Toc Toc Italia

Caro Diario, sono anni che rimugino sul rapporto tra talento, organizzazione e contesto (cultura) territoriale. Come sai ripensarci su non mai è facile, ma resto dell’idea che valga la pena provarci, magari chiamando a partecipare un po’ di belle cape e attivando il processo di senso che Giuseppe Jepis Rivello ha definito come crea – racconta – ricrea.

Per evitare di ricominciare ogni volta daccapo sono andato a riprendere alcune delle cose che ho scritto fin qui, che anche senza andare a scomodare la dialettica a spirale di Hegel può essere che qualcosa di ciò che fino a ieri era un punto di arrivo oggi può essere un punto di partenza.

Il tema, come ti ho detto all’inizio, è il rapporto tra il talento, l’organizzazione e il contesto, da cui è nato l’acronimo TOC. Se il talento delle persone è il punto di partenza – più ce n’è a disposizione e più le possibilità di avere buone idee e di svilupparle nel modo giusto aumenta – altrettanto importante è la qualità delle organizzazioni, dato che solo in strutture di altissimo livello il talento può esprimersi compiutamente. Infine c’è il contesto, cioè la cultura, le risorse, l’insieme di reti materiali e immateriali che caratterizzano un determinato ambiente o territorio.

Il punto di partenza sul quale penso si possa convenire è che a determinare la storia e il carattere, i successi e i fallimenti delle idee, dei progetti, delle imprese non bastano, di per sé, né le persone con il loro talento e il loro lavoro né la forza e la consistenza delle strutture nelle quali esse lavorano, né le opportunità potenzialmente presenti in un determinato ambiente o contesto. Il grande Totò direbbe che è la somma che fa il totale, noi che non abbiamo il suo genio possiamo affermare che è grazie alle connessioni che tengono assieme il talento individuale, la forza dell’organizzazione nella quale il talento opera e le caratteristiche del contesto con il quale l’uno e l’altra interagiscono che si può fare la differenza.
Sì, amico Diario, uno più uno più uno non sempre fa tre, può fare anche cinque, un cinque determinato per l’appunto dalla messa a valore delle relazioni esistenti tra ciò che le persone, le organizzazioni e i contesti (territoriali, tecnologici, sociali) sanno e sanno fare, dei sistemi di relazione di cui fanno parte e della loro capacità di competere e di collaborare.  Quando ciò avviene le opportunità delle persone, delle organizzazioni e dei contesti si moltiplicano, verrebbe da dire come volevasi dimostrare, anche se è meglio non dirlo.

Come dici amico amico Diario? Perché è meglio non dirlo?
Perché secondo me per rendere la nostra discussione più proficua è meglio assumere l’approccio che propone Jullien in uno dei suoi straordinari libri, Il saggio è senza idee; senza idee nel senso che “evita di mettere un’idea davanti alle altre – a scapito delle altre”, che le tiene tutte sullo stesso piano, che cerca di non essere prigioniero di nessuna di esse, che preferisce la molteplicità all’integrazione, cje evita di condannarsi al dominio del punto di vista particolare.
Sì, hai capito bene, in pratica sto proponendo di ragionare senza l’assillo del “dove vogliamo arrivare”, a quello magari ci penseremo più avanti, intanto proviamo a condividere punti di vista, esperienze, racconti delle cose che funzionano e di quelle che invece no, fermo restando naturalmente il rigore con cui è necessario approcciare a una discussione con queste caratteristiche.

Facciamo così, cerco di dare il buon esempio proponendo alla discussione un po’ di riflessioni sparse, i punti uno, due, eccetera servono da segnaposto, non indicano un ordine di priorità.

1. Qualsiasi lavoro, se lo fai bene, ha senso.
Il fatto che questo sia anche il primo articolo del Manifesto del Lavoro Ben Fatto secondo me suggerisce a questo proposito qualcosa di significativo.

2. Esiste una relazione forte tra futuro e senso.
Più sei capace di dare senso a quello che fai e a quello che gli altri che interagiscono con te e maggiori saranno le tue possibilità di moltiplicare le opportunità che ti si presentano.

