Le foto, i valori e la famiglia di Michele Croccia

IMPASTO PIZZE, SFORNO STORIE
LA STORIA DI VITA E DI LAVORO DI MICHELE CROCCIA

Cara Irene, è da quando ha scritto “Impasto pizze, sforno storie” con Luca che non ti ho racconto più niente di Michele.
Un libro è un libro, ha più possibilità, lo vedi leggendo la sua storia, quella di una persona umile, capace, tenace, sincera, che ha la fame che ti spinge a migliorarti ogni giorno per spostare un pochino più avanti il tuo limite, nel suo caso come pizzaiolo, come contadino, come narratore e come uomo. Diciamo che non ho sentito il bisogno di aggiungere altro, che mi ha fatto piacere fermarmi per un po’.
È stato un pomeriggio di un paio di settimane fa, mentre risalivo la Pantanedda diretto da Giuseppe per ritirare “Buchi bianchi” di Rovelli – eh sì, la nascita della libreria Crea Racconta Ricrea all’interno della Bottega ha reso ancora più bella la mia vita qui a Cip – che la ruota ha cambiato di nuovo verso.
Assorto nei miei pensieri, avevo quasi del tutto oltrepassato La Pietra Azzurra quando ho intravisto, nascosto dal sole che rimbalzava sull’invetriata, Michele che smanettava con il computer. Sorpreso, era l’ora in cui di solito sta con le mani in pasta al LievitiLab, ho attraversato la strada per salutarlo. Al suono delle nocche sulla porta si è girato, mi ha visto ed è venuto ad aprirmi.
“Che fai?”, gli ho chiesto.
“Guardo alcune foto”, mi ha risposto. “Vieni, siediti un minuto che ci beviamo un caffè e te le faccio vedere.”
L’ho seguito e così abbiamo fatto.

“Che dici, ti piacciono?”, mi ha chiesto mentre mi prendeva la tazza e la portava insieme alla sua in cucina. Michele con me è sempre gentile, eppure il gesto mi è sembrato strano, avrebbe potuto appoggiarle sul tavolino di fianco, non c’era tutta questa fretta di portarle via.

“Sono molto belle”, gli ho risposto mentre si risiedeva, questa volta di fronte a me. “E il bianco e nero è la morte loro.”
“Non sono solo belle”, ha ripreso, “hanno anche un grande significato per me. Le sto facendo ingrandire, presto faranno bella mostra di sé sulle pareti della sala superiore della pizzeria. Ce ne sono anche altre, ma queste tre sono quelle che hanno più senso per me, come diresti tu.”

Come dici cara Irene? Sono d’accordo, l’occasione era ghiotta, e infatti non me la sono lasciata sfuggire.
“Perché non me le racconti queste tre foto?”, gli ho detto.
“Adesso non posso, ma uno di questi giorni lo facciamo”, mi ha risposto.
Ammetto che un poco ci sono rimasto male per il colpo che mi è rimasto in canna, però solo un poco, dopo di che ci siamo salutati e ho ripreso i miei passi verso la libreria.

Uno di questi giorni è stato ieri. Squilla il telefono, il display dice Michele Croccia ma la voce è della mitica Mimma, la moglie. Mi invita a salire perché ha fatto la pastiera, le rispondo di sì senza pensarci un secondo, come le zeppole di san Giuseppe e la torta con la crema la sua pastiera è assolutamente da non perdere. In pizzeria trovo anche Michele, mi dice che se non ho impegni mi può raccontare la storia delle foto, gli rispondo che per quanto mi riguarda l’accoppiata pastiera più storia è meglio di un ambo al Lotto. La pastiera di Mimma supera le mie aspettative, e non era facile, la storia di Michele la puoi leggere di seguito.

