Una Bottega chiamata Aula O

E-LEARNING. ELECTRIC EXSTENDED EMBODIED
IL LAVORO BEN FATTO
PAROLE FORGIATE

Università Suor Orsola Benincasa
Corso di Comunicazione e Cultura Digitale
Maria D’Ambrosio, Vincenzo Moretti, Giuseppe Jepis Rivello
Testi Adottati 2021 – 2022
Calendario Lezioni 2021 – 2022

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I TAVOLI DI LAVORO E GLI APPUNTI

27 Settembre 2021; 4 Ottobre 2021; 5 Ottobre 2021; 6 Ottobre 2021
7 Ottobre 2021; 12 Ottobre 2021; 13 Ottobre 2021; 18 Ottobre 2021
19 Ottobre 2021; 8 Novembre 2021; 9 Novembre 2021; 15 Novembre 2021
22 Novembre 2021; 30 Novembre 2021; 10 Dicembre 2021

LE BIO

Stefano Cutolo; Alessandra D’Aquale; Imma Esposito; Francesca Attanasio; Francesca Palumbo; Andrea Papa; Claudio Bencivenga; Miriam Sorrentino; Nicola Talia; Valeria Boccara; Maria Anastasio; Roberta Infascelli; Giovanni Basile; Rossella Iadaresta; Isidoro Orabona; Christian Giliberti; Salvatore Monaco; Felice Albano; Josipa Knezevic; Davide Di Falco; Maria Paritario; Matteo Lante; Francesca Perotta; Maria Ciccarelli; Giuliano Cantiello; Leire Navarro Ugalde; Alejandra Abad Garcia; Oier Eguiluz; Francesco Casillo

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I TAVOLI DI LAVORO E GLI APPUNTI

Venerdì 10 Dicembre 2021
Torna ai Tavoli di Lavoro

Caro Diario, questo è l’ultimo resoconto di quest’anno, per la verità Valeria Boccara me l’ha mandato un paio di giorni fa ma io in questo periodo sono sommerso di lavoro e non sono stato reattivo come al solito. Comunque adesso eccomi qua, ti auguro buona lettura.

Valeria Boccara
Buonasera Bottega O, eccomi qua.
I temi dell’ultima lezione sono stati la partenza, l’arrivo e il risultato.
Sarò più chiara. A volte si sa dove si può arrivare, a che contenuto, ma non si ha idea da che punto partire. La decisione, in effetti, è molto ardua. A volte può essere proprio un oggetto o una parola in particolare la chiave d’inizio del comunicatore.
Perché non cominciare la propria storia partendo ad esempio da una penna stretta fra le mani o, meglio ancora, da un dettaglio di noi stessi che amiamo, che odiamo o che ci contraddistingue per tirare le fila di un racconto?
L’”inquadratura” poi è fondamentale. Che sia dall’alto, dal basso, da più punti di vista, non fa differenza, anzi, spesso aiuta ad avere una visione d’insieme diversificata. Maestra in questo è Laurie Anderson in “Heart of a dog”.
La Anderson racconta la sua storia tramite e grazie al cane e mette in evidenza due diverse inquadrature. La sua visione riprende la scena dall’alto ed è a colori, contrapposta, ma anche paradossalmente complementare a quella del suo cane che invece ha uno sguardo della scena “abbassato” rispetto alla padrona e le immagini gli appaiono in bianco e nero. Questo a dimostrazione che da due diversi punti di vista cambia la scena e cambia anche il modo di percepire la storia.
Infine, in un discorso di un vero comunicatore, non si può non cercare di ricongiungere i puntini, per tirare fuori un capolavoro. Viene in mente a questo proposito Monet, compagno delle giornate di studio di storia dell’arte di tutti no, il massimo esponente del puntinismo che, punto dopo punto, realizzava opere invidiabili.
La cattedrale di Rouen, ad esempio, non è particolare tanto per la precisione millimetrica, quanto più per le varie colorazioni e sfumature che Monet ha deciso di donarle sulle sue tele.
Ha riprodotto la cattedrale con lo sfondo di una mattina soleggiata, di un pomeriggio uggioso, di una sera buia e così via. Cambia la luce e cambia il quadro.

cattedrale

Questo tipo di differenziazione cromatica verrà poi ripresa da Andy Warhol nella pop art.
Tutto ciò deve inspirare noi comunic-autori nelle nostre scelte, anche perché il nostro lavoro non è altro che una questione di scelte: di parole, di sfumature, di pensieri, di immagini. Abbiamo il dovere di scegliere di svolgere le nostre attività nel miglior modo possibile, col miglior risultato, ma soprattutto secondo i principi del “lavoro ben fatto”.
L’obiettivo non è sommare le conoscenze, ma è moltiplicarle, espanderle, coinvolgere gli altri e, perché no, donare anche un’emozione.
Concludo con la storia che non ho potuto farvi leggere a lezione. Si tratta di un commento lasciato da un utente di Youtube sotto la canzone “Noi” di Marracash.
L’utente ha scritto la sua storia ispirato da alcuni nomi citati dal cantante. Riporto da YouTube:
“Io e i miei amici non siamo mai stati piccoli, non ne abbiamo avuto il tempo, ne la possibilità. Ci è stata rubata, l’adolescenza l’abbiamo persa.
Eravamo grandi già a 12 anni quando abbiamo capito che bastava una semplice bolletta, un avviso di interruzione dei servizi o di sfratto per far piangere i nostri genitori. Una questione di zeri, quando un numero può cambiare l’umore di quattro persone in casa, rubando sonno e ingenuità.
Ci vedevamo sempre alle 4 alla stessa villetta, un piccolo parco, nel quale parlavamo di cose di cui ragazzini come noi generalmente non parlavano, problemi, difficoltà, mancanze.
Facevamo le collette per comprarci il panino d’estate, per fare merenda.
Quanti soldi mai restituiti, ma raramente ce li richiedevano.
Abbiamo combinato spesso dei guai; so che non è giusto, ma volevamo sfogarci per tutto quello che non andava.
Nessuno ci pagava le sigarette, giustamente. Ricordo che quando dovevamo comprarle mettevamo da parte quell’euro della merenda che i nostri ci lasciavano per mangiare a scuola. Lo facevamo per due giorni consecutivi, poi potevamo comprare le Rothmans da 2, 10 per 10 sigarette. Erano le peggiori, ma erano anche le meno care.
Adesso non ci sentiamo più come prima, ma quando ci vediamo è sempre un piacere anche se siamo in bilico fra l’imbarazzo e il pentimento di esserci persi di vista. C’è chi ha perso genitori, amici, chi è diventato padre, alcuni sono scappati quando i problemi sono diventati più vasti delle soluzioni, altri hanno cambiato la loro vita a piccoli passi, c’è anche chi ci ha provato senza successo ed oggi ha perso le speranze.
Mi mancano quei momenti.
È curioso, no? A differenza di altri noi non abbiamo giocato a fare i grandi, anzi, giocavamo a fare i piccoli perché volevano delle volte, anche solo per qualche ora, dimenticare tutto quello che avevamo intorno. Troppe responsabilità per dei piccoli uomini. Ricordo che quando chiudevamo la porta di casa alle nostre spalle, per vederci, era sempre una gioia; al contrario, quando rientravamo speravamo che quelle ore passassero in fretta per poterci rivedere il giorno dopo.
Adesso quelle mancanze sono diventati vuoti che ci trasciniamo da anni e che difficilmente colmeremo. Ma sappiamo tutti che sono dei vuoti che condividiamo e questo li rende meno pensanti.
“Chissà che resterà di noi?” ci domandavamo fra una birra e l’altra.
Solo dei ricordi. Solo dei ricordi.”

