La storia di Michele Cacetta Pellegrino raccontata da lui medesimo

Cara Irene, qualche settimana fa avevo detto a Michele Cacetta Pellegrino di venirmi a trovare a casa perché volevo raccontare la sua storia, e giovedì scorso così ha fatto. Prima di lasciargli la parola ti voglio dire due cose: la prima è che Michele per me è una specie di Superman, nel senso che sa fare quasi tutto, un poco come mio padre; la seconda è che per lui la casa dove vivo da qualche mese ha un valore particolare, è quella dove abitavano nonna Margherita, nonno Giovanni e i loro figli, e nella stanza dove mi ha raccontato la sua storia ci ha dormito tante volte insieme all’indimenticabile Franco, penso che anche questo abbia contribuito alla magia del nostro incontro. 
Ecco, direi che adesso la parola passa a Michele, buona lettura.

LA PREMESSA

“Vincenzo, prima di cominciare devo fare una premessa importante e dirti che ho avuto la fortuna di avere nonne e nonni meravigliosi, tutti e quattro, Vincenzo e Angiolina (Angela), Caterina e Michele. Come puoi immaginare, da grande ho voluto bene a tutte/i e quattro allo stesso modo, però da piccoli accade che tu abbia una preferenza, che non riguarda l’affetto, ma quello che quella persona ha condiviso e ha significato per te, è un discorso di complicità, di cose vissute assieme.

LE RADICI

Nonno Vincenzo

“Allora, per prima cosa devi sapere che fino a 14 – 15 anni ho vissuto soprattutto con nonno Vincenzo, nella casa dove sono nati mia madre Antonietta, zio Lorenzo e gli altri zii. Penso sia difficile sentirsi amato e coccolato come mi sono sentito io da parte di nonno Vincenzo, complice anche il fatto che ero l’unico nipote maschio. Me le dava vinte quasi tutte, faceva di tutto per accontentarmi, qualsiasi cosa chiedevo. Pensa che la mia prima Vespa 50 me l’ha comprata lui come ho aperto bocca, avevo 12 – 13 anni, non di più.
Lui era un contadino, e con lui ho imparato le cose della terra e ancora di più delle piante, nonno Vincenzo amava molto il giardinaggio, era molto bravo con le piante. Mia mamma e mio zio Michele la passione per la terra e per le piante l’hanno eriditata da lui, ci tirano fuori così tante cose che potrebbero venderle.
Quelli che ho vissuto con nonno Vincenzo sono stati anni bellissimi, come ti ho detto stavo sempre là, ero affezionato a quella casa dove sono nato. E poi c’era zio Lorenzo, che è stata un’altra persona assai importante nella mia vita.
Un’altra cosa che devi sapere è che stato sempre molto affezionato ai mezzi agricoli, e quando ero piccolo mio zio Lorenzo mi veniva a prendere a casa mi portava con lui e mi insegnava a portare il trattore. Per la verità non me lo insegnava solo, me lo faceva anche portare.
Devo molto a zio Lorenzo e alla moglie, zia Minicuccia (Domenica). Posso dire che anche loro mi hanno cresciuto, mi mandavano a scuola, mi curavano – dalla colazione a tutte le altre cose – come si fa con un figlio.
Con zio Lorenzo ho imparato presto a portare ogni tipo di mezzo, dal trattore allo scavatore con tutto quello che ci sta in mezzo. E ho imparato anche ad aggiustare le cose, mi ricordo che già da piccolo ero bravo a rubare il mestiere con gli occhi. Lo sai cosa vuol dire rubare il mestiere con gli occhi?

“Lo so, mio padre mi ha fatto il buco in testa fino a quando non ho imparato.”

