Cara Irene, con Giovanni Fiscina siamo amici di famiglia, e come mi capita sovente in questi casi ogni qualvolta ho pensato di raccontare la sua storia mi sono detto va bene, aspettiamo, siamo troppo legati, fa brutto. Poi due anni fa ci siamo fatti una chiacchierata per Scritte® e a quel punto quasi non ci ho pensato più. È durato due anni, fino a quando siamo andati insieme a trovare Gianfranco Montano a Sant’Arcangelo. Con noi c’era suo padre Patrizio, mio fraterno amico, siamo più vicini di età, e durante il viaggio di andata Giovanni ci ha raccontato il suo sogno. Sì, amica mia, come avrebbe detto mio padre il sogno ha cambiato tutta la grammatica. Niente anticipazioni, leggi la sua storia, Giovanni usa parole e concetti semplici e profondi. Io torno alla fine, ho un piccolo messaggio nella bottiglia che intendo condividere con te, le nostre lettrici e i nostri lettori.
UN PO’ DI GIOVANNI
“Vincenzo ho 30 anni, sono sposato con Martina e abbiamo una splendida bambina di un anno, Anna.
Sono un ragazzo molto semplice, ti dico la verità. Sono cresciuto in una famiglia umile, fatta di lavoratrici e di lavoratori. Sono crescito con i miei genitori, i miei zie e le mie zie che hanno creato l’azienda di famiglia praticamente dal nulla. Sono stato sempre spronato a fare ciò che amo e farlo al meglio.
La famiglia per me è molto importante, la famiglia in senso ampio, non solo mia moglie e mia figlia, i miei genitori e mia sorella, anche zie/i, cognate/i, cugine/i, nonne/i, tutti insomma.
Alla voce cibo mangio un po’ di tutto, non ho un vero e proprio piatto preferito, comunque la pasta al forno e il pollo arrostito mi piacciono parecchio. Ti ripeto però che mangio di tutto: carne, pesce, verdura, pasta, tutto. L’unica cosa che non ho mai provato, e dunque non so se posso dire che non mi piace, è il cavolfiore, anche solo l’odore non lo sopporto.
Nelle relazioni con le persone mi piace molto l’umiltà. Secondo me è importante essere umile, sapere che si può sempre migliorare, che ci sono sempre cose che si possono imparare. Di conseguenza non sopporto la presunzione, chi pensa di sapere e di poter fare tutto.
Naturalmente mi riferisco a cose profonde, non superficiali, magari all’inizio anche la timidezza può essere presa per presunzione o distacco, poi quando una persona la conosci meglio ti rendi conto che non è così. Per farti un esempio, pure io per mia moglie ero un buffone, quando mi vide a scuola pensava che mi atteggiavo, però poi fortunatamente ha cambiato idea. In generale penso che bisogna essere sempre disponibili a cambiare idea, altrimenti poi si rimane vittima dei pregiudizi e non va bene.
Un altra cosa che mi piaceva è giocare a calcio, ho giocato a livello dilettantistico con la squadra di Caselle, poi ho avuto problemi alle ginocchia e ho smesso. Però giocare a pallone mi piaceva tanto. Continuo comunque a fare esercizio, ogni tanto una corsetta, e soprattutto la campagna, che mi rilassa un sacco.
Mi piace andare a fare la legna, le olive, ogni tanto vado con papà nel piccolo vigneto di famiglia.
Lavorare in campagna è faticoso, inutile negarlo, però è anche rilassante, perché stacchi la spina da tutto il resto.
Per farti un esempio, se stai concentrato a lavorare nella vigna, a preparare il terreno per il vigneto, ti liberi da tutti gli altri pensieri e ti dedichi solo a quello che stai facendo con l’obiettivo di ottenere l’uva migliore per la prossima vendemmia.
Cosa posso aggiungere ancora? Forse che più che andare al cinema mi piace guardare film e serie sulle diverse piattaforme, anche i documentari mi piacciono, soprattutto se parlano di moda, cultura e altre cose di questo tipo.
Ah, mi piacciono molto anche le canzoni di Max Pezzali.”
