Antonio, le gomme masticanti e Terra di Resilienza

«Perfetto, direi che abbiamo finito.»
«No Vincenzo, non abbiamo finito. Se la mia vita ha un valore è perché ho avuto la fortuna di conoscere delle persone straordinarie e te le devo dire una a una: Jepis, che quando ha cominciato a venire al Palio del Grano era ‘nu criaturo; Michele Bosconauta, senza il quale Camp di Grano non sarebbe nato; Angelo Avagliano, maestro di coraggio; Nicola Di Novella, anima delle nostre montagne; Dario Marino e Claudia Mitidieri, compagni di vita e di avventura; Stella Salomone, l’amore. E poi ancora tanti maestri della terra del mio paese, comunemente definiti vecchi, che sono loro i libri più belli che io abbia mai potuto leggere.»
Jepis Bottega. Caselle in Pittari. 15 Luglio 2016. Il testo della conversazione con Antonio Pellegrino continua a correre veloce sullo schermo, così non è che io possa riuscire a leggere, ma non lo sto facendo per quello, è perché sono contento, contento assai. Si, era da tanto che ci provavo, – quattro, cinque anni, questo blog nemmeno era ancora nato, erano i tempi di Le vie del lavoro – ma lui ogni volta mi diceva «lascia perdere, perché proprio io, ci stanno tante storie belle da raccontare qui, magari lo facciamo la prossima volta».
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Comincia con me che gli chiedo quando è stato che ha incontrato per la prima volta il lavoro e con lui che mi risponde «più di trent’anni fa. Adesso ne ho 39, ne avevo 7 o 8 quando andavo in campagna con i nonni. Coglievo ulive, portavo l’acqua ai mietitori e ai zappatori, innaffiavo l’orto. La campagna mi piaceva tantissimo, un giorno cavai (scavai) 20 voffe, i piccoli fossetti nei quali poi mia nonna piantava le patate. La nonna mi promise 100 lire a voffa, guadagnai 2000 lire, quando tornai in paese mi precipitai dal tabaccaio. Vendeva le gomme masticanti, quelle lunghe, rosa, alla fragola. Costavano 50 lire l’una, ne comprai 40, vinsi 3 palloni, gli unici 3 in palio per tutte lo stock di gomme che aveva il tabaccaio. I palloni erano Super Tele, un po’ troppo leggeri per dove giocavamo, ma fu una gioia immensa vincerli tutti.
Più avanti, avevo 13-14 anni, cominciai ad andare con papà che faceva, continua a fare, l’elettricista. Il mio compito era fare le tracce dove passavano i fili, insomma rompere le mura con la martellina, ma questo non mi piaceva come lavoro, non mi piacevano quelle case nuove, con tutto quel cemento. Ci andavo perché papà mi faceva guidare la Vespa, altrimenti non ci sarei andato.
A 15 anni ho cominciato a lavorare come cameriere e a 17 come pizzaiolo. Questo lavoro qui invece mi piaceva, ricordo che nel ristorante dove lavoravo feci il primo menù con i nomi indigeni delle pizze: ‘a pittari, in omaggio a Caselle, ’a spartana, perché a Casaletto Spartana si facevano i formaggi e dunque chiamai così la pizza ai quattro formaggi».

«Antonio, e la scuola?»
«La scuola era la scuola. Elementari, medie, iscrizione all’istituto tecnico statale sempre perché papà fa l’elettricista, il diploma, l’iscrizione a sociologia a Napoli, dove però duro solo 6 mesi: troppe spese, la fidanzata al paese, il gruppo musicale, se mi prometti che non lo scrivi ti dico come si chiamava e quale era la sua missione.»
«Antonio, se lo vuoi dire lo dici, poi decido io se lo scrivo o no, a ciascuno il suo mestiere.»
«Si chiamava Svitols, era un gruppo raggae all’italiana, aveva l’obiettivo di lubrificare le menti.»
«Un obiettivo facile facile.»
«Adesso non infierire altrimenti non ti racconto più nulla.»
«Mi taccio.»

