La blockchain del lavoro ben fatto

[VERSIONE 13.05.2019]
Caro Diario, sono davvero felice di condividere con te un’idea che se riusciamo a farla diventare prima un progetto e poi una possibilità potremo far fare un bel passo in avanti alla nostra comunità del lavoro ben fatto. Sì amico Diario, bisogna che ci lavoriamo su, e quando dico «ci» intendo tu, Giuseppe Jepis Rivello e io che è da un po’ abbiamo preso a cuore la questone, Matteo Bellegoni e Luca Moretti che loro se si appassionano possono dare una bella mano, le amiche e gli amici con le/i quali ho avuto modo di parlarne e più in generale tutte/i quelle/i che avranno voglia di dare il loro contributo di idee e di proposta.
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INDICE
1. Background
2. Idea
3. Campo del lavoro ben fatto
4. Obiettivi
5. Domande
6. Interventi
7. Per saperne di più

Background Torna all’indice
Il punto di partenza è quello che ho raccontato in questo post, cioè che a determinare la storia e il carattere, i successi e i fallimenti delle idee, dei progetti, delle imprese non bastano, di per sé, né le persone con il loro talento e il loro lavoro né la forza e la consistenza delle strutture nelle quali esse lavorano, né le opportunità potenzialmente presenti in un determinato ambiente o contesto. […] È grazie alle connessioni che tengono assieme il talento individuale, la forza dell’organizzazione nella quale il talento opera e le caratteristiche del contesto con il quale l’uno e l’altra interagiscono che si fa la differenza.

Idea Torna all’indice
Grazie al lavoro ben fatto, alla fiducia e alla tecnologia blockchain possiamo cambiare la storia e il futuro. L’ho raccontato a inizio Aprile 2019 a Matera e te lo ripeto qui,  con il passaggio dall’internet dell’informazione all’internet del valore la #blockchain può essere la tecnologia che fa diventare sistema il lavoro ben fatto fondato sulla fiducia, in maniera tale che finalmente i buoni vincano e i cattivi perdano, che finora è successo quasi sempre il contrario.
Le ragioni per le quali a vincere sono quasi sempre i cattivi sono tante, ne ricordo in maniera sintetica e per molti versi approssimativi solanto una: i buoni non riescono a fare sistema, i cattivi sì. Proprio così amico Diario, tra i buoni trovi tantissimo talento e tanta buona organizzazione ma qui si fermano, i cattivi no, loro hanno talento, organizzazione e capacità di fare sistema, pensa alle mafie, persino quando si ammazzano non perdono mai di vista la necessità di non mettere in discussione ‘o sistema.

Campo del lavoro ben fatto Torna all’indice
La parola campo la amo a prescindere, ma in questo caso il riferimento non è all’agricoltura ma alla fisica, la devo a Carlo Rovelli e a uno dei suoi bellissimi libri, L’ordine del Tempo, nel quale a un certo punto scrive che «i fisici chiamano campi le sostanze che costituiscono, al meglio di quanto sappiamo oggi, la trama della realtà fisica del mondo. […] I campi di Dirac sono il tessuto di cui sono fatti tavoli e stelle. Il campo elettromagnetico è la trama di cui è fatta la luce e insieme l’origine delle forze che fanno girare motori elettrici e ruotano l’ago della bussola verso il Nord. Ma c’è anche il campo gravitazionale: è l’origine della forza di gravità, ma è anche la trama che tesse lo spazio e il tempo di Newton, sulla quale è disegnato il resto del mondo.»
Data questa suggestione, ho pensato al campo del lavoro ben fatto come alla trama della realtà culturale, sociale ed economica su cui tessere i sistemi di relazione e di fiducia tra le persone, le organizzazioni, le comunità, i territori che amano quello che fanno, e lo fanno bene, qualunque cosa esse/i facciano.