“Bene, però ti racconto una cosa così anche chi non lo sa capisce.
Antonio Marsicano era una persona molto vecchia e molto brava con i lavori di falegnameria. Penso che tu non l’hai conosciuto, quando sei venuto a vivere qua era già morto. 
Come ti ho detto mastro Antonio era bravissimo a fare mobili e mobiletti vari. Io a quel tempo lavoravo alla Comac, un distributore di prodotti per l’edilizia e i ferramenta, e lui spesso veniva e mi diceva di portargli due o tre tavole nel centro storico, dove teneva la sua piccola falegnameria. Come ti ho detto lui era già vecchio, non ce la faceva a portarle e perciò gliele portavo io con piacere, anche perché a me è sempre piaciuto il legno.
Vincenzo, quando andavo da lui era come entrare in un mondo fantastico. Ricordo che aveva un bellissimo tornio a legno che si era costruito con le sue mani, tutti gli attrezzi se li faceva da soli, e anche parte dei macchinari.
Una volta sono arrivato che stava facendo un mobile, e me ne sono rimasto per un poco lì a guardare come faceva l’intarsio, con i diversi pezzetti e i diversi colori. Guardavo, pensavo a come era bello saper fare cose così e gli rubavo il mestiere con gli occhi. Sì prof., alla voce intarsi e lavori in legno ad Antonio Marsicano ho sicuramente rubato più di una cosa con gli occhi.”

“Ottimo, sei stato molto chiaro, adesso però parlami un poco del tuo amore per i mezzi agricoli.”

“Vincenzo, io vado pazzo per i mezzi, quelli agricoli e quelli per l’edilizia, pensa che a 12 anni già scendevo da solo con il trattore dalla montagna.
Devi sapere che all’epoca mio zio Lorenzo faceva il boscaiolo e dalla montagna venivamo giù con due trattori, uno lo portava lui e un altro io. 
Vuoi sapere come mi diceva zio Lorenzo? ‘Michele, se non ce la fai a frenare attaccati dietro di me e ti fermo io.” Vedi che pazzia, oggi con un figlio o un nipote nessuno di noi farebbe una cosa così, nessuno affiderebbe un trattore che scende dalla montagna a un ragazzo di 12 anni, e invece io sono molto grato a mio zio per quello che mi ha insegnato, lo so, erano altri tempi, ma ci stanno esperienze che ti formano più di mille parole. Pensa che quando andavamo alla Madonna ‘a Grazia, o alla Forgia, l’andata la facevo tutta a marcia indietro, perché lì non ti puoi girare con il trattore, non c’è lo spazio. Ricordo che mi alzavo sulla cappotta, guardavo e facevo tutto il tratto di strada a marcia indietro, spero che ci credi, perché è la verità.
Sono cose che non si dimenticano amico mio. L’altro giorno ho fatto un servizio per la mia famiglia con l’escavatore grande, io di quelli ne ho portati pochi, di più piccoli sì, ma così grandi pochi, si trattava di spianare uno spazio. 
A un certo punto è arrivato un amico e mi ha detto “Michele, io lo so che tu già da piccolo scendevi dalla montagna con il trattore, ma non sapevo che portavi anche l’escavatore grande, veramente tieni una grande passione per questi mezzi.”
Ecco prof., questa passione per i mezzi l’ho sempre tenuta dentro, però è stato zio Lorenzo che mi ha iniziato e ispirato, senza di lui non sarebbe stato lo stesso.

Nonna Caterina

“Nonna Caterina me la ricordo che era già molto anziana, lei era del 1900, poi è morta a 90 anni. Era una donna di una bontà e di una dolcezza che non si può spiegare, ma buona, buona, buona, qualunque cosa le dicevi o le facevi. Tu e Giuseppe direste che la sua parola chiave era bontà.”

“Sì, hashtag #bontà mi piace un sacco.”

“Già. Nonna Caterina ha avuto 6 figli, tre hanno preso di più da lei, compreso mio padre Giuseppe, e altri 3 di più dal marito, nonno Michele.
Mi devi credere, campassi pure 1000 anni, questo ricordo di lei che mi proteggeva e mi difendeva sempre, persino con mio padre, lo porterei sempre con me. Se per esempio papà mi sgridava, si arrabbiava perché avevo fatto qualcosa di sbagliato, lei interveniva immediatamente a mio favore, e diceva al figlio di lasciarmi stare.
Tiene presente che io da piccolo ero un poco un brigante, nel senso di scugnizzo, lo hai visto anche dalla storia del trattore, anche se essere svegli da che mondo è mondo è anche una necessità. Alla fine veniamo da famiglie semplici, fatte prevalentemente di contadini e muratori. Ricordo che nonno Michele ogni fine settimana vendeva anche le uova fresche ai professori delle scuole elementari e delle scuole medie, 40, 50, a volte anche 60, dipendeva da quelle che chiedevano, le famiglie erano numerose e bisognava portarle avanti.”

