Il calzolaio Paolo

Questa storia qui è un po’ una storia doppia, nel senso che ha un protagonista, Paolo Fumai, di cui leggerete tra poco, e una regista, Francesca Di Ciaula, che insegna al 3° Circolo Didattico Don Milani di Modugno che lei con la V° A nell’anno scolastico che volge al termine ha portato avanti «Raccontare il lavoro a scuola», un bellissimo progetto che se volete potete vederlo qui. Francesca mi ha scritto “presentandomi” Paolo e il suo lavoro,  ritornando ogni tanto alla carica, con dolcezza ma senza mai demordere, insomma proprio come fanno le persone che amano quello che fanno e sono convinte di quello che fanno, che quando è così un po’ alla volta arrivi alla fine e scopri che ti sei convinto anche tu. Comunque su Francesca avremo modo di tornarci, che lei l’anno prossimo ricomincia dalla Prima, e chissà che non la ritroviamo sulle vie del #lavorobenfatto, delle #tecnologie e della #consapevolezza. Intanto però non vi perdete la storia di Paolo, che io leggendola ho scoperto tante cose che non conoscevo, nomi di utensili, fasi di lavorazione, insomma tanti particolari che messi assieme ti danno un’idea generale più bella, che in fondo è anche per questa bellezza che il lavoro è una cosa così importante nelle nostre vite.

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«Sono Paolo, ho quarant’anni anni e sono calzolaio, un mestiere antichissimo e pure molto moderno. Sono figlio d’arte: mio nonno materno era calzolaio, costruiva e vendeva scarpe, anche mio padre era calzolaio ed ora lo sono anch’io. Ho iniziato da piccolissimo, avevo solo sette anni quando, un po’ per necessità, un po’ per sottrarmi alla strada, andavo a bottega da mio padre e lì costruii il mio primo bracciale in cuoio. Presi un pezzo di cuoio, lo tagliai a modo mio, ma il risultato fu pessimo. Così mio padre mi fece vedere come utilizzare il coltello insegnandomi anche quanto fosse pericoloso quell’attrezzo. Per il bracciale bastarono una piccola fibbia e qualche borchia applicate a fori ovviamente imperfetti, infine un martello. Solo alla fine del lavoro mio padre mi fece notare che esisteva un macchinario per fare tutto questo, ma non mi importava: ero orgoglioso di aver creato un oggetto da solo, di aver iniziato solo con un’idea e terminato con un qualcosa che potevo mostrare.
Crescendo riversai la stessa passione e creatività nel settore automobilistico, riparando, trasformando e modificando pezzi per auto e moto. Ancora oggi lo faccio come hobby. Ciò che più mi attraeva e ancora mi attrae è unire la mente per ideare e le mani per creare, avere un contatto diretto tra pensiero, creatività e azione. Mi è sempre piaciuto vedere oggetti distrutti riprendere forma e vita grazie alla mia manualità.
A un certo punto mi son trovato a fare una scelta su cosa volessi fare nella vita. Così decisi di seguire le orme della mia famiglia e rilevarne l’attività, ma col preciso intento di fornire servizi innovativi. A ventiquattro anni aprii la mia attività con il nome di Tacco Express, perché ciò che avevo intenzione di fare era soddisfare le esigenze dei miei clienti con velocità, precisione e professionalità.
Il lavoro di calzolaio è diverso dal passato. Non vengono adoperati solo materiali naturali come cuoio e pelle. Hanno fatto ingresso gomma, tessuti, materiali plastificati, accessori già pronti per le applicazioni, creme, colle speciali e infiniti prodotti per la conservazione e la cura delle calzature. Inoltre c’è stata una enorme innovazione nel campo delle attrezzature e dei macchinari, sempre più complessi ma molto più ergonomici e maneggevoli.
Un tempo i calzolai, veri e propri artisti nel loro lavoro, si sedevano davanti al loro deschetto, su cui erano tutti gli strumenti. Mettevano sulle ginocchia l’incudine metallica a forma di piede e costruivano, riparavano e inchiodavano le calzature assorbendo con il proprio corpo ogni singolo colpo. Ora l’incudine è posizionata su un piantone, i colpi sono assorbiti dal pavimento e il calzolaio resta in piedi in tutte le fasi della lavorazione delle calzature.
In passato l’artigiano cuciva a mano con uno spago di canapa impiastricciato a pece, utilizzando setole di maiale agganciate ad uno spago e la lesina, un utensile in acciaio di forma curva necessaria per unire gli strati da cucire. Adesso si utilizza un filo cerato già pronto per l’uso, che richiede grande precisione e manualità, ma bisogna aver imparato a cucire a mano a due aghi, per poter utilizzare anche le cucitrici.
Al tempo di mio padre e di mio nonno, tacchi e suole erano ritagliati a mano, ricavati da un pezzo di cuoio con il trincetto, lama affilatissima e senza manico, quindi sagomati a mano, fissati con un martello a penna liscia, tanti chiodini, salvatacchi triangolari e salvapunte metalliche per evitarne il consumo, ora comodamente sostituiti da colle speciali. Ora noi utilizziamo il bisturi e il finisaggio, macchina per la levigatura di suole e tacchi e per la preparazione della calzatura per l’uso di colle, il guardiolo già pronto per la bordatura e la rifinitura della scarpa e la macchina allarga-scarpe riscaldata ad induzione, che abbinata a prodotti schiumosi specifici usati in base ai materiali della scarpa ne velocizza l’allargatura. Altra novità è l’inserimento di altre tipologie di lavoro, non solo calzature ma anche pelletteria, cinture, borse, giubbotti e tanto altro.
L’innovazione è tanta, ma bisogna pur sempre essere degli artisti e avere una grande abilità manuale per svolgere lavori che la macchina ancora non può fare. Al di là di tutto questo nel mio lavoro occorrono tantissime altre qualità, innanzitutto tantissima pazienza nella riparazione e realizzazione del lavoro, unita a tanta concentrazione, sia nell’utilizzo degli attrezzi, sia dei macchinari incredibilmente pericolosi. Occorrono manualità e praticità, per velocizzare i tempi di lavorazione senza farsi del male, precisione per lavori perfetti, creatività e immaginazione nell’inventare sempre nuove soluzioni per nuove esigenze. E ancora professionalità per lavori complicati e particolari, come i lavori che fanno parte del campo medico, plantari o rialzi nascosti per correzioni ortopediche. Ma soprattutto quello che occorre è una enorme dose di passione, per questo continuo ad amare il mio lavoro e lo faccio sempre con il sorriso sul volto e nel cuore.»