Rosario, Malazè e i Campi Flegrei


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Si chiama Rosario ma io l’avrei chiamato Ulisse. La prima volta che l’ho visto questa immagine mi aveva folgorato ma poi me l’ero persa, l’altra sera no, più lui si raccontava e più a me veniva in mente l’Ulisse dalle mille risorse di cui scrive il filosofo François Jullien nel libro Pensare l’efficacia in Cina e in Occidente. Si, proprio lui, l’Ulisse abile, ingegnoso, astuto, polimorfo, l’archetipo dell’uomo che sa utilizzare razionalità e abilità in maniera inusuale, l’uomo della metis, dell’intelligenza pratica, della saggezza, del fiuto, l’uomo capace di mimetizzarsi all’occorrenza, che sa cogliere i fattori portanti in seno a una data situazione, sa assecondare il loro movimento e sa farli crescere.

Sì, per me Rosario Mattera, 57 anni, si può raccontare proprio così.
Il papà era di Procida, quindi un isolano, ricordatevelo questo particolare, faceva il lattaio, il contadino, il fruttivendolo e tanto altro ancora. La mamma, puteolana, era invece casalinga come si addiceva a quei tempi, con tutto quello che significava questo termine a quei tempi rispetto alla casa, alla famiglia e anche ai lavori del marito.

«Quando perdo mio padre – avevo 14 anni -, divento un po’ un’anima vagante, sono della generazione rock, frequento ragazzi più grandi di me, ai concerti dal vivo dei Deep Purple, dei Genesis, dei Soft Machine io c’ero – e poi un po’ di cantautori – Francesco Guccini, Claudio Lolli e compagnia bella – e qualche puntata nel jazz. Per diversi anni faccio il DJ per una radio del territorio, mi diplomo come ragioniere, gioco a pallone, fondo una cooperativa, mi iscrivo per un anno a economia e commercio e però me ne vado a sentire le lezioni di Domenico De Masi a sociologia. Dopo di che lascio l’università e me ne vado per un anno e mezzo in giro per l’Europa, a un certo punto sembra che io debba mettere radici tra Sanremo e Montecarlo e invece torno, mi iscrivo a Giurisprudenza, parto alla grande ma poi mi fermo perché reagisco male alla provocazione di un barone e scrivo così la parola fine alla mia carriera di studente universitario. Ah, faccio anche volontariato, ho sempre fatto  attività sociale,  per esempio mi sono occupato del recupero di persone affette da dipendenze gravi».

Cosa vi avevo detto? Odisseo.
Mi guarda e mi sorride sereno, io ricambio il sorriso e gli chiedo se non sia stato per caso lui il mitico studente che aveva lanciato la scrivania a quel dannato prof. che usava insultare gli studenti durante l’esame e lanciare via il loro libretto quando le cose non andavano come diceva lui. Rosario mi fa di no con la testa, poi cambia subito discorso, io non insisto, la mia era soltanto una curiosità, però non glielo dico che cosa ho pensato al tempo quando un mio amico mi raccontò l’accaduto.
Sperando di riuscire a mettere un po’ d’ordine nel racconto gi chiedo di parlarmi del suo rapporto con il lavoro e lui mi dice che appena perso il padre ha cominciato a lavorare. D’estate, da Luglio a Settembre, in un lido di Licola, al tempo meta della piccola borghesia napoletana, lavorava al montaggio delle cabine e poi al bar o al ristorante.
Con la radio come già accennato mettono su una cooperativa che organizza spettacoli, fa segreteria di meeting, gestisce iniziative a Villa Avellino, nella sua Pozzuoli. C’è anche un giornale, Tam Tam Flegreo, fa il difensore per diverse squadre di calcio che giocano in Promozione e anche quella è una fonte di guadagno. Fa anche l’assicuratore fino a che con il bradisismo e il blocco delle attività che ne consegue non rimane di punto in bianco senza attività.
«Che cosa strana Vincenzo. Da ragazzo badavo prima di tutto a essere pagato, da adulto accade il contrario. Comunque anche il mio percorso lavorativo è pieno di curve. Partecipo a un corso per lavoratore edile organizzato dalla Protezione civile finalizzato alla ricostruzione di Monterusciello, Pozzuoli. Finito il corso vengo assunto ma poiché non sono una persona docile e reclamo i miei diritti finisco in cassa integrazione. Seguo un altro corso e prendo il diploma di infermiere professionale ma anche lì a un certo punto mi rendo conto che neanche quella è la mia via.
Nel 1987 vengo assunto assieme a molti altri dal Comune di Pozzuoli grazie a una legge speciale post bradisismo. Prendo molto sul serio il mio lavoro, mi occupo di pubblici esercizi e di tempo libero, sto tutti i giorni sul mio posto di combattimento, lavoro rispettando le regole e per una lunga fase ho dato anche di più di quello che era mio dovere dare, poi però sono tornato alla norma, non è che puoi fare sempre il Masaniello, del resto una volta che finisco di lavorare, alle 15:15 (ho due rientri settimanali) ho abbastanza tempo per dedicarmi alle mie passioni, che poi sono anche il mio lavoro, perché se al lavoro ci togli la passione rimane solo la fatica.»