3. Fare bene le cose non è solo bello e giusto, ma conviene.
Vale sempre, qualunque cosa fai, come ho raccontato più volte in questi anni, l’ultima a Lido di Camaiore, nel corso di Verità e Lavoro, ciclo di conferenze organizzato dal Consorzio Le Bocchette, quando hai qualche minuto guarda il video, lo trovi qui.
Comunque l’esempio della pasta e fagioli, il piatto preferito di mio padre, rimane a mio avviso paradigmatico. Per fare la pasta e fagioli ci vogliono i fagioli, la pasta, la pancetta, il lardo, il sedano, la cipolla, l’olio, l’aglio, l’acqua, il fuoco, la pentola, i piatti, le posate, altra acqua e il sapone per lavare le stoviglie, l’elettricità se usiamo la lavastoviglie, il tempo, la risorsa più preziosa che esista al mondo, per fare tutte queste cose. Ecco, cos’è che dà senso a tutto questo? Il fatto che quando te la mangi la pasta e fagioli che hai cucinato è saporita, perché altrimenti avrai di fatto buttato via tempo e risorse.

4. Nei nostri mondi sempre più connessi e indeterminati la visione è la capacità di comprendere il corso delle cose prima e nel mentre accadono.
Lo stato delle cose con cui interagiamo è sempre connessa alla loro evoluzione. Vale nella fisica, nella chimica nella filosofia e nelle nostre vite.

5. Ogni cosa che accade è un racconto, il «perché» è un racconto.
La narrazione è un potente mezzo di comprensione e di cambiamento del mondo in cui viviamo e dei mondi con i quali interagiamo. Raccontare di più le teste, le mani e i cuori che ogni giorno creano futuro è un modo per creare contesti più adatti allo sviluppo dei nostri progetti e dei nostri sogni.

6. Competere vuol dire non dover mai dire non voglio collaborare.
Non si può essere competitivi ad altissimo livello se non si collabora ad altissimo livello. Competere e collaborare. Non si può andare lontano se non si tengono assieme quei due verbi lì, l’esempio più efficace a questo proposito rimane quello che mi ha fatto il mio amico Carninci al Riken, a Tokyo, raccontando dei suoi progetti di ricerca, se vuoi saperne di più puoi cercare qui.

7. Bisogna essere autori consapevoli dei propri racconti, delle proprie vite, dei propri futuri. Al tempo di Internt più che in ogni altra fase dello sviluppo umano, la consapevolezza è un valore e una caratteristica di cui non possiamo fare a meno.

Questo ultimo punto, che poi ultimo non è, mi riporta alla comunità del lavoro ben fatto, che come sai si riconosce in un approccio, in una cultura, uno specifico modo di pensare e di fare le cose, nel lavoro e nella vita. È una comunità fatta di persone che amano la profondità e le differenze, persone contente che non si accontentano, persone che ogni mattina mettono i piedi giù dal letto e fanno bene quello che debbono fare, qualunque cosa debbano fare.

Sì, direi che per quanto mi riguarda per ora è tutto, ti lascio con il video, l’indirizzo al quale scrivere lo conosci, partecipa@lavorobenfatto.org

 
Post Scriptum
Caro Diario, il piacere di rispondere un post del mio amico Osvaldo Danzi che annuncia il suo arrivo a Napoli per #LavoroInCittà, il reportage di SenzaFiltro che toccherà 8 regioni d’Italia per “raccontare seriamente cosa significhi lavorare in Campania, In Puglia, in Toscana, nelle Marche, in Emilia, in Piemonte, in Veneto e in Lombardia” mi ha suggerito una domanda che ti ripropongo qui, si riferisce a Napoli, la mia città e riguarda la iOS Apple Developer Academy – Federico II Università che sta a San Giovanni a Teduccio ed è un luogo ricco di talento e con due straordinarie organizzazioni alle spalle. La domanda è questa: quale sarà il suo futuro se non cambia il contesto? E forse un’altra potrebbe essere la seguente: come può essere la stessa iOS Apple Developer Academy – Federico II Università un motore in grado di attivare processi di cambiamento sistemici a livello territoriale?