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Martedì 30 Novembre 2021
Torna ai Tavoli di Lavoro

Caro Diario, è quasi l’una del mattino e un paio di ore fa è arrivato il resoconto della lezione scritto da Maria Anastasio, immagino tu lo legga domani, nei prossimi giorni dovrebbero arrivare altri contenuti dalla Bottega, perciò resta in ascolto.

Maria Anastasio
Salve Bottega O, é arrivato anche il mio momento di fare il resoconto della lezione.
Innanzitutto la prof. D’Ambrosio e il prof. Moretti sono ritornati a parlare delle nostre biografie. Per quanto esse possano essere state interessanti, c’era qualcosa che mancava. Probabilmente si tratta di non essere stati in grado di guardarci dentro abbastanza e non aver aggiunto quel pizzico di vissuto in più che ci contraddistingue. Diciamoci la verità, parlare di noi stessi è come chiedere di fare tutto e niente contemporaneamente, e davanti a questo compito nessuno risulta essere completamente preparato.
Non basta rimanere vaghi, bisogna andare in profondità. Ed è proprio questo uno dei punti focali della lezione di oggi. Capire il perché delle cose, dare dei motivi. Per spiegare meglio questo concetto è servito fare un esempio concreto, ovvero quello di un’intervista. Basta guardare una partita di calcio o di tennis su un qualsiasi canale, le opinioni risultano pressoché le stesse, come se si trattasse di domande di circostanza. Non è così che funziona. Deve esserci un senso ed un perché, si tratta di avere un metodo. Un buon metodo acclude quasi sempre buoni risultati.
Pochi attimi dopo, Jepis ha fatto la sua comparsa sullo schermo, mostrando a noi presenti in aula e ai miei colleghi da casa come si presenta la Bottega. Al di sopra della porta d’entrata ci sono delle sagome che raccontano una storia, ma non una storia qualunque. È la storia di Jepis, le sagome rappresentano i momenti più importanti della sua vita. Si ritorna all’importanza di raccontare, di comunicare qualcosa. Ogni storia ha il suo background e noi siamo il risultato di ciò che ci portiamo dietro, dentro e fuori di noi.
Ci sono due stanze in particolare adibite ai lavori della Bottega, Alfa e Beta, il che la dice lunga anche sulla filosofia utilizzata: mettendo insieme vari fattori, si possono ottenere una moltitudine di possibilità e risultati. Anche il bagno, un luogo che siamo abituati a vedere in un determinato modo, ha un’ottica del tutto diversa. Al suo interno, viene ripreso lo stile delle opere di Josè Ortega, pittore e scultore spagnolo. “Alzi la mano chi, almeno una volta, ha avuto una buona idea mentre era in bagno”. In effetti in ogni luogo, anche il più impensabile, come il bagno in questo caso, le idee possono nascere, crescere e maturare.
Se le idee possono nascere ovunque e in ogni momento, perché non farlo proprio oggi? Ci è stato chiesto di esporre qualcosa di cui avevamo urgenza di raccontare, e soprattutto perché. Ognuno di noi si è trovato ad esporre il proprio pensiero e il motivo per il quale gli altri potrebbero ritrovarsi nei nostri racconti. Personalmente, una cosa che racconterei è come a volte sentiamo la necessità di rientrare in degli spazi o fare qualcosa che possa farci sentire utili, quando in realtà non è un male sentirci inutili o impotenti qualche volta. Insomma, per dirla con poche parole mi piacerebbe raccontare qualcosa di indefinito per renderlo (per quanto possibile) definito. “Una bella sfida” è quello che mi ha detto la prof. D’Ambrosio.
La lezione si è conclusa con la visione della prima scena di “Sacrificio”, film del 1986, diretto da Andrej Tarkovskij. Un padre racconta a suo figlio la storia di un monaco che annaffia un albero, ogni giorno, alla stessa ora, così per tre anni di fila, finché un giorno non vede l’albero pieno di gemme fiorite.
“Un metodo, un sistema, ha il suo valore. Sai, a volte io mi dico che se ogni giorno, esattamente alla stessa ora, compissi la stessa azione, come un rituale, nello stesso identico modo sistematicamente, ogni giorno alla stessa identica ora, il mondo cambierebbe. Sì, qualcosa cambierebbe, senz’altro cambierebbe”.
Cosa saremmo disposti a fare per vedere il cambiamento? Finisce così, con questa provocazione, la lezione di oggi.
Ho chiesto ad alcuni miei compagni che erano in aula con me di esprimere delle considerazioni per quanto riguarda questa lezione.
Valentina ci racconta: “La cosa più importante di oggi è che ci siamo interrogati sul perché dell’atto del narrare. Cucire tanti elementi assieme come se fossero in una galassia: trovare nel disordine una figurazione. Come abbiamo detto più volte bisogna mettersi all’opera chiedendosi ogni volta il perché della scrittura in qualsiasi sua forma (il perché dell’autorialità ad esempio). È fondamentale farlo sempre, per non limitarci ad una esperienza piatta, come ci insegna Carlo Rovelli con il salto quantico mettendo in evidenza la necessità di relazione fra le cose”.
Queste invece sono state le parole di Rossella: “Momento significativo è l’importanza che durante tutta la lezione ha avuto il tema ricorrente parola-azione. È interessante pensare che questo nostro continuo lavorare su noi stessi e come comunichiamo oggi in questa lezione sia stato fortemente scaturito dal mostrarci semplici disegni sul soffitto della Bottega, immagini di vita, parole ma comunque un’azione comunicativa non indifferente.
Come ogni lezione, non è mancata la possibilità di sfidare noi stessi, certo, con un po’ di paura, ma comunque capaci in qualche modo di dare la nostra parola, una parte della nostra vita, con l’impegno di farla diventare azione”.
Roberta ci ha raccontato di come sia importante prendere consapevolezza dei propri problemi e affrontarli senza paura. Ci vuole un bel po’ di coraggio e maturità. “Raccontare e raccontarsi è anche questo. Scoprire cose che avevamo dentro di noi e che in realtà non sapevamo di avere”.
Isidoro invece conclude con una citazione di Nietzsche: “Quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso ti guarda dentro”.

Imma Esposito
La difficoltà è proprio uscire dal desiderio di avere una visione a 360° sul mondo, su tutto ciò che ci circonda. Passare dal macro al micro. Passare dalla voglia di raccontare l’intera bacheca di camera mia andando invece a pescare quell’elemento, quel piccolissimo dettaglio presente su di essa, di cui valga davvero la pena raccontare. Un dettaglio che possa in qualche modo trasmettere qualcosa che non sia appunto solo soggettivo, ma che coinvolga il sentire di un collettivo.

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Lunedì 22 Novembre 2021
Torna ai Tavoli di Lavoro

Caro Diario oggi è stata una giornataccia tra viaggio e problemi con il mio Mac mi sono perso il colpo, perciò il report di Miriam Sorrentino per me è particolarmente prezioso, poi stasera ne parlo anche con Maria, ma

Miriam Sorrentino
Salve Bottega O, mi sono proposta di scrivere un resoconto sulla lezione davvero coinvolgente di oggi e quindi eccomi a te.
Abbiamo iniziato la lezione con la consapevolezza che siamo comunicatori e che quindi con questo dovremmo cercare di rompere il paradigma di comunicazione come trasmissione.
Si è parlato di momenti, e questo è forse quello giusto per mettere in pratica tutto quello che abbiamo studiato, quello che abbiamo letto in e-learning: innanzitutto interagire per avere informazioni, capire, essere attivi, mettere da parte ogni tipo di timidezza ed esserci, accendendo la videocamera, ad esempio. Dobbiamo essere capaci di acquisire dati e saperli mettere assieme per, come dice il fisico Carlo Rovelli all’interno del libro Helgoland, fare il salto quantico.
Una delle prime attività fatte assieme oggi è stata l’osservazione del video del lavoro “Sistema Roteanza Antigravitazionale”, perchè è giusto per fare quel salto quantico entrare e attraversare la logica di e-learning, una logica che ci spiega come comunicare al meglio e come farlo attraverso l’interazione.

