraziavo ma che non avevo problemi a fare il servizio ordinario, che magari c’era qualcuno più adatto di me a svolgere quel compito, ma lui mi interruppe e mi disse che tra i 100 e più soldati che eravamo lì io ero l’unico che aveva l’attestato della scuola media, in pratico ero l’unico che sapeva leggere e scrivere decentemente, e perciò lo dovevo fare io. Mi spiego quello che voglio dire? Magari oggi andare a scuola sembra una cosa normale, invece non è una cosa normale, è importante sapere le cose, così come è importante saper fare le cose.”
Qualche giorno fa invece gli avevo chiesto della casa in cui ha abitato per tanti anni al Palazzo, pensavo che Patrizio fosse nato lì ma mi sbagliavo, e allora il signor Giovanni mi ha raccontato con dolcezza antica e un velo di malinconia dell’amata moglie Margherita, che per tutta la famiglia Fiscina è e sarà per sempre nonna Margherita, anche la casa oggi si chiama così in suo onore. Storie di figli e di orto, storie di pane e di pizza, ‘a fucazza, storie di vicinato, di educazione e di rispetto.
Già, educazione e rispetto, valori che scorrono potenti nella famiglia Fiscina, ne ho scritto anche in un mio racconto, leggi qua, è Patrizio che parla, anche se per l’occasione gli ho dato un altro nome: “Vuoi sapere qual è la cosa per me più importante tra tutte quelle che ti ho detto? L’educazione, il rispetto. Senza queste due cose qui non si va da nessuna parte. I nostri genitori ce lo hanno insegnato quando eravamo piccoli: prima di tutto ci sono l’educazione e il rispetto. Può capitare che una persona non la incontri per dieci anni, però quando la rivedi, se a suo tempo hai mostrato rispetto ed educazione, ritrovi rispetto ed educazione, quelle due cose stanno sempre lì. Subito dopo ci stanno la passione e l’impegno, ma subito dopo, perché prima vengono loro, l’educazione e il rispetto.”
Ieri infine è stata la volta di sua nonna, Teresa Crispo, anche lei come tanti con una vita alle spalle fatta di sacrifici e di emigrazione, anche se poi a un certo punto le cose hanno girato e si sono messe decisamente meglio.
“Professore”, mi ha detto il signor Giovanni con la sua voce bassa, “quando ero piccolo e la andavo a trovare mia nonna mi raccontava tante cose, magari con parole semplici, però erano molto valide, non solo allora, pure oggi. Una volta per esempio mi ha detto che la maggior parte dei problemi si potrebbero evitare, in una famiglia, in una comunità ma magari pure in un paese grande dico io, se le persone invece di contrastarsi e fare testa a testa, invece di avere questa cosa di misurarsi continuamente per decidere chi è il più forte, avessero la capacità di fare un piccolo spostamento, un piccolo movimento di lato. ‘Funziona proprio così Giovanni’, mi diceva, ‘basta un piccolo spostamento e le persone invece di fare testa a testa si abbracciano e finisce tutto bene’. Questo mi diceva mia nonna. Adesso dite la verità, voi avete studiato, siete un professore, ma quante guerre piccole e grandi si eviterebbero se anche uno solo dei contendenti fosse così intelligente da fare magari un piccolo spostamento, quanti abbracci in più e quante teste rotte in meno avremmo? Alla fine se fai il bene il bene ritorna, ma purtroppo non lo vogliamo capire, a noi essere umani ci piace fare testa a testa, e questo è.”
Come dici caro Diario? “A noi essere umani ci piace fare testa a testa” pare una frase uscita da Il Piccolo Principe? Sono d’accordo, ci starebbe bene, e starebbe bene anche nel Tao Te Ching, o nell’I Ching. Del resto la saggezza popolare è come un bosco fitto di alberi che hanno radici antiche e rami e foglie che si protraggono nel tempo grazie ai pensieri e alle parole di persone semplici e vere, persone come il signor Giovanni, che sono contento di averti raccontato un poco. Alla prossima.