QUESTO LO AVETE SCRITTO VOI

Simone Bigongiari
Ciao Vincenzo, come sempre i tuoi spunti sono molto interessanti e pongono l’accento su se stessi e sul rapporto che abbiamo con il nostro o altrui lavoro. Questa volta però mi hai messo notevolmente in crisi perché da sempre credo che le tre cose che hai elencato siano semplicemente uno il facilitatore dell’altro e possano fruttare solo nella convivenza. Ovvero il talento è utile a organizzazioni virtuose in un contesto favorevole. Laddove manca uno di questi elementi il sistema decade.
Allora mi sono messo in discussione e mi sono chiesto, ma è proprio vero? Non si possono creare organizzazioni valide in contesti sbagliati, dove non si investe nella formazione, dove non ci sono presupposti per la creazione di un’impresa, dove la mentalità è più chiusa? Forse sì, ma non sono ancora convinto…
Se l’organizzazione non è benevola, anche in un contesto favorevole, il talento riesce a venir fuori? Sicuramente non in quell’organizzazione, ma fuori di essa forse troverà i suoi frutti.
Si possono altresì allenare i talenti in contesti poco orientati alla formazione o all’ambito di applicazione di quel talento? Forse no, anzi… forse sì. Se il talento si trasforma in vocazione la spinta interna a valorizzare il talento per la comunità diventa molto forte fino a superare le difficoltà e le barriere sociali/economiche. E’ quello che è accaduto ai veri visionari dell’economia e della cultura mondiali. Il garage di Jobs & Co., la prima bottega di Ferragamo, la camera di Kurt Cobain. Forse, ripensandoci bene, è questa la parte più debole del mio assunto iniziale, perché talvolta il talento è solo la parte emergente dell’iceberg della nostra personalità. Forse il “daimon” di Hillmaniana (e Platonica) memoria è la risposta. Quel genietto, o demone, presente in ognuno di noi che guida il nostro destino per eccellere grazie ai nostri veri talenti, che è capace di sopraffare qualsiasi condizione avversa sia in ambito organizzativo (del lavoro, della società, della politica) che nel contesto ostile.
Quindi sì il TOC funziona solo se si parte dall’aspetto individuale. Ciò che possiamo fare per contribuire affinché l’organizzazione migliori e il contesto diventi proficuo, viene fuori da noi, dal nostro talento. Naturalmente in presenza di tutti e tre gli elementi le condizioni sono perfette per creare innovazione, economia e successo.
Poi magari avrò modo di ritornare sull’argomento perché mi stimola e mi pone ulteriori interrogativi.

Andrea Danielli
Caro Vincenzo, al punto 2 hai scritto che “esiste una relazione forte tra futuro e senso. Più sei capace di dare senso a quello che fai e a quello che gli altri che interagiscono con te e maggiori saranno le tue possibilità di moltiplicare le opportunità che ti si presentano”. Secondo me hai colto un passaggio che deve diventare centrale per ogni futura proposta politica: il senso dell’agire comune, rivolto a un futuro che può tornare a essere migliore.
Il populismo non è fake news, ignoranza, rabbia: è perdita di senso, è una sensazione di esclusione. Le persone di oggi non sono tanto più ignoranti o peggiori di quelle di ieri: si sentono escluse dalla progettazione del proprio futuro, abbandonato a tecnici, per lo più economisti, a un dibattito che non possono padroneggiare. Torniamo a parlare di temi più ampi, comprensibili, condivisibili. Torniamo a far sentire tutti parte di qualcosa più grande. Perché alla fine se uno non è stato invitato alla grande festa capitalistica, è anche comprensibile che non ami chi lo sta escludendo.