“Ti capisco, nelle famiglie della periferia napoletana come la mia, poco più di anni prima, era anche peggio, ma adesso torniamo a nonna Caterina e alla sua bontà”.

“Giusto. Se a nonna Caterina chiedevo 100 o 200 lire sai che faceva? Andava a prenderle in una cassetta che teneva nascosta, perché nonno Michele era un poco tirchio, e mi dava 500 lire, duecento lire, quello che poteva.
Da Nonna ho imparato la bontà, l’importanza di essere disponibili, di dare una mano, una bontà che ha mio padre e che penso di avere io. Ancora oggi le persone di una certa età nonna Caterina se la ricordano, e sai perché se la ricordano? Per la sua bontà.”

IL TRONCO

“Vincenzo io sono un autodidatta.
Ho lavorato come boscaiolo con mio zio Lorenzo, come muratore nell’impresa di mio padre, per 12 anni come dipendente in una specie di ingrosso e per altri 3 o 4 anni come autista del camper della ASL, naturalmente quando serviva, in media dai 5 ai 7 giorni al mese. Se faccio il conto fino a oggi ho maturato una ventina di anni di contributi come lavoratore dipendente.
Oggi il mio posto di lavoro è la campagna, la terra, il giardino di famiglia come diciamo noi, che è impegnativo, e insieme a questo dò una mano alla famiglia e agli amici quando serve, sono una specie di factotum, se vogliamo dire così.
Mia moglie Mimma invece, come sai, lavora in fabbrica, alla Confort Shoes, proprietaria del marchio Patrizio Dolci.
Prima di tornare a parlare di me ti voglio dire che in tutto quello che faccio mia moglie è un pilastro fondamentale per me e per la mia famiglia. Il fatto che lei lavori in fabbrica ha dato a me la possibilità di assecondare la mia creatività, il mio estro, la mia vocazione a dare una mano, non so come dire.
Vedi prof., te lo dico con tutto il cuore perché è la verità, mia moglie ha lavorato e lavora 3 volte più di me, sono 34 anni che si alza prresto la mattina e va al lavoro in fabbrica, 34 anni, non so se mi spiego. Senza contare che oltre alla fabbrica fa mille altre cose in casa, per i figli fino a quando sono stati con noi, per i nipoti, per me, in pratica non si ferma mai, te l’ho detto, non potrei fare niente senza di lei, ha una forza d’animo unica. Come ti ho detto lavora alla Confort Shoes da quando è nata l’azienda, prima aveva fatto 3-4 anni in un’altra fabbrica.
Mimma ha preso dal padre Remo, un grande uomo e un grande lavoratore, anche lui è stato muratore e contadino, adesso non c’è più purtroppo ma era davvero una persona speciale, aveva sempre qualcosa da fare, non perdeva mai tempo, e lo stesso è mia moglie, non si ferma mai, non so come fa, quando dico che lavora tre volte più di me dico solo la verità. E ripeto che il suo lavoro fisso è stato ed è importantissimo per la nostra famiglia, altro che chiacchiere.”

“Va bene, ho capito, del resto non mi dici cose nuove, il carettere di Mimma si presenta da sé, e così il suo amore per la famiglia e il lavoro, però adesso torniamo a te.”

“Che ti devo dire, non è semplice parlare di me, come ti ho detto sono una persona che dà una mano alla famiglia e agli amici, che mette a disposizione le cose che sa fare, che obiettivamente non sono poche.
Vedi, per me gli amici sono importanti e la famiglia è tutto, dai nonni ai figli, anzi dai bisnonni ai nipoti passando per zii, cugini e tutto il resto. Alla voce lavoro penso di poter dire aggiusto di tutto, macchine e aggeggi vari, e poi mi piace lavorare il legno e il ferro, realizzo mie creazioni in molti ambiti.” 

