Caro Diario, Giuseppe li chiama piccoli documentari e direi che va bene così, perché piccolo non vuol dire per forza minore, inferiore, modesto, altrimenti Il piccolo principe non sarebbe stato piccolo.
Nello specifico questo si intitola “L’anima delle idee” e racconta la storia d’impresa della famiglia Fortunato attraverso le voci dei protagonisti, Giovanni, Pasquale e John. Tre generazioni e una storia industriale che in 50 anni ha portato l’Ovattificio Fortunato e Box Mistral a diventare un pezzo della storia industriale del nostro Paese, cosa che, come sai, non è mai facile e scontata, soprattutto quando la vedi da Sud.
Se sei d’accordo direi di procedere così: tu ti guardi il piccolo documentario, dura 15 minuti, così entri immediatamente nel cuore della storia, e insieme a te lo guardo pure io, così mi segno qualche appunto e tiro fuori qualche pensiero da condividere con te, le nostre lettrici e i nostri lettori, magari vi viene voglia di dire la vostra e discuterne ancora, chissà.
Come dici amico Diario? Per te va bene? Allora buona visione, ritorno tra 15 minuti.
Caro Diario rieccomi. Le parole che ho selezionato sono 6, le ho raggruppate in 3 gruppi di 2, mi è sembrata la maniera migliore per avviare la discussione, magari mi sbaglio, ma magari no.
Fantasia e innovazione
Fantasia e innovazione sono le prime 2 parole del documentario, per me sono anche le 2 parole chiave fondamentali per comprendere bene questa storia. È John che parla del padre Pasquale e del nonno Giovanni come di due persone estremamente fantasiose e innovative, dice che questa ricerca del nuovo, questa voglia di creare qualcosa di diverso, di unico, lui se la ricorda fin da quando era bambino, e poi ribadisce che suo nonno e suo padre sono stati sempre ingegnosi e brillanti.
E hai visto John quando dice che sono state proprio la creatività, l’innovazione, il know how, l’esperienza del nonno e del padre che hanno fatto in modo che i loro prodotti diventassero la base, l’occasione, per realizzare idee? Per me è una parte bellissima. Il senso del claim della loro impresa, “L’anima delle idee”, sta tutto qui, così come il suo successo, che è dato proprio dalla semplicità, dalla verità e dalla poesia che si porta appresso.
Il processo di sviluppo dell’azienda, i suoi passi sulle vie della crescita, è costantemente scandito da queste due parole: fantasia, detto in altro modo creatività, e innovazione.
È così quando il nonno intuisce che in un distretto come quello di Bellizzi con diversi opifici che producono materassi la scelta dell’ovattificio può essere vincente. È così quando ancora il nonno unisce i due tipi di ovatta, li “cuoce” nel forno di casa, inventa il feltro termofuso che prima non esisteva e mette su, insieme al figlio Pasquale, un impianto per fare il feltro. A proposito caro Diario, la parte del documentario in cui nonno Giovanni si batte la mano sulla fronte e dice “Ah!” per sintetizzare la sua scoperta dice un mondo, per me è stato un vero pezzo di cinema, quasi come Osgood che, in “A qualcuno piace caldo”, dice, dopo che Daphne che si è tolta la parrucca, “Nessuno è perfetto!”. È così quando Pasquale intuisce, vede, una possibilità, torna a casa e dice al padre che ha comprato un impianto che non sa bene a cosa servirà e poi inventa il Mistral, che insieme al Box è destinato a diventare il core business del futuro prossimo venturo.
Padri e figli
La seconda coppia di parole chiave è Padri e Figli e mi fa venire in mente un piccolo indovinello che circolava nella Secondigliano operaia della mia gioventù, eccolo:
2 padri e 2 figli vanno in pizzeria, ordinano 3 pizze e ne mangiano 1 intera ciascuno. Come fanno?
Come dici? Oggi lo so pure io che la risposta è facile, ma 60 anni fa no, ti garantisco che quasi nessuno ci arrivava.
Comunque, perché ho ricordato qui il mio infantile indovinello? Perché a volte 3 persone, quando sono unite come Giovanni, Pasquale e John, sembrano almeno 4, se non 5 o 6.
Tre generazioni le puoi tenere insieme per tradizione, che pure è una cosa nobile, o anche per necessità, che il significato lo dice la parola stessa, però è quando le tieni insieme per passione, per scelta, per voglia, che si fa veramente la differenza.
Te lo ricordi Giovanni? Mio figlio è cresciuto con me, ha visto, ha imparato meglio di me e il figlio farà uguale se starà a sentire al padre suo. E Pasquale? Mio figlio che mi affianca sempre di più, sta facendo più o meno il percorso che ho fatto io con mio padre, abbiamo pure più o meno la stesa età. E John? Papà è molto preciso e puntiglioso, della serie adesso se devo prendere questa strada devo fare in modo che questo materasso sia non uno dei tanti ma qualcosa di particolare, di unico, di spettacolare. Potrei continuare ma mi fermo qui e passo alle ultime 2 parole.