 
Dopo la visione del video, abbiamo fatto un ulteriore salto all’indietro, verso quello che era il nostro primissimo lavoro, la creazione di biografie, che adesso, con lo studio fatto ci sembrano essere vere e proprie stratificazioni di dati, dove possiamo continuamente mettere mano e generare delle connessioni sempre diverse tra i dati che si trovano dentro le stratificazioni e che sono mobili. La dimensione che viene fuori è una dimensione sferica, non più lineale come siamo già abituati.
Su questo Francesca ha aggiunto che: “questa circolarità dà senso d’indipendenza, permette più combinazioni e permette di utilizzare più creatività e fantasia”.
Angela invece ha detto che: “permette di aprire a più concetti e di spaziare più facilmente”.
Si è legato quindi il concetto di spazio e tempo, che hanno a che fare con le storie e con i contenuti, non sono da pensare più in un’ottica di ‘pacco’, confezionato e spedito per farlo arrivare integro, ma siamo in una logica di un oggetto che si presta come mediatore tra soggetti che hanno un sistema per leggere quei dati. Si è detto che non si parla più di un messaggio, ma di un costrutto, che mette l’oggetto nel contenuto stesso e nella possibilità di contatto e di contagio.
La Professoressa D’Ambrosio ha fatto riferimento all’arte, poichè tutta la ricerca artistica ha questa sapienza millenaria, se si porge qualcosa a qualcuno questo non lascia quel qualcosa così com’è, ma lo integra e continua a produrre senso.
Abbiamo nominato Umberto Eco in Lector in Fabula quando abbiamo parlato di “un non detto, di un materiale non esplicitato”.
L’azione non è solo quella riferita dall’autore, ma da lui parte una forma che deve uscire sulla scena e prendere corpo grazie all’interlocutore.
La Professoressa ha fatto riferimento alla Apple, che presenta il tipico marchio della ‘mela morsa’, non si arriva a questo per il semplice simbolo estetico, ma si arriva grazie ad una serie di stratificazioni del discorso fino ad Adamo ed Eva e alla mela già morsa, oggetto del desiderio, quindi si trasgredisce la legge divina con un atto concreto che posiziona l’umanità in un percorso di autonomia.
Il comunicatore non può essere ingenuo, deve sapere cosa fa, e per questo che nasce Bottega, perchè c’è il quid, c’è l’artigianato, dove gli argomenti vengono combinati fino a mostrare cose e realtà nuove.
Bisogna essere autori e lettori contemporaneamente, è questa forse la frase principale per comprendere meglio cosa si è detto all’interno della lezione.
Tutto questo è quello che fa chi pratica parkour, un movimento nato nelle periferie di Parigi dove c’è sempre stata tanta immigrazione, vissuta però come marginalità, dove gli spazi sono poco accoglienti e chi pratica parkour lo fa vivendo uno spazio in manieria più aperta, differente, dove si tracciano nuove strade e traiettorie.
Su questo argomento mi è venuta in mente una canzone che si chiama ‘L’ultima Festa’ di Cosmo, che dice proprio: “Se c’è un limite lo posso spostare, più in là, più in là, più giù”.
In seguito abbiamo visto il primo episodio del film in sette puntate pubblicato online da Gucci, in collaborazione con Silvia Calderoni, che si identifica come ‘non binaria’ e che ci mostra la sua quotidianità.
A mio parere questa campagna è molto inclusiva, racconta la mattina di una persona come tutte le altre, ma aldilà di tutto questo, ogni singolo oggetto inserito dal regista è un dato da assimilare per comprendere al meglio l’intera puntata e la storia di Silvia, la possiamo rivedere qui.

Lunedì 15 Novembre 2021
Torna ai Tavoli di Lavoro

Caro Diario, come ricorda lei stessa oggi è il turno di Imma Esposito di scrivere il resoconto della lezione. Come ogni volta, mi piacerebbe molto che le sue colleghe e i suoi colleghi intervenissero, aggiungessero, riformulassero e così via disocrrendo. Ultimamente non siamo stati fortunati, che fosse questa la volta buona?

Imma Esposito
Salve Bottega O, stavolta è il mio turno di scrivere la relazione sulla lezione.
Il prof. Moretti ha dato inizio alla lezione facendo una riflessione nel vedere dei ragazzi da casa con le webcam spente, ritenendo che, purtroppo, non è ancora avvenuto un approccio soddisfacente al “lavoro ben fatto” da parte di alcuni di noi.
Il punto chiave però della lezione è stato, come l’ha definito la prof. D’Ambrosio, “una chiamata al narratore” che c’è in ognuno di noi come comunità di fabbricatori di contenuti.
Narrare ci permette di essere immortali, di lasciare tracce di noi stessi e ci permette di capire quanto ciò che diamo per scontato non lo è affatto. La realtà che percepiamo non è assoluta: vediamo il mondo in relazione a ciò che noi percepiamo e non in base a quello che tutti percepiscono.
Ha a che fare con il multiverso, la possibilità di avere numerose realtà, racconti ed eventi, soltanto modificando un dettaglio. La molteplice possibilità di realtà che, dal punto di vista dell’immaginazione, è qualcosa di potentissimo.
Rovelli, nel libro Helgoland, fa una citazione – “Noi siamo storia per noi stessi, racconti. Io sono questo lungo romanzo che è la mia vita” – che ci fa capire quanto al racconto sia associata la nostra possibilità di essere immortali, di durare oltre il tempo. Ci introduce ad un altro fattore, ossia che ognuno di noi ha una storia alle proprie spalle, un modo di essere, di vestire, di dire e di fare che ci rendono unici.
È il modo in cui si narra una cosa a renderci diversi dagli altri e quando si produce qualcosa significa che lo si sta facendo vivere. Questo è il senso del comunicare: far vivere qualcosa attraverso dei simboli, non perché voglio rendere sacro il simbolo, ma perché rendo sacro ciò che il simbolo sta rappresentando, ossia ciò che voglio rendere vivo.
Per questo saremo più potenti se saremo comunicatori che saranno soprattutto narratori, un qualcosa di più ampio, che va oltre l’aspetto tecnico e la padronanza di strumenti tecnici, che ci permette di scovare la nostra strada personale.
Durante la lezione si è inoltre fatto il paragone con il nostro corpo. Il corpo è un testo, madre natura ci ha dato un corpo e noi possiamo farci ciò che vogliamo e raccontiamo storie anche attraverso esso, sia inconsapevolmente che consapevolmente. Ogni dettaglio, ogni caratteristica, appariscente o meno, trasmette un qualcosa di unico che mi rende Imma Esposito e non un’altra persona. Inoltre, per ritornare al multiverso, è meraviglioso pensare che io adesso sono qui a scrivere il resoconto mentre in un’altra vita io sono la protagonista del mio romanzo preferito oppure, forse la versione che potrebbe piacermi di più, c’è un’altra Imma che sta viaggiando per il mondo aggiungendo più strumenti alla sua cassetta degli attrezzi, soddisfacendo la sua perenne curiosità.
Concludo il mio resoconto con la domanda di Valeria: “Perché l’uomo ha la necessità di raccontare?” e la risposta della prof. D’Ambrosio, che mi è piaciuta molto: “Noi raccontiamo per sopravvivere e quest’ultima è la nostra priorità in quanto esseri umani”, da soli non possiamo farlo e per questo condividiamo tutto ciò che sappiamo con altri per far sopravvivere la nostra comunità.
Afferriamo cose e le trasformiamo per rendere il nostro ambiente adatto a noi e alle nostre esigenze, perché noi uomini siamo gli unici animali che non possiedono un mondo, ma dobbiamo costruirlo e, come per qualsiasi altra cosa, bisogna farlo con gli strumenti giusti.
Il racconto, secondo la prof., è anche una preghiera e io sono fortunata perché, anche se non sono credente come il prof. Moretti, la fantasia e l’immaginazione sono state vivide in me sin da bambina, permettendomi di approcciarmi alla scrittura che è stata, e lo è ancora, la mia “religione”. La scrittura e il racconto sono dunque la mia preghiera personale già da un bel po’ e la teoria del multiverso si sposa perfettamente con il desiderio che si agita in me da tempo: quello di vivere mille vite.

