Caro Diario, Lunedì 18 Maggio sono stato ospite di Raffaele Gaito a #GFACTOR e ti devo dire che è stata un’esperienza più bella di come me la immaginavo, sono venute fuori tante riflessioni su cui vale la pena ritornare. Proprio di una di esse intendo parlarti, con l’obiettivo di coinvolgere te, le nostre lettrici e i nostri lettori.
Per cominciare il titolo: L’importante non è che lavoro fai, ma come lo fai.
Dopo il titolo il background: bisogna che diamo più valore al lavoro e meno valore ai soldi, più valore a ciò che sappiamo e sappiamo fare e meno valore a ciò che abbiamo.
Poi viene l’idea: bisogna che spostiamo l’asse del rispetto e del riconoscimento sociale dal lavoro che facciamo a come lo facciamo.
Poi ancora l’esempio: non è il fatto di essere architetto o muratore che determina lo status o il ruolo di una persona in una qualsivoglia struttura o organizzazione sociale, ma il modo in cui l’uno e l’altro fa il proprio lavoro.
E infine il perché, che è strettamente connesso al background, all’idea e all’esempio: un mondo che mette l’accento su come facciamo le cose e non su cosa facciamo è un mondo più bello, più giusto, più sostenibile e nel quale ogni cosa funziona meglio.
Ancora tre cose leggere, nel senso di Calvino, prima di salutarti.
La prima è che una cosa è dire “faccio questo” o “da grande voglio fare questo” e un’altra cosa è dire “faccio bene questo” o “da grande voglio fare bene questo”. No, non è lo stesso, ci sono differenze e conseguenze culturali, sociali e anche economici importanti.
La seconda si riferisce alla necessità di tornare sulla discussione che abbiamo affrontato in da 99 a cento, secondo me può aiutare a comprendere di più e meglio il senso del mio ragionamento, come sai facendo la pizza ho imparato molte cose nuove.
La terza è l’invito a guardare il video della chiacchierata con Raffaele, magari ti aiuta a trovare l’ispirazione e la voglia di partecipare.
In ogni caso, quando sei pronto invia il tuo intervento a partecipa@lavorobenfatto.org e io lo pubblico. Resto in ascolto.
MARIELLA FABRIS
Ciao Vincenzo, avevo fatto un laboratorio teatrale ad un gruppo di persone fantastiche, purtroppo disoccupate, in crisi psicologiche. Durante Il percorso artistico di raccolta storie, di confronto e di giochi di scena che attingevano alla cruda realtà, avevamo trovato anche il titolo: “Io lavoro e tu?“. Il parlare delle proprie competenze, del proprio sogno, aveva sollevato gli animi. Molte le domande, tra cui questa: come fai il lavoro che forse non hai scelto, che ti ha trovato, o obbligato? Qualunque sia la condizione, trovare la dignità del come faceva superare i soprusi, le ingiustizie, anche per poter avere la forza di andarsene e non restare schiavi, o per riconoscere i propri diritti, imparare un alfabeto e difenderlo. Tutto questo per dire che, in quel laboratorio, tutti abbiamo saputo scacciare la depressone e ritrovare la forza di non cadere in un abisso di sottomissioni. Io stessa in quel periodo, da Settimo Torinese a Pinerolo per un anno, sono stata contenta, anche se solo in parte: mentre grazie al progetto, dignità a chi lavora, io ero pagata per il mio lavoro, loro continuavano a essere disoccupati.
FEDERICO SAMADEN E IO
Federico: Ma ancora di più ti dico, amico caro, che l’importante non è ciò che fai ma ciò che sei.
Io: Le due cose sono complementari, secondo me.
Federico: Hai ragione, perché noi siamo il nostro lavorobenfatto!
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