“Confermo, quando mi hai fatto vedere gli archi e i taglieri che fai sono rimasto abbastanza colpito.” 

“Guarda prof., non lo dico per presunzione, ma insieme agli archi e ai taglieri so fareun sacco di altre cose, pensa che nella nostra comunità ormai mi considerano quasi alla pari di mio cugino Rocco, anche lui Pellegrino come me, anche se io sono Cacetta e lui Quaglialatte, e questo per me è un onore, lui è molto bravo. Si vede che abbiamo qualcosa nel sangue, nell’anima, non ti so dire.”
“Va bene, ma torniamo all’arco, raccontami per bene la storia che mi hai accennato qualche tempo fa al bar, sono convinto che così si capisce meglio in che senso e perché sei un autodidatta.”

“Perfetto. Ho comprato il mio primo arco nel 1999 a Salerno, ricordo che lo pagai 800 mila lire, e cominciai a tirare insieme ad Angelo Risoli, il panettiere. Mi appassionai, mi allenavo come si deve, insomma facevo le cose per bene, è così che mi piace fare le cose, l’approssimazione non mi è mai piaciuta.
Dopo appena un anno l’arco si spezza. Lo riporto al negozio dove l’avevo comprato e chiedo che me lo riparino, almeno un poco di garanzia, e che diamine, invece il ragazzo del negozio mi dice che non può fare niente.
‘Ah’, dico a me stesso, ‘questo è?’. Mi metto e piano piano costruisco il mio primo arco. Dopo un poco si è spezzato. Si è spezzato il secondo, si è spezzato il terzo e anche il quarto, però nel frattempo imparavo, e così dal quinto non si è spezzato più.
L’ultimo l’ho fatto due mesi fa, è il mio lavoro meglio riuscito, come ti dicevo man mano si migliora, si impara come l’arco deve combaciare con la mano, io faccio anche le incurvature per le dita, quasi nessuno le fa, non so se lo hai notato quando hai visto l’arco.”

“Me lo hai fatto notare tu!”

“Bene. Però non ti ho detto che con quest’arco mio ho fatto due gare e in una ho fatto il terzo posto e nell’altra il secondo. Molti dei partecipanti alla fine mi hanno chiesto se l’arco l’avessi costruito io. ‘Sì’, ho risposto con una punta di orgoglio.
Vincenzo, ti sto parlando di persone che hanno gareggiato con archi di 1900, 2000, 2500 euro, cose così, non so se mi spiego.”

“Ti spieghi!”

“Bene. Con il legno come sai mi piace fare tante altre cose, compresi i taglieri, e mi piace pure lavorare il ferro.”

“Fammi qualche esempio di cose che fai con il ferro.”

“Barbecure, palette, pinzette e altri attrezzi per il camino, disegni e ornamenti vari. E faccio anche Abat-Jour e altri oggetti dove combino il legno con il ferro, poi magari ti mando qualche foto. Diciamo che a modo mio sono una persona creativa, una creatività che è stata sviluppata anche dalla mia capacità di rubare con gli occhi. Pure i miei figli quando vedono qualcosa che gli piace mi mandano la foto e mi dicono ‘papà, questa la devi fare tu.’ Posso raccontarti un altro aneddoto che poi è una storia vera?”

“Se ti dico di no che fai, non me lo racconti?”