GIOVANNI E IL LAVORO
“Mah, professò, ti dico la verità, ho sempre voluto fare questo lavoro, fin da piccolo. Finita la scuola andavo ad aiutare i miei genitori e gli zii. Lo facevo nel pomeriggio e soprattutto in estate. Quando ero piccolo piccolo la fabbrica era sotto casa, quindi scendevo le scale ed ero là più che altro era un gioco, già mentre facevo le scuole medie davo una mano. Naturalmente non è che lavoravo proprio, facevo quello che potevo fare, respiravo l’aria della fabbrica non so come dire. Ti ripeto che a me fare scarpe è sempre piaciuto, già da piccolo mi sono innamorato di questo lavoro.
Quando sono diventato più grande, dopo i 16 anni, ho potuto dare una mano in modo diverso, ricordo che ho cominciato tagliando con la trancia la gomma piuma della parte posteriore della scarpa, quella che va sopra il tallone.
Però adesso che mi ci fai pensare c’è stato un momento in cui ho pensato di fare altro, è stato quando ho cominciato ad andare in fiera con zio Luciano, sempre per le calzature, a Milano, avevo 14 – 15 anni. Un mio compare di cresima, che ha degli alberghi lì, mi fece venire la voglia di lavorare negli alberghi. Ricordo che ripetevo spesso ‘io me ne devo andare a Milano quando mi faccio grande’ e altre cose di questo tipo. Andavo due volte all’anno a Milano, sentivo parlare sempre di soldi, soldi e soldi che si potevano guadagnare con gli alberghi e così presi questa fissazione.
Per fortuna, crescendo, capisci che la cosa importante non sono i soldi, che per carità servono, ma vengono dopo. Quello che viene prima è fare un lavoro che ami, che ti piace davvero, altrimenti la vita diventa troppo difficile, parliamoci chiaro.
Per esempio se devo fare il muratore ed è un lavoro che non mi piace e non ho mai fatto, posso andare avanti per 1, 2, 3 mesi, anche per 1 o 2 anni, ma a un certo punto non ce la faccio.
Invece io vado in fabbrica da quando ho finito la scuola, è stato il mio unico lavoro a tempo pieno e lo faccio volentieri. So che ancora oggi imparo cose nuove, anzi, ti dico di più, penso che non finirò mai di imparare cose nuove. C’è sempre un processo nuovo, c’è sempre un macchinario nuovo, e come ti ho detto prima per me questo è importante.
Nel mio lavoro in fabbrica ho fatto tante cose, mentre un’altra parte importante della mia formazione è stata quella che mi è venuta dai viaggi con zio Luciano. Già quando andavo a scuolo, ne abbiamo accennato prima, ogni tanto saltavo qualche giorno di scuola e andavo con lui nelle Marche.
Che facevamo? Prendevamo le tomaie da orlare, venivano orlate qua da noi e poi zio le riportava nelle Marche. In pratica tutta la tomaia veniva giuntata, tutti i pezzi della calzatura venivano assemblati e poi prima del montaggio ritornava nelle Marche perché al tempo non avevamo ancora il macchinario per il montaggio, eravamo ancora soltanto un tomaificio.
Grazie a questi viaggi, già da ragazzo cominciavo a capire il processo, naturalmente non come lo capisco adesso, ma comunque imparavo. Per dirti noi in quegli anni avevamo 4 macchine mentre arrivavi lì e vedevi calzaturifici che di macchine ne avevano 10, spesso più avanzate, e vedevi persone che montavano la scarpa.
Una cosa che mi rimarrà sempre è l’immagine di questo vecchietto, così almeno mi sembrava allora, che chiudeva le scarpe a mano, le montava, iniziava a dare la forma alla scarpa, chiudeva la parte d’avanti della calzatura e tutto questo la faceva a mano. Grazie alla mia curiosità, perché per fortuna sono curioso, facevo tante domande a questo vecchietto, perché poi vai una volta, vai due, vai tre, prendi confidenza, diventi quasi amico.
