Mercoledì 19 Luglio 2017
Caro Diario, venerdì sono al Campus Party per raccontare l’Italia che mi piace, quella piena piena piena di bellezza e di futuro, quella che fa bene le cose perché è così che si fa, quella che si riconosce nel lavoro ben fatto e nel nostro Manifesto. Che poi tu lo sai come la penso, l’Italia che racconto io c’è, è tanta, esiste, si vede anche dalle storie che ti racconto, e dunque sono felice di essere a Milano, è una nuova, bella occasione per far crescere e moltiplicare la nostra comunità fatta di donne e di uomini normali che ogni mattina mettono i piedì giù dal letto e fanno bene quello che devono fare, qualunque cosa debbano fare, a prescindere.
Come dici? È un peccato che io non possa anticiparti quello che dirò? Ma no, dai, Venerdì arriva presto e ti prometto che appena finito il mio speech mi faccio vivo. Che poi già il titolo secondo me dice un mondo: Il Manifesto del lavoro ben fatto: l’Italia, la bellezza, il futuro. E dato che ti voglio bene ti dico anche dei 5 articoli del Manifesto, delle 8-8 persone e delle 5 – 6 idee che saranno sicuramente con me sul palco del Campus Party:
Ti assicuro che i 5 articoli non è stato facile sceglierli, anzi ti confesso che mi sento come se avessi fatto un torto a tutti gli altri, che sono davvero ugualmente importanti, però insomma visto che tutti non li posso commentare ti metto in fila la mia cinquina, che poi tu la vedi e capisci subito il criterio con cui ho fatto la mia scelta: 1, 2, 3, 51, 52.
La scelta è stata decisamente meno complicata con le 7-8 persone e le 5-6 idee, eccole:
Pasquale Moretti, mio padre, che quando avevo 11-12 anni mi ha spiegato la differenza tra il lavoro preso di faccia e il lavoro ‘a meglio ‘a meglio.
Cesare Pavese e La luna e i falò e Nuto che dice ad Anguilla che l’ignorante non si conosce mica dal lavoro che fa ma da come lo fa.
Primo Levi che nel corso di una conversazione con Philip Roth racconta del muratore italiano che gli ha salvato la vita e che detestava i tedeschi, il loro cibo, la loro lingua, la loro guerra eppure quando gli chiedevano di tirar su un muro lo faceva bello dritto e solido, ma non per obbedienza, per dignità professionale.
Steve Jobs che racconta a Walter Isaacson del padre Paul che gli ha inculcato l’idea che bisogna fare bene anche le parti che non si vedono delle cose, come ad esempio il retro delle staccionate e degli armadi.
Donatella Trotta che mentre facciamo una chiacchierata per l’articolo che sta scrivendo mi racconta di La voce del fiume e della donna che dopo aver fatto il proprio lavoro – pulire i cessi pubblici – lascia appiccicato un biglietto con su scritto «abbiatene cura, questo è il mio posto di lavoro, ci tengo molto».
Luigi Cozzella, salumiere napoletano, che mentre si racconta mi dice che il lavoro è lavoro sempre, che non è che perché uno fa il salumiere e non il chirurgo o l’architetto vuol dire che il suo lavoro non vale. «Un panino è un panino, e se lo fai buono è bello uguale, uno lo mangia e dice questo è un panino fatto come si deve, è una cosa seria.»
Ecco amico Diario, direi che con il panino di Luigi ci possiamo fermare, anzi no, perché ti devo dire ancora delle 5 parole che mi guideranno, che loro – le parole – come sai sono importanti, il grande L. W. le ha definite gli arnesi che ci permettono di accedere alle cose del mondo. Eccole dunque, in ordine di apparizione: senso, bellezza, giustizia, convenienza, possibilità.
Ecco, adesso è davvero tutto, mi raccomando, tu continua ad aiutarmi a diffondere e a far firmare il nostro Manifesto che io nel pomeriggio di Venerdì ti faccio sapere come è andata, wifi Trenitalia permettendo.
