Cummà Mimma, cummà Maria mia

Cara Irene, prima di tutto due parole sul titolo, comare Maria e comare Mimma mia, che è il modo in cui si chiamano tra loro le due protagoniste di questa storia, Maria Tramontano, coordinatrice del reparto di ginecologia-ostetricia del Presidio Ospedaliero ‘Dell’Immacolata’ di Sapri, e Domenica (Mimma) Greco, responsabile cucina e colonna portante de La Pietra Azzurra, che nel suo caso, come diceva una famosa pubblicità di quando ero ragazzo, ‘basta la parola’.
La loro è una storia di lavoro e di amicizia che affonda le radici nella loro comunità, la nostra comunità, Caselle in Pittari, e si nutre di due cose principali: il rispetto antico tra le due famiglie di appartenenza e la comune cultura del lavoro.
Funziona proprio così cara Irene, il lavoro quello con la “L” maiuscola, anche nelle situazioni più semplici, non è mai soltanto un mezzo di sostentamento, è anche una cultura, un valore, un qualcosa che entra nella tua vita da quando sei piccola, o piccolo, e magari aiuti i tuoi genitori in negozio come nel caso di Maria, o aiuti in casa perché tua mamma fa la bracciante a Battipaglia o anche tuo padre sul cantieri edile tirando su per l’impalcatura fino al quinto piano, con la carrucola e la corda, la cardarella con l’impasto, come nel caso di Mimma.
Lavoro, già. Sono giorni in cui quello che abbiamo fatto con la 5° Z è spesso nei miei pensieri, alla fine è normale, il nuovo libro è uscito da poco, e così ho chiesto alle (mie) due amiche quale lavoro sognavano di fare da piccole.

Ha cominciato Maria e ha raccontato che voleva fare proprio la dottoressa.
“Avevo un rapporto molto particolare con le bambole”, mi ha detto. “Non ci giocavo in maniera tradizionale. Per fare un esempio bucavo con un chiodino i loro sederini, il culetto, e con la mia siringa facevo loro le punture; dicevo sempre ‘io da grande devo fare la terapia e devo aiutare le persone. Povere bambole, le rompevo e poi le aggiustavo, tiravo via una gamba e poi gliela fasciavo. Ero piccola, non è che pensava a fare l’ostetrica, però mi piaceva tanto curare, assistere, poi dopo il mio corso di studi ho capito che il mio destino era avere la vita tra le mani. Ho capito che lo volevo fare da subito, da sempre, e così è stato. Sostanzialmente, a parte aiutare nel negozio di famiglia da piccola, sono stata sempre impegnata nel mio percorso di studi. È stato così che a 21 anni ho vinto il concorso e ho cominciato a lavorare a Sapri.”

Diverso naturalmente il percorso di Mimma, ma uguale l’approccio e i valori. Ha cominciato ricordando che lei, dopo la terza media, ha lavorato sempre però poi ha continuato così:
“Per la verità ho fatto un corso di cucito, mi sarebbe piaciuto concluderlo, mi mancava un solo anno per fare i 5 anni, poi a volte la vita e le scelte che fai ti portano verso altro, ma mi piaceva fare la sarta. Mi piaceva l’idea di realizzare qualcosa di mio, dalle piccole cose come la piega fino a cose molto più impegnative come un vestito. Ne ho fatti diversi per mia sorella più piccola, insomma mi piaceva l’ago e mi piaceva fare la scuola per diventare sarta. La verità è che non si può fare tutto, io ho lavorato in fabbrica, ho fatto la baby sitter, come ti ho detto essendo la figlia più grande mi occupaavo della casa, quando potevo davo una mano anche a mio padre, insomma ho fatto e faccio tante cose, non solo in pizzeria. Pensa che ultimamente, quando abbiamo avuto da fare i lavori di ristrutturazione del locale, ho dato anche una mano ai muratori.”

La seconda domanda che mi ero preparato, se vogliamo dire così perché in realtà abbiamo proceduto molto a braccio, tra sorrisi, complicità e l’accogliente ospitalità di Mimma, riguardava il racconto del loro lavoro attuale, e questa volta ho chiesto proprio alla padrona di casa di cominciare, anche perché il suo lavoro lo conosco bene, so quanto è determinante nell’organizzazione de La Pietra Azzurra, e so anche quanto sono buoni i fritti e i dolci che fa. Adesso che ho saputo della sua passione direi che anche in questo campo ha un approccio sartoriale, inimitabile, unico, a partire dalla sua crema pasticciera, dalle zeppole, la sbriciolona, i cannoli, i bigné.