Francesca Palumbo
È vero che siamo unici nel nostro genere. Io sono Francesca sì, ma sono anche le storie che leggo, le emozioni e i personaggi di cui mi nutro, quelli che non mi abbandonano mai, nemmeno quando giro l’ultima pagina di un libro.
Che cos’è reale ? Che cosa non lo è?
Il confine è molto sottile, ciò che per me è reale non lo è per qualcun altro.
La fede è una mano che mi accarezza ma che non vedo, la sento e basta. Per me credere significa non dare alla morte il potere di consumarmi e non considerarla come la fine del mio romanzo. Il mio Dio non mi dà risposte, non mi preserva dal dolore, eppure non riesco a smettere di credere che è in ogni cosa.
Alla fine ognuno di noi si affida a qualcosa, a qualcuno, perché è così che si sopravvive e si vive. Se non credo in niente che senso ha tutto questo ? Che senso ha la nostra esistenza ?
In aula abbiamo parlato della cultura dei tatuaggi. Anche i tatuaggi sono un modo per esprimere noi stessi, dei segni indelebili che tracciamo sul nostro corpo. Sono le nostre storie, i nostri racconti. Nella cultura Maori il tatuaggio rappresenta un rito di passaggio,l’appartenenza ad una tribù e,in fondo, anche noi lo usiamo per identificarci e per appartenere.

Salvatore De Rosa
A ciò che ha scritto Imma, molto precisa e puntuale, vorrei aggiungere solo quanto spiegato dalla professoressa D’Ambrosio su Giotto e la cappella degli Scrovegni. È stato molto interessante riflettere sull’opera di questo pittore, eccezionale interprete del suo tempo, che si è fatto comunicatore, anzi narratore, tramite la sua pittura, del sentore dei suoi anni in cui la scienza iniziava a muovere importanti e decisivi passi per il progresso dell’umanità. In particolare si iniziava a sentire l’esigenza di mettere di nuovo al centro di tutto l’uomo.
L’esempio di Giotto è emblematico perché lui, da pastore qual era prima di diventare pittore, ha sviluppato uno spirito di osservazione unico che ne ha fatto un visionario. Dunque dobbiamo imparare a guardare oltre, ad ampliare la percezione dei nostri sensi e riuscire tramite i nostri racconti a trasportare chi ci ascolta in altri mondi.
Possiamo diventare esploratori del cosmo pur restando materialmente ancorati a questa terra. Qualcosa del genere ce lo dice anche la stessa scienza con la teoria dei quanti.

Valentina Bracciano
Penso che la cosa più grandiosa sia la capacità della mente umana di mettere in relazione i suoi molti contenuti a seconda del piano sul quale interagiamo, come in un gioco di trasfigurazione in cui tutto si trasforma.Si può perfino modificare il proprio status, grazie alla volontà,alla determinazione o,nel caso delle favole, come abbiamo ricordato assieme alla prof.D’Ambrosio, con la magia nel racconto umoristico “La vecchia scorticata“ de Lo cunto de li cunti, di Gianbattista Basile (che ho avuto il piacere di ascoltare rievocato da Peppe Barra).
La narrazione ci permette di costruire le nostre realtà,i nostri mondi: il racconto multiplo dà forma alle nostre aspirazioni. È ciò che fa lo scrittore napoletano con il suo genere, destinato a diventare un vero e proprio modello narrativo nelle tradizioni europee capace di unire tradizione orale e scritta, con una struttura che rinvia alla novellistica di tipo orientale dei narratori persiani anonimi di Mille e una notte. Intrattenendo così chi ascolta e, allo stesso tempo, trasmettendo e preservando culture e valori.

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Martedì 9 Novembre 2021
Torna ai Tavoli di Lavoro

Caro Diario, come ti avevo anticipato ieri è arrivato il resoconto di Claudio Bencivenga. Spero che tante/i di Bottega O trovino la voglia e il tempo di leggere, di commentare, di integrare, di interagire.

Claudio Bencivenga
È lunedì, 8 novembre. Io e i miei compagni di corso siamo in aula per un dibattito sui libri “Il lavoro ben fatto” ed “e-Learning”.
Pochi giorni prima il prof. Moretti e la prof. D’Ambrosio, insieme a Jepis, ci hanno chiesto di dare una nostra opinione, attraverso un testo scritto, dei due libri.
Quando arriviamo in aula ci aspettiamo che ci siano delle osservazioni su cosa ci avesse colpito e in parte è così, ma in una maniera differente e inaspettata.
I prof. infatti, iniziando da Valeria, che ha preparato un’analisi anche di “Parole Forgiate”, ci chiedono cosa non ci fosse piaciuto dei due libri, e non quali fossero state le nostre righe preferite.
Quello che quindi ci aveva colpito, ma in negativo.
Questa domanda apre ad una riflessione molto significativa, sull’importanza delle critiche.
“Un complimento mi fa sorridere, ma una critica mi fa riflettere>” afferma il prof. Moretti ed è vero, non potrei non essere più che d’accordo.
La comunicazione è efficace se si traduce in qualcosa che funziona e questo avviene difficilmente senza delle opinioni costruttive.
“Comunicare, però, vuol dire ricevere consensi?”, è stata una delle domande che ci ha posto la prof. D’Ambrosio ed in un mondo che dà sempre più importanza ai numeri dei social la risposta sembra tutt’altro che scontata.
Nella nostra bottega c’è l’esigenza di comprendere appieno cosa possa significare per noi comunicare, lavoriamo per costruire un mestiere che non ha un metodo unico, che sappia penetrare in profondità nelle cose che non conosciamo ma anche in quelle che ci sono familiari. Nei film che abbiamo visto, nei quadri che abbiamo osservato, nei libri che abbiamo letto c’è sempre qualcosa di nuovo, c’è sempre un contesto che fa variare la nostra percezione dell’opera: lo stesso libro che leggo ora non sarà lo stesso libro che leggerò tra 10 anni e continuerà ad essere un libro ulteriormente diverso tra la prima, la seconda, la terza lettura e così via.
Per far funzionare al meglio questi processi gli apprendisti devono sapersi mettere in gioco: la fame è la cosa più importante per loro, dice Jepis. La voglia di conoscere il mondo, studiarlo, saperlo criticare, saperne raccontare la bellezza; e la perseveranza, la costanza nel seguire questo obiettivo dovrebbe essere ciò che muove noi artigiani, la fiamma che alimenta la nostra ricerca dell’arte.
Nella nostra bottega c’è l’esigenza di far comprendere il valore di essa.
Nella nostra bottega c’è l’esigenza di ridare importanza al lavoro, a tutti i lavori, senza esclusione alcuna.