Con questi miei viaggi in pratica ho cominciato a imparare delle cose che poi mi sono ritrovato nel lavoro in azienda. È una cosa che mi è servita nel tempo, continuo a vederne i frutti oggi, tutte le cose che vedevo fare allora oggi io le faccio, e non è una cosa da poco.
Faccio tutto, compreso quello che faceva il vecchietto. Con l’aiuto del macchinario perché noi non premontiamo la scarpa a mano ma lo facciamo con la premonta automatica, però lo riesco a fare.
Ovviamente sono stato anche appresso a chi in fabbrica ha fatto quel lavoro per anni e così ho imparato. Torniamo sempre al discorso di prima prufessò, la passione. Se questa cosa non mi piaceva, se non mi mettevo a guardare per carpire i segreti di chi faceva quel lavoro prima di me, se facevo il mio e basta, se non mi mettevo a rubare il mestiere, oggi sarei diverso come lavoratore e come persona. Oggi io in fabbrica posso partire dalla “A” e portarti fino alla “Z”, conosco tutte le fasi del ciclo produttivo, passo dopo passo sono in grado di portare avanti tutto il processo, le macchine della manovia per me non hanno segreti.
Non nego che sul commerciale sono zero, zero proprio, perché non è stato mai il mio compito, ed è anche un lavoro che non mi piace, però dal punto di vista produttivo posso lavorare e lavoro con qualsiasi macchina della manovia e se proprio è necesssario posso sostituire pure mio padre. Non è facile, perché lui ha tanta competenza e 40 anni di esperienza, ma lo posso fare. Per quanto riguarda le macchine da cucire mi sono spratichito, ho fatto pratica, su macchine automatiche, quando le abbiamo prese ho fatto dei corsi per imparare a utilizzarli, però il mio lavoro è sulla manovia.
Detto questo, sia chiaro che per portare avanti la fabbrica dal punto di vista produttivo è importante il lavoro di tutti, per me non esiste l’uomo che da solo risolve tutto, è l’unione che fa la forza.
Per quanto riguarda me, fermo restando che se manca qualcuno mi sposto dove serve, attualmente la mia mansione è quella di incollare le suole sulla calzatura. Il posto mio oggi è questo, importante come gli altri, perché in un processo produttivo come quello delle calzature ogni cosa deve essere fatta bene per ottenere una scarpa di qualità. Se la scarpa non arriva da me fatta come si deve diventa difficile anche incollare per bene la suola.
Zia Michelina, io e un’altro dipendente ci occupiamo anche di aiutare i nuovi assunti a prendere confidenza con la mansione che viene loro assegnata, inserendola però in tutto il processo produttivo di cui entra a far parte. È importante capire cosa si fa, a che serve quello che facciamo, come si rapporta con quello che fanno gli altri.
Ti faccio un esempio con i mocassini che hai ai piedi. Innanzitutto viene stirato sulla forma a caldo per chiudere la cucitura a 45 gradi. Poi viene insaccato nella forma di plastica dopo di che viene chiuso il toppone di dietro con una carcagnata, che sarebbe una serie di chiodi che danno la forma al tallone. Il passo successivo è passarlo nel forno per farlo aderire bene e impedire che si muova la scarpa. Poi viene preso il fondo, tu hai visto che hai un fondo con un po’ di cordolo intorno, viene preso il segno, viene cardato, cardato significa togliere la pelle in eccesso, pulirla, giro giro alla calzatura per fare in modo che il collante attacchi perfettamente. In pratica bisogna togliere la grana liscia e far si che resti la parte ruvida, dopo di che attacco il fondo, cbe viene anche cucito per dargli una tenuta senza possibilità di scampo. Poi la scarpa viene pultia, viene data una crema per renderla un po’ lucida visto che il pellame è di cervo con una fodera di vitello, dopo di che viene messo il fussbett, il solettino di pulizia, il plantare insomma, viene fatto un ulteriore controllo qualità per verificare che è tutto a posto, se c’è ancora qualche filino da bruciacchiare e poi viene inscatolata e consegnata al cliente. A proposito, non ti ho detto che essendo il tuo un mocassino che non ha i pallini sotto la suola viene cucito a mano.