“Vincenzo, come sai bene, a fare la differenza è l’amore che si mette in quello che si fa, questa è un’altra cosa che mi accomuna a cummà Maria mia. Come ti ho detto, io sono la prima di tre figlie femmine e mia madre andava a lavorare a Battipaglia per la raccolta delle fragole e altro. Nelle famiglie come le nostre è naturale che tu cresci imparando a cucinare, a fare le faccende di casa e tutto il resto, siamo donne abituate al lavoro, anche alla fatica se vuoi, sta nelle cose. Ricordo che quando mia madre tornava da lavoro, non appena sentivo passare l’autobus mettevo subito i piatti in tavola, lei arrivava e mangiava. Io in casa mia ho avuto una certa responsabilità già da piccola, quando vivi in una famiglia così l’amore per le cose ti viene naturale, compreso l’amore per la cucina. In qualche modo ti abitui a fare bene le cose che devi fare, proprio come dici tu quando parli del lavoro ben fatto. I lavori che ho fatto prima della pizzeria te li ho detti già, poi sono arrivati Michele, la pizzeria e così io sono stata dove dovero stare, sempre al suo fianco, l’ha scritto anche nel suo libro, e mi ha fatto piacere, perché è la verità. Noi donne non sempre riusciamo ad avere un posto di primo piano, e a me sinceramente neanche interessa, però ci siamo, con il nostro lavoro e la nostra passione, e sappiamo essere determinanti, siamo determinanti. Non lo devo dire io, penso che si vede, e devo dire che siete in tante/i a vederlo e a dirlo, tu compreso. E poi ci stanno i complimenti delle persone, le richieste delle ricette, quella della crema l’ho data anche a tuo figlio Luca, io non ho problema a condividere le mie ricette. Ripeto, insieme all’amore per quello che fai, c’è l’abitudine, dopo tanti anni migliori, ti affini, fai la mano.” E ride, della bellissima risata che fa quando sta contenta.

È di nuovo il turno di Maria, il suo amore per quello che fa lo conosco, il lavoro in sé molto di meno, perciò le chiedo di raccontarlo, penso che non solo a me ma anche a molte nostre lettrici e lettori farà piacere sapere cosa fa concretamente ogni giorno la dottoressa Tramontano.

“Per prima voglio dire che faccio il tempo pieno in ospedale. Come ti ho detto, Vincenzo, nasco come sstetrica, e quindi da sempre assisto le donne durante il parto in questo percorso bellissimo che è il dare alla luce la vita. Naturalmente non è solo questo, per esempio lavoriamo con le donne che hanno problemi di sterilità, che hanno difficoltà ad avere figli, e come puoi immaginare anche in quel caso non si può fare a meno dell’amore, della comprensione, della complicità che ti porta a immedesimarti in quella condizione, almeno questo è quello che capita a me. Sì, la sento mia la loro difficoltà a diventare madri, è una parte del mio lavoro davvero molto piena di senso. Tornando all’assistenza al parto, il piacere più grande, come ti dicevo, è aiutare a diventare mamma e a morire come figlia, e mi spiego. Vedi, per certi aspetti il mio è un lavoro di morte e di nascita, nel senso che si muore come figlia e si nasce come mamma. È un passagio a suo modo delicato, si muore come figlia perché penso che fino a quando non mettiamo al mondo un figlio siamo delle figlie, sempre supportate da una madre. Lo saremo anche dopo che saremo diventate mamme, però con una consapevolezza diversa, diventiamo delle figlie diverse, ecco, forse detto così è meglio, siamo figlie diverse perché siamo mamme, è un evento che ti cambia e ti fa capire cose che prima pensavi di capire ma non le capivi veramente fino in fondo. Naturalmente non è una legge generale, è il mio modo di vedere le cose, che però per me è importante, e mi piace raccontarlo.
Detto questo il mio lavoro, il nostro lavoro, non finisce certo qui. C’è tutta la parte di ginecologia, ci stanno le gravidenze che presentano rischi più e meno grandi, il nostro è un lavoro delicato e vasto, abbraccia una fascia d’età che arriva fino alla menopausa, altra fase molto complessa, importantissima, piena di cambiamenti fisici, psicologici, ormonali della vita di noi donne. C’è un percorso specifico che si può fare, e da noi a Sapri questo servizio c’è. E poi ancora ci sono i corsi di accompagnamento alla nascita, che è un altro percorso bellissimo con il supporto di tutte noi ostetriche. In pratica, prima del parto, la futura mamma conosce tutte noi, impara come si respira, il rilassamento, che cos’è il travaglio, come avvengono le diverse fasi, come comportarsi se una donna si trova a casa e c’è una rottura intempestiva del sacco amniotico e così via discorrendo. Secondo me è importante perché la donna che arriva da noi per partorire si deve sentire a casa propria, il parto deve essere il più possibile un momento di serenità, di tranquillità. Cerchiamo di garantire un’accoglienza a 360 gradi, le donne si devono sentire a casa.
Infine facciamo la riabilitazione del pavimento pelvico, che è un’altra cosa troppo spesso sottovalutata, anche da noi donne, e invece la riabilitazione dei tessuti è molto imporante per il nostro benessere fisico e psichico, in particolare con l’avanzamento dell’età.”

