Le parole di Giovanni Solofra

Caro Diario, qualche giorno fa ho fatto una scoperta, ho conosciuto Giovanni Solofra, chef del ristorante Tre Olivi Paestum.
Era stato Giuseppe Jepis Rivello, un po’ di mesi fa, a parlarmi di lui e di sua moglie Roberta Merolli, maestra pasticciera, e mi aveva fatto vedere anche alcuni videoclip, gliene ho chiesto in prestito uno per l’occasione, te lo metto qui, la serie completa si intitola Scatola dei Bottoni e la puoi vedere sulla pagina Instagram di Giovanni.

 
La storia mi aveva colpito, con Giuseppe ci eravamo detti che prima o poi saremmo andati a trovarlo e ieri è stato il giorno, ci siamo ritrovati da lui Giuseppe, Antonio Pellegrino e io.
Come dici amico Diario? Siamo andati per portargli Alphabeta? No, quello lo abbiamo fatto con immenso piacere, abbiamo donato a Giovanni la nostra prima copia, però siamo andati per conoscerlo, per approfondire la sua idea di raccontarsi su Scritte e per proporgli un workshop di ideazione / creazione nel lato Alpha di Jepis Bottega, mentre Antonio era lì per la sua farina e la sua Weltanschauung, come direbbero per ragioni diverse ma ugualmente pertinenti, o azzeccate, come avrebbe detto mio padre, Kant e Jung. Il colpo di fortuna, di serendipity per dire meglio, è stato che il ristorante in questi giorni è chiuso per lavori, e così abbiamo …
Come dici amico mio? Certe volte non mi capisci? È assurdo che conosco lo chef di un ristorante che ha due stelle Michelin e dico che è una fortuna che è chiuso? Ma no, non è assurdo, verrà il tempo del cibo, l’altro giorno con Giovanni, Giuseppe e Antonio è stato il tempo delle parole, ed è stato un tempo bellissimo, e se mi dai ‘o canzo, l’occasione, la possibilità, ancora una volta il tempo, te lo racconto.

La prima parola è stata Amore, e non c’entra niente che è pure la prima parola del lato Alpha di AlphaBeta, il punto è che io l’amore di Giovanni per quello che fa non te lo dico attraverso i sapori o il racconto dei suoi piatti, che quello francamente tutti gli chef del suo livello lo sanno fare, te lo dico attraverso il racconto delle mattonelle con cui sta rivestendo la sua cucina, che non te lo svelo come sono, le devi andare a vedere di persona, ti dico solo che mi sono così perso nelle sue parole che a un certo punto non stavo più tra la polvere, le diverse apparecchiature della cucina ricoperte e ammassate al centro, i cavi di vario tipo e dimensione ma stavo in quelle vecchie cucine di casa di un tempo, quelle che tu ci entravi e loro ti raccontavano la semplicità, la famiglia, la genuinità, l’accoglienza.
Non è un caso che la seconda parola è stata Casa, Giovanni a me e Giuseppe, Antonio sarebbe arrivato da lì a qualche minuto, l’ha ripetuta venti volte, con una intensità e un senso di verità davvero rari, con riferimenti continui ai suoi ricordi personali, che poi è anche quello che fa la differenza, quello che ti porti dietro, quello che ti porti dentro.
La terza parola è stata Viaggio, a un certo punto mi sono venuti in mente le parole attribuite a Lao Tzu e Proust, te le ricordi?
“Senza uscire dalla porta conoscere il mondo. Senza spiare dalla finestra vedere la via del cielo. Più lontano si va, meno si sa. Perciò il saggio non viaggia, eppure sa; non guarda, eppure comprende; non fa, eppure compie.”
“Le véritable voyage de découverte ne consiste pas à chercher de nouveaux paysages, mais à avoir de nouveaux yeux | Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.
Qui Giovanni ha cominciato a parlare di vita e di scienza, un po’ come in una canzone di Francesco Guccini, e a un certo punto ha tirato fuori la parola, per meglio dire la locuzione, in dialetto siciliano, che mi ha mandato al manicomio, ricordo anche questo di un pezzo della sua vita, eccolo: Mòviti ddocu.

Come ha sottolineato per primo Giuseppe, al primo ascolto Mòviti ddocu è un ossimoro, perché come si fa muoversi stando fermi? Eppure è proprio questo che vuol dire in senso letterale, non ti muovere, stai fermo, resta immobile. A partire da qui abbiamo cominciato a pensarci su, che come sai, amico mio, è un’attività che mi piace assai, la trovo quasi sempre feconda, suggerisce le possibilità che se ne stanno più nascoste e proprio per questo sono più interessanti.
Ti confesso che la sera, tornato a casa, mi sono messo a fare una ricerca, e le poche cose che ho trovato mi hanno riportato quasi tutte a ciò che ci siamo detti con Giovanni, Giuseppe e Antonio: resta fermo e però non perdere il movimento che hai dentro e la capacità di pensare, non ti agitare inutilmente e però resta vigile, attento. Insomma mòviti ddocu è il movimento senza muoversi, un po’ come il parodosso della freccia di Zenone, che in ciascun istante occupa uno spazio pari alla sua lunghezza e dato che il tempo è fatto di istanti in realtà lei, la freccia, in ogni istante è ferma.
Naturalmente insieme a queste ho trovato anche altre cose curiose e carine a cui invece la mattina non abbiamo pensato, valga per tutti l’esempio di “Mòviti, Mòviti ddocu” come invito a “fermarsi natra anticchia”, come puoi leggere qui.

Ecco amico Diario, dire che questo è tutto, anzi no, prima di salutarti voglio dirti ancora due cose:
La prima è che mi piacerebbe che questa discussione intorno a Mòviti ddocu continuasse, non solo con Giovanni, Giuseppe e Antonio, ma anche con le nostre lettrici e i nostri lettori.
La seconda è che tengo anche io un piccolo pensiero che vorrei sviluppare, ma non so se lo faccio, perché non è facile e non lo tengo chiaro, per ora lo abbozzo così: e se mòviti fosse qualcosa di pre – supposto, qualcosa che viene prima? Qualcosa di insito, il movimento che è in sé e per sé, che rende relativo o comunque solo un concetto la parola “fermo”? Qualcosa che sta nel linguaggio molto prima che fosse scoperto dalla fisica quantistica?
Questo il mio piccolo pensiero, quasi sicuramente non mi porterà a niente però ti prometto che ci penso, nel caso viene fuori qualcosa mi rifaccio vivo.
Ecco, adesso è davvero tutto, fammi sapere che cosa ne pensi.

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Credits
La foto di copertina è ripresa dal profilo Instagram di Giovanni Solofra.