La vera storia di Klodjan e del suo olio, da Tërpan a Vieste

PRELUDIO
Cara Irene, con il permesso dell’infinito Borges direi che debbo l’incontro con Klodjan Agalliu alla congiunzione del buon cibo e della bella amicizia.
Il buon cibo è quello che mangio ogni giorno dal mio amico chef Mario Pellegrino, al Ristorante Zi Filomena. La bella amicizia quella che mi lega a Nicolangelo Marsicani, che come tutti i maestri veri nega di essere maestro, dice che lui cerca solo di assecondare la natura delle olive, uno che lavora per far crescere intorno a sé una serie di persone e di aziende che vogliono intraprendere la strada della conoscenza e insieme ai quali cerca di capire come meglio fare; quasi come una palestra, un ginnasio, un luogo anche figurato dove si cerca la bellezza dell’olio. Un maestro appunto, in ogni caso alla fine della storia di Klodjan trovi il video che racconta l’esperienza della Vandera Scritte® del Frantoio Marsicani in Jepis Bottega, quando hai 10 minuti guardalo.
Tornando alla nostra storia, un paio di settimane fa incontro, da Mario, Nicolangelo, ci accade ogni tanto di trovarci lì. È a pranzo con un amico, me lo presenta, come avrai già capito è Klodjan, mi racconta che è un produttore di olio, che è albanese e che ha una bella storia. “Avrei piacere che te la raccontasse”, conclude.
Incuriosito, dico che per me va bene e li invito nella mia piccola ma bella Casa del Lavoro Ben Fatto, sono venuti settimana scorsa e sono stato contento assai. Direi che per ora è tutto, quella che stai per leggere è la storia vera di Klodjan Agalliu raccontata da lui medesimo.

DA TERPAN A LECCE
Sono nato nel gennaio del 1981 a Tërpan, un piccolo paese, due case qui, due case lì, nella prefettura di Berat, in Albania. Mio padre era insegnante, avevamo degli animali, non è che ci fosse molto da stare allegri, le difficoltà erano tante e in ogni caso vivere a Tërpan non mi piaceva, per me era un posto troppo piccolo, sperduto, isolato, fuori dal mondo.
Nelle famiglie come le mie si comincia a lavorare molto presto. Già quando avevo 6 anni, prima di andare a scuola, dovevo portare le mucche al pascolo. È stato così fino a quando non me ne sono andato di casa; i mesi estivi li passavo a prendermi cura degli animali e il resto dell’anno andando a scuola più gli animali.
A scuola mi impegnavo, studiavo, perché così a 14 anni sarei potuto andare al ginnasio, in città.
 Invece quando ho compiuto 14 anni mio padre mi ha detto che non c’erano le possibilità economiche per mandarmi a studiare in città e quindi dovevo restare con gli animali. Non era la vita per me, perciò parlo con alcuni amici, ci mettiamo d’accordo, facciamo lo zaino e partiamo per la Grecia. Abbiamo fatto tutte le Alpi greche a piedi, abbiamo impiegato 8 giorni, quando siamo scesi abbiamo preso un pulmino e ci siamo fatti portare alla nostra meta. 
Ho fatto questo per 3 – 4 anni; trascorrevo diversi mesi in Grecia per lavoro e poi tornavo a casa, il che mi permetteva di avere un po’ di soldi per me e di dare una mano alla mia famiglia, perché comunque, come dicevo, c’era bisogno.
L’ultimo anno sono andato a lavorare a Durazzo, prendo casa vicino al mare e divento amico di un mio coetaneo che mi dice che ha intenzione di venire in Italia. A me l’idea piace, è stato sempre il mio sogno venire in Italia, così a 18 anni sono partito da Valona su un gommone e sono arrivato a Lecce. Non è stato un viaggio lungo, ci sono volute più o meno due ore e mezza.
Una volta sbarcato a Lecce me ne sono andato a Brindisi a piedi, sono poco meno di 40 km, ricordo di aver camminato una giornata intera, dopo di che da Brindisi siamo andati con il treno a Foggia, dove sapevamo che avremmo potuto lavorare per la raccolta dei pomodori.

