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POST SCRIPUTM DI LUCA MORETTI
Che cos’è il lavoro ben fatto per te?
È una domanda che in questi due anni, da quando è uscita la prima edizione di questo libro, mi è stata fatta più volte quando siamo stati chiamati a parlarne.
Non ho una risposta particolarmente brillante o sagace a questa domanda, ma per quanto mi riguarda, assecondando il mio carattere e il mio modo di essere, rispondo così:
“Alzarsi la mattina e andare a fare il proprio lavoro, al meglio dello proprie capacità, anche quando l’unica cosa che vorresti fare veramente è rimanere sotto le coperte.”
Semplice, lineare, chiaro.
Lo so, potrebbe sembrare una semplificazione, ma per me non lo è. Sono una persona che ha nell’accidia sicuramente uno dei suoi peccati maggiori. Ho bisogno di forti motivazioni per fare una cosa, se non ci credo veramente o non sono convinto preferisco non farla. Per mia fortuna il contraltare a questo tratto caratteriale sta nell’educazione all’etica del lavoro avuta da mio nonno e mio padre.
Di nuovo, lo so, penserete: “questi se la suonano e cantano da soli”, ma vi assicuro che non è così.
Credo fermamente che l’educazione che riceviamo da bambini sia una guida per l’evoluzione della nostra personalità; certo, alcuni tratti sono innati e non cambieranno, ma altri possono affinarsi tramite l’esempio, e per mia fortuna alla voce “lavoro” gli esempi in famiglia sono stati tutti positivi.
Mi ricordo che da piccolo, essendo il primo nipote maschio, ero molto coccolato da mio nonno, che per una strana legge del contrappasso faceva fare a me tutte le cose che, anche a volte con eccessiva severità, aveva negato ai figli. Quindi nelle lunghe estati che passavo dai miei nonni in attesa delle ferie di papà, oltre alle giornate di mare, io ero l’ombra di mio nonno.
A differenza di mio padre, negato per qualsiasi gesto di natura tecnica, a me sono sempre piaciuti i lavori manuali, costruire cose, sporcarmi le mani, e per quanto riguarda il saper fare mio nonno era una sorta di MacGyver, sapeva fare di tutto, inoltre il suo garage era l’equivalente di un’officina super attrezzata che agli occhi di un bambino era una vera e propria caverna delle meraviglie.
Tutto questo per dire cosa? È presto detto, avrò avuto 5 o 6 anni quando mio nonno decise di riverniciare la rete metallica che delimitava il suo orto dalla strada di fronte alla casa. Io naturalmente non volevo assolutamente perdermi l’occasione di pasticciare con i colori e quindi, come sempre, mi accodai a lui e con il mio pennellino e il mio barattolino di vernice incominciai a dipingere la parte bassa della rete fin dove arrivavo.
Al principio mio nonno mi lasciò fare, ma dopo qualche minuto mi disse che non stavo andando bene perché non era il modo giusto di lavorare. Mettevo troppa vernice e sbagliavo il movimento di stesura così da lasciare troppi grumi sulla rete. Una volta assicuratosi che avessi capito mi fece ricominciare dall’inizio, e anche se sono quasi sicuro che non avesse mai visto i film di Karate Kid il suo era lo stesso approccio del maestro Miyagi. Ecco, questo è uno dei miei primissimi ricordi legati al lavoro ben fatto, se devi fare una cosa falla bene, il tempo impiegato sarà lo stesso ma il risultato no.
Naturalmente si potrebbe discutere se sia il caso di dare in mano ad un bambino piccolo una vernice a smalto, senza contare che alla fine della nostra opera ero felicissimo ma assomigliavo pericolosamente al figlio dell’incredibile Hulk dato che ero ricoperto di verde dalla testa ai piedi, senza contare che se non ci fosse stato l’intervento tempestivo di mio padre mio nonno mi avrebbe lavato con l’acquaragia che lui usava abitualmente ma che forse a un bambino della mia età avrebbe potuto procurare qualche danno. Detto ciò, prima di dare giudizi ricordatevi che mio nonno era un uomo di altri tempi che aveva cominciato a lavorare sui cantieri all’età di 10 anni.
Se vogliamo trovare un’altra definizione di lavoro ben fatto partendo da questo aneddoto potrebbe essere questo:
“Studia, fai, ripeti. Quando sarà diventata un’abitudine non dovrai pensarci più, sarà tutto automatico.”
Direi che questo però ve lo ha già raccontato mio padre.
CREDITS
Il disegno da cui è tratta la foto di copertina è di Simona Balzamo