Le varie fasi del tuo mocassino sono dunque: taglio, preparazione, poi viene cucito il fondo, poi va in giunteria dove si assemblano i pezzi, poi viene cucito esternamente e poi va sulla manovia e fa le fasi che ti ho spiegato prima.”
GIOVANNI E IL SOGNO
“Vincenzo, non so se hai mai letto un articolo uscito su Il Mattino a marzo di 10 anni fa, credo, delle nostre scarpe associate a David Beckham. In pratica che cos’era successo? Che Beckham aveva preso un paio di nostre calzature. Dici “come è piccolo il modo”, un calciatore divo come lui che prende un paio di scarpe Patrizio Dolci, una fabbrica che sta a Caselle in Pittari. Vuol dire che il prodotto è bello, è fatto bene, vale, il che, diciamoci la verità, è una bella soddisfazione.
Quella è stata un poco la scintilla, come dice mio cognato Giuseppe, poi con il passare degli anni ho avuto la possibilità di andare in giro, di fare esperienza, di vedere e imparare tante cose, oggi grazie ai social possiamo vedere e scoprire ancora di più, e così mi sono chiesto cosa potesse avere di più quest’azienda.
Da qui sono arrivato al mio piccolo sogno, a quello che un giorno mi piacerebbe realizzare: una piccola bottega all’interno della fabbrica, anche un piccolo angolo non è questione di grandezza fisica, dove poter fare scarpe su misura ideate da me ed esclusivamente fatte a mano. Non penso necessariamente alle persone famose come David Beckham, penso anche alle persone normali.
Il mio sogno è questo, avere la mia piccola bottega dentro la fabbrica, una bottega che naturalmente non toglie niente alla fabbrica, al contrario aggiunge, le dà quel qualcosa in più. Del resto hai visto quello che ha detto Gianfranco Montano quando siamo andati a trovarlo, sta pensando a una fabbrica che possa realizzare una linea di sue scarpe, ha detto anche che ci verrà a trovare a Caselle, e noi saremo felici di ospitarlo in azienda. Pensa io che fortuna che avrei ad avere la bottega già dentro la fabbrica di famiglia.”
IL LAVORO VALE PERCHÉ
“Prufessò, il lavoro vale perché, sempre se fai il lavoro che ti piace, ti aiuta a stare bene, è uno stimolo, ti dà un motivo per migliorarti, per fare sempre meglio, per conoscere nuove persone e possibilità. Poi ci stanno anche le giornate storte, però per me lavorare è la possibilità di darmi un futuro, di contribuire al futuro non solo mio ma anche di mia moglie, di mia figlia e di un figlio che magari arriverà, sempre se Dio lo vuole. Il lavoro serve, non solo economicamente, ma per il nostro sviluppo come persone, perché stare in armonia e lavorare in armonia fa bene.”
IL MIO MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA
Eccomi cara Irene, sul mio piccolo messaggio da mettere nella bottiglia ho scritto che il sogno di Giovanni potrebbe avere un impatto bello forte e positivo sulla fabbrica. Naturalmente mi posso sbagliare, non capisco niente di scarpe e troppo poco di mercati, però capisco di innovazione e di modelli organizzativi e da questo punto di vista potrei anche prenderci.
A me viene da pensare che se fai scarpe a mano di altissima qualità anche quelle fatte sulla manovia possono trarne beneficio da diversi punto di vista, non solo quello economico. Fatte le dovute proporzioni, immagino un’operazione speculare a quella che ha fatto Armani lanciando il brand Emporio Armani. Ripeto che mi posso sbagliare, ma alla fine si può sognare anche immaginando futuri possibili per artigiani giovani e bravi come Giovanni. Ti saluto amica mia, quando puoi scrivi nei comemnti se la sua storia ti è piaciuta, e perché.
PER SAPERNE DI PIÙ
Il racconto di Giovanni su Scritte®
La nostra chiacchierata per Scritte® storie che
Il signor Giovanni, la storia del nonno
I Fiscina