SOGNO O SON DESTO
Come ti ho già detto il mio sogno era l’Italia, però devo aggiungere che me la immaginavo diversa, più simile a quella che sentivo dagli amici che erano già qui.
Sia chiaro, oggi sono una persona molto contenta di stare qui, i miei figli sono nati in Italia, non voglio in nessun modo dirne male, però ti assicuro che a 18 anni, quando sono arrivato a Foggia, è stata durissima, a un certo punto ho pensato se questa è l’Italia devo andare via al più presto.
Non avevamo casa, non avevamo niente, alloggiavamo dove potevamo, fino a quando siamo finiti alla Casa nera, la chiamavano così, un rudere con delle tavole a mo’ di tetto messe da noi per coprirla. Eravamo tanti, tutti albanesi, i caporali sapevano che venendo lì potevano trovare gli operai, così la mattina arrivavano all’alba, ci facevano salire sul camioncino e ci portavano al lavoro.
La Casa Nera era un posto veramente indecente, per fortuna è durato solo qualche mese, da aprile fino a settembre, il tempo di fare un po’ di soldi e di rifarmi della spesa che avevo fatto per venire, non è che era gratis. È vero, se sono partito così giovane per venire in Italia è perché avevo davvero bisogno, però speravo di stare meglio di come stavo nel mio paese, non certo vivere in quelle condizioni impossibili.

IL TEMPO DELLE OLIVE
A ottobre dello stesso anno mi sposto a Matinata, dove faccio amicizia con un altro albanese destinato ad avere un ruolo importante nella mia vita, anche se naturalmente al tempo non lo potevo sapere: sarò testimone alle sue nozze, mi farà conoscere Erlanda, la mia futura moglie, e altre cose ancora.

Tornando al punto, diventiamo amici e mi propone di vivere insieme per dividere le spese dell’affitto. Ovviamente ne sono felice, al tempo non era per niente facile trovare casa in affitto, non affittavano volentieri a noi albanesi, ci voleva sempre qualcuno che ti conosceva, che ti presentava. Questa è un’altra cosa curiosa: puoi essere la persona più brava del mondo ma se non c’è qualcuno che ti conosce o ti presenta è tutto molto complicato. Al contrario se hai le amicizie giuste puoi fare tante cose, certe volte persino se non sei una persona per bene.
A Matinata resto per alcuni anni, due o tre, però è lì che faccio un altro incontro molto importante, con Vincenzo Piemontese, un giovane proprietario di terreni piantati a olivi sparsi tra Matinata, Vieste, Manfredonia e zone circostanti. Ricordo che quando ci siamo conosciuti mi aveva domandato l’età e io, temendo di sembrare troppo piccolo per essere preso a lavorare, gli ho risposto 21. Con il passare degli anni è diventato come un gioco, ogni volta che me lo chiedeva io rispondevo 21, fino a che non abbiamo deciso che non era possibile che per lui gli anni passavano e per me no. Comunque nel frattempo i 21 anni li avevo compiuti davvero.
Ho lavorato duro, molto duro, ma mi sono fatto strada, sono stato sempre ripagato da Vincenzo per  il mio impegno, e questo non era scontato. Così le mie condizioni pian piano sono migliorate, mi sono conquistato sempre più la sua fiducia, aiutato anche dal fatto che aveva pochi anni più di me e una mentalità diversa da quella prevalente in quegli anni a Matinata. Sta di fatto che tra noi si è creato un feeling, pensa che spesso, quando si doveva spostare per andare da qualche parte per motivi di lavoro, mi chiedeva di accompagnarlo. Ovviamente io ci andavo volentieri e così, nel tempo, tra noi è cresciuto questo rapporto fatto di affidabilità, fiducia, amicizia.
Quando il tuo impegno viene riconosciuto, per quanto il lavoro sia duro lo fai meglio e più volentieri, almeno questo è quello che penso io. E poi tieni presente che nella mia condizione è anche più comprensibile, se uno lavora da 20 anni in un posto può essere che si adagia, qualcun altro magari lavora aspettando che finisca la giornata, io invece no, io avevo “fame” di migliorare, di crescere, avevo un approccio al lavoro molto più diretto.
Erano trascorsi un paio d’anni che lavoravo tra Matinata, Vieste, Manfredonia e altri paesi limitrofi quando Vincenzo mi dice che a Vieste c’è tanto lavoro. Io con lui sono impegnato da settembre ad aprile, negli altri mesi faccio altri lavori, così un giorno mi metto in macchina con lui, vado a Vieste e trovo lavoro abbastanza facilmente. Anche per la casa mi dà una mano lui, me ne affitta una che ha in campagna e così comincio a stare lì. Mi ci vuole poco per capire che Vieste è tutta un’altra storia e così un giorno gli dico “senti, io a Matinata non ci torno più”.