Obiettivi Torna all’indice
1. Aggiungere valore al lavoro ben fatto delle persone, delle organizzazioni e dei sistemi territoriali attraverso l’utilizzo della tecnologia blockchain.
2. Creare la blockchain del lavoro ben fatto che validi i passaggi di valore – culturale, sociale, economico – tra i soggetti, le organizzazioni, le comunità, i territori che compongono il campo del lavoro ben fatto.

Domande Torna all’indice
Raggiungere gli obiettivi non è mai facile, ci vogliono idee, risorse e anche una spruzzata di serendipity, in questo caso ancora di più, io per adesso insieme a Jepis e al resto della big band ho cominciato a mettere in fila delle domande, contiamo di definirle sempre meglio, come sai definire nel modo giusto le domande aiuta molto a trovare le risposte.
Eccole dunque, suddivise per argomenti:

CARATTERISTICHE GENERALI DELLA BLOCKCHAIN #LAVOROBENFATTO
1. Realizzare / Utilizzare una blockchain permissionless, permissioned o privata?
2. Partire con una piattaforma privata e poi evolvere verso una permissionless?
3. Quali sono le risorse – umane, organizzative, tecnologiche, finanziarie – necessarie a sostenere un progetto di questo tipo?
4. Quale protocollo consentirà lo scambio e il funzionamento dei Token all’interno della blockchain?
5. Quali caratteristiche avrà il WhitePaper che stabilisce principi, funzionamento e “costi” della blockchain del lavoro ben fatto?
6. Quali caratteristiche avrà lo Smart Contract che gestisce i feedback dei partecipanti?
7. Altro

CARATTERISTICHE SPECIFICHE DELLA BLOCKCHAIN #LAVOROBENFATTO
1. Quali sono i fattori che concorrono alla definizione della reputazione dei componenti la blockchain?
2. Qual è il valore che si scambia?
3. Chi chiede che cosa chiede e chi dà che cosa dà?
4. Chi è che di volta in volta approva un cambiamento in un blocco?
5. Qual è l’oro digitale di riferimento di una eventuale criptovaluta?
6. Qual è il peso di una eventuale criptovaluta rispetto al valore dei prodotti o servizi?
7. Come è possibile spendere il valore dell’eventuale criptovaluta?
8. Altro

REGOLE GENERALI DELLO SMART CONTRACT #LAVOROBENFATTO
1. Quali sono i criteri che definiscono lo smart contract?
2. Come garantire l’applicazione in ogni attività e contesto lavorativo di tutti gli articoli del Manifesto del Lavoro Ben Fatto?
3. Altro

CARATTERISTICHE TECNICHE DELLA BLOCKCHAIN E DELLO SMART CONTRACT #LAVOROBENFATTO
1. Usare una piattaforma esistente tipo Ethereum?
2. Usare Hyperledger Burrow, progetto ospitato dalla Linux Foundation che fornisce un client di blockchain modulare con un interprete degli smart contract sviluppati secondo le specifiche della Ethereum Virtual Machine (EVM)?
3. Realizzare una piattaforma proprietaria?
4. Altro

MODALITÀ DI FINANZIAMENTO
1. ICO – Initial Coin Offering?
2. Finanziamenti europei?
3. Finanziamenti Nazionali e/o regionali?
4. Crowdfunding?
5. Autofinanziamento (totale o parziale)?
6. Altro

POSSIBILI PROTOTIPI
1. Componenti della Comunità #Lavorobenfatto?
2. Componenti della Comunità #Cip?
3. Componenti di altre Comunità?
4. Un mix delle Comunità 1 – 3?
5. Una blockchain privata che certifichi il lavoro ben fatto dei partecipanti e realizzi una sorta di sistema qualità distribuito e partecipato a prova di errore, di familismo e di amoralità?
6. Altro