“Dai prof. lo sai che è così per dire. Allora, un giorno siamo andati da Ikea perché mio figlio Giuseppe doveva prendere dei mobili. A un certo punto ha visto una lampada fatta con i tubi zincati che costava 280 euro. Gli ho detto “questa lampada per domani te la faccio io, e l’ho fatta, la tiene nello studio, ha anche i rubinetti che la lampada di Ikea non aveva. Se quella valeva 280 euro la mia doveva costare 500 euro. E lo vuoi sapere quanto mi è costato il materiale per farla, tra curve e tubi? Intorno ai 20 euro. Certo, poi c’è il mio lavoro, un giorno di lavoro, ma vuoi mettere che mio figlio nel suo studio ha una lampada artigiana fatta da me e non un prodotto industriale di serie?
Le cose mi piace farle sia belle che fatte bene. Mi piace la precisione, anche perché la cosa storta ci vuole il doppio per farla. È così che funziona, la cosa precisa la fai subito, quella storta no, ci vuole più tempo a fare male una cosa che a farla bene. Prendiamo questo tuo scrittoio, per esempio, per farlo dritto ci vuole un giorno, per farlo storto due. È più difficile farle male le cose, quando hai imparato per fare una cosa in maniera sbagliata ti devi applicare. Vale anche se appendi un quadro al muro, se non lo metti preciso il quadro perde il suo valore, per me è così, figurati con le cose più difficili.”

“Non dirlo a me, non so da quanti anni vado in giro a raccontare questa storia che una volta che ti sei abituato a fare bene le cose a farle male non ti viene più.”

“È così, e ti faccio un altro esempio. Se decido di regalare un tagliere quando faccio le curve, che naturalmente le faccio per bellezza, per dare valore al tagliere, devono essere precise, altrimenti il tagliere non te lo porto proprio, per quanto mi riguarda una cosa così è inconcepibile. Bellezza e lavoro ben fatto per me devono stare insieme, deve andare per forza così, a fare le cose in un modo diverso non mi trovo.”

“Non puoi sapere come ti capisco. Adesso dopo alle radici e al tronco veniamo ai rami, a Giuseppe e Francesco, i vostri due figli.”

I RAMI

“Le prima cosa che ti dico la sai già: Giuseppe, il più grande, è fotografo e filmaker e ha il suo studio qui a Caselle, mentre Francesco, il secondo, è cuoco e dopo diverse esperienze a Caselle, a Policastro, a Sicilì e in Svizzera adesso sta costruendo il suo futuro a Piacenza.
La seconda forse no: questa è la prima volta che racconto i miei figli nel modo in cui intendi tu, io ti prometto che cercherò di fare quanto meglio posso, però tu cerca di capirmi se qua e là vedrai spuntare il mio orgoglio di padre, penso che sia normale. Ti sta bene se comincio dalle cose che secondo me hanno ereditato da me e dalla madre?”

“Certo che mi sta bene.”

“Perfetto. Innanzitutto direi creatività e costanza, che tutti e due portano nel loro lavoro e nelle loro vite. Poi ci stanno l’onestà, la bontà, la voglia di imparare, di rubare il mestiere con gli occhi, di lavorare con precisione, di rispettare gli impegni che si prendono, di ascoltare i consigli delle persone più esperte. A Francesco per esempio ripeto spesso di dare ascolto al suo chef, e lui mi rassicura dicendomi che lo sta a sentire sempre, anche quando lo chiama la domenica o quando non lavora.
Vincenzo, noi siamo i Cacetta, e i Cacetta dove li chiami chiami corrono, sempre, pure se li chiami a Natale. Non lo dico per dire, ma se qualcuno ha bisogno noi ci siamo per dare una mano.
L’altra cosa che gli abbiamo trasmesso è la cultura del lavoro, se posso dire così.”

“Lo puoi dire, lo puoi dire, la cultura del lavoro è molto più importante della cultura della ricchezza, anche se molti se lo dimenticano.”

“Già. I nostri figli fin da piccoli dovevano fare delle cose, capire che cos’è il lavoro. E quando hanno avuto l’età giusta hanno cominciato a fare esperienza come camerieri, tutti e due, non solo Francesco che faceva l’istituto alberghiero, anche Giuseppe che faceva la ragioneria. Si sono diplomati tutti e due.
Secondo me, prima i ragazzi cominciano a capire che cos’è il lavoro e prima si attaccano al lavoro, poi il salto di qualità lo fanno quando cominciano a mettere su famiglia, ma questo è normale.
Tornando all’oggi, Giuseppe come ti ho detto si sta costruendo il futuro a partire da qui, Caselle in Pittari e il Cilento; Francesco invece ha dovuto andare fuori, prima in Svizzera, è partito quando aveva 16 – 17 anni e ci è stato per un paio di anni. 