VADO AL MASSIMO
Lavoro, lavoro e lavoro, con serietà e impegno, e la guida di Vincenzo. È  così che quando il responsabile operativo dell’azienda va in pensione lui mi chiede di dargli una mano, aveva parecchi ettari di terra e non poteva fare tutto da solo. Naturalmente accetto e in pratica divento caposquadra. Caposquadra, non caporale, ci tengo a precisarlo. Vincenzo è molto in gamba e intelligente, e a me l’entusiasmo e la voglia di fare non mancano, perciò i risultati non tardano a venire. Per esempio si decide, anche con il mio contributo, di migliorare l’organizzazione e il modo di lavorare e la raccolta di tutte le olive, che nella fase precedente ci impegnava per 3 – 4 mesi, riusciamo a farla in poco più di un mese. A quel punto abbiamo tempo per fare anche altro e Vincenzo inizia a prendere lavori conto terzi e mi propone di aiutarlo anche lì in cambio di una piccola percentuale in aggiunta allo stipendio.
A fare il lavoro siamo in otto tra italiani, albanesi, rumeni, ricordo che facevamo la raccolta con 5 paparelle (abbacchiatori) e altrettanti compressori, ma ripeto che questa sua proposta di incentivo mi ha aiutato tanto, perché ho avuto la possibilità di mettere dei soldi da parte che con il tempo, dopo 16 anni di lavoro con lui per la precisione, mi hanno permesso di mettermi in proprio, di avviare la mia azienda.
È in questo periodo che conosco mia moglie in Albania. Ti ricordi dell’amico con cui condividevo la casa a Matinata? A un certo punto si era spostato al Nord, dopo di che decide di sposarsi e mi chiede se sono disponibile a fargli da testimone. “Che problema c’è!”, gli rispondo, anche se capita nel periodo della raccolta ne parlo con Vincenzo e lui mi dà una settimana di ferie, così vado al matrimonio e conosco Erlanda, cugina del mio amico.
Tornando al punto, dopo 15 – 16 anni di lavoro come caposquadra e uomo di fiducia, da 7 – 8 anni sono proprietario di 14 ettari di uliveto.
Perché proprio le olive? Naturalmente non è stata del tutto una scelta, quando sono arrivato in Italia la mia priorità assoluta era lavorare, come ti ho detto ho cominciato con i pomodori, non è che potevo permettermi di fare lo schizzinoso. La verità è che ho fatto qualsiasi tipo di lavoro, per 5 – 6 sei anni anche tre lavori al giorno, anche se è difficile crederci è la verità. Di notte facevo l’autista, la mattina andavo in campagna e il pomeriggio andavo nelle case, nelle residenze, nelle ville, a prendermi cura dei fiori e di tante altre cose. E comunque ci tengo a dire che anche mia moglie ha lavorato tanto, non è un caso né un regalo se l’azienda è intestata a lei. Detto questo, aggiungo che sicuramente se oggi produco e imbottiglio olio e non altro è anche perché questo è un lavoro che mi piace, l’ulivo significa tante cose, e poi le piante sono comunque esseri viventi. Ripeto spesso ai miei collaboratori, quando andiamo a potare gli ulivi, che noi siamo come i barbieri con noi umani, diamo la forma alla pianta, e quindi dobbiamo avere un criterio quando tagliamo un ramo piuttosto che un altro. L’ulivo è un albero secolare, non sempre è facile dargli una forma di vaso policonico, per esempio; a me questa relazione con le piante, basata su tanti aspetti di cura, piace tanto, è il lavoro che ho scelto dopo tanti lavori che ho fatto, dal cameriere al bagnino e tanti altri ancora.
Il lavoro che mi ha appassionato di più è questo, anche se all’inizio il sogno era quello di fare il barman; sai, ero ragazzino, pensavo alle discoteche e altre cose così, poi per fortuna cresci e capisci che le olive hanno il vantaggio che non devi sorridere per forza. Dopo di che c’è il fatto che la Puglia è terra di olivi, e anche nella mia terra c’erano gli ulivi, anche questo conta, non è decisivo ma conta. In qualche modo le origini ritornano, il mio ritorno alla terra e agli olivi nasce anche da qui, alla fine avrei potuto anche aprire un ristorante o un lido.
La terra mi dà tranquillità, serenità, dopo di che ripeto che potevo fare anche altro, non è che gli altri lavori non li sapevo fare, ma quello che faccio oggi lo sento mio. Quando vado a fare un lavoro mi devo trovare comodo, e io con gli ulivi mi trovo comodissimo, mi sento soddisfatto di quello che faccio. Soddisfatto, non appagato, sto facendo un cammino che è ancora in corso.