Venerdì 21 Luglio 2017
Eccomi qua amico Diario, come ti avevo promesso. Prima di parlarti del mio speech di oggi ti devo dire di ieri sera, che all’arrivo a Milano ho trovato il mio amico Rodolfo Baggio ad aspettarmi all’uscita del Gate D – lascia perdere, sono tempi di inutili complicazioni, anche entrare e uscire da una stazione ferroviaria è diventato un affare di stato – e ce ne siamo andati a casa sua, dove insieme alla cara Lucia Loffi ho trovato anche il primogenito, Jacopo A. Baggio, che quella è stata davvero una botta di serendipity dato che lui vive negli Usa, dove lavora come Assistant Professor di Social Ecological Systems Modelling and Analysis alla Utah State University. Si, sono stato contento assai, prima di tutto perché mi sono sentito a casa, che come sai non è mai un fatto scontato, e poi perché Jacopo è un personaggio, ha l’approccio alla conoscenza che piace ai suoi genitori e anche a me, e poi un senso della famiglia, e delle proprie radici – non solo l’Italia e Milano, anche Napoli – che neanche due ore dopo che l’avevo conosciuto ho comiciato a sentirlo come un giovane vecchio amico. Niente, questo è, bella serata, bella cena, belle chiacchiere e bello anche il viaggio con Rodolfo che mentre mi accompagnava ina uto in albergo, zona Fiera, mi ha raccontato e mi ha fatto vedere alcune delle cose nuove che sono accadute e che stanno accadendo a Milano.
Verso le 11.30 p.m. mi sono messo a dormire e verso mezzanotte ho preso sonno, però alle 4.1o a.m. ero già sveglio, che per quelli come me il mix «sindrome di Proust» più «speech del giorno dopo» è micidiale.
Stamattina meno male che sono uscito dall’albergo molto in anticipo, meno male perché a un certo punto mi sono accorto che avevo lasciato il telefono in camera e dunque torna indietro, fatti ridare la chiave elettronica, risali su e ricomincia dalla casella di partenza, che per fortuna la serendipity ha colpito ancora e così ho incontrato Raffaele Gaito, che ci conosciamo e abbiamo amici in comune però di persona è stata la prima volta, e così il secondo giro l’ho fatto con lui, ed è stato una bella occasione per raccontarci un po’ di cose, che mi sa molto presto le racconto anche a te.
Da qui in poi è filato tutto abbastanza liscio, a Campus Party tutti sono stati molto gentili e disponibili e insomma le cose che ho raccontato io sono quelle che ti avevo anticipato mercoledì, che poi quando sarà pronto il video lo pubblico anche qui.
Che ti devo dire, alla mia età me ne accorgo abbastanza quando una cosa che faccio funziona e oggi secondo me ha funzionato e dunque sono contento.
Sono contento per le persone che sono venute a scambiare qualche parola una volta terminato il mio speech, compreso il tecnico di ripresa, che insomma quando tu stai lì per lavorare non è mica detto che hai voglia di dire la tua e di stringere la mano allo speaker di turno.
Sono contento per aver incontrato tante nuove belle persone, a partire da Emanuele Cavaliere Gaito, il fratello di Raffaele, e da sua moglie, che con i Gaito finisce come con le pizze di Peppeniello in Miseria e Nobiltà, nel senso che quelle storie passano a due.
Sono contento per le domande che mi sono state fatte alla fine, che anche quello ti aiuta a capire fino a che punto sei riuscito a connetterti nella maniera giusta, a creare i link giusti con le persone che sono venute ad ascoltarti. Sì, grazie alle domande che mi sono state fatte sono potuto tornare sull’importanza di creare l’ambiente culturale, il contesto, in grado di sostenere il talento e di potenziare le capacità organizzative del sistema Paese, sono potuto tornare sul concetto di fatica e sull’importanza di quello che ciascuno di noi ci mette nel processo di cambiamento culturale e sociale che attiviamo quando facciamo bene quello che dobbiamo fare, sono potuto tornare sulle due cose che secondo me sono quelle davvero decisive per fare un lavoro ben fatto: l’amore che metti nelle cose che fai e l’abitudine a fare bene quello che devi fare. Sì, è accaduto all’ultima domanda, quando mi è stato chiesto qual è la molla che spinge a fare bene le cose, e poi, più direttamente, cos’è che spinge una persona di 62 anni come me ad alzarsi così presto la mattina per scrivere una articolo o la pagina di un libro e io ho risposto che è l’amore per quello che faccio e l’abitudine a fare bene le cose.