”Immagino sia stata dura per te e la madre.”

“Sicuramente, però Mimma ha un carattere diverso, più positivo, mentro io non volevo, per me non è stata solamente dura, sono stato male, ho dovuto fare anche una cura che è durata circa un anno, invece adesso sono contento. Per lui è stato giusto così e io sono molto orgoglioso di quello che sta facendo, dopo i due anni in Svizzera adesso sono quattro anni che Francesco sta a Piacenza e ci sta dando tante soddisfazioni, pensa che è diventato anche consigliere provinciale dei cuochi di quella città.
La verità è che nel suo lavoro qui da noi le soddisfazioni, e anche la stabilità del lavoro con il trattamento economico e il rispetto dei diritti per tutto l’anno li puoi avere soltanto se apri un locale tuo, mentre al Nord è diverso, anche le possibilità di crescita professionali sono diverse.
Sono tutti e due ragazzi d’oro, Giuseppe prima di aprire il suo studio fotografico ha anche lavorato tre o quattro anni in fabbrica, gli volevano tutti bene, quando ha deciso di lasciare si sono dispiaciuti tutti, lui in qualunque posto lo mettevi imparava e faceva bene; era bravo, credo che volessero fargli fare anche il capo squadra, ma giustamente lui ha voluto seguire il suo sogno.”

“Mi sembra giusto. Va bene, però ci sarà anche qualche differenza tra questi due ragazzi?”

“Vincenzo tu lo sai, e figlie so’ figlie, e sono tutti uguali, però se proprio devo distinguirli direi che Giuseppe è un poco più Fiscina e Francesco è un poco più Pellegrino, più Cacetta.
Sì, Francesco è un Cacetta 100 percento, si butta dappertutto, pensa che un giorno abbiamo montato una piscina a casa di un amico con video chiamata, una piscina 6 metri per 4, 24 metri quadrati.
Francesco mi ha chiamato e mi ha datto “papà ci devi aiutare”, chiaramente lui e il suo amico sanno cucinare, non sono esperti di montaggio di piscine.
Hanno fatto la video chiamata e gli ho spiegato che la prima cosa era mettere la piscina a livello, questa è la cosa più importante. Dopo di che gli ho detto di farmi vedere le pareti e gli ho detto di cominciare a montarle sempre facendo molta attenzione al livello. Basta un centimetro, a destra o a sinistra, e il peso dell’acqua, ce ne va tanta in una piscina di 24 metri quadrati, fa inclinare la piscina e non la tieni più.
All’inizio non è stato facile, ma poi gli ho detto di mettere dei tappetti sotto e quando la bolla della livella era perfetta da tutti e quattro i lati gli ho detto che potevano montarla e fermarla. Poi seguendo le istruzioni hanno montato la pompa e insomma piano piano è andato tutto a posto.
Giuseppe come carattere è più riservato, non te lo fa tanto vedere quanto ti vuole bene, però nel lavoro è preciso, impeccabile in ogni cosa che fa.
Naturalmente il suo lavoro non lo posso giudicare io, ma a me le cose che fa, i montaggi, la fotografia, l’accuratezza che mettenei suoi video piace tantissimo. E poi tra poco arriva il primo figlio, è maschio e lo chiama Michele, immagina come sto, tu come mi vedi come nonno?”

Che dici, cara Irene? Come lo vediamo noi nonno Michele? Direi come uno che non vede l’ora di fare con il piccolo Michele quello che nonno Vincenzo e zio Lorrenzo hanno fatto con lui. Però questo a Denise, la compagna di Giuseppe, forse è meglio che non glielo diciamo.

POST SCRIPTUM

Cara Irene, Michele mi ha mandato un poco di altre foto relative alla sua famiglia e alle cose che fa, le trovi cliccando qui o sulla foto sotto. Buona visione.