LA SETTIMANA DELL’OLIO
All’inizio vendevo solo all’ingrosso. Avevo appena cominciato, tante cose ancora non le conoscevo e io sono un tipo che per fare una cosa prima la devo anche vedere. Del resto se non sei Einstein e inventi le cose, devi fare per forza così, devi sperimentare, vedere, prima di fare. Diciamo che ho cominciato a migliorare per necessità, l’olio all’ingrosso me lo pagavano poco e le spese erano tante, ho dovuto lavorare conto terzi per andare avanti, così mi sono detto se gli altri possono imbottigliare il loro olio perché non posso farlo anche io? E così mi sono messo a imbottigliare, ed è stato un primo passo. Quello successivo è stato quando l’Assessore all’Agricoltura del Comune di Vieste, Dario Carlino, mi ha chiesto se volevo partecipare alla Settimana dell’olio, una importante manifestazione che nel 2023 è giunta alla 7° edizione.
“Perché no”,  gli ho risposto, “alla fine sto qua, che problema c’è.”
“Ma che olio hai?”, mi ha chiesto ancora lui.
“Il mio olio”, gli ho risposto, “adesso per caso mi vuoi offendere?”, ho aggiunto scherzando.
“Assolutamente no”, mi ha detto, “è che se lo fai assaggiare a qualcuno ti può dire di che cosa sa, quali sono le sue caratteristiche, questo e quest’altro”.
Ti confesso che non lo capivo tanto questo discorso, ero abituato al frantoio e alle persone che mi dicevano “è un olio eccezionale”, “è un olio ottimo”, comunque l’assessore mi chiede di dargli un campione da far assaggiare a un’esperta sua amica, Sabrina Pupillo.
Gli porto la mia bottiglia d’olio e dopo qualche giorno chiamo Sabrina, le chiedo se lo ha assaggiato e lei mi risponde che aspetta di poterlo fare con calma. Confesso che continuo a non capire, della serie “ma che ci vuole ad assaggiare un olio.” Qualche giorno ancora ed è lei a chiamarmi per dirmi che il mio olio purtroppo ha diversi difetti. Non me l’aspettavo, ci rimango male, naturalmente la faccio parlare però alla fine della telefonata non mi capacito, la vocina mi dice “ma che sta dicendo?”
Nei giorni seguenti incontro l’assessore e gli faccio presenti i miei dubbi, ma lui imperterrito ribadisce che Sabrina è una persona molto ma molto competente, dopo di che la discussione finisce lì anche se io non mi convinco. 
Per farla breve arriva la settimana dell’evento, che prevede convegni, esposizione degli oli, degustazione e altro ancora. Tieni presente che fin qui io ero sempre convinto di fare un olio buonissimo, mi basavo sul fatto che sapevo come e quali olive raccoglievo, tutte dalla pianta, sapevo che arrivavano al frantoio intatte, ottime, e per me questo bastava. Però poi mi fanno assaggiare un olio e comincio a insospettirmi, mi dico “ma questo profumo come mai il mio non ce l’ha?” Comunque in uno dei convegni è relatore Nicolangelo, ma avrei piacere che questa parte te la raccontasse lui.