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Interventi Torna all’indice
Matteo Bellegoni: Caro Vincenzo, ho letto della tua idea di costruire una blockchain del lavoro ben fatto per validare i passaggi di valore (culturale, sociale, economico) tra i soggetti, le organizzazioni, le comunità, i territori che compongono il campo del lavoro ben fatto e vorrei contribuire a questa idea con qualche pensiero.
Devo confessare che la trovo un’idea avvincente anche perché mi da modo di esplorare ulteriormente temi che ho affrontato in questi mesi e pertanto mi spinge a interrogarmi principalmente su due elementi che voglio condividere con te e la comunità del lavoro ben fatto.
Innanzitutto c’è il tema della creazione, condivisione e utilizzo di quello che mi spingo a definire plusvalore sociale: una comunità di soggetti individuali e collettivi che decidono di creare una filiera del sapere e del saper fare.
Un contenitore che sia in grado di raccogliere, custodire, alimentare il plusvalore valore sociale che oggi è disperso oppure monopolio dei grandi soggetti economici e finanziari mondiali, potrebbe avere un ruolo decisivo nel restituire umanità allo sviluppo del mondo.
L’elemento centrale è l’unità nella diversità, il riappropriarsi di una costruzione collettiva di un patrimonio collettivo che oggi è disperso e frammentato tra diversi soggetti, comunità, organizzazioni e territori.
La diversità, senza l’unità, è un patrimonio potenziale inespresso, perché senza un campo dove coltivare tutti insieme idee e progetti non c’è contaminazione, non c’è scambio e pertanto non c’è evoluzione.
A questo punto potrei azzardarmi ad affermare che il motore invisibile del plusvalore sociale è l’umanità, nelle sue espressioni individuali e collettive, nelle sue forme astratte e concrete, nelle sue radici territoriali, nella sua dimensione di comunità, nell’espressione più profonda della bellezza.
Mi piacerebbe pertanto che questa blockchain fosse un campo dove poter coltivare umanità e dove ognuno possa piantare il proprio seme e godere dei frutti collettivi, ma anche il laboratorio di progetti che si prefiggono di spargere il seme dell’umanità nel mondo, affinché ci possano essere altri campi, e poi connessione e condivisione tra i campi, per arrivare domani alla creazione di una strada alternativa allo sviluppo umano.
L’altro elemento, che a mio avviso è conseguente al concetto di umanità, è il tempo, la risorsa più preziosa che ognuno di noi possiede.
In questo progetto dovremmo avere l’ambizione di ridefinire il concetto di tempo, provare ad uscire dal concetto produttivistico che anima la società capitalistica fin dai suoi albori e ridare valore al tempo che abbiamo dedicato e che dedichiamo alla nostra formazione, informazione, alla comunità, al territorio, alle idee, ai progetti, perché questo è il motore invisibile di cui parlavo, quello che determina il plusvalore diffuso che dovremmo provare ad intercettare e valorizzare in tutti i suoi multiformi aspetti.
Questa analisi mi porta pertanto a proporre che la misurazione del valore prodotto attraverso la blockchain, la “moneta” da utilizzare, sia il tempo, perché non solo l’apporto concreto che ognuno di noi potrà e vorrà dare è misurabile in tempo, ma anche idee e progetti sono in fondo un investimento individuale o collettivo di tempo per crearli.
Il lavoro ben fatto a mio avviso si deve basare su due elementi essenziali : umanità e tempo.
Questi per me sono i due criteri per accedere alla comunità, per misurare l’apporto di ogni soggetto e per regolare gli scambi che avverranno.

Andrea Danielli: Ciao Vincenzo, eccomi con la mia lista di domande e di dubbi:
1. Perché partire da un’infrastruttura tecnologica che richiede competenze e investimenti tecnologici e, al contempo, non garantisce una soluzione al problema principale?
2. Che problema? La verifica del rispetto delle condizioni previste per far parte del network non può essere demandata a un algoritmo, servono dei verificatori umani (tre appartenenti al network scelti in maniera random?).
3. Se la parte più forte è la rete e non lo strumento è evidente che non servono pagamenti in criptovalute all’interno della rete (anche se potrebbe avere un senso una valuta complementare, a compensazione, che rinforza l’appartenenza al network, per esempio Sardex).
4. Per concludere, per me la parte più forte è una rete che sottoscrive nella sua attività il lavoro ben fatto e per questa via si rinforza. Lo possiamo fare a costo quasi zero, con una autodichiarazione verificata dai membri. È qui che investirei energie, per capire come verificare e come insegnare a verificare.»

