Caro Diario,
l’idea di raccontare Michele Esposito e la sua Azienda Agricola Terra Mancina mi è venuta più di un anno fa, ci eravamo incontrati in piazza a #Cip e gli avevo detto che gli mandavo le mie famigerate tre domande tre, cosa che ho fatto un paio di mesi dopo, però poi tutto il resto del tempo se lo è preso lui, non vorrei sembrarti pignolo, è perché mi piace essere preciso, sono segno zodiacale Vergine non lo dimenticare.
Come dici amico Diario? Non è che Michele non aveva voglia e si è sentito costretto a raccontare la sua storia? Per chi mi hai preso, io non costringo nessuno, ci mancherebbe. Quello che penso io, ma mi posso sbagliare, è che Michele è tanto determinato in alcune cose quanto timido in altre, lo vedi anche dal fatto che nella mail con le risposte ci ha tenuto a precisare che la voce narrante del testo è la sua ma la redattrice è stata la sua fidanzata Laura Sini, prof. che spera di poter tornare quanto prima nel Cilento. Ciò detto, vengo subito alla sua storia.
Michele è nato nel 1993 ed è figlio di Romeo, che è stato sindaco di #Cip per quasi quindici anni, e di Marcella, dalla quale il ragazzo ha ereditato il sangue mescolato con la Terra. Ha due fratelli e si definisce spesso un liceale in pensione «perché, a differenza della quasi totalità dei miei ex compagni di liceo, non ho proseguito gli studi, consapevole del mio pessimo rapporto con i libri, forse per questo si è poi fidanzato con una prof.»
Prima della nascita di Terra Mancina ha lavorato per alcuni anni con lo zio, il mitico Mastro Domenico di cui ti ho parlato più volte.
Come dici caro Diario? Perché ha lasciato il lavoro con lo zio?
Non correre, perché anche questo ce lo facciamo raccontare da lui: «L’esperienza nel laboratorio artigianale dello zio mi ha insegnato e mi ha reso consapevole di tante cose, in particolare due si sono rivelate decisive per le mie scelte successive: la prima è il salto qualitativo che ti permette di fare il lavoro artigianale frutto di dedizione e passione; la seconda è che il lavoro in un luogo chiuso non era adatto a me. Appesa l’esperienza di operaio al chiodo mi sono perciò dedicato sempre di più a ciò che già fin da piccolo facevo aiutando il mio nonno materno Filippo e mio zio Antonio: allevare maiali. Già da un po’ era maturata in me la consapevolezza che il mio futuro dovesse essere strettamente legato alla Terra e comunque alla Natura. Vedi Vincenzo, qualsiasi attività che mi avesse permesso di trascorrere la giornata “fora” sarebbe stata l’ideale per me, ma l’allevamento di maiali ha sempre avuto la meglio sopra ogni altra possibilità. E così ho iniziato, dai tre o quattro maiali cresciuti per il consumo familiare ne ho aggiunti un paio il primo anno – tra il 2015 ed il 2016 – per tastare il terreno e sperimentare la possibilità di farne una vera attività.»
Caro Diario, l’anno non fa in tempo a finire che si rende necessario aumentare il numero dei maiali. Sì, certo, è una buona notizia, che però come racconta Michele lo costringe da subito a ragionare su che forma debba avere la sua attività: allevamento?; riproduzione?; allevamento e trasformazione?
«Vincenzo, non appena i primi passi vengono compiuti, ancora una volta i sausicchi non fanno in tempo ad essere prodotti che subito finiscono mentre io continuo a fare a pugni con la necessità di regolarizzare e mettere la mia attività in maniera tale da poter racchiudere nel mio progetto l’intera filiera: produzione di foraggio, ingrasso, riproduzione su piccola scala e infine trasformazione seguendo le tecniche ereditate in famiglia e che tutti gli abitanti di #Cip, paese del Salame, nel loro piccolo praticano. È anche questa una strada lunga e folta di ostacoli, ma ce la sto facendo, ce la faccio, perché la qualità non è una parola, è una caratteristica, ed è importante autoprodurre gli ingredienti con cui alimenti i maiali. Non è solo perché la coscienza del consumatore impone un’attenzione particolare a tutti gli aspetti della vita e dell’alimentazione animale; è anche e soprattutto perché in un contesto rurale come quello di Caselle dove l’orzo o il mais, oppure il favino di cui puoi aver bisogno puoi anche coltivarlo dal vicino senza bisogno di avere terre di proprietà o grossi macchinari grazie ad una fitta rete di scambi e relazioni, la filiera corta diventa un’utopia reale e possibile, anche se mettere assieme utopia, realtà e possibilità può sembrare una contraddizione.»