LE OLIVE CHE PUZZANO E IL PREMIO EXTRAGARGANO [ NICOLANGELO MARSICANI ]
Prima di venire al punto ci tengo a dire, a proposito di lavoro ben fatto, che Sabrina è una tecnologa alimentare esperta di estrazione di olio da olive e di analisi sensoriale che fa benissimo il suo lavoro. Detto in parole povere è una grandissima assaggiatrice che capisce che il suo territorio, la sua terra, il Gargano, non ha un “vero” olio extravergine di oliva. Così mi chiama, mi chiede di aiutarla a trovare la chiave per fare un “vero” olio extravergine di oliva del Gargano e mi invita a Vieste durante La settimana dell’olio, che ha l’altro punto di forza in Dario Carlino, l’Assessore allo Sport e all’Agricoltura del Comune di Vieste di cui ha già parlato Klodjan, che però non ha detto che lui è un professore ebolitano molto attivo che arriva a Vieste per lavoro, si innamora, si sposa e resta là.
Come avrai capito accetto l’invito, arrivo a Vieste e trovo tante postazioni con tanti, tantissimi olivicoltori che espongono. Da perfetto sconosciuto me la godo, assaggio tutti gli oli, ascolto i dibattiti, e mi rendo conto che, come accade talvolta in queste occasioni, l’idea è che ci troviamo di fronte a oli di primissima qualità mentre siamo di fronte a una realtà profondamente diversa. Naturalmente non avrebbe avuto senso mettermi a fare lo sfascia carrozze e così durante gli assaggi a chi mi chiede un parere rispondo con un incoraggiamento e un fermo invito a migliorare. In pratica ho più un approccio da consumatore, da persona che sta lì in vacanza, si vuole comprare una bottiglia d’olio e dice la sua, che da esperto.
Il problema si pone però nella mia veste di relatore a un convegno al quale partecipano il Sindaco del Comune di Vieste, l’Assessore della Regione Puglia, il responsabile dell’Associazione Nazionale Città dell’Olio e altri autorevoli rappresentanti di varie istituzioni come ad esempio il Presidente dell’Associazione Frantoiani.
All’inizio anche qui la discussione prende, come accade sovente in questi casi, la via del come siamo bravi, come siamo belli, con tanti complimenti all’olio e ai produttori, e mentre tutto questo accade io mi chiedo che cosa devo dire. Alla fine decido di fare la cosa secondo me più giusta, prendo la palla al balzo e pur se con la necessaria diplomazia metto comunque in evidenza alcune evidenti criticità, sottolineo insomma che c’è qualcosa che non va, dopo di che il Sindaco sobbalza dalla sedia però ascolta, l’insieme del tavolo si rende conto, sa, che non sto dicendo cose sbagliate e tutti assieme concordiamo che bisogna fare qualche cosa per fare il salto di qualità.
Nelle settimane e nei mesi successivi con Sabrina decidiamo delle prime azioni e lei organizza dei piccoli step di formazione nei frantoi. Tieni presente che all’inizio i frantoiani non venivano, immagino pensassero di sapere tutto, a un certo punto un produttore mi ferma e mi dice che ha delle olive che i frantoiani non vogliono perché puzzano. Cerco di capire, gli domando se sono marce, mi risponde di no, che sono perfette, che appena raccolte le porta al frantoio, e così gli chiedo di andarle a vedere.
Arriviamo al campo e trovo questa distesa bellissima di Itrana, le olive di Gaeta, che hanno un profumo enorme, bellissimo, avvolgente, che vanno al bacio con il pomodoro. Mi rivolgo al proprietario delle olive e gli dico che sono la persona che lo può aiutare, perché a Sicilì ho due linee, una delle quali è proprio per le olive che puzzano. Da allora, ogni anno, tutta quella itrana la trasformo nel mio frantoio.
Questo il contesto, il clima; e in questo contesto Klodjan ha capito una cosa importante, cioè che poteva e doveva fare qualcosa di diverso da quello che facevano gli altri. Certo, in quella fase i frantoiani stavano in una sorta di comfort zone, Vieste è in una penisola, arrivarci non è facile, le olive hanno più difficoltà a migrare. Però prima o poi sarebbe accaduto, e quando avrà avuto inizio questo processo bisognerà gioco forza migliorare.
Klodjan intuisce questa cosa, chiama Sabrina e lei gli consiglia di mettere le olive sul camion e di portarle da me a Sicilì. Il primo anno è stato l’unico che lo ha fatto, è stato solo lui a capirlo, e la cosa non è stata senza conseguenze.
Klodjan ha una posizione per certi versi scomoda nel contesto locale, un po’ perché non è italiano, o comunque non è del posto, un po’ perché lavora in conto terzi per gli altri. Quello che intendo dire è che con le sue scelte è andato incontro a tante difficoltà, non solo economiche, anche ambientali. Sono processi a volte anche inconsci, abbastanza comuni, sta di fatto che non tutti sono stati contenti del fatto che lui fa un ottimo olio e vince il primo concorso a cui partecipa, Extragargano. Come è evidente “non tutti sono contenti” è un eufemismo, perché, detto naturalmente tra virgolette, succede la fine del mondo.
Per certi versi c’era da aspettarselo, a vincere il concorso è uno che fa servizi per gli olivicoltori, che fa servizi per i frantoiani. “Ma come, io faccio l’olio nella mia terra, il mio non vince e il suo sì?” Potrebbe venire facile pensare di isolarlo, in qualche modo boicottarlo. A un certo punto l’assessore mi chiama per dirmi che sono in tanti ad essere arrabbiati e mi chiede di andare lì e di contribuire a calmare gli animi, cosa che naturalmente faccio volentieri. Ricordo che siamo stati a casa dei principali contestatori, che abbiamo dialogato con tutti e che abbiamo messo in atto delle azioni di compensazione rispetto ad alcune posizioni che erano state assunte da più produttori. Direi che mi posso fermare qui, forse Klodjan può aggiungere qualcosa.