Laura Ressa
Caro Vincenzo,
sabato sera ero a tavola con le persone a me più care. Le parole che hai scritto nel tuo ultimo post mi riecheggiano da quando le ho lette e quella sera è accaduta una cosa che accade quando si vuole condividere la bellezza: ho mostrato alle persone che amo di più il tuo post e il tuo video spiegando il significato dell’acronimo T.O.C.
Così, dopo un primo momento di silenzio, tutti insieme ci siamo messi a riflettere sulle parole Talento, Organizzazione e Contesto scavando nella memoria per riportare a galla casi interessanti e concreti di persone che hanno messo in campo il proprio talento per dar vita a progetti, iniziative, ricerche scientifiche e che, un mattone dopo l’altro, hanno calato il proprio lavoro nel tessuto territoriale e sociale.
Ci sono venute in mente alcune persone che, per varie vie, abbiamo incrociato nelle nostre vite. Ci siamo resi conto di quanta tenacia sia necessaria per provare a cambiare le cose cominciando a lavorare non soltanto su di sé ma soprattutto sul contesto e sui modi per migliorarlo e valorizzarlo. Perché il talento parte da dentro, ma non attiene solo al dentro. Il talento è opportunità che bisogna andare a cercare là fuori: zaino in spalla e una mente aperta a creare connessioni vere, a conoscere gli altri, a dar vita a reti interconnesse e a mettere in atto quelle buone pratiche di cui tu parli sempre e che danno sapore, direzione e colore alle azioni. Ma cosa sono le buone pratiche? A cosa servono dunque e chi le ha messe in pratica? Dove le troviamo e a chi ci potremmo ispirare per fare lo stesso, per costruire le nostre buone prassi?
Per capirlo cerco sempre di pensare a chi ha agito mettendo a disposizione degli altri le proprie conoscenze e il proprio saper fare.
Un pensiero dopo l’altro, un’idea dopo l’altra, e ci siamo ritrovati a seguire la scia dei ricordi. Le storie di persone di talento si sono accavallate nella nostra mente e abbiamo cominciato, piano piano, a ricordare i volti incrociati negli ultimi anni e negli ultimi mesi.
È tornata a galla la storia di un gruppo di ricercatori che ha fondato un’associazione finalizzata allo studio dei cetacei. L’obiettivo è tutelare il territorio e studiare l’impatto ambientale. Si tratta di persone che realizzano documentari e allestiscono spazi espositivi per mostre ed eventi sulla salvaguardia dell’ambiente marino.
In quel viaggio nei ricordi ecco che ci è tornata alla mente la notizia di un giovane assegnista di ricerca che è stato designato di recente come responsabile di un importante progetto d’esplorazione internazionale finanziato dal Committee for Research and Exploration of the National Geographic Society. I suoi obiettivi sono: studiare il territorio, comprendere meglio gli ambienti marini, fare la differenza in un campo, quello della ricerca scientifica, che spesso è scarsamente foraggiato e legato più ad interessi economici che alla spinta verso il miglioramento delle condizioni di vita di chi abita questa terra.
Poi c’è la storia del giovane laureato in biologia che, dopo l’università, è tornato nella sua città natale per dedicarsi alla produzione di birra artigianale e che poi dalla produzione è passato alla divulgazione trasmettendo la sua passione per la birra attraverso corsi di degustazione aperti al pubblico. Ascoltarlo mentre racconta le caratteristiche delle diverse birre artigianali è stato per me uno dei momenti più interessanti e accrescitivi degli ultimi mesi: nei suoi occhi non ho visto solo una grande passione ma anche una profonda conoscenza del tema di cui mi stava parlando.