Come dici caro Diario? È un personaggio questo Michele? Sono d’accordo. Senti che dice quando arriva al nocciolo della questione, il lavoro: «Vincenzo non è facile. Non è facile rialzarsi dopo le cadute. Non è facile impegnare tanto tempo, fatica, passione e dedizione nonostante i problemi e le difficoltà economiche. Perché è inutile stare qui a negarlo, in qualsiasi attività imprenditoriale, soprattutto in fase di avvio, si va tendenzialmente in pari con gli investimenti quando non in perdita. Non è facile perché ci stanno i momenti che diventi consapevole che la scelta di dedicarsi a Terra Mancina non ha a che vedere con la gratificazione economica, né tanto meno con la comodità, perché devi fare i conti con la burocrazia, con l’assenza di ferie e festività dato “i puorci e ‘a cuverna tutti i iorni”, e allora ti chiedi chi te lo fa fare, che senso ha continuare su questa strada.»
Già, chi glielo fa fare amico Diario?
L’idea che mi sono fatto io, ma mi posso sbagliare, è che pure il nostro Michele ha la sua Gatta Cenerentola, la sua «femmena che ca ‘a perza ‘a scarpa e si ‘o rre ha scatenato l’inferno vo’ dicere ca senz”e essa nun po’ sta’.», come ti ho detto si chiama Laura leggi qua cosa scrive Michele:
«Vincenzo, qui entra in gioco il nome Terra Mancina: ideato dalla mia compagna Laura, mancina come me e travolta dall’ideale di sostenibilità proprio dell’allevamento tradizionale a cui intendo aggiungere poco o niente. Il nome vorrebbe incarnare l’ostinazione nel voler trarre ancora ciò che di buono la Terra e la Natura hanno da dare, senza maltrattarle e senza abusarne anche in quei territori considerati un po’ “mancini”, un po’ disgraziati e poco produttivi ma solo per un cieco pregiudizio. È un nome che richiama la necessità di restare piccoli e senza pretese, utilizzando tutto ciò che viene prodotto localmente e quando possibile i frutti stessi della Natura; uno dei momenti più coinvolgenti dell’anno è la raccolta delle ghiande da alcune delle querce di cui Caselle è ricca, quando la fauna selvatica ha la grazia di lasciarne qualcuna anche per i nostri maiali.
Passo dopo passo, la realizzazione dell’ideale sta prendendo forma e nel frattempo io alterno le giornate trascorse a nutrire e far pascolare i maiali, con quelle in cui mi dedico alla coltivazione del foraggio prevalentemente da solo, tranne quando i miei familiari mi sostituiscono per permettermi di raggiungere Laura che durante l’anno è lontana per lavoro, in attesa di poter continuare questa attività insieme più avanti. E tranne, ovviamente, i momenti della lavorazione del prodotto finale quando tra sausicchi, capocolli, prosciuttelle e pancette tutta la famiglia è riunita in quelle giornate in cui si celebra il rito del maiale.»
Ecco caro Diario, il racconto del lavoro ben fatto di Michele finisce qui, e invece voglio condividere con te anche quello che il nostro amico mi ha scritto in previsione de La Notte del Lavoro Narrato 2018, il prossimo 30 Aprile, secondo me dice un mondo: «Caro Vincenzo, per il 30 Aprile l’idea sarebbe quella di ospitare un momento di riflessione sul lavoro nel luogo di lavoro per eccellenza di Terra Mancina, il porcile, o per meglio dire la casetta sopra il porcile che ho in campagna, sarebbe una cosa un po’ arrangiata ma decisamente molto realistica. Pensavamo di chiedere a Michele Croccia del Ristorante Pizzeria La Pietra Azzurra di prepararci un paio di teglie di pizza con i nostri prodotti da offrire ai partecipanti. Che ne dici? Ti pare troppo spinta e audace come idea?»
Ecco, quello che gli ho risposto io neanche te lo dico, a me l’idea di celebrare la notte del lavoro narrato nella casa sopra il porcile semplicemente mi fa impazzire, ma questo non importa, è che davvero una cosa così non la puoi pensare se non sei innamorato del lavoro che fai.