CAMBIARE VERSO
No, per me va bene così, preferisco soffermarmi sul processo che seguo io quando inizio a capire. In estrema sintesi mi dico: sto a Vieste; sono straniero; posso vendere all’ingrosso o in bottiglia; chi mi prende sul serio nei negozi, chi acquista il mio olio se è uguale a quello gli altri?
Perché sì, l’olio che mi ha fatto assaggiare Sabrina durante la Settimana dell’olio era diverso dal mio, più buono, anche se prima non lo sapevo, perché non studiavo nemmeno un poco. Mi viene da ridere pensando che quando Nicolangelo è venuto da me durante l’evento gli ho spiegato come viene fatto l’olio, pensa te. Comunque il giorno dopo, quando l’ho sentito parlare al convegno, ho detto a Sabrina “ecco, questo è il secondo con cui faccio una grande figuraccia”.
La verità è che cominciavo a capire che se volevo migliorare dovevo fare qualcosa di radicale, dovevo cambiare verso alla situazione, capovolgerla. Così mi sono consigliato con Sabrina, ho preso la mia decisione e da tre anni, tre stagioni, ho colto questa opportunità di entrare con il mio Olio della Valle in un mercato di fascia medio alta, cosa che prima per me era impossibile solo a pensarlo.

F COME FUTURO
Più che guardare troppo lontano, a 3, 5 o 10 anni, impongo a me stesso ogni giorno di cercare di migliorare il più possibile, dopo di che dove Dio ci permette di arrivare lì arriviamo.
 Oggi continuo a lavorare per conto terzi, faccio la potatura delle piante, la raccolta delle olive ecc., e per quanto abbia 43 anni e sia ancora nel pieno delle forze non posso fare la vita che ho fatto fin qui per sempre, non avrebbe neanche senso.
Diciamo che l’obiettivo è cercare di diminuire il lavoro che faccio conto terzi e dedicarmi di più alla mia famiglia. Obiettivamente, fin qui l’ho un poco trascurata, del resto se fai 2 – 3 lavori non può essere altrimenti.
Ecco, tra 3, 5 o 10 anni vorrei avere più tempo per la mia famiglia, un rapporto più equilibrato tra lavoro e vita, lavorando di meno per gli altri e lavorando di più per me stesso, per la mia azienda.
Sì, alla fine il mio punto del futuro è questo: vendere il mio olio di qualità al dettaglio, nei punti vendita. Una volta che sarò riuscito a fare questo non dovrò più lavorare conto terzi e comincerà una nuova vita.

F COME FIGLI
Cosa faranno i miei figli? Non lo so, hanno 15 e 5 anni anni, c’è ancora tempo per decidere. Comunque penso che i figli si amano e bisogna lasciarli liberi. Io l’azienda l’ho creata per me, se loro vorranno portarla avanti, lo faranno, se non vogliono, si vende e si ricavano dei soldi, che comunque potranno servire per fare altre cose.
Di sicuro non devono seguire il mio sogno, così come io non ho seguito quello di mio padre.

POST SCRIPTUM
Care Irene non dirò che spero che la storia di Klodjan ti sia piaciuta, perché lo so che ti è piaciuta. È una storia che parla di fame, nel senso di voglia di riuscire, di miglioramento continuo, di intuizione, di sacrifici, tanti sacrifici, di lavoro preso di faccia, di sfide, di incontri, di difficoltà, di solidarietà e di tanto altro ancora. A un certo punto, ascoltando Klodjan ho pensato che se lavori in modo comodo, nel senso che ha raccontato lui, non ti fermi mai, puoi cercare sempre senza essere per forza ossessionato dal risultato. Le storie così sono ancora più belle perché sono vere, il sociologo che è in me ci ha trovato Sennett, Weick, Levi, Calvino, Pavese, Sinner, mio padre e tanti altri ancora.
Prima di salutarti un’altra cosa sola: Klodjan per tutti oggi è Claudio, mi ha raccontato anche come è successo, quando e perché, però non l’ho trascritto e me ne sono dimenticato. Non lo so perché è accaduto, o forse sì, comunque me lo sono domandato, forse mi sono ricordato che i nomi sono importanti, alla fine non importa, diciamo che Klodjan mi piace di più. Ecco, adesso è davvero tutto, alla prossima.

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