«Alla fine lascio l’università e Napoli e me ne vado a lavorare in Toscana, a San Miniato. Avevo 19 – 20 anni e l’idea era di mettere da parte qualche cosa prima di partire per il militare, invece finisco tra gli esuberi di leva e rimango in Toscana 4 anni. Lavoro all’amministrazione in una società che vende apparecchiature elettroniche e apparati per i telefonini. Faccio un mutuo di 20 milioni per comprare il 15% della società, divento socio, guadagno 3000 euro al mese – siamo nel 2002 – però sono massacrato dal lavoro sabato compreso. La Toscana è fondamentale per la mia formazione umana e politica, conosco i contadini che hanno fatto la resistenza, riscopro il valore della mia cultura contadina, divento un militante, sono tra i partecipanti alle lotte del Forum G8 a Genova, si palesa sempre di più un contrasto etico tra quello che faccio nel lavoro e quello che penso della vita. 
Dopo 4 anni vendo la mia quota sociale e me ne torno a Caselle. Comincio a scavare con le unghie nella mia identità, a camminare per le montagne, ad ascoltare e riprendere storie con l’aiuto della telecamera che mi sono portato dalla Toscana.  La prima cosa che  faccio è  un documentario sui reduci di guerra, si intitola “Dai campi del lavoro a quelli della guerra”, intervisto 18 reduci, ancora oggi ne rimangono in vita 4. Dopo i documentari di guerra i pellegrinaggi, nel 2003 assieme ad alcuni amici costituiamo l’associazione Terra Madre e nel 2004 entro nella Pro Loco di Caselle, di cui poi sarò presidente per 6 anni. Con il lavoro dell’associazione e della pro loco e mettendo assieme i ricordi di infanzia e l’esperienza toscana con la sua cultura del palio nasce l’idea del Palio del Grano che realizziamo per la prima volta nel 2005.»

«Ma l’università?»
«Aspetta. Il palio diventa il catalizzatore di tutta una serie di attività, mi ci dedico completamente fino al 2007, l’anno in cui mi riscrivo all’Università, sempre a sociologia, a Napoli.
Nel 2008 iniziamo a recuperare i grani antichi – non solo ianculidda e russilidda, anche  altri – a dispetto di una visione locale che li pensava ormai morti, che pensava fosse irrealizzabile tornare a coltivare questi grani, perché non erano abbastanza produttivi. 
Nel 2010 nasce l’idea di allargare l’orizzonte del Palio e così invitiamo 8 paesi del Cilento a essere protagonisti di un gemellaggio costituito sulla base di una struttura relazionale presente nelle radici culturali della nostra terra, quella del “cumparaggio”: si tratta in buona sostanza di lavorare sulle relazioni interpersonali azzerando ogni forma di intermediazione e di formalità, ricollocando la relazione tra le persone delle diverse  comunità lungo un continuum di prossimità basato sulla fiducia.
Nel 2012 mi laureo, insieme ad alcuni amici costituiamo la Cooperativa Sociale Terra di Resilienza di cui vengo eletto Presidente e insieme a Jepis e a Bosconauta decidiamo di partire con Camp di Grano
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«Che cos’è per te la Cooperativa Terra di Resilienza
«Tante, tante cose. Per prima cosa direi che è un’ambizione, non un progetto, perché i progetti a un certo punto finiscono, mentre l’ambizione rimane per tutta la vita. Poi direi che è tanta fatica. I primi anni è stata durissima, con l’agricoltura sociale e il turismo esperenziale le risorse economiche sono quanto mai limitate, però naturalmente stiamo  sul punto e oggi siamo una realtà con 21 soci, 10 ettari coltivati a grano, uliveti, ortive (pomodori) e il prossimo progetto in dirittura d’arrivo è la costruzione di un mulino e del consorzio Monte Frumentario.
«Cioè?»
«Storicamente il Monte Frumentario era una struttura retta attraverso le confraternite che prestano il seme ai contadini con interessi che andavano dal 3 al 5 percento. A Caselle in Pittari nasce nel 17 secolo come Monte Frumentario San Giovanni Battista. Erano delle strutture di solidarietà, ce n’erano 1200 in tutto il Sud d’Italia.»
«Torniamo al mulino.»
«Ci sto tornando. Con questo background alle spalle il mulino nasce per diventare un punto di diffusione di semi e di tecniche innovative colturali che abbiamo prodotto con il nostro lavoro nel corso di questi anni.»

«Ci sta ancora qualcosa che mi vuoi raccontare?»
«Certo che si. Nel 2014 mi sono sposato con Stella e nel 2015 è nata nostra figlia Sofia Velia. Ecco, da un certo punto di vista, un punto di vista importante assai, direi che Stella e Sofia Velia sono la cosa migliore che mi sia mai capitata.»
«Perfetto, direi che abbiamo finito.»
«No Vincenzo, …»
No, no, scusate, questo l’ho raccontato già.
montefrumentarioIl video racconto di Mario Marius Mele
Di Mario Murius Mele racconterò molto presto, dirò della bellezza delle cose che fa e della fatica che ci sta dietro alle cose belle che fa, perché torniamo sempre lì, il genio di per sé non basta, senza il rigore, l’impegno, il lavoro, non si va da nessuna parte. Intanto gli ho chiesto di regalarci questo video, è il suo racconto del Palio del Grano 2016, che le parole a volte dicono un mondo, le immagini quel mondo te lo fanno vivere, ti ci portano dentro, naturalmente quando sono immagini come quelle che crea Mario. Buona visione.

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