Volontà e Piacere (di fare le cose)
A mio avviso storie come questa di Giovanni, Pasquale e John le puoi capire veramente solo se capisci l’amore e l’orgoglio che provano per la storia della loro famiglia, per quello che hanno fatto fin qui e per quello che ancora contano di fare.
Te ne accorgi quando Giovanni dice che loro non sono più solo un ovattificio, che fanno tante cose diverse e Pasquale, parole diverse ma stesso concetto, che “all’inizio eravamo sostanzaialmente un ovattificio, adesso si fanno tante cose, prodotti per l’abbigliamento, calzatura, edilizia, settore auto, lavoriamo e abbiamo agenti in tutto il mondo”. E John? John parla di arredamento, automotive, di riciclo di fibre, di economia circolare.
Un altro momento che sono sicuro non ti è sfuggito, caro Diario, è quando Pasquale racconta al padre che se si guarda la cartina geografica ci si accorge che il mondo è grande, che perciò non ci si può accontentare solo del mercato italiano, e poi dopo aggiunge che in 10 anni hanno fatto cose incredibili, ogni anno un impianto nuovo e un capannone nuovo, e che sono cresciuti tanto proprio perché si sono internazionalizzati.
E te lo ricordi l’orgoglio con cui il ragazzo dice che le loro macchine sono molto belle e altrettanto complesse, che hanno cilindri che girano a 3-4 mila giri al minuto, fanno paura, e si sfiorano l’una con l’altra di 1-2 millimetri?
Te lo confesso amico Diario, in un primo momento avevo pensato di scegliere proprio Storia e Orgoglio come ultime due parole, poi però sono arrivato alla fine, ho sentito nonno Giovanni che diceva “Ci vuole la volontà, ci vuole il piacere di fare le cose, e provare soddisfazione di fare quello che uno fa” e ho cambiato idea.
Hai ragione, pure a me le parole di nonno Giovanni hanno ricordato l’articolo 7 del nostro Manifesto, “Il lavoro ben fatto non può fare a meno dell’amore per quello che si fa e del piacere di farlo”. E quando ho sentito Pasquale che dice che la cosa fondamentale, quando crei un’azienda, non è solo il prodotto, ma la passione che metti in quello che fai e allora capisci che è quella la loro cultura organzizzativa, l’imprinting dal quale partano ogni mattina quando mettono i piedi giù dal letto.
Se non fosse stato così non avrebbe potuto sottolineare che hanno voluto fare un materasso che emoziona sia dal punto di vista della qualità che della bellezza, e John non avrebbe potuto dire che insieme alla parte esterna viene curata anche quella interna del materasso, che è precisa e perfetta come quella di fuori. Sì, sono d’accordo con te, anche a me John ha fatto ripensare a Paul Jobs che insegna al figlio Steve che la parte di dietro dell’armadio, anche se non si vede, va fatta bene e bella come la parte d’avanti.
Ecco, direi che mi fermo qui caro Diario, solo il tempo di aggiungere che è un privilegio lavorare in bottega insieme a Giuseppe, seguirlo nei suoi percorsi creativi e meticolosi, ogni tanto vedere in anteprima il risultato del suo lavoro. Sì, mi fermo qui, però ribadisco che mi piacerebbe continuare a discutere di questa storia d’impresa, dei suoi fattori di successo, della possibilità che queste storie del Sud si moltiplichino, della cultura aziendale che sta alla base di percorsi di questo tipo, del valore di parole chiave come fantasia, innovazione, famiglia, volontà, passione per quello che si fa. Resto in ascolto.
Matteo Bellegoni
Sindacalista della Flai Cgil (Federazione Lavoratori AgroIndustria)
Caro Vincenzo, ho visto il piccolo documentario stamani e per cominciare ti dico che le immagini, la musica, il racconto creano un’atmosfera unica, carica di emozioni, sembra quasi di assistere alla nascita di una creatura che man mano prende forma.
La sensazione non è quella di uno spettatore che ascolta una storia, ma quella di un protagonista che vive quella storia. È come se ognuno potesse aggiungere un pezzettino della propria anima a quel racconto, per renderlo vivo, pulsante come un cuore che anima ogni vicenda umana. Insomma, è come se fosse riuscito a raccogliere un piccolo frammento luminoso di quella scintilla che arde nella vicenda della storia umana.
Parafrasando un nostro vecchio “amico”, Edgar Morin, lì dentro c’è tutta la poesia della storia dell’umanità.
Quello che prende forma alla fine di questa bellissima storia è un materasso, ma poteva tranquillamente essere il grano, la macchina da scrivere, il computer, insomma, qualsiasi altra scoperta che fa parte della nostra storia.
Per concludere queste mie brevi considerazioni scelgo due parole, umanità e connessione.
Umanità, come grande racconto del nostro cammino e come voglia, bisogno, necessità, di attraversare insieme la storia. Connessione, perché tutti siamo parte di qualcosa che lega profondamente le nostre storie.
Luca Marcolin
Family Business Practitioner, Family Business Unit
Da Giovanni a John, passando per Pasquale
La storia dell’Ovattificio Fortunato è la storia di due padri e due figli, come ricorda Vincenzo, e un solo cognome, Giovanni, Pasquale e John.
E trovo molto efficaci le tre coppie di parole scelte da Vincenzo: fantasia & Innovazione, Padri & Figli, Volontà & Piacere.
La storia della famiglia Fortunato è la testimonianza di come combinare genio imprenditoriale e struttura razionale richiede il riconoscimento reciproco, il valore che nasce dalla differenza, lasciar spazio al passato e il riconoscere il futuro. Assicurare continuità e sviluppo, altra coppia di parole me cara, nel cercare di combinare passato e futuro.
Ma è anche Giovanni & John, dove la tradizione di dare ai nipoti il nome dei nonni viene ripresa ed innovata, facendo emergere il ruolo di connettore di Pasquale, prima padre e poi figlio, soluzione dell’enigma infantile proposto da Vincenzo. Ruolo centrale, quello di Pasquale, perché sa raccogliere il testimone dal padre e sa offrirlo al figlio.
E nel frattempo l’azienda è cresciuta, intorno al business classico avviato dal fondatore c’è la nuova stagione imprenditoriale avviata dal figlio e seguita dal nipote.
Nel futuro la sfida sarà tutta di John, e chissà se riuscirà a passarlo ad Easter, una donna di nome Pasqua.
Maria D’Ambrosio
Prof. di Pedagogia all’Università Suor Orsola Benincasa
Caro Vincenzo, il racconto delle tre generazioni dell’Ovattificio Fortunato mi dà l’occasione per tornare su questioni che meriterebbero maggiore attenzione pubblica, in particolare sulla necessità della ‘cura’ con cui dal nonno fino al nipote si opera e si fa impresa. Un po’ come pensarsi tutti imprenditori e ricercatori/innovatori. La cura e l’attenzione per quello che fai diventa un approccio che chiamerei alla ricerca: osservare, porsi domande, fare ipotesi, sperimentare, costituiscono il modo quotidiano di lavorare. Fare impresa richiede una cura, cioè una sensibilità, che ti fa sentire/vedere quello che agli altri sfugge o quello che per altri non esiste affatto, apre a nuove idee, altre soluzioni, consente di generare cose che non esistono ancora e che restituiscono valore a quello che esiste già. Si, Vincenzo, la chiamo ‘cura’ – mentre John lo chiama ‘genio’ – perché importante per me sottolineare quanto le attività produttive abbiano necessità di una speciale qualità delle persone che vi si dedicano: si tratta di quella capacità di mettersi in gioco, di coltivare e di realizzare se stessi senza aspettare che le cose accadano ma facendole accadere. Molto bella l’immagine con cui John, il più giovane, introduce alla loro azienda: una fabbrica attiva grazie a persone fantasiose e innovative. Perché una fabbrica sia attiva c’è bisogno della capacità delle persone di immaginare e fare. Non basta l’immaginazione ma la spinta a trasformare l’idea in un processo sostenibile e in un prodotto unico e diverso. Ecco che etica ed estetica del lavoro si incontrano: la spinta viene dalle idee ma le idee non bastano, devono prendere forma, c’è bisogno della maestrìa, del sapere, della tecnica, del governo dei processi. Processi complessi come le macchine di cui parla John: macchine di cui lui coglie la bellezza perché sono la tecnica piegata dall’uomo alle sue finalità. Bello poi anche che John restituisce una visione ‘ecologica’ della loro attività perché parla dei loro prodotti come materia per realizzare idee e quindi al servizio di altre imprese. Le imprese pensate come un sistema, come un insieme che condivide e trasforma idee, materiali, tecniche e contribuisce a dare un volto umano all’economia e al lavoro. Mi piace pensare che queste storie somiglino a quelle di molti che tutti i giorni, in Italia, come in ogni parte del mondo, provano a contribuire alle esigenze concrete del vivere e ad un più sano equilibrio con l’ambiente e il territorio.
Sai, Vincenzo, che questi temi mi toccano da vicino perchè le attività produttive, e quindi le storie delle persone, dei luoghi, dei saperi e delle tecnologie insieme ai materiali, sono temi di mio grande interesse. Sono infatti al centro del progetto ‘Materia Viva’, e prima di ‘Fare Luce’, che sto portando avanti con l’Associazione F2Lab e Casa del Contemporaneo ed altri importanti partner, per ora tra Napoli e Marcianise. C’è tanto da fare! Sento che Impresa Politica Istituzione devono tornare a lavorare insieme!