Dunque la teoria del fare bene le cose è un leitmotiv che torna prepotente: non puoi inventarti dall’oggi al domani. Se vuoi conoscere devi studiare, devi avere la mente ben aperta, devi provare, misurarti con l’errore e tentare di nuovo. Più di ogni altra cosa devi avere a cuore il modo in cui agisci: lavorare bene diventa quindi uno stile di vita, un obiettivo da seguire in ogni ambito, un fiore da far sbocciare, la fermentazione di una buona birra, l’immersione in fondali di cui vogliamo scoprire i segreti.
Quel sabato sera passato nella culla dei ricordi ha fatto scorrere nei nostri occhi le immagini quasi come se quelle immagini appartenessero ad un lungo film. In quel film abbiamo anche ricordato la storia di due ragazzi che hanno realizzato un programma radiofonico per divulgare informazioni sul mondo della canapa, un mondo spesso sconosciuto e volutamente ignorato per anni. I due creatori del programma si sono rimboccati le maniche a costo zero: hanno reperito l’attrezzatura necessaria per registrare la trasmissione e creare un prodotto fatto in casa.
Ed effettivamente il gusto delle cose fatte in casa si percepiva nel soggiorno in cui registravano le puntate. Dalla loro cucina proveniva l’odore intenso delle torte appena sfornate e dal giardino si sprigionavano i profumi di piante e fiori freschi. Il loro è stato un lavoro certosino di ricerca delle fonti: hanno intervistato associazioni che si occupano di diffondere la cultura della canapa e, in quel viaggio, anch’io ho avuto la fortuna di realizzare insieme a loro una puntata della trasmissione radiofonica. Mille prove, estrema cura dei dettagli, una visita presso un’azienda che produce canapa. Quell’esperienza per me è stata formativa e, pensandoci a posteriori, mi ha fatto comprendere quanto grande possa essere l’impegno profuso per una passione. Non lo credevo possibile, ma ora so cosa significa dedicare tempo ed energie per una propria creatura, senza risparmiarsi mai.
Il loro impegno derivava da un grande interesse verso l’argomento trattato ma anche dall’attenzione al territorio e alle infinite possibilità di una pianta che ha ricadute importanti anche su alcuni percorsi di cura delle malattie.
Poi ci sono le storie di persone vicinissime a me: storie di umiltà estrema e lavoro portato avanti con dignità e senza troppo rumore. Storie che spesso non vengono mai a galla perché, come diceva Gino Bartali, “certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca”.
E allora mi chiedo: tutte queste bellissime realtà e i progetti di persone di cuore e talento sono destinate a perire o possono procedere verso una strada luminosa?
Il territorio cura i propri talenti? I contesti organizzativi hanno a cuore le competenze delle proprie persone? Sanno far fiorire nuove possibilità in loro? Sanno riconoscere i meriti? Sanno intravedere lo spiraglio di una luce che vuole esplodere ma che ha bisogno di aiuto per diventare una Supernova?
Ecco Vincenzo, ti ho raccontato alcune storie di persone con una talentuosa anima perché, secondo me, senza un’anima profonda non ci può essere talento e avere talento in territori in cui il lavoro è un lusso, richiede uno sforzo ancora più grande. Quindi il contesto conta se c’è un fondamento dietro ogni cosa che facciamo, ma il contesto può anche ostacolarci.
Un territorio o un’organizzazione possono diventare un ostacolo quando chi li abita non sa riconoscere le sue perle preziose e le spinge a sbocciare altrove.
E allora la domanda è: ci va di raccontare queste storie? Forse cominciare a raccontarle è un primissimo passo per farle splendere e illuminare gli altri attraverso la loro luce. Soprattutto qui dove ne abbiamo tanto bisogno.
Un abbraccio pantagruelico!

