Emanuele Stifano: vocazione e destino di uno scultore

Cara Irene, oggi ti racconto la Serata Alpha dedicata allo scultore Emanuele Stifano che si è tenuta venerdì 14 Aprile in Jepis Bottega, a Caselle in Pittari. Credimi, è stata pura magia, l’emozione la potevi tagliare con il coltello, un po’ come la nebbia, un tempo, a Milano.
In realtà le premesse perché fosse una serata così c’erano tutte: la presenza in Bottega di “Natura”, l’opera con cui Emanuele ha completato il suo trittico, “Logos”, che quando Giuseppe me lo ha detto pensavo stesse scherzando e poi ho scoperto che lo stesso ha pensato lui quando glielo ha detto Emanuele; l’organizzazione della serata, il format come si dice adesso, con le letture seguite dalle domande e risposte e in mezzo la proiezione del piccolo documentario; la partecipazione attiva dei presenti, che anche quella ha contribuito assai a fare la differenza.

È stato come vivere un racconto psicologico in compagnia di Hillman che cerca il codice dell’anima con l’aiuto di Er, il “compagno segreto” (il Daimon per i greci, il Genius per i latini, l’Angelo Custode per i cristiani). Un racconto incantato in compagnia de Il Piccolo Principe che svela all’aviatore l’essenziale che è invisibile agli occhi e si vede solo con il cuore. Un racconto poetico in compagnia di Leopardi che passeggia sul monte Tabor, a Recanati, e compone “L’Infinito“. Te lo assicuro, non sono esagerato amica mia, è proprio così che è andata, o comunque è proprio così che l’ho vissuta.
Insieme a Emanuele e alla sua scultura, la serata ha avuto altri due protagonisti principali: Psiche come Anima, il piccolo documentario di Giuseppe Jepis Rivello e L’ingegno e le tenebre, il libro di Roberto Mercadini. E poi ancora ci hanno fatto compagnia il racconto sulle vie dei Mosaici e del Processo Creativo di Carla Passarelli, mosaicista e compagna di vita e di arte di Emanuele; le foto di Giuseppe Cacetta Pellegrino e il suo videoracconto Marmo e Parole; le storie social di Mariantonietta Pisano; le domande che tra una lettura e l’altra ho fatto a Emanuele e le sue risposte; gli interventi, le curiosità e le domande del pubblico; la mappa preparata nel pomeriggio da Giuseppe con Marianonietta e me che gli abbiamo dato una mano.
Ecco, metti tutto questo una sera in Bottega e ti rendi conto di quanto siano state belle e feconde le connessioni della serata.

Come dici amica mia? Perché ho lasciarti passare così tanti giorni prima di raccontarti questa storia?
Perché non sempre la vita ci permette di definire le priorità, di scegliere quello che viene prima e quello che viene dopo, come diceva mio padre. E perché quello che in questi giorni è venuto prima è stato così impattante su di me che ha scavato un buco nella mia memoria, che già in condizioni normali non è questa gran cosa.
Te lo dico dritto per dritto? Mentre le emozioni me le ricordavo quasi tutte, nella ricostruzione di quello che ci siamo detti io ed Emanuele mancavano tante cose. Ho rimediato con l’aiuto di Emanuele, Carla, Giuseppe e altri amici presenti, però ci tengo a sottolineare che per me recuperare il poco o tanto che ricordavo del dialogo con Emanuele dalla nebbia della mia memoria è stato un esercizio importante, e impegnativo, e così ho pensato di renderlo pubblico e condividerlo con te. Potrebbe essere anche questa una sperimentazione, alla fine nei problemi si celano sempre delle opportunità, anche quando ci vuole tempo per vederle, coglierle e moltiplicarle. Ecco, direi che adesso sono pronto per il passo successivo.

GIUSEPPE | PRIMA LETTURA | PAGINA 29
“La bottega di un artista rinascimentale è  per noi un luogo difficile da immaginare. Dalle descrizioni degli storici, parrebbe simile a in parte a un atelier, in parte all’officina di un artigiano, dove si fatica e ci si sporcano le mani; in parte a un collegio, in parte a un museo, in parte a qualcos’altro ancora: una sorta di caverna delle meraviglie, come quelle delle favole orientali, capace di contenere ogni sorta di prodigio dell’arte e della tecnica: dipinti, sculture, scenografie, costumi teatrali, armature da cavaliere, stoffe preziose, specchi curvi per far convergere i raggi del sole e addirittura saldare lastre di metallo. In mezzo a tutto questo sta lui, il maestro, quello col nome; genio della caverna in carne e sangue. Ogni tanto entra un cliente, si rivolge al genio ed esprime un desiderio promettendo un lauto pagamento (si tratta di “aladini” piuttosto facoltosi, una versione della fiaba leggermente più realistica). Il genio esaudisce il desiderio creando un prodigio dell’arte. Ma capita anche che nella caverna entri un aldino giovane e per nulla ricco (proprio come quello della favola) e che costui osi esprimere un desiderio particolarmente audace e avventuroso: diventare un genio a sua volta, allo scopo di aprire, a tempo debito, una caverna per conto suo.”

VINCENZO | DOMANDA
Qui è quando sono partito da un ricordo personale, dalla prima volta che con Giuseppe sono andato a trovare Emanuele in Bottega. Era il tempo in cui “Anima”, la seconda scultura del trittico, era ancora un modellino ricoperto di carta e di nastro adesivo, che poi, a pensarci adesso, la bottega stessa di Emanuele era solo un abbozzo. La domanda alla fine è venuta da sé, alla scoperta del rapporto dell’artista con il luogo in cui si esprime, tra arte e spazio, arte e ispirazione, arte e lavoro, arte e bottega, arte e ferri del mestiere.

EMANUELE | RISPOSTA
Qui è dove la prima parola chiave è gentile. Gentile nel senso dei modi gentili con cui Emanuele ha raccontato della passeggiata che fa ogni mattina nell’orto intorno alla bottega prima di mettersi al lavoro. E poi l’infinito fatto di alberi, colline e monti, con uno sguardo sul mare. E infine la quiete, l’assenza di voci. Silenzi di cui l’artista non può fare a meno e che pure a volte suonano troppo lunghi, essi stessi rumorosi.

GIUSEPPE | SECONDA LETTURA | PAGINE 34 e 35
“Domenico Bigordi detto il Ghirlandaio; Alessandro Filipepi detto il Botticelli […], Donato Bardi detto Donato (ma oggi più noto come Donatello – un altro che ce l’ha fatta!): sono solo alcuni degli artisti che hanno cominciato la loro carriera imparando il mestiere dell’orafo. Oggi può apparirci strano ma, a ben guardare, per realizzare un qualsiasi oggetto in un metallo prezioso occorre avere mani allenate a lavorare e occhi minuziosamente attenti alla bellezza. Spesso occorre prima disegnarlo con cura. E occorre, dopo averlo disegnato, dargli forma con inflessibile precisione. Insomma essere un orafo è un buon punto di partenza per arrivare a fare il pittore o lo scultore. Anche il maestro di Leonardo ha cominciato così. Andrea di Michele di Francesco di Cione è un ragazzino quando diventa allievo dell’orafo Tommaso Verrocchio. Quel cognome gli si attacca addosso, come se ne fosse divenuto il figlio. Ci si può chiedere, naturalmente, come mai i molti allievi dello Squarcione, che da lui erano stati regolarmente adottati, abbiano mantenuto ciascuno il proprio cognome, mentre il Verrocchio ha finito per essere soprannominato con quello del suo primo (e oscuro) maestro. Ma non tutti gli interrogativi trovano una risposta sensata, specie quelli che riguardano quest’epoca.”

VINCENZO | DOMANDA
Qui è dove il tema è il rapporto tra il maestro e l’allievo, e anch’esso sta nel racconto stesso. Non vale solo per Michelangelo e Leonardo, vale per ogni bottega, per gli orafi del rinascimento in cerca dell’allievo a cui tramandare la pratica della foglia oro fino al maestro artigiano dei nostri tempi. Sono partito anche qui dai ricordi, dal lavoro di ricerca e di scavo fatto di recente con Giuseppe, dal libro Parole Forgiate, dal progetto Da 99 a Cento, per chiedere al nostro amico scultore di raccontarci il suo approccio con la condizione di allievo, e di maestro.

EMANUELE | RISPOSTA
Qui è dove la prima parola chiave è candore. Il candore con cui Emanuele mi guarda e dice “eh, lo sto cercando un allievo”, per poi aggiunge che il suo allievo prediletto deve avere tanta fame, la fame che aveva e continua ad avere lui.
“E il talento?”, rilancio, e lui risponde che anche il talento è importante, però viene dopo la fame, dopo la determinazione che ti consente di imparare e di crescere ogni giorno.  “Cerco la fame”, aggiunge. “La fame che mi ha spinto a lasciare il lavoro di marmista che avevo per investire tutti i miei pochi risparmi per comprare due cose: il pezzetto di terra sul quale ho costruito la prima versione della mia bottega e il blocco di marmo sul quale ho costruito il mio futuro di scultore. Un blocco enorme, comprato al tempo in cui non sapevo da dove cominciare e non avevo alcuna competenza o esperienza nell’utilizzo dei ferri del mestiere. Non sapevo nulla, se non il fatto che era quello che volevo e dovevo fare.”

PROIEZIONE PICCOLO DOCUMENTARIO NEL LATO BETA DELLA BOTTEGA

 

GIUSEPPE | TERZA LETTURA | PAGINE 51 e 52
“Per tutta la vita, Leonardo avrà l’abitudine di portarsi dietro un quaderno e di prendere appunti su tutto ciò che vede e sente. Raramente si tratta di pagine complesse e accurate come quelle più celebri dei codici (l’ala da pipistrello della macchina volante, il feto raggomitolato nell’utero eccetera). La gran parte somiglia di più all’appunto sul povero Bandini Baroncelli: un’immagine tratteggiata velocemente e corredata da un breve commento. Ogni pagina può contenere anche tre o più soggetti diversi, affastellati in un insieme senza alcuna coerenza. Seguendo il filo capriccioso dei pensieri, Leonardo osserva il mondo e lo ferma sulla carta, e così facendo è come se registrasse la sua vita mentale in presa diretta. Consultando quelle pagine si ha l’impressione di udire qualcuno che parla fra sé e sé, che borbotta ad alta voce. Alcune annotazioni sono incredibilmente inutili. Un paio di esempi. Quando per diversi giorni non riesce a incontrare il suo mecenate dell’epoca, Cesare Borgia, duca di Valentinos (per questo chiamato anche “il Valentino”), sul taccuino scrive: “Dov’è Valentino?”. Una domanda fatta a se stesso e scribacchiata così, nero su bianco. Oppure: si è fatta l’ora del pasto ed è pronto in tavola; lui deve interrompere il lavoro, ma prima annota diligentemente: “La minestra si fredda”.
I quaderni di Leonardo, in pratica, sono un’estensione fisica della sua mente: un misto di ricordi, cose che vede e gli catturano l’attenzione, intuizione estemporanee, frasi che emergono spontaneamente alla sua coscienza senza una ragione precisa. Più si legge e più risulta evidente che passa moltissimo tempo a osservare con cura il mondo, a volte concentrandosi su fenomeni che quasi chiunque riterrebbe degni di attenzione (Bandini Baroncelli impiccato), altre, con uguale intensità, su dettagli che quasi chiunque riterrebbe del tutto trascurabili. A ogni modo, qualunque cosa guardi, quasi mai Leonardo vede quello che vedono gli altri. Il suo punto di vista è perennemente diverso, la sua prospettiva ostinatamente nuova.”

VINCENZO | DOMANDA
Qui è dove ho chiesto a Emanuele se avesse mai avuto un quaderno o qualcosa di simile, se avesse mai preso appunti per ricordare cose, per mettere ordine, per ispirarsi o semplicemente tornarci su.

EMANUELE | RISPOSTA
Qui è dove la prima parola chiave è ordine. Perché Emanuele prima ha detto che non ha mai avuto un quaderno degli appunti in senso classico e che le poche volte che ha provato a segnare delle cose su un foglietto dopo poco lo ha perso, o strappato. E poi ha aggiunto che fa ordine nei suoi pensieri mettendo ordine tra le sue cose (attrezzi, oggetti, piante). “Vincenzo, l’ordine e l’armonia delle cose che mi circondano mi fanno stare bene e mi aiutano a concentrarmi”, ha concluso.

GIUSEPPE | QUARTA E ULTIMA LETTURA | PAGINE 54 e 55
Andiamo avanti, anzi torniamo indietro: parliamo di una delle prime opere scolpite da Michelangelo nella corte medicea. Nel giardino di San Marco, fra i frammenti antichi, c’è la testa di un anziono fauno, essere mostruoso in parte umano e in parte caprino. Ma è spezzata: manca la parte inferiore, dove c’era la bocca. Una delle prime richieste fatte al giovane Michelangelo è quella di produrne una nuova versione completa, in parte copiando e in parte inventando. Il ragazzo immagina allora che il fauno stia ridendo e gli scolpisce le labbra aperte, con i denti in bella evidenza.
Il Magnifico in persona si aggira per il giardino a vedere come procedono i lavori, e Michelangelo gli mostra orgoglioso la sua opera. Quando Lorenzo, forse per celia, gli fa notare che il fauno è anziano e che nessun anziano ha denti perfetti come quelli, lui immediatamente riprende lo scalpello in mani e spacca un paio di denti al mostro. Cioè rovina la scultura allo scopo di renderla perfetta, la corregge aggiungendovi un difetto.
Che tipo di reazione è questa? È il gesto di un ragazzo ingenuo, che prende alla lettera ogni cosa e non capisce quando qualcuno sta scherzando? È, al contrario, il gesto di una persona arguta e pronta di mente, che sta al gioco e vuole spiazzare il suo interlocutore con un gesto inatteso? Uno che pensa: “Fai lo spiritoso? Bada che io sono più spiritoso di te!”? È il gesto di una persona che a tutti i costi vuole soddisfare il suo committente, con supina cecità? Oppure è il gesto di sfida di chi non intende sottomettersi a nessuna autorità e si permette audacemente di prendere il suo mecenate?
L’unica cosa che ci tramandano i biografi in proposito è che Lorenzo il Magnifico è tanto divertito dalla reazione di Michelangelo da decidere di prendere il ragazzo a vivere con lui: avrà una stanza tutta sua a palazzo. Ma in quei denti spezzati, oltre al grande onore di dormire e mangiare insieme al signore dei Medici, ai suoi figli e al resto della corte, c’è una premonizione che il giovane scultore non può sospettare.”

VINCENZO | DOMANDA
Qui è dove ho chiesto a Emanuele se lui, al posto di Michalengelo, li avrebbe spezzati i denti del fauno. Glielo ho chiesto dopo aver protestato per la rappresentazione mostruosa del fauno perché penso che Filottète, il maestro di Hercules nel cartone animato della Disney, non merita questo oltraggio. Il senso della domanda è rimasto comunque evidente: il rapporto tra l’artista e il  mecenate.

EMANUELE | RISPOSTA
Qui è dove la prima parola chiave è libertà. La libertà espressiva di cui la creatività dell’artista, l’artista stesso, non può fare a meno. Dopo di che ha aggiunto che in passato di denti ne ha già dovuti spezzare troppi e che per fortuna adesso non ne spezza più, grazie ai suoi due mecenati, e al rapporto di rispetto e di fiducia che ha instaurato con loro.

GLI INTERVENTI, LE DOMANDE DEL PUBBLICO, LE RISPOSTE DI EMANUELE

Carla Passarelli
Qui è dove Carla ha raccontato del significato dell’oro nei mosaici bizantini, del legame profondo con il divino e con la luce. E di come tutto questo abbia a che fare, a sua avviso, con il senso e il significato della tesserina d’oro che Emanuele, a partire da “Logos”, sta apponendo in ciascuna sua opera. E dove si emoziona e si schernisce quando le dico che secondo Emanuele la tessera è un omaggio a lei. “No, Vincenzo, per me detto così è solo un imbarazzo, direi piuttosto che è una firma che ci lega e ci rappresenta. Aggiungo che a mio giudizio si inserisce al meglio nella sua estetica, così elegante e raffinata.” Dopo di che ha sorriso e ha parlato della loro continua e costante comunicazione, delle loro giornate fatte di un continuo scambio di idee e di stimoli, dalla mattina al risveglio alla sera quando si addormentano. “Emanuele non è mai contento, mai soddisfatto”, ha aggiunto. “Come hai detto anche tu, ogni volta che arriva dove si era prefissato di arrivare sposta l’asticella. Convive con un senso di frustrazione che è però, al tempo stesso, uno stimolo. Uno stimolo non solo per lui, anche per me. È molto critico, pignolo, se dice che una cosa è fatta benino è già un ottimo risultato per me.”

Pietro Costa
Qui è dove Pietro chede a Emanuele se, quando cerca ispirazione o riscontro, guarda solo indietro (cioè a 400-500 anni fa) o guarda anche a destra e sinistra per guardare a chi c’è adesso. E poi anche chi cosa vede in avanti.

Risposta di Emanuele
Qui è dove Emanuela risponde a Pietro che i suoi punti di riferimento sono sempre stati i grandi scultori italiani che ben conosciamo fino ad arrivare ad Adolfo Wildt che per lui è tipo un guru.

Salvatore Carbone
Qui è dove Salvatore ha chiesto a Emanuele qual è la sua paura più grande.

Risposta di Emanuele
Qui è dove Emanuele ha risposto che la cosa che lo spaventa di più è che il suo bonsai si secchi.

IL VIDEORACCONTO DI GIUSEPPE CACETTA PELLEGRINO

 

LE ALTRE FOTO DI GIUSEPPE CACETTA PELLEGRINO

Questo slideshow richiede JavaScript.

LA LOCANDINA

LA PROSSIMA FERMATA

“Natura”, opera di Emanuele Stifano, sarà in mostra alla Reggia di Portici e negli spazi dell’Orto Botanico dal 3 Maggio al 3 Luglio 2023, a “Onyria, Surrealismo di Ordinaria Contemporaneità“, collettiva d’arte contemporanea con opere di Elia Alunni Tullini, Annalisa Apicella, Luigi Citarrella, Alessia Forconi, Ignazio Fresu, Marco Fusco, Alessandro Guerriero, Marco Manicardi, Fulvio Merolli, Giuseppe Negro, Giuseppe Palermo, Nicola Pellegrino, Adriano Sambito, Corrado Sassi, Emanuele Stifano, Fernando Spano, Filippo Tincolini e Vinzela.

PUNTO ORO