Michle Kettmajer: Caro Vincenzo, i miei due cent. Ho letto la tua idea, però devo ascoltarla bene da te, magari dopo ‘na sfugliatèlla mangiata insieme. Da quel che ho capito per ora non sono sicuro che serva necessariamente una blockchain per fare quello che hai in mente. Per tanti motivi. Il primo è che blockchain è una tecnologia affascinante, utile in molti casi, spesso per nulla, utilissima nel prossimo futuro quando magari sarà meno bastarda di quanto lo è ora. Come mi ha insegnato Massimo Chiriatti blockchain è prima di tutto un sistema di governance e da li bisogna partire per capire se è utile o meno all’idea. Magari basta per iniziare un databasE relazionale. Poi se prevedi una utility token, ma anche qui non è detto che serva usare una blockchain, si dovrebbe renderlo stabile perché un modello sul lavoro non può essere speculativo come lo sono il 90% delle crypto currency, anzi. Poi appunto sarebbe da identificare il sistema di governance del modello e tante altre cose da considerare. Io, per quel poco che capisco, ci sono, però prima la sfogliatella! Un abbraccio.

Luca Moretti: Mi scuso del fatto che non sto interagendo come vorrei ma il mio lavoro di libraio mi prende molto. In ogni caso per adesso penserei alla blockchain in maniera scollegata dal ragionamento criptovaluta, al massimo con dei token di qualità al posto di una moneta vera e propria per certificare il livello di congruenza di ciascun partecipante con le finalità, i valori e gli obiettivi della blockchain. Per quanto riguarda le decisioni, il doppio canale che hai prospettato tu nel gruppo secondo me non va bene, non ci può essere un doppio binario altrimenti non è più una blockchain, quello che possiamo fare è alzare il numero e/o la percentuale di coloro che devono approvare una decisione prima che diventi operativa. Naturalmente questo rallenterà il processo ma aumenterà il livello di condivisione e difenderà meglio la blockchain da possibili pericoli. Tieni presente che il meccanismo della blockchain dovrebbe prevedere comunque la possibilità di modificazioni e cancellazioni se non vengono rispettate le regole che ci siamo dati.

Fausto Villani: Caro Vincenzo, quando il denaro era formato da pezzi d’oro o d’argento, il lungo periodo della circolazione aurea, poco importava chi avesse coniato quella singola moneta, semplificando notevolmente potremmo dire che l’emissione di moneta era: a) decentralizzata (chiunque poteva “battere” dell’oro e creare moneta); b) a circolazione quasi universale. 