Come dici cara Irene? Maria e Mimma sono due donne fantastiche? Sono d’accordo, non ti dico quando ho detto che per quanto riguardava il lavoro ci potevamo fermare e che adesso era venuto il momento di parlare della loro amicizia. Giuro, ti vorrei far sentire la bellissima risata di gioia di Mimma, lei è fatta così, quando deve parlare di ‘cummà Maria mia’ si entusiasma, si accende ancora di più, è uno spettacolo. “Ma come e quando è nata questa vostra amicizia”, ho chiesto allora a Maria.

“Vincenzo, la nostra amicizia è per molti versi particolare. Innanzitutto non siamo commare nel senso che ci siamo fatto un San Giovanni (battesimo, comunione) tra di noi; la verità è che Mimma da piccola abitava vicino a casa mia, e anche sua nonna, con la quale c’era un rapporto molto rispettoso, di quel rispetto così sentito e profondo che oggi è difficile ritrovarlo in giro. C’era questo rispetto che era nato per il fatto che all’origine c’era stato questo San Giovanni e ce l’eravamo portato appresso sempre con tutti i componenti della famiglia. In realtà da piccole con cummà Mimma ci vedevamo, perché come ho detto abitavamo vicino, lei stava verso il palazzo, nella parte dove adesso vivi tu, però non è che ci frequentavamo molto, c’era il rispetto di famiglia, io sapevo che c’era lei e lei sapeva che c’ero io, e bastava quello.
La svolta c’è stata durante la gravidanza, io della mia seconda figlia, Nives, e lei del suo primo figlio, Alfonso. Lei sapeva quello che facevo e perciò si è rivolta a me, e abbiamo trascorso una fase bellissima della nostra amicizia. Abbiamo fatto questo percorso di attesa dei nostri figli e siamo state un’anima e un corpo. Tutto quello che facevo per me lo facevo anche per cummà Mimma, dal completino al lenzuolino che facevo fare in Sicilia, insomma tutto, se fossimo state due sorelle gemelle forse neanche avremmo fatto così. E la vuoi sapere la cosa più bella? La fiducia, la stima, il rispetto. Non avevamo mai problemi, ci siamo state l’una per l’altra. Per me tutto questo è stato il riscoprire la vera amicizia, quella sincera, umile, quella che non è fatta di cose materiali ma dell’importanza dell’esserci, di sapere di poter contare l’una sull’altra. Certe volte ci facciamo un sacco di risate ricordando quando io, con il mio pancione, qualche giorno dopo sarebbe nata la mia Nives, sono andata in sala operatoria insieme a lei perché mi ero accorta che qualcosa non andava e che bisogna portarla subito in ospedale.”

È stato a questo punto che Mimma, che fino a quel momento aveva accompagnato il racconto dell’amica con eslamazioni di conferma e di consenso, si è presa la parola, sì, anche se ha chiesto scusa non gliela abbiamo data noi, se l’è presa da sola, anche se avessimo voluta non l’avremmo potuta fermare, doveva dire quello che aveva dentro, e così ha fatto.

“Vincenzo, mica mi ha portato solo in sala operatoria. In realtà io ero a letto a casa, perché non mi sentivo bene, e con me c’era mia mamma. Lei è venuta, si è accorta che qualcosa non andava, e ha cominciato a farmi domande: che hai fatto?, che hai mangiato?, e io le rispondevo ‘niente’, anche se qualcosa avevo fatto. Lei, non convinta, ha chiesto a mia madre di andare a prendere un secchio pulito, mi ha fatto bere dell’acqua e mi ha fatto fare un poco di pipì nel secchio e quando ha visto che era troppo scura ha avuto la conferma che c’era qualcosa che non andava. A quel punto, quando mi ha richiesto che cosa avevo mangiato le ho dovuto dire che la sera prima mi era venuto il vulìo, la voglia, di salame, e così mi ero mangiata un’intera catenella di salsiccia con il pane fresco. Oggi rido al ricodo [… ride davvero …] ma allora mi impaurii, così cummà Maria mi misurò subito la pressione, che era altissima, parlò con il mio medico e gli disse che dovevo andare subito in ospedale. Vincenzo, con tutto il pancione mi ha preparata tutta e quando siamo arrivate in ospedale in sala operatoria era già tutto pronto, il tempo di entarre in sala parto, mi hanno fatto il cesareo ed ha nato questo bellissimo figlio”, dice sorridendo in direzione di Alfonso che nel frattempo è appena rientrato dal Lieviti Lab.
“Cummà Maria è stata sempre vicino a me”, continua, “lei ancora oggi per me è una specie di angelo custode”.

