I sandali di Mastro Domenico. E la visione di Luca

Caselle in Pittari, 23 Febbraio 2019
Caro Diario, questa storia qui potrebbe cominciare proprio come cominciò quella di quattro anni fa, della serie “la forza (del lavoro) scorre potente nella famiglia Rivello”, solo che questa volta il protagonista è Luca, che non ha ancora 24 anni, fa parte della terza generazione, che in realtà ho deciso di raccontarlo quando sono stato a Cip la volta scorsa, si discuteva di sandali, di visioni e di opportunità quando a un certo punto mi ha detto “Vincenzo, per me è importante saper fare tutto in azienda, perché uno è più credibile se sa di che cosa sta parlando quando c’è un problema o bisogna prendere una decisione. Lo sai, la teoria è importante, ma anche la pratica.”
Come dici amico Diario? Niente male per un ragazzo così giovane? Sono d’accordo, però è meglio se ascolti tutta la storia così poi ti fai un’idea più precisa.

Allora, l’età di Luca te l’ho detta, che ha preso la laurea triennale in economia e management all’Università di Roma Tor Vergata ancora no, e neanche che è tifoso della Juve, ma come sai nessuno è perfetto. Tra le altre cose che mi ha raccontato ti segnalo la sua passione per l’ambiente, per la politica, per la cucina – nella declinazione sia del verbo cucinare che del verbo mangiare, in particolare gli piacciono i primi, si definisce un pastaro – e soprattutto per la recitazione.
“Ho avuto la fortuna di incrociare la maestra Ines, la maestra Bruna e la maestra Lena”, mi ha detto a un certo punto, “sono loro che mi hanno aiutato a esprimere questa mia passione. Fino ai 12 – 13 anni ho recitato tanto, mi piaceva e dicevano anche che ero bravino. Per la verità ancora prima di iscrivermi a economia volevo fare l’accademia teatrale, poi ho preso la mia via, ma insomma questa della recitazione è stata una passione vera.”
“Un’altra cosa che ti caratterizza?”, gli ho chiesto ancora. “Che ne so, un colore, un profumo, un fiore.”
“Mi piacciono molto il rosso e il blu”, mi ha risposto.
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“Va bene, adesso però parliamo di lavoro. Per esempio, quanta è stata tua la scelta di lavorare nell’azienda di famiglia e quanto è stato inevitabile, naturale, necessario”.
Luca prima ha fatto un sorriso grande, bello, e poi mi ha detto “Vincenzo, nessuna necessità, è stata una scelta mia. Mia madre Sofia – che come sai lavora anche lei in azienda – ha lottato a lungo per farmi prendere una strada diversa, ogni tanto ci prova ancora.”
“E perché, scusa?”
“Io lo definisco un atto d’amore, non voleva che facessi una vita sacrificata come è stata la sua. Mio fratello Marco, più grande di me, non aveva nessuna ragion di fare pressione su di me in un senso o nell’altro, e pure mio padre non ha mai cercato di condizionarmi anche se, conoscendolo, penso che è stato contento della mia decisione. In ogni caso persino la scelta della laurea è stata determinata proprio dalla mia voglia di fare un percorso di studi che fosse convergente con l’attività di famiglia”.
“Dunque possiamo dire che la laurea ti è servita?”
“Certo, lo possiamo dire, però forse sarebbe meglio dire che non mi è servita la laurea, mi è servita l’università”.
“In che senso?”
“Nel senso che seguire i corsi, praticare la vita universitaria è stato il percorso che mi ha permesso di imparare quante più cose era possibile per poi tornare in azienda e sperimentarle sul terreno concreto, della serie vediamo se quello che dicono i libri e i professori una volta portato in azienda funziona veramente.”
“E funziona?”
“Sicuramente è di grande aiuto, poi naturalmente conta il fatto che faccio un lavoro che mi piace. Vedi, sono convinto che se uno ha la possibilità di fare effettivamente quello che gli piace è una persona fortunata, alla fine non c’è cosa più bella che dimostrare i sentimenti che ti trasmette il tuo lavoro. Infine secondo me conta come sei fatto, io fondamentalmente sono un romantico, a me l’idea che persone che vivono a migliaia di chilometri da noi indossino i nostri sandali e ne siano contente mi entusiasma a tal punto che mi commuovo. Mi è capitato più volte anche a Roma di incontrare persone che avevano ai piedi i nostri sandali – come puoi immaginare non mi sfuggono per niente al mondo – e ti confesso che è una cosa che mi fa sbarellare dalla contentezza.”

“Penso di capire. A proposito di sbarellare, non ti ho chiesto ancora qual è attualmente il tuo ruolo in azienda”.
“Tenuto conto che siamo una piccolissima azienda artigiana, diciamo che io sono quello che organizza il lavoro, che definisce gli ordini a cui dare la precedenza, cura i rapporti con i fornitori, insomma segue un poco tutto il ciclo, anche per questo è importante che io conosca tutte le fasi della produzione. Naturalmente non ho la maestria di mio padre e sulla specifica mansione spesso il lavoratore addetto è più bravo di me, però io sono l’unica persona, a parte mio padre, che sa fare tutti i passaggi, dal taglio fino al sandalo finito. Ripeto che non sono un asso ma sono in grado di farlo e ne sono contento.”