Imma Esposito
Riprendendo l’osservazione di Claudio, sulla domanda posta dalla prof D’Ambrosio, vorrei soffermarmi su quanto la maggior parte degli alunni presenti in aula, me compresa, ha dimostrato di avere una preferenza di un testo che abbia un determinato ordine, una struttura ben precisa. Quindi mi chiedo: questa preferenza è realmente nostra o semplicemente un modus operandi inculcato dalla scuola (termine in senso lato, mi riferisco alle materne, elementari, medie, liceo e via dicendo) che ha dimostrato, nel corso della nostra istruzione, di volere un determinato metodo e di farci restare, come si suol dire, nelle righe?

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Lunedì 8 Novembre 2021
Torna ai Tavoli di Lavoro

Caro Diario, oggi dopo due settimane di interruzione in Bottega O abbiamo ripreso le lezioni con la discussione sui libri di testo, E-Learning. Electric Exstended Embodie, Il Lavoro Ben Fatto e Parole Forgiate. Come ci eravamo detti, tutte le recensioni sono arrivate entro Giovedì scorso, 4 Novembre, e così Maria, Giuseppe e io abbiamo deciso di chiedere alle/ai componenti della classe di dirci che cosa non le era piaciuto dei libri letti o studiati e perché, e cosa avrebbero fatto loro di diverso se fossero state le autrici o gli autori dei libri. Ti devo dire che è stato un bel esercizio, man mano che arrivano mi fa piacere condividere con te le loro risposte. Prima di salutarti ti voglio dire ancora che arriverà presto anche il resoconto della giornata di Claudio Bencivenga. Buona lettura.

Joan Latorre Perez
In classe ho detto che quello che avevo visto di più negativo sull’ E-learning erano i termini, visto che molti non li conoscevano ed era anche un mondo che non conoscevo, di scienza, psicologia, robot, esperimenti. Ho anche detto che si poteva dire che dietro quel libro c’era molta ricerca e che mi piaceva che prendessero come esempio l’esperienza con il gruppo Altrequipe.È stato un po’ difficile da capire per me, poiché non sono abituato a studiare quei termini, ma ho potuto capire l’idea generale del libro e l’ho trovato interessante.
Da Il Lavoro ben fatto, la cosa più difficile per me è stata capire i riferimenti a importanti pensatori e personaggi italiani, poiché essendo spagnolo non li conoscevo. Ho trovato molto interessante la struttura circolare del libro, poiché inizia con Luca, con una presentazione molto emozionante che ti fa entrare in empatia con la sua storia e finisce con Luca e il reportage fotografico. Segnalo anche il capitolo dedicato alla famiglia Moretti, l’ho trovato molto carino. Credo che il manuale per un lavoro ben fatto sia ben compreso e necessario per il nostro futuro lavoro di giornalisti.

Roberta Infascelli
Durante la discussione dell’intercorso mi sono focalizzata sull’approccio di scrittura.
Per quanto riguarda “il lavoro ben fatto” mi sono trovata in accordo con altri colleghi relativamente all’apertura con il manifesto, che personalmente mi avrebbe intrigata ancora di più. Inoltre ho voluto puntualizzare sul lungo periodare, che può risultare dispersivo e faticoso da leggere a primo impatto. Riguardo i temi, anche io riconosco l’assenza di “umanità” nel raccontare le vicende, mi sarebbe piaciuto esplorare la sfera emotiva di vittorie e fallimenti delle storie.
Riguardo “e-learning” ho avvertito un inizio quasi in medias res, avrei voluto un’impronta che mi preparasse ai temi incontrati durante la lettura, invece di rimanere confusa fino alla fine. Quello che ha reso un tema così tecnico come quello trattato nel libro più scorrevole è sicuramente il connubio con l’arte e il posizionamento dell’interconnessione dei corpi tramite rete all’interno del periodo che stiamo vivendo.

Giulia De Filippis
Per quanto riguarda il libro “il lavoro ben fatto”, quello che non mi è piaciuto è la monotonia e la ripetizione dell’argomento che tratta il libro.
La critica che viene fatta agli studenti dell’Università Suor Orsola Benincasa, è un’altra cosa che avrei evitato, più che altro, essendo io, una studentessa Unisob, mi sono sentita chiamata in causa e non rispecchiata in quello che viene detto facendo “di tutta un’erba, un fascio”.
Per quanto riguarda il libro “E-learning” ho trovato molta difficoltà nella parte iniziale, in quanto, scritto con termini molto tecnici, di cui non ero a conoscenza, li ho dovuti ricercare per conto mio. Mi sarebbe piaciuto leggere maggiori descrizioni degli esperimenti ed avrei fornito nelle prime pagine il link del video roteanza antigravitazionale.

Valentina Bracciano
A lezione ho iniziato sostenendo che in “Lavoro ben fatto” si concede fin troppo spazio e rilevanza al passato attraverso la ricorrente formula del c’era una volta in Italia . L’Italia del lavoro nelle vecchie fabbriche e nelle botteghe,nelle scuole e negli uffici,ottenendo così una nobilitazione tale del passato che per certi versi sembra escludere i tentativi del presente di eguagliarlo,se non di superarlo in propositi e traguardi. Certo la memoria di ciò che è stato è una risorsa preziosa per costruire il futuro,ma dal momento che siamo parte di un mondo in incessante trasformazione e i nostri modi di essere e di fare cambiano con una tale rapidità,perché non conferire il giusto peso a questo aspetto cominciando proprio dalle innovazioni e iniziative recenti?È in questo senso che a mio avviso la moltitudine di idee e progetti promossi dagli autori,si sarebbe dovuta collocare in apertura per mostrare sin da subito a noi lettori i frutti del lavoro ben fatto.
Per concludere rimpiangere un’Italia che non c’è più è come “lavare i pavimenti mentre la casa brucia, non ha senso”, come amava ricordare ai suoi compatrioti Winston Churchill.

Rispetto al testo di “E-learning”avrei preferito essere guidata all’acquisizione della metodica di riferimento passo passo, magari con una premessa che chiarisse alcuni concetti fondamentali prima di essere catapultata nello sconfinato mondo fisico,mentale e virtuale dell’e-learning. Il manuale è certamente l’esito di un lavoro proficuo di ricerca in ambito pedagogico-cognitivo, ma resta di difficile comprensione (almeno all’inizio)per chi come me non ha familiarità con certe nozioni.