Chiara Serreli
Caro Diario, innanzi tutto grazie per questa chiamata, ne sono onorata.
Spesso il fattore “tempo” tema da te, ampiamente affrontato, non aiuta. Il tempo non è mai abbastanza, specie per una mamma lavoratrice che ha ancora la mente attiva su molti fronti e che alla soglia dei 40 anni, crede ancora che il futuro appartenga a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni, per citare una super donna, Eleanor Roosevelt.
Dalle tue riflessioni ad oggi, sono trascorsi alcuni giorni ed io mi sto interrogando sul motto “volere e potere” perché ogni tanto mi sfugge, proprio in termini di tempo e sì, mi crea disagio. La teoria del “meglio tardi che mai” mi consola ma mi avvicina sempre di più alla teoria del grande Gandhi, che faceva presente che noi occidentali, abbiamo l’ora ma non abbiamo mai il tempo.
Caro Diaro quante cose dovremmo dire ma non “voglio perder tempo” e voglio dirti cosa ne penso a proposito delle tue riflessioni.
Provo a tirar fuori quello che per me è il sodalizio, il connubio, la connessione, il legame tra gli elementi che genera quella ricetta che, se ben amalgamata, con i giusti accostamenti, la miglior selezione delle materie prime, la giusta pazienza, un buon condimento, ti presenta la ricetta vincente, quella da leccarsi i baffi, quella che non dimentichi (insomma la famosa pasta ai fagioli del papà di #VincenzoMoretti).
Confermo e sottoscrivo che per me talento, organizzazione e contesto, sono gli ingredienti magici. Hai unito le tre capacità vincenti che fanno la differenza e creano quella miscela esplosiva che in modo evidente genera Valore.
TOC, non male come acronimo, è la chiave di lettura, che se combinata fa la differenza e la differenza, il famoso valore aggiunto, si vede. È splendente e luminoso e sì, brilla di luce propria.
Credo che, in alcuni casi, l’incrocio di talento, organizzazione e contesto sia anche questione del fattore C, perché non è mica semplice combinare queste tre connessioni o meglio non è scontato.
Voglio dire, una persona può avere talento, può lavorare in un contesto organizzativo vivace e reattivo ma in fin dei conti può mancare il contesto o viceversa l’organizzazione. Del talento ovviamente non si discute, si deve possedere ma può accadere anche il contrario, che un’organizzazione, creda di possedere il famoso fuoriclasse che a lungo andare si dimostra solo fuori e senza classe.
Qui potremmo mettere in gioco l’istinto, unito ovviamente ad altri doti e supporre che la scelta di determinate risorse di talento sia avvenuta “in coscienza” e nella migliore delle ipotesi. E qui la chiudo.
Penso comunque che senza organizzazione e contesti illuminati, il talento può esserci ma può essere silente, in uno stato di letargo. Insomma se non si ricevono stimoli giusti, se le persone non ascoltano, altro tema fondamentale, uno che ha talento può anche arrendersi e decidere di sforzarsi meno, allineandosi al famoso “sistema”.
È brutto da dirsi, lo so, ma a volte la contropartita è pesante, è difficile e può generare sconforto.
Caro Diario ma tu l’avresti mai detto che un solo TOC, sarebbe stato in grado di generare valore comune, nel lavoro, nella vita di tutti i giorni ma soprattutto nella comunità.
Comunità nel senso più romantico di relazione comunitaria, del dare – darsi, del condividere, di fiducia (altra incredibile parola) al senso più ampio di territorio. Pensa ad un unione di TOC che cosa potrebbe generare per un territorio, che valore aggiunto in termini di opportunità, di crescita, di innovazione potrebbe generare. Pensa…
Mi sento piuttosto emozionata dall’argomento, rimugino le idee e rifletto su quanti talenti sprecati ci siano, a quante opportunità non colte, non viste, si siano perse e si stiano perdendo. Ma come potremmo fare? Che cosa dovremmo fare per combinare i tre fattori, talento, organizzazione e contesto nella giusta direzione? Insomma per farli incontrare, per farli conoscere? Per far si che non si disperdano ma bensì, si incontrino e creino quel valore aggiunto di cui tanto abbiamo bisogno?
Forse, dovremmo trovare il modo di costruire una Community virtuosa che avvicina uomini di talento e di buona volontà a contesti ed organizzazioni virtuose. Perché di esempi ce ne sono e tu, grazie al tuo sforzo quotidiano, alla tua volontà di raccontare il #lavorobenfatto e di non mollare mai ci regali ogni giorno, storie illuminate e connessioni.
E le connessioni sono tocchi magici, e come dici tu tengono assieme il talento, la forza dell’organizzazione ed il contesto. Questi elementi vivono di forza attrattiva ma è necessario farli incontrare. E allora caro diario ti lascio con questa riflessione che in questo momento mi attanaglia ma mi offre anche la speranza di un’opportunità.
Che cosa possiamo fare per non deludere le nostre aspettative, per incrociare valore umano, organizzazione e contesto illuminato? Che cosa possiamo fare per creare una conoscenza comune sulle tante menti e realtà illuminate Italiane?
Sono convinta che potremmo trovare una risposta e tracciare una strada comune, perché per dirla tutta, io credo e sostengo il #lavorobenfatto e non mi arrendo ai sogni.
A presto caro Diario.

Irene Bonadies
Vincenzo hai proprio ragione.
Il talento l’organizzazione e il contesto sono strettamente interconnessi e sono fondamentali per la valorizzazione della persona e per la massimizzazione dei benefici che ogni persona può generare su questa Terra, per se e per gli altri.
Considerando la cosa da un punto di vista chimico, potrei dire che per far si che una reazione avvenga con il risultato voluto devi per forza combinare i giusti composti, usare il procedimento corretto e la temperatura ottimale altrimenti puoi stare a girare anche per ore, non ottieni nulla! e questo secondo me accade anche per le persone. Nel mio ambiente di ricerca capita spesso di vedere persone con una vivace intelligenza che sono isolate, magari perchè lavorano in un gruppo chiuso e fatto di persone poco propense alla collaborazione (o che addirittura ostacolano la collaborazione) e che magari non hanno neanche fondi per fare la loro ricerca. All’opposto, mi capita di vedere persone mediocri che sono però all’interno di un gruppo molto attivo e con un gran numero di connessioni (progetti, convegni, collaborazioni etc etc) che quindi ha anche una buona disponibilità economica. Per assurdo la persona vivace e la persona mediocre possono risultare del tutto simili se osservate dall’esterno, perchè la somma di talento+organizzazione+contesto diventa pressochè uguale in entrambi i casi. Ovviamente non si tiene conto che la persona vivace deve lavorare molto di più per sopperire alle mancanze mentre la persona mediocre può limitarsi al minimo per avere comunque molto di più di quanto gli spetterebbe. Dalle mie osservazioni della realtà circostante arrivo alla conclusione che il TOC è fondamentale: si può avere tanto talento ma per farlo fruttare occorre il giusto contesto e una buona organizzazione. Purtroppo nell’ambito accademico in Italia spesso non si considera l’influenza del contesto e dell’organizzazione nel processo di creazione e valorizzazione dei talenti. La poca organizzazione e un contesto quasi inesistente fanno si che i talenti che ci sono vadano dispersi nel tempo, perchè si spengono, o nello spazio, perchè emigrano. Ho amiche con un grande talento per la ricerca ma che per mancanza di organizzazione e contesto hanno dovuto dirottare le loro qualità in altri ambiti: ovviamente continuano ad essere persone che fanno bene il loro lavoro ma il loro talento è andato perso e di consegeunza sono andate perse delle opportunità per la ricerca (a mio avviso). Nel mondo ideale bisognerebbe fornire a tutti il contesto e l’organizzazione migliore e valutare il talento, se c’è la macchina inizierà a girare e andrà avanti portando i suoi frutti. Nel nostro mondo basterebbe solo avere le antenne dritte per capire chi ha talento nonostante il contesto e l’organizzazione in cui lavora e poi dargli le possibilità che gli mancano proprio per esaltare il talento. Ma purtroppo neanche questo accade, allora resto solo la capacità delle persone che hanno talento di riuscire a creare la miglior organizzazione e contesto possibile con le proprie forze. A tutti noi resta solo sperare che i talentuosi senza contesto ed organizzazione abbiano sempre la forza e la voglia di investire energie nel mantenimento di questo TOC e che un giorno questo talento venga scoperto.
Caro Vincenzo non so se ho risposto alla tua chiamata, è comunque bello fermarsi a riflettere su queste cose ed è bello sapere che insieme a te ci sono altre persone che riflettono sulle stesse tematiche e condividono l’idea del lavoro ben fatto con tutti i suoi corollari. Un caro saluto.

Osvaldo Cammarota
Credo che solo l’organizzazione di pensiero e azioni condivise possa valorizzare talenti individuali che sono sepolti nel “locale” o smarriti nel “globale”. C’è solo da creare il contesto e, come sempre, le tue “provocazioni” sono un potente stimolo.

Maria D’Ambrosio
Per ora solo una nota: sono con te, sono con il filosofo Francois Jullien, per la necessità di sottrarsi al dominio statico del punto di vista. Propongo da anni nella mia ricerca e riflessione di pensare all’Essere come ‘Danzante’ per coglierne la fondativa condizione della mobilità come cifra e principio generativo attraverso cui si uniscono Talenti Organizzazioni Contesti e si producono Storie. TOC TOC
jepis111