“Ancora una cosa e poi ci fermiamo, riguarda il futuro che hai in mente tu per l’azienda MastroDomenico, la tua visione, una cosa tua che vorresti aggiungere, potenziare o migliorare.”
“Direi che le piccole aziende familiari e artigiane come la nostra avranno sempre più la necessità di migliorare la parte commerciale e dunque comunicativa delle loro attività, però per quanto riguarda noi vorrei spiegarmi bene.”
“Sto qua, dimmi.”
“Per un’azienda come MastroDomenico la parte produttiva rimane indiscutibilmente quella centrale. Senza la bellezza e senza la qualità noi non andiamo da nessuna parte. Detto ciò, che lo voglio ripetere, è fondamentale, rimane a mio avviso l’esigenza di aumentare il valore e la renumeratività del brand MastroDomenico; c’è troppa differenza tra quello che viene a noi che produciamo il vero made in Italy, che abbiamo un mestiere in mano come si diceva una volta, e quello che va a chi vende il nostro prodotto. Penso che sia necessario un riequilibrio, che bisogna non dico dettare ma comunque definire delle regole più a favore di chi produce.”
“So che conta poco, ma ti devo dire che trovo molto sensato il tuo ragionamento.”
“Mi fa piacere. Ripeto, non c’è nessuna arroganza in quello che dico, personalmente sono convinto che ogni persona debba sempre tenere in mente da dove viene e debba sempre rispettare il lavoro degli altri, però secondo me bisogna dare il giusto valore al fatto che Domenico Rivello, mio padre, veramente si alza tutte le mattine, viene in azienda e fa i sandali a mano.
Forse bisogna comunicarlo meglio, di certo gli dobbiamo dare più valore. Ecco, quello che vorrei riuscire a fare nel futuro prossimo venturo è questo”.
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Caselle in Pittari, 30 Marzo 2015
Caro Diario, la forza (del lavoro) scorre potente nella famiglia Rivello. La forza che ancora adesso il capostipite, Giuseppe, 77 anni, trasmette quando dice che «Se ti vuoi sedere a tavola, a pranzo, soddisfatto, non c’è niente di meglio di due, tre ore nel campo con la zappa, di buon mattino». La forza che ha trasmesso ai figli, partiti con lui e la moglie da Caselle in Pittari, si, proprio lei, Cip, nel Cilento, verso Fucecchio, in Valdarno, tra Firenze e Pisa, in cerca di un futuro migliore.
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Domenico Rivello, il protagonista della nostra storia, ha appena un anno quando parte ed è ancora un ragazzo quando intuisce che il lavoro – cominciato per gioco, come «aiutante» della mamma, lavorante a domicilio -, è per lui non solo fatica ma anche, soprattutto, passione, voglia di sperimentare, possibilità di realizzare qualcosa di proprio, la via per dare più senso alla propria vita.
È così che finita la scuola dell’obbligo sceglie la via del lavoro, ed è così che appena diciassettenne decide di tornare a Cip, insieme ai fratelli più grandi, Michele e Antonio, per mettere su una propria impresa artigiana e disegnare il proprio futuro con i colori della sua terra.

Passano gli anni, un po’ le scelte e un po’ le vicende della vita portano Michele a esportare le proprie competenze di tecnico calzaturiero in Tunisia e Antonio a lavorare da un’altra parte, che prima o poi anche di loro ti racconto, che ci sono più esperienze di #lavorobenfatto a Cip di quante la nostra fantasia ne possa immaginare.
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Mastro Domenico no. Lui resta saldo al timone della sua piccola impresa artigiana, la fa crescere coltivandola con i semi della maestria, della bellezza, della creatività e dell’innovazione ed è così che i suoi sandali diventano presto lo specchio della sua passione, i messaggeri della sua identità e della sua ricerca.
No, amico Diario, non è solo una questione di mission aziendale; è una questione di daimon, di streppegna, di codice dell’anima, è il senso che metti nelle cose che fai, è il modo in cui decidi di pensare il futuro per te, per la tua famiglia, per la tua comunità, per il tuo Paese, a fare la differenza.

Maestria. Bellezza. Creatività. Innovazione. Come quando sente parlare in televisione di My Mantra e di questo nuovo materiale fatto di laser, legno e cotone, e allora contatta Marcello Antonelli, il titolare, e decide di fare incontrare i suoi sandali con la nuova fibra, definendo così una nuova tappa del  viaggio a bordo dei suoi sandali, che anche quelli come i tappeti possono mettere le ali alla tua fantasia, e farti volare.
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Sì, lo possono fare. A patto però di percorrere la tua via con passione,voglia di fare cose belle, di imparare e fare cose nuove. Perché alla fine torniamo sempre là, alla voglia di mettere sempre qualcosa di sé in quello che si fa, all’urgenza di fare bene le cose perché è così che si fa, alla consapevolezza che – come ha scritto Primo Levi ne La chiave a stella -, «se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra.»

Insomma per amare e rispettare il lavoro, il proprio e quello degli altri, Mastro Domenico ha scelto i piedi. Nel video che potete vedere qui, girato da Giuseppe Rivello – non quello di 77 anni, quello di 27, il figlio di Michele, ve lo ho raccontato qui -, quasi si vergogna quando ricorda che la sua passione lo porta a guardare i piedi delle persone prima ancora dei loro occhi. Che dici caro Diario, glielo diciamo che per Michelangelo «Il piede umano è un’opera d’arte e un capolavoro di ingegneria?» Che c’entra, lo so che è probabile che lo sappia già, dico solo che se glielo ricordiamo gli fa piacere. Facciamo così, mi informo, e poi ti faccio sapere.