Nonno Michele, Nonna Franceschina e Zio Micheluccio | Valori

“In questa prima foto sono ritratti le tre persone più importanti della mia vita a livello di educazione e di formazione, a parte naturalmente mio padre, mia madre e mio fratello. Al centro e a destra ci sono nonno Michele e nonna Franceschina, lei l’ho raccontata in due dei filmati diretti da Giuseppe, Lieviti e ‘A pizza di nonna Franceschina. Quello a sinistra è un fratello di nonna Franceschina, zio Micheluccio, anche lui adesso non c’è più. Il bambino che si intravede in basso a sinistra potrebbe essere un figlio di zio Micheluccio, ma non ne sono sicuro.
Per quanto riguarda nonna Franceschina aggiungo solo che per me è stata come una seconda mamma, sono stato sempre con lei. Nonno Michele invece è quello che mi ha trasmesso i valori fin da quando ero piccolo, è stato decisivo nella mia formazione. Voglio spiegarmi bene Vincenzo, i miei genitori sono stati sempre presenti, però loro lavoravano, e io stavo molto con i nonni. È stato nonno Michele che mi ha formato, che mi ha trasmesso i valori che sono alla base della mia esistenza. Scusami per la voce rotta dalla commozione, ma nonostante i miei anni non ce la faccio a parlare di loro senza sciogliermi fino alle lacrime; è troppa la gratitudine, è troppo l’amore che nutro nei loro confronti.”

“Non hai niente di cui scusarti amico mio”, gli ho detto con affetto, e come un lampo mi è tornata alla mente la storia delle tazze riportate in fretta in cucina: Michele lo aveva fatto per nascondermi la sua commozione.

“Zio Micheluccio invece”, ha ripreso con fatica, “è stato l’uomo della relazione tra la campagna e il paese. Lui viveva in paese però ci veniva spesso a trovare alla Creta, che come sai è in alto, a 4-5 chilometri dal centro abitato. A parte alcuni amici, lui era il legame principale con il resto della comunità, l’unica persona “esterna”, tra virgolette ovviamente, che era presente nella mia vita di tutti i giorni. Fino ai 15 – 16 anni è stato così: lui era la relazione con le altre persone, con il mondo esterno alla campagna e alla famiglia in senso stretto.
Zio Micheluccio era anche un bravo mediatore. Nelle nostre vite ci sono sempre dei piccoli conflitti, cose normali, che però se soffi sul fuoco possono crescere fino a ingigantirsi; ecco, lui cercava ogni volta di mediare, di mettere una parola buona, di rassenerare gli animi, di indicare una via d’uscita.
Credo di dovere in buona parte a lui la mia capacità di smussare gli angoli, di mediare, è un qualcosa che ho imparato da lui. Era una bella persona, alta, per certi versi imponente, che però non faceva mai leva sulla sua forza, ma sempre sulla gentilezza, su questa sua voglia di pacificare gli animi, di appianare i problemi.
Voglio raccontarti anche un altro episodio che lo riguarda, risale al luglio del 1997, quando ho aperto la pizzeria. Era seduto proprio qui dove siamo seduti noi, felice, commosso fino alle lacrime come lo sono io adesso, orgoglioso di me come se chissà quale grande opera avessi fatto.
Vedi, era stato mio nonno a fare questa casa, però poi era rimasta così, quasi abbandonata, perché come ti dicevo noi vivevamo in campagna. Zio Micheluccio a un certo punto ha cominciato a raccontare di quando, nei primi anni 60, era arrivato il cemento che serviva per gettare le fondamenta della casa. Venne a piovere e mio nonno per non far bagnare il cemento stese un telo e cercava di reggerlo alla meglio da sotto. Zio Micheluccio, sapendo che il nonno era lì, lo raggiunse, lo aiutò a sisteme per bene il telo e portò il nonno a casa sua per farlo asciugare. È ricordando questo episodio che gli venne il pianto, e non si fermava più, e tra le lacrime mi disse cento volte che era fiero di me e felice del fatto che ero riuscito ad aprire la pizzeria.

“Se dovessi dare un titolo a questa foto?”, gli ho chiesto quasi intimidito dalle sue lacrime.
“Educazione, formazione, no, valori, meglio valori.”

La promessa di matrimonio | Radici

“E di questa foto qui che mi dici?”

“Qui sono ritratti i miei genitori il giorno della loro promessa di matrimonio. Mia madre Anna Maria è la seconda da sinistra in prima fila, di fianco alla bambina, mio padre Alfonso è quello di fianco a lei, tutt’intorno nonne, nonni, zie e zii vari, fratelli e sorelle, proprio come si usava allora e in forme diverse anche oggi.
Questa foto per me rappresenta l’inizio dell’avventura della mia famiglia, anche se naturalmente io non c’ero ancora. Immortala  il momento in cui i miei genitori pongono le basi della nostra famiglia, come sai io sono il primo, dopo di me c’è mio fratello Guido.”

“A proposito, ma perché tuo fratello si chiama Guido? È un nome inusuale qui a Caselle in Pittari.”

“Hai ragione, quella del nome di mio fratello è una storia curiosa, te la racconto, anche se per la verità non è che la conosco proprio nei dettagli.
Io mi chiamo Michele come mio nonno paterno, però pure mio nonno materno si chiamava Michele, come sai qui da noi siamo in tanti a chiamarci così. Mio fratello invece si chiama Guido perché c’era un grosso rispetto per una famiglia importante qui in paese, una famiglia benestante, il cui capostipite si chiamava per l’appunto Guido. Forse i miei nonni lavoravano come mezzadri anche qualche terreno di sua proprietà, sta di fatto che in segno di rispetto per questa persona, che a sua volta era molto rispettoso verso tutti, comprese le persone più umili e quelle che lavoravano per lui, i miei genitori vollero chiamarlo così. Forse è stato anche un modo per augurare a mio fratello un futuro altrettanto importante; potrebbe essere, magari glielo devo chiedere a mio padre.”

“Anche se credo di conoscere già la risposta, qual è il tuo titolo per questa seconda foto?”
“Beh, questa è facile, radici. Tutte le persone che sono ritratte fanno in vario modo parte delle mie radici, e le radici sono importanti, danno nutrimento alla pianta, ai suoi rami e alle foglie.”

Mio cugino Alfonso | Riscatto

“E così siamo arrivati all’ultima foto.”
“Già. Questa è stata scattata il giorno 8 Maggio del 1975, c’è la data dietro. Quello piccolino sono io, quello molto più grande di me è un mio carissimo cugino, Alfonso. In questo periodo ha problemi di salute, sta in ospedale, è una cosa che mi fa stare parecchio male, gli sono molto affezionato, spero tanto che si rimetta presto e bene.
Nella foto stiamo davanti alla grotta di San Michele, mia mamma mi aveva portato lì insieme a lui; evidentemente in quel momento mio cugino mi aveva tolto dalle braccia di mia madre per tenermi con sé.
Insieme all’affetto che nutro per lui, questa foto l’ho scelta perché rappresenta l’inizio della mia vita, ancora devo compiere un anno, e sto in un posto molto importante per noi casellesi e non solo, non so se ci sei mai stato.”
“Sì, con mio figlio Riccardo.”
“Bene. Vedi, Alfonso è una persona che è stata sempre presente nella mia vita, ci è sempre stato vicino, sia a me che alla mia famiglia. Come ho raccontato più volte, provengo da una famiglia bellissima, non la cambierei per nulla al mondo, però era anche una famiglia molto umile, abbiamo dovuto fare tutti molti sacrifici per migliorare. Tornando a mio cugino, c’è stato sempre molto rispetto tra le nostre famiglie e dal momento in cui ha saputo che aprivo la pizzeria mi è stato sempre molto vicino, è sempre molto orgoglioso di me, dei traguardi che ho a poco a poco raggiunto, dei miei piccoli successi, non solo quando vincevo delle manifestazioni o ottenevo qualche riconoscimento, anche quando apportavo delle novità nel mio lavoro. Mi viene spesso a trovare al laboratorio. Sì, lui mi rispetta tantissimo e io altrettanto. Scusami ancora per le lacrime, ma come ti dicevo adesso è in ospedale, spero con tutto il cuore che torni a casa al più presto.”

“Hai detto che nella scelta della foto c’entra anche la grotta di San Michele, che per te e per tutta la comunità casellese è un luogo di culto molto importante.”

“Sì, la grotta di San Michele è un punto di riferimento importante per tutti qui a Caselle, almeno due volte all’anno andiamo su tutti, a piedi, anche perché non c’è altro modo per arrivarci.  È una specie di pellegrinaggio, è un percorso di unione, di preghiera. Se ritorno con il pensiero alla mia infanzia mi ricordo che quando c’erano queste ricorrenze, non solo san Michele, anche san Rocco e altre, si riunivano le famiglie, non solo quelle di provenienza, la famiglia allargata diciamo così, con zie e zii, cugine e cugini, erano giornate consacrate allo stare insieme. Vedi, io penso che allora il rispetto era una parte molto importante delle storie delle famiglie e delle comunità, era alla base dei rapporti tra le persone.”

Sorrido e faccio notare a Michele che ripete spesso la parola “rispetto”, che questa è una delle parole chiavi della sua vita e del suo lavoro, come se non lo sapesse.

“Il rispetto è come una pietra miliare della mia vita, è stato una parte fondamnetale della mia formazione. Nell’educazione che ho avuto dalla mia famiglia la prima cosa che mi hanno insegnato è questa, il rispetto.”

Se tu volessi dare anche in questo caso un titolo a questo foto come la chiameresti?
“Riscatto. Perché mio cugino conosce il punto dal quale sono partito, ha seguito tutto il mio percorso di vita, ed è stato veramente molto felice quando ha visto il successo che ho avuto e sto avendo nel mio campo. In un certo senso lui è stato ed è il mio primo e più grande tifoso, il primo testimone del mio riscatto.”

Ecco cara Irene, noi avremmo potuto anche chiudere qui la nostra storia, se non fosse che Michele mi ha guardato e mi ha detto “Vincenzo, ce la possiamo mettere una quarta foto? Non fa parte di quelle che saranno installate sopra, ma secondo me ci vuole.”

“Che foto è, Michele?”, gli ho domandato.

“Una foto di mio figlio Alfonso”, ha risposto.

“Dopo il passato il futuro con te che sei il presente e fai da ponte”, ho commentato. “Ci sta, fammi vedere la foto e raccontamela.”

Mio figlio Alfonso | Futuro

“Da dove vuoi cominciare?”

“Da due cose.
La che è che il passato che ti ho raccontato fin qui è un passato che è vivo. È vivo proprio perché basato sulla trasmissione dei valori che ho ereditato dai miei nonni e dai miei genitori, e lo stesso vale da parte di mia moglie Mimma, naturalmente. Non è solo una questione di mestiere, è anche una questione di valori. Se mi permetti direi che è prima di tutto una questione di valori.
La seconda è che una cosa è vivere le esperienze in prima persona, un’altra cosa è immaginarle, sentirle solo raccontare.”

“Non so se hai visto Matrix”, l’ho interrotto, “ma mi hai fatto venire in mente Morpheus quando dice a Neo che una cosa è conoscere la strada e un’altra cosa è percorrerla. Alfonso dunque, Alfonso che ha ancora 19 anni e che a un certo punto si è ritrovato nel posto che occupa adesso, al tuo fianco, ma anche al tuo posto, un poco per genio, per bravura, e un poco per caso. Ricordo ancora la mia meraviglia quando, dopo averlo visto per anni lavorare in sala, gli ho chiesto cosa voleva fare da grande e lui mi ha risposto ‘voglio fare il pizzaiolo’.
Ho due domande relative ad Alfonso e alla sua foto: la prima riguarda questa tua capacità di insegnare lasciando che i tuoi allievi, compreso tuo figlio, e sappiamo bene quanto è difficile questa cosa con i figli, nel loro processo di crescita, sbaglino: è innata o l’hai ereditata?; la seconda riguarda il significato che ha per te, come padre, il percorso che sta facendo Alfonso.”

“Allora Vincenzo, per quanto riguarda la prima domanda direi che un poco è innata e un poco ho imparato facendo esperienza. Ho avuto la fortuna di fare la mia prima esperienza come aiutante pizzaiolo con una persona molto brava. Non mi riferisco tanto all’aspetto tecnico, che va da sé, quanto all’aspetto umano, al fatto che era una persona buona. Ho imparato tante cose anche indirettamente, non tanto perché lui me le spiegava quanto perché guardavo e imparavo, forse ce le avevo anche già dentro di me, perché guardando capivo. Come sai andiamo verso i 26 anni di apertura della mia pizzeria e l’esperienza mi ha portato a capire che per far migliorare un ragazzo lo devo mettere in condiizone di capire dove deve migliorare. Non vale solo al forno, anche chi deve portare i piatti a tavola li deve portare e lo deve fare da solo. Se ha una difficoltà può chiedere, se mi accorgo che di fronte alla difficoltà non chiede mi faccio avanti e lo aiuto a capire.
Questa mia propensione a “far fare” e a lasciare che le persone capiscano, con il mio aiuto o, meglio, da sole, come migliorare, ha fatto crescere non solo loro ma anche me. È stato come uno studio non sempre consapevole, però oggi mi rendo conto pienamente che così è stato.”

“Mi verrebbe da dire la pizzeria come organizzazione che apprende”, l’ho interrotto ancora.

“Questo non lo so, queste sono cose tue caro prof.”, mi ha risposto sorridendo. “Quello che so è che con Alfonso il processo è proprio questo. Oggi se io gli preparo un buon impasto lui è in grado di fare una pizza al mio livello, ci sono momenti in cui addirittura mi supera.”

“Non esagerare.”
“Fidati Vincenzo se ti dico che riesce davvero bene. Quello che ancora non riesco a trasmettergli appieno è la fame. Naturalmente quando dico fame ci capiamo, parlo della voglia di non stancarsi mai di migliorare, con tutta la fatica che costa fare questo ogni giorno, perché costa fatica, ma tu questo lo sai.
Ecco, di questa mancanza, di questo fatto che non sono ancora riuscito a trasmettergli appieno la mia fame mi sento responsabile. Se ti manca la fame a un certo punto ti omologhi, ti standardizzi, non vai avanti, non so come dire. È quando hai fame che ti vengono le cose, non per forza meglio, a volte anche peggio, perché avendo fame cerchi di sperimentare, di andare avanti, di innovare. Però alla fine anche quando fai peggio ti serve per migliorare, l’errore ci insegna tante cose se sappiamo ragionarci sopra.
A mio figlio sto trasmettendo una visone a 360 gradi della pizzeria, adesso ha cominciato a fare la spesa, a fare i pagamenti, e in ognuno di questi aspetti la fame è importante, non solo nel fare la pizza.”

“Michele non darti troppi pugni in petto”, gli dico con sguardo complice. “La fame ha due componenti, quella individuale e quella sociale; ci stanno le generazioni cresciute senza pane, quelle cresciute con il pane e quelle cresciute con i biscotti, come ripeto da una vita anche ai miei figli; perciò non essere troppo severo né con te stesso e né con Alfonso.”

“Non è questione di severità, è questione di responsabilità”, mi risponde. “È questione di conoscenza, di comprensione, di consapevolezza. Per esempio la consapevolezza che quello che metti in tasca la sera non è tuo.  Pensare che i soldi che metti in tasca la sera sono tuoi è uno sbaglio enorme che fanno in tanti, in realtà quei soldi sono dell’attività nel suo complesso che è fatta di tante cose, non so se mi spiego.”

“Ti spieghi benissimo. Per concludere vorrei un pensiero che racconta il tuo orgoglio, la tua soddisfazione di padre, il pensiero che magari non dici a tuo figlio per non fargli montare la testa.”

“Sono molto contento di Alfonso, e quando dà il massimo glielo dico, lo scrivo sui social, gli lascio il palcoscenico anche con i clienti, perché è giusto così. Non ho problemi da questo punto di vista, penso che quando le persone danno devono anche ricevere, avere i loro riconoscimenti a ogni livello. Se fa bene, e sia chiaro che vale anche per gli altri, gli deve essere riconosciuto.
Il passo successivo è quello in cui comincerà a sperimentare a sua volta, ad andare oltre i miei insegnamenti, anche con il mio aiuto. È soprattutto per fare questo che ci vuole fame, e quando arriverà quel momento, che sono convinto arriverà, non avrò problemi a fare un passo e anche due indietro. Te lo ripeto, sono convinto che partendo a 19 anni dal livello da cui parte lui presto potrà lasciare il segno, il suo segno. E questo farà bene a lui, farà bene alla pizzeria e farà bene alla comunità, perché avere un ragazzo come lui, qui, che si esprime e fa da traino a questi livelli non è una cosa da poco.
Che dici, abbiamo finito?”

“Si, abbiamo finito. Quasi. In realtà ho ancora una domanda, anche se senza foto, questa: e Michele Arcangelo?”

“Michele Arcangelo ha 13 anni, finisce quest’anno la terza media, però è anche lui molto preso dall’attività di famiglia. Il sabato, per esempio, per quello che può ci dà una mano, insomma non è affatto un corpo estraneo. La cosa bella, complici credo anche i social, è che mi fa tante domande sul cibo, sulle pizze, sul vino, sui prodotti. È un ragazzo molto curioso, e io ne sono assai contento, come sai la curiosità è importante per fare cose belle nella vita e nel lavoro. E poi c’è il fatto che anche lui è intriso dei valori di famiglia, i valori che come ci siamo detti più volte sono le fondamenta di qualsiasi attività umana. Una volta che ci sono le fondamenta tutto il resto viene da sé. Prima della pizza vengono i valori. Per quanto mi riguarda è stato sempre così.”

24 FOTOGRAMMI AL SECONDO