Solo in tempi abbastanza moderni, circa dal settecento, si è iniziato a coniare monete composte da metalli meno “nobili” e leghe. La storia più recente è caratterizzata dall’emissione di carta moneta che, salvo periodi bellici, poteva essere convertita a valore fisso con l’oro, potremmo dire una forma più moderna e pratica di circolazione aurea ma, pur sempre circolazione aurea.
Il 15 agosto 1971 Nixon, per sostenere le enormi spese della guerra nel Vietnam, sospese gli accordi di Bretton Woods, sottoscritti nel 1944 e che avevano impedito libere fluttuazioni monetarie e prevenuto qualsiasi genere di crisi finanziaria, dando vita ad un sistema monetario a libera emissione, ogni Stato era libero di coniare tutta la moneta che voleva.
Questo meccanismo, come ben sappiamo, ha dato il via ad un capitalismo senza limiti, dove si ritiene che tutto sia possibile, fatto da ascese repentine e crolli ancora più rapidi. Il fondamento di questo sistema monetario è il controllo dello Stato sull’emissione della moneta e da qui discende l’assoluto divieto da parte di soggetti non statali all’emissione di moneta. Potremmo dire, sempre semplificando, che il valore della moneta attuale si basa sulla fiducia verso uno Stato emittente e sulla possibilità di scambiare beni e servizi (almeno nello Stato emittente) in cambio di moneta.
In realtà le cose non stanno esattamente così perché, oltre agli Stati, anche le Banche autorizzate dagli Stati stessi possono emettere moneta e lo fanno nel momento in cui concedono denaro in prestito di cui, in realtà, non ne sono in possesso basandosi sulla regola della “riserva frazionaria”, cioè possono concedere prestiti per importi notevolmente superiori alla riserva liquida realmente posseduta.
Tutto questo normato e benedetto dagli Stati sovrani, per aumentare la massa di denaro circolante che a sua volta aumenta consumi, investimenti e  PIL.
Questa lunga premessa mi serve per alcune riflessioni.
Il modernissimo ed iper tecnologico Bitcoin (ma anche le altre criptovalute) è in effetti un tentativo di ritorno al passato basato sugli stessi concetti validi nel periodo della circolazione aurea: difficoltà ed onerosità dell’estrazione; universalità dell’impiego; inutilità di un Stato centrale emittente e regolatore; scarsità di disponibilità.
Potrebbe, perciò, al di là delle speculazioni di breve periodo, ripristinare una situazione di calma monetaria, eliminando le fluttuazioni di cambio e le emissioni facili, fornendo il ruolo di “riserva” e di “cambio fisso” con le altre criptovalute (come una volta l’oro).
Insomma un risvolto alquanto diverso, se non opposto, rispetto all’utilizzo essenzialmente speculativo che se ne sta facendo oggi.
La tecnologia blockchain, nelle sue varie accezioni, potrebbe a propria volta portare alla disintermediazione delle transazioni tra persone in tantissime situazioni che oggi non riusciamo neanche a pensare: compravendita di beni mobili ed immobili, sicurezza alimentare, identità delle persone, strumenti per lo stimolo dello sviluppo locale e la cooperazione degli attori economici, miglioramento dei meccanismi di scambio informazioni “machine to machine”, ecc.
Il tutto basato sulla sostituzione di due paradigmi che potrebbero diventare obsoleti: fiducia tra le persone e fiducia nelle istituzioni pubbliche, con un nuovo paradigma: fiducia sull’immodificabilità delle informazioni connesse alle transazioni (di qualsiasi tipo) e fiducia negli smart contracts.
Questo significa che una volta stabilite le regole (di una vendita, di un gioco, di un esame, ecc.) ci sarà un computer che le esegue automaticamente, al verificarsi delle condizioni indicate, basandosi su una di quelle “leggi” che il grande Asimov aveva previsto già da tempo: la disumanità del computer sta nel fatto che una volta programmato e messo in funzione, si comporta in maniera perfettamente onesta.
Questo scenario potrebbe avere, in un prossimo futuro (magari già nel 2018), come accaniti oppositori gli Stati e le grandi istituzioni finanziarie che, come abbiamo visto, basano il loro potere sulla possibilità di essere gli unici soggetti con l’autorità di emettere moneta e gli unici certificatori di ciò che è reale e di ciò che non lo è.
Fantasia? Previsioni azzardate? Al momento, credo, nessuno sia in grado di prevedere dove questa nuova rivoluzione ci stia portando, un po’ come, agli albori della nascita di Internet, nessuno era in grado di prevedere compiutamente cosa internet sarebbe stata e diventata.
Una cosa mi sento di dire, e la riassumo così: se Internet, come affermato dal suo inventore, Tim Berners Lee, è più un’innovazione sociale che un’innovazione tecnica, blockchain sarà più un’innovazione politica che un’innovazione tecnica.

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