Ecco, questo non ve l’ho detto ancora ma Rosario – oltre  a continuare a fare attività sociale, a sostenere progetti di inclusione e tanto altro ancora -, ha un chiodo fisso in testa, un chiodo che viene da lontano e lo porterà lontano, un chiodo che ha avuto varie fasi e vari nomi, e che negli anni più maturi è diventato  prima Campi Flegrei a Tavola e poi Malazè.
Campi Flegrei a Tavola Il cratere del gusto nasce nel 2002 da un percorso che inizia dalla fine degli anni ’90. L’’idea è quella di creare un sistema enogastronomico che possa far emergere tutto il bello e il buono del territorio.
«Vincenzo, Campi Flegrei a Tavola è stato Il mio primo tentativo di mettere assieme tutta la filiera enogastornomica: produttori, ristoratori, cantine, bar, wine bar, ecc. Nel 2003 nasce il primo disciplinare, si chiama Il Cratere del Gusto, ha l’obiettivo di mettere a sistema le varie anime ed esperienze presenti sul territorio.»
«Sei un profeta del km 0.»
«E per forza. Dalle nostre parti tu vai in una cantina, vai a parlare con le persone che la portano avanti, e ti rendi conto che stanno facendo un percorso su un livello di qualità elevatissimo. Per farti un esempio per me il Piedirosso è il vino più moderno che c’è, perché lo puoi bere d’estate anche a 16 gradi e perché si abbina alla cucina attuale che ricerca la qualità nella leggerezza.»
«Non sei solo un profeta del Km 0, sei anche un ultras dei Campi Flegrei.»
«Forse, non te lo so dire. Quello che posso dire è che io i Campi Flegrei li vivo come se fossero un’isola. Ogni volta che porto persone in giro scopro angoli nuovi, è il mio territorio, qui sto bene, vivo bene, è il mio amore per questa terra che mi porta a fare in questo modo le cose che faccio. Vedi, io ho avuto sempre una grande passione per l’enogastronomia, e mi ha sempre affascinato l’interesse che gira intorno al nostro territorio. Malazè da diversi punti di vista è stato un momento di grande ribellione contro il tentativo di colonizzare i Campi Flegrei.»
«Già, Malazè, che come avete scritto sul sito “negli anni è diventato un laboratorio diffuso di innovazione territoriale dove si sperimentano e si attivano nuovi percorsi di sviluppo a base creativa e culturale che combinano la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale, ambientale e paesaggistico con il food, il sociale, le nuove tecnologie digitali, il design e il fare impresa. Una dimensione in cui si coniugano sviluppo, identità e sostenibilità.” Ci dici qualcosa di più?»

«Certo che si, però ti faccio un riassunto altrimenti non la finiamo più. Nel 2005 dopo aver vissuto una brutta esperienza con un finto imprenditore vero predatore lavoro per nove mesi e nel 2006 nasce Malazè. Rischio di mandare all’aria la famiglia ma vengo fuori con due convinzioni e un’idea forte.
 Le due convinzioni: non voglio fare la sagra del pesce azzurro; bisogna impedire che questo territorio continui a essere invaso dai barbari del turismo giornaliero di bassissima qualità. L’idea forte: Malazè deve essere una rete, deve creare opportunità concrete per i campi flegrei, deve mettere a sistema l’economia territoriale nelle sue diverse facce, deve favorire l’interazione tra i diversi operatori.
Ti faccio un esempio per tutti. E’ nata un’azienda  a chilometro zero a Monte di Procida, è stata messa su da due giovani a partire dall’azienda agricola dei genitori, 4 ettari purtroppo spezzettati come tutti gli appezzamenti agricoli da queste parti. Ecco, è bastato che un ristoratore della nostra rete cominciasse a comprare i prodotti di questi giovani agricoltori che subito dopo sono diventati quattro. Vincé, si sta capendo una cosa importante, che stare assieme è conveniente, è conveniente comprare dal territorio, si paga qualcosa in meno, si fa l’ordinazione via whatsapp e si ha il prodotto la mattina stessa appena colto. In più questi giovani stanno facendo il primo laboratorio per la certificazione della trasformazione del prodotto il che apre un’altro scenario molto interessante. Ti faccio anche qui un solo esempio: quei prodotti locali che oggi non hanno mercato – come l’arancia e il mandarino flegreo – perché si preferiscono prodotti senza semi potranno diventare ottime marmellate con il marchio Malazè tipicamente flegreo.»
«Direi che si sta cominciando a innescare un meccanismo virtuoso.»
«Proprio così. Come mi piace dire io non sono un organizzatore di eventi sono un creatore di economia; in questo senso Malazè non è un evento, è laboratorio, è conoscenza, è innovazione, è design, è connessioni. La stessa idea della prima Guida Eno Gastronomica dei Campi Flegrei, che abbiamo realizzato per la decima edizione di Malazè, nasce da questa cultura, da questa impostazione.»
«Insomma il lavoro non ti spaventa.»
«Vincenzo, io non sono perfetto, ho molti difetti, e anche un buon numero di nemici, molti dei quali vedono male le cose che faccio perché loro non le riescono a fare. Però come ti ho detto se le cose se non le fai come si deve sono solo fatica e invece per me il lavoro è motivazione, è voglia di sentirsi parte importante di un processo non finalizzato a se stessi ma a un progetto comune. Con i soldi ho un rapporto normale. Quando sei pieno, soddisfatto di quello che fai, ogni altra cosa che aggiungi tracima, come un bicchiere d’acqua riempito fino all’orlo, anche la goccia in più finisce persa.
 Vincenzo, a me che non ho saputo dare a mia madre la soddisfazione di laurearmi adesso mi chiamano a fare docenze all’università per parlare di Malazè. E sai che è successo l’ultima volta? Doveva durare un’ora ed è durata due. Vincé quelli i ragazzi spesso vengono perché prendono i crediti, però  se stanno due ore invece che una vuol dire che gli stai dando qualcosa, che i crediti non c’entrano più, e queste sono soddisfazioni. O no?»
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