Miriam Sorrentino
E-learning. Io, personalmente, ritenendo il libro chiaro e scorrevole, ma molto tecnico, avrei aggiunto più esempi pratici laddove erano spiegati concetti più tecnici e poco conosciuti a chi in materia non è esperto, proprio perché gli esempi pratici già esistenti nel libro mi hanno fatto comprendere meglio e rendere miei molti concetti, come nel caso di San Pietro e del Vittoriano quando si parlava del concetto di interazione tra l’architettura e l’agente (tra l’altro, per caso, durante la lettura e lo studio del libro mi sono trovata a Roma, e nonostante siano due architetture conosciute da tutti, ho avuto modo di ‘toccare per mano’ il concetto espresso). Avrei inoltre spostato il capitolo ‘Dispositivi e traiettorie pedagogiche’ di Jole Orsenigo proprio all’inizio, come esperienza diretta, così che sarebbe stato più facile per me comprendere sin dall’inizio, dato che durante la lettura del libro, lo ammetto, ho ricercato su internet cosa si volesse intendere per ‘Sistema Roteanza Antigravitazionale’ fino ad aver ritrovato il video dell’esperienza.
Lavoro ben fatto. Qui, durante la lettura, ho riscontrato alcuni refusi, nulla di non comprensibile.
Sono stata, in aula, la prima ad aver espresso di preferire, ovviamente sempre personalmente, il Manifesto del lavoro ben fatto, contenente i 52 articoli, all’inizio del libro. Proprio perché si tratta di un qualcosa di importante, sia per la comprensione del libro, sia in generale per chi è davvero intenzionato a vivere facendo il lavoro ben fatto. Quindi trovo che, sarebbe stato d’impatto e più comprensibile porre all’inizio questo e non a pagina 96, già ormai, più o meno, la metà del libro.
Nel complesso ho ribadito quello che ho già detto nella recensione, ovvero che ho trovato entrambi i libri abbastanza scorrevoli, interessanti e originali, per il modo in cui, anche se diversamente, riescono ad aprire la mente.

Valeria Boccara
Per quanto riguarda Parole Forgiate i punti su cui vorrei focalizzarmi sono essenzialmente due. Innanzitutto, se fossi stata io l’autrice del libro non avrei introdotto ogni capitolo con un titolo che indicasse la parola di riferimento. Avrei piuttosto lasciato che fossero i lettori a capire gli argomenti volta per volta, magari anche per permettere un’interpretazione più personale.
Ho notato poi che il capitolo su “La piccola scuola” sul libro contiene troppe poche cose rispetto a quelle che poi si leggono sul web e sui social, forse anche per una questione di tempi della pubblicazione, magari un aggiornamento di questo capitolo potrebbe dare un senso più compiuto al volume.

Francesca Attanasio

Oggi a noi artigiani della Bottega O è stato chiesto di fare una critica costruttiva sui testi: E-Learning e Il Lavoro Ben Fatto.
Per quanto riguarda il primo testo:
– Avrei preferito che la sua prima pagina contenesse il link del video del laboratorio ”Sistema Roteanza Antigravitazionale” in modo tale da facilitare il lavoro del lettore che si approccia per la prima volta in questo campo;
– Avrei invertito la posizione della prefazione e dell’introduzione; poiché trovo che la prefazione contenesse dei termini fin troppo tecnici e dava per scontato che il lettore sapesse cosa stesse leggendo, a differenza dell’introduzione che ho trovato molto più chiara poiché esponeva il “perché” fosse stato ripreso dalla ricerca il “Sistema Roteanza Antigravitazionale”.
– Infine mi sarei concentrata nel descrivere il workshop “Sistema Roteanza Antigravitazionale” a 360 gradi, inserendo: il ruolo della professoressa Maria D’Ambrosio, a chi è venuta l’idea, il come nasce il progetto, quali erano i dubbi, avrei inserito anche delle immagini e riportato qualche intervista dell’esperienze dei partecipanti.
Per quanto riguarda Il Lavoro Ben Fatto:
– Avrei collocato i capitoli scritti da Luca Moretti alla fine;
– Avrei utilizzato il primo capitolo per definire il “ Cos’è IL LAVORO” per Vincenzo Moretti, per poi spiegare come nasce il progetto del Lavoro Ben Fatto;
– Avrei preferito che la Storiografia fosse maggiormente romanzata e conoscere le sensazioni di Luca Moretti nell’aver descritto attraverso una sequenza di fotografie, una storia così intima e personale.

Alejandra Abad García
I due libri sono stati interessanti per me, ma mi è piaciuto di più “Il lavoro ben fatto”. Da un lato, e- learning è stato difficile per me. Come aiuto ho visto il video che mi ha consigliato la maestra e grazie ad esso ho potuto capire meglio le problematiche di cui parlava. L´uso di un vocabolario tecnico è quello che mi è piaciuto meno del libro e mi ha reso difficile la lettura. Invece “il lavoro ben fatto” mi è sembrato più divertente perchè secondo me può aiutarti nella vita reale, cioè è più pratico. Inoltre, gli esempi che vi sono inseriti aiutano la lettura.

Rossella Iadaresta
Parlando di “Il Lavoro Ben Fatto” sono solo un paio gli appunti/critiche che mi sento di fare.
La prima riguarda un aspetto più strutturale, di presentazione.
Leggendo anche semplicemente solo la copertina (e non solo) si è a conoscenza che il libro è scritto da un duo, un padre ed un figlio, Vincenzo e Luca.
Non è tanto qualche nozione sul loro rapporto ciò che mi è mancato ma l’emotività di Luca, che certo traspare nei suoi lavori finali, ma cosa ne pensa davvero del Lavoro ben fatto, qual è il suo contributo non quello concreto, ma umano? Mi sarebbe piaciuto saperne di più ecco, sapere come e quanto il lavoro ben fatto abbia cambiato la sua vita ed il suo approccio ad essa, soprattutto da giovane lavoratore.
Il secondo appunto, forse vuole essere una vera e propria contestazione.
Noi giovani non siamo sempre e solo quelli che vivono con la testa fra le nuvole con i telefoni in mano, né alla fermata dell’autobus e nemmeno nelle aule universitarie o scolastiche.
Capisco che voglia essere una provocazione, ma perché oltre che provocare, non si dà il tempo ed il modo giusto per avere stimoli?
Non faccio parte di quelli che sottolineano costantemente un gap generazionale non solo tecnologico tra una generazione e l’altra, ma sarà che in alcune parti è il libro stesso a crearne uno?
Noi giovani abbiamo bisogno di stimoli ma anche e soprattutto di tempo, quello giusto, per apprendere, per far nascere in noi quella giusta curiosità che fa la differenza.
Questo è un punto che mi ha toccato profondamente, ho rivissuto mentre leggevo una delle lezioni dell’Aula O in cui il prof Moretti ha chiesto ad ognuno di noi “Per chi vorreste scrivere un articolo?” ed io, in quel momento, avrei preferito sprofondare che rispondere, ed eppure non ero lì, a scaldare la sedia, come si suol dire, avevo solo bisogno di tempo per esplorare, capire, dare vita alle mie idee che d’altronde lo stesso libro e corso mi hanno aiutato a sviluppare.
Per quanto riguarda E-Learning invece, gli unici appunti che mi sento di fare, in un libro così strutturato, tecnico, scientifico e potrei continuare ad oltranza, ciò che lo appesantisce forse un po’ è la ripetitività che in questo caso, se nel libro di Moretti vuole essere con intento di “diffondere la parola”, in questo caso invece essendo spesso saggi di diversi autori, si rischia di essere un po’ confusionari.
Inoltre, ammetto che senza aver visto il video o cercare di propria iniziativa più informazioni che sia in rete o meno, capire il libro ed il progetto risulta davvero difficile, quindi personalmente avrei dato qualche nozione in più a riguardo, non solo prima di affrontare la lettura ma anche all’interno del libro.