“Mò non esageriamo”, interviene Maria approfittando del momento di commozione dell’amica. “In realtà non è che noi ci frequentiamo tutti i giorni, capita che passa anche un mese prima che ci rivediamo, però come ti dicevo sappiamo che ci stiamo l’una per l’altra. Non è quell’amicizia che tutti i giorni ti devi vedere, ti devi sentire, devi sapere le cose, no, però bastano 5 minuti che stiamo insieme ed è come se ci fossimo viste tutti i giorni.
Detto questo, voglio aggiungere un’altra cosa importante sul nostro rapporto. Come sempre nella vita vera, le cose non è che sono filate sempre per il verso giusto. È successo in coincidenza del periodo in cui lei aspettava Michele Arcangelo, il secondo figlio. A causa delle incomprensioni che si erano create questa volta le non mi aveva detto niente, e io ci avevo sofferto tantissimo. Però il giorno in cui è arrivata in ospedale ero di turno, così sono andata in sala operatoria ci siamo guardate negli occhi e abbiamo capito che era di nuovo tutto a posto. Ricordo che le ho chiesto se andava tutto bene e lei mi ha risposto di sì e mi ha domandato a sua volta se io c’ero vicino a lei. Le ho risposto che nessuno mi poteva togliere da vicino a lei e sono rimasta tutta la notte.
Vedi Vincenzo, non c’è bisogno di cose eclatanti, sono le cose piccole che fanno la differenza, cose come la semplicità, l’onestà, il rispetto. È questo che ci fa stare bene, il rispetto, la stima. Cummà Mimma è una persona semplice, buona, che ti dà tutto, e queste sono le cose più preziose. Con lei posso dire di condividere la cosa per me più importante, la semplicità che ci lega, è questo che mi fa stare bene.”

“Posso dire ancora una cosa Vincenzo?”, ha chiesto a questo punto Mimma.
“Certo che puoi”, le ho risposto.
“Lei per me è un angelo custode, l’ho detto già ma lo voglio ripetere. Qualsiasi cosa che viene nella mia vita a me basta che chiamo lei e le dico ‘Cumma Maria, tu ci sei vicino a me?’, e mi passa tutto, anche durante l’ultima operazione alla safena è stato così, mi è stata vicina sempre, dal momento che sono entrata in sala operatoria fino a quando sono uscita, due ore e mezza dopo, con le sue mani delicate sempre vicino al mio viso che mi accarezzava.”

Ecco cara Irene, fin qui la mia chiacchierata con Maria e Mimma. Ti lascio con due piccole testimonianze del loro lavoro ben fatto.

La prima riguarda Maria, è di due giovani genitori casellesi che dopo la nascita della loro bellissima bambina hanno pubblicato questo post: “”Non siamo soliti scrivere ed esternalizzare i nostri pensieri tramite dei social, ma oggi vogliamo ringraziare personalmente una professionista, che prima di questo è davvero una grande persona con un’umanità immensa. Molto spesso cerchiamo di trovare il meglio girovagando qua e là, non sapendo che il più delle volte il meglio è proprio dietro l’angolo. È nascosto nei volti di quelle persone che amano il lavoro che fanno; che ci mettono la faccia e il cuore rischiando molto spesso di rimanere delusi. Vogliamo dirti grazie Maria Tramontano, grazie per la tua professionalità e per il supporto che ci hai dato nell’affrontare uno dei momenti più belli della nostra vita!”

La seconda riguarda Mimma ed è del mio amico Gianni che quando ha visto le foto della zeppola e dei cannoli che avevo appena mangiato mi ha scritto questo messaggio: “Giuro che se lo fai un’altra volta ti tolgo il saluto. Non puoi pubblicare due foto così il mercoledì sera, io domani devo lavorare e per colpa tua stanotte non troverò pace.” Naturalmente scherzava, però è uno scherzo che dice un mondo.

Post Script
Qui è dove, nel 2021, ho raccontato Caterina, figlia di Maria.
Qui invece è dove, nel 2022, ho raccontato Alfonso, figlio di Mimma.