Proprio così amico Diario: l’amore per quello che fai ti dà la spinta, l’abitudine ti sorregge, ti fa tenere il passo anche quando sei stanco, anche quando vorresti cedere, persino quando non te ne importa, che siamo tutti essere umani e abbiamo tutti momenti così, è lì che scopri che sei abituato a fare bene le cose, che non sei capace di farle altrimenti. Perché funziona davvero così, ci si abitua, proprio come ci si abitua ad allacciarsi bene le scarpe o ad abbottonarsi nel modo giusto la camicia, che non è che se sei arrabbiato o demoralizzato le scarpe le allacci una con l’altra o la camicia la indossi all’incontrario.
Sì, ho finito proprio così, dicendo che secondo me è per questo che ce la possiamo fare. Ce la possiamo fare se capiamo che fare bene le cose ha senso, è bello, è giusto, è possibile, conviene. Se capiamo che mentre siamo impegnati con altri come noi e diversi da noi a combattere l’ingiustizia sociale dai mille volti, a conquistare diritti e rispetto per il lavoro e per chi lavora, a lottare per un mondo che dia meno valore ai soldi e più valore al lavoro, meno valore a ciò che si ha e più valore a ciò che si sa e si sa fare, non possiamo smettere di fare bene quello che dobbiamo fare, a prescindere. Se capiamo che fare bene le cose vuol dire prima di tutto mostrare rispetto per noi stessi e per il nostro lavoro. Ecco, se capiamo questo, ci abituiamo, e una volta che ci siamo abituati non riusciamo più a fare diversamente, semplicemente non possiamo.
Te lo posso dire ancora una volta amico mio? Sto in un treno A.V. dove quelli di 197 cm come me stanno scomodi anche quando stanno bene figurati adesso che la schiena mi dà i tormenti, prima delle 8.00 p.m. non sarò a casa, eppure stasera quando metterò la testa sopra il cuscino sarò contento. Ma no poco, assai.
Domenica 23 Luglio 2017
Caro Diario, sono arrivate le foto che mi ha fatto Emanuele Cavaliere Gaito. Gliene avevo chieste un paio e me ne ha inviate una ventina, per me una più bella dell’altra, ho scelto di farti vedere queste perché ritraggono la faccia e le mani, che come sai sono di per sé importanti assai e lo divengono ancora di più quando chi fa le foto sente quello che stai dicendo, ma non con le orecchie, con il cuore.
Lunedì 24 luglio 2017
Caro Diario, la giornata è cominciata con questo disegno di Gianluca Costantini – Lega Nerd, che ti devo dire, sono stato troppo contento e come sai le cose che mi fanno così contento non posso non condividerle con te.
Come dici? Attento a non diventare troppo vanitoso? Fai bene a ricordarmelo, ma non c’è pericolo, non è questione di vanità, è questione che quanto più le cose che racconto si diffondono più il mio lavoro, la tanta fatica che faccio, ha senso, e cose come queste sono di quelle che aiutano, come il disegno di Giovanni Di Vito con la maglietta rossa e la scritta #lavorobenfatto. Dopo di che, se ti dicessi che tutto questo non mi tocca sul piano personale ti direi una grande bugia, si campa anche di soddisfazioni amico mio, nel mio caso soprattutto di soddisfazioni, e alla fine se non fossi contento anche di me sarei una macchina e con tutto il rispetto per le macchine preferisco essere Vincenzo. Alla prossima.
Martedì 25 luglio 2017
Caro Diario, ecco il video del mio speech, quando puoi guardalo e poi fammi sapere se ti è piaciuto, e se vuoi farmi una domanda o vuoi dirmi come la pensi tu scrivimi, l’indirizzo è quello di sempre, partecipa@lavorobenfatto.org
Resto in ascolto.