Imma Esposito
Il primo approccio al libro e-learning è stato complicato e avrei preferito una disposizione diversa dei capitoli. Ho notato una sorta di ripetizione nel corso dello studio/lettura, ma alla fine credo che le stesse ripetizioni mi abbiano aiutato a capire meglio il testo, quindi non credo sia effettivamente una critica l’ultimo punto.
Per quanto riguarda il libro “Il lavoro ben fatto” avrei evidenziato la sfera emotiva più a fondo, non solo il racconto dei successi del prof. Moretti. Dato che in questo libro non si è parlato appunto solo del lavoro ben fatto, ma anche di ricordi, avvenimenti, mi sarebbe piaciuto molto un’esplorazione delle eventuali cadute e, come ha detto il prof, degli eventuali “fallimenti”.

Nicola Talia
Parlando di e-learing,mi sono ritrovato catapultato in un mondo che non conoscevo assolutamente, che piano piano ho conosciuto leggendo le pagine del libro fino ad arrivare alla spiegazione del progetto svoltosi al suor orsola, grazie al quale ho avuto una visione più chiara rispetto a tutto quello che avevo letto in precedenza.
Riguardo a Il lavoro ben fatto, ci sono due punti che voglio toccare. Per prima cosa avrei voluto una maggiore partecipazione anche di Luca Moretti, magari avendo il suo punto di vista su lavoro ben fatto e uno sviluppo del rapporto padre-figlio come successo tra Vincenzo Moretti e suo padre. E per seconda cosa avrei preferito leggere magari anche di qualche fallimento di Vincenzo Moretti e non solo vedere la sua vita come un continuo di eventi meravigliosi.

Alessandra D’Aquale
Ciò che non mi è piaciuto del libro E-Learning è stato che per quanto possa essere stata interessante la lettura, ho avuto l’impressione che fosse più facile da comprendere ad un pubblico già esperto su alcuni, non tutti, argomenti trattati. Ecco magari in alcuni punti io avrei anticipato con una spiegazione un po’ più “elementare” per chi non fosse a conoscenza di alcune nozioni.
Per quanto riguarda, invece, Il lavoro ben fatto, non ho trovato particolari difetti se non di battitura. Ciò che proprio non mi è piaciuto è stato avvertire, personalmente, un’idealizzazione dell’Italia che, a mio parere, non credo possa esistere in un futuro prossimo.
Non vorrei dire che non mi è piaciuto ma diciamo che non sono d’accordo con quanto letto.

Salvatore De Rosa
Nell’analizzare e recensire i testi e-learning e Il lavoro ben fatto, mi ero soffermato quasi esclusivamente sulle cose (la quasi totalità) che mi erano piaciute e che ho trovato interessanti.
Per cui soffermarci su ciò che non ci è piaciuto, come richiesto oggi dai professori in aula, è stato un incentivo a riflettere e carpire ulteriori aspetti delle due opere approcciando in maniera più critica e trovando nuovi stimoli in un confronto diretto e direi aperto.
Riportando ciò che ho detto durante la lezione, per e-Learning ho trovato soprattutto nelle pagine iniziali un senso di smarrimento dato forse da un mio digiuno in materie quali la pedagogia, la scienza del cognitivismo e le neuroscienze. Per cui ho dovuto uscire dalle pagine del testo e cercare di integrare e approfondire taluni aspetti. Come ho detto alla professoressa, ovviamente il testo è il risultato di un lavoro di ricerca articolato e stratificato che illustra i risultati di un progetto che analizza nuove frontiere del cognitivismo che trascendono il fisico. Eppure io ero ancorato durante lo studio, ad un testo, il libro, tradizionale. Ho sentito l’esigenza di toccare con mano ciò che stavo leggendo, facendo esperienza in prima persona. Probabilmente questo non è un limite del libro ma un suo punto di forza perchè vuol dire che ha suscitato in me coinvolgimento e voglia di saperne di più.
Del testo Il lavoro ben fatto in un confronto col professore Moretti devo ammettere che ciò che ritenevo un difetto in realtà era una lettura dell’opera che trapelava il contesto in cui essa è nata. Come opera motivazionale e sociologica espone in maniera chiara e precisa le sue tesi. Io avrei preferito si desse voce anche alle antitesi, esempi di lavoro mal fatto per così dire, ovviamente sempre a supporto della tesi finale in favore di ciò che scrivono Vincenzo e Luca Moretti. Come dire, esempi negativi per evidenziare come non ci si deve approcciare ad un lavoro. Questo però mi rendo conto che funziona in un contesto puramente narrativo e non in un trattato. Quindi contestualizzare l’opera è stato il concetto chiave per me. Al termine di questa esposizione mi sento di dire che abbiamo eseguito un lavoro ben fatto oggi.

Claudio Bencivenga
Riguardo “Il lavoro ben fatto” ho apprezzato molto il libro, ho visto però un po’ come un’occasione sprecata il Manifesto del lavoro buon fatto, prezioso nei concetti ma rivedibile nella lunghezza e nei singoli articoli.
Alcuni potevano infatti, a parer mio, essere uniti con altri in quanto questi possono risultare ripetitivi.
Parlando di “e-Learning” ho riscontrato come molti miei compagni una difficoltà, forse anche maggiore della loro, nell’approccio al testo e nella comprensione di esso, soprattutto nelle prime pagine.
Il libro potremmo dire che mira ad unire il concetto di corpo al mondo digitale, tuttavia secondo la mia opinione le due cose sono difficili da coniugare.

Stefano Cutolo
Parto da “e-learning”: Ho una sola critica da muovere nei confronti di questo testo e riguarda la parte 2 ed è una critica di tipo strutturale. Questa seconda parte, anche all’interno della mia recensione, l’ho definita e la definisco come un “manuale di istruzioni all’uso”. Mi risulta troppo schematico e personalmente avrei articolato in maniera più colloquiale questa parte del testo, nonostante comunque risulti esplicativa anche così.
Per quanto riguarda invece Lavoro Ben Fatto ho 2/3 critiche da muovere, ma semplicemente perchè lo sento più vicino a me. La prima critica è relativa alla scelta del posizionamento delle note, avrei trovato più funzionale collocarle alla fine di ogni pagina, per un consulto più immediato relativamente alla lettura. La seconda osservazione che faccio è riguardante la collocazione all’interno del testo della costituzione del lavoro ben fatto. C’è chi prima di me ha detto che l’avrebbe messo all’inizio del testo, chi invece pensa che la collocazione attuale sia quella giusta; io invece, tornando anche alle parole del professore Moretti relative al ruolo che può avere una ripetizione, la collocherei sia all’inizio che alla fine, proprio per rimarcare l’importanza che ha e si vuole dare al concetto.
L’ultima invece ancora devo capire se sia una critica o un punto di forza, ma probabilmente entrambe le cose: all’interno di questo libro si parla molto della vita e delle esperienze del professore, e, chi ha letto la mia recensione lo sa, è una cosa che anche io tendo a fare spesso, con il timore però che delle volte possa risultare autoreferenziale.

Angela Correra
Durante la prova di oggi abbiamo esposto, dei due testi in esame, gli aspetti che non ci hanno colpito, non ci sono piaciuti, o qualcosa che avremmo modificato.
Per quanto riguarda “Il lavoro ben fatto” ho detto che ho avvertito la pressione di una visione che non lascia spazio a sfumature, ma che è o bianca o nera, come nel caso dell’espressione: “quello che va quasi bene non va bene”, che non posso dire sia una visione negativa anzi, ma che mi ha portato a riflettere sulle scelte quotidiane che riguardano, in modo autonomo, consapevole e responsabile, la singolarità dell’individuo, e che, al contrario di quello che ho percepito nel testo, credo possa concedersi delle imperfezioni.
Per e-Learning invece, l’aspetto negativo è che ho faticato all’inizio ad entrarci nei concetti espressi, avrei voluto vivere di più l’ambiente e il formarsi delle interazioni, descritte , magari con degli esempi narrativi pratici anche nei capitoli che precedono l’esempio dell’ “esperienza napoletana” alla fine del volume, in modo che mi addentrassi meglio nella lettura.

Maria Ciccarelli
Oggi in classe ci hanno chiesto cosa non c’è piaciuto dei due libri studiati.
Per quanto riguarda “il lavoro ben fatto” ho trovato gli articoli del manifesto come una sorta di “lista della spesa” , penso che sarebbero risultati più scorrevoli, come il resto del libro d’altronde, essendo accompagnati/spiegati attraverso storie/racconti. Un altro punto a sfavore di questo libro è stato il “non detto” del rapporto padre-figlio dei due scrittori, visto che parte importante di questo libro è proprio il rapporto padre-figlio tra Vincenzo e Pasquale Moretti.
Per quanto riguarda il libro “e-learning”, l’ho trovato meno scorrevole e più difficoltoso da comprendere, a causa dei termini molto tecnici utilizzati. Avrei preferito che la parte tecnica fosse appunto più scorrevole e che arrivasse prima al lettore, come invece è stato per la parte pedagogica.

Leire Navarro
Rispetto ai libri, dal mio punto di vista, se avessi avuto una migliore conoscenza dell´italiano avrei potuto capire meglio l´E´-learning. Rispetto a Il Lavoro Ben Fatto, è un libro di facile comprensione perché il vocabolario è molto comune e grazie agli esempi della vita quotidiana, l’argomento principale è facilmente comprensibile.
Penso che sia un libro il cui messaggio ti fa riflettere quando fai qualcosa, cercando di farlo nel migliore dei modi possibili, tenendo conto dei fattori esterni e interni che influenzano quel lavoro, come puoi ottenere il meglio dalla tua versione per ottenere un lavoro ben fatto.
L`unico aspetto negativo: penso che l’uso abbondante di esempi renda il messaggio molto sovraccarico.

Maria Anastasio
Dopo che Valeria Boccara ha come si suol dire “rotto il ghiaccio” con le sue opinioni su “Parole Forgiate”, sono stata io la prima a parlare di “E-learning” e “Lavoro Ben Fatto”.
Per quanto riguarda “E-learning” ho spiegato che avrei inserito il saggio della professoressa Jole Orsenigo all’inizio, in quanto si parla dell’esperienza vissuta in prima persona e che alcune tecnicità erano difficili da comprendere per i lettori che non avevano dimestichezza in materia.
Invece di “Lavoro Ben Fatto”, ho fatto presente come mi sia sentita leggendo ció che il prof. ha scritto riguardo noi giovani in generale, e in particolare di noi studenti di Comunicazione. Ho detto che mi dispiaceva perché quello che traspariva non era una bella immagine, e che dall’altra parte non era giusto fare di tutta l’erba un fascio.

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Martedì 19 Ottobre 2021
Torna ai Tavoli di Lavoro

Caro Diario, Angela Correra ha inviato il suo report della lezione di ieri, lo puoi leggere qui di seguito. Io per ora non faccio commenti, chiedo piuttosto alle/ai componenti di Bottega O se hanno ulteriori cose da aggiungere, cose da togliere, commenti da fare, lo sai come la penso, io ho imparato in Giappone, 2 teste sono meglio di 1, 4 sono meglio di 2, 8 sono meglio di 4 e così via, fino all’infinito e oltre. Ti auguro buona lettura e ti saluto, io intanto resto in ascolto.

“Buonasera colleghi della Bottega O, per questa lezione mi sono auto candidata alla scrittura del report per familiarizzare meglio con lo spirito del corso.
L’individualità e l’unicità di ciascuno di noi sono dei punti essenziali su cui soffermarci. Comprendere ed analizzare ciò che davvero ci rende diversi, ciò che ci caratterizza. Riconoscere la molteplicità dei nostri aspetti e dell’altro. Operazione che richiede riflessione e non è affatto semplice all’essere umano che punta alla praticità delle cose più che alla teorizzazione. È un lavoro di presentazione e trasformazione, che ha inizio con la raccolta necessaria delle informazioni, che prevede di effettuare poi una scelta, delle prime, sulla base di quello che vogliamo mostrare: “Che immagine voglio comunicare? A quale interlocutore mi voglio rivolgere? Qual è il tempo ed il contesto in cui mi voglio inserire? Una piazza affollata? un luogo tranquillo? Il mio profilo social?”.
Per un comunicatore è importante praticare la costruzione di storie che non corrispondono alla realtà ma che forniscano “senso”. Il comunicatore deve accantonare la “presunzione di sapere” e predisporsi all’ascolto per avviare un processo di comunicazione di senso ad esempio: fotografando, tornando più volte in un luogo, facendo caso a ciò che sembra irrilevante ma che nella trasformazione creativa di una storia può diventare necessario.
Non tutto il processo produttivo corrisponderà ad un prodotto. A proposito di differenziare il processo dal prodotto, il prof. Rivello ci ha mostrato l’allargamento della Bottega , in termini di spazio, e la separazione, sia strutturale che concettuale, in due lati di essa: lato alfa e lato beta. Il lato beta che rappresenta lo spazio nuovo in cui avviene la creazione e la produzione in modo continuo e costante, e il lato alfa che affaccia sulla strada e che rispecchia il lato espositivo, simbolo di espressione e scambio dei prodotti creati con il mondo esterno. “Produrre e mostrare”. Il senso , le immagini , le parole sono gli argomenti trattati nella lezione odierna.
La scelta delle parole influenza la nostra vita quotidiana, come ad esempio, riportando la personale esperienza del professor Moretti, la personalizzazione di un paio di scarpe che può mettere in crisi in relazione alla scelta della frase, delle parole e del senso da comunicare traendo poi ispirazione dal celebre Picasso – quando non ho più il blu metto del rosso, con la voglia di spostare in avanti il limite che non é fisso ma si muove con noi.”

COMMENTI

Francesca Palumbo
Aggiungerei che la concretezza è un punto fondamentale da tenere a mente. Chi siamo è importante, ma lo è molto di più far vedere quello che sappiamo fare, in cosa possiamo essere utili. E poi per un lavoro ben fatto c’è bisogno di associazione, di cooperazione. Navigare in solitaria può portarci alla deriva. Il confronto con gli altri, i pareri discordanti ci permettono di allargare quei confini che, il più delle volte, siamo noi a delimitare.

Rossella Iadaresta
Appena concluso di leggere il report di Angela, a cui faccio i miei complimenti.
Penso che ognuno di noi viva la lezione da punti di vista differenti e associ ogni cosa discussa nell’aula O al proprio sé creativo e soprattutto al comunicatore che è, che siamo. In questo caso apprezzo molto il punto di vista di Angela la quale mi sembra abbia colto appieno il senso della lezione. Forse avrei aggiunto il momento in cui c’è stato modo di discutere del nostro avvio di lavoro, delle biografie e di quanto sia stato spunto di riflessione.

Alessandra D’Aquale
Credo che Angela abbia riassunto perfettamente i punti salienti della lezione. Angela, ti faccio i complimenti! Mi hai coinvolto tantissimo con il tuo report.

Imma Esposito
Credo che Angela abbia colto i perni fondamentali che abbiamo affrontato la scorsa lezione.
Mi ha colpito particolarmente, e l’ho sentita in un certo senso “mia”, una citazione detta dal prof. Moretti e che vorrei che gli altri non dimenticassero: “I limiti non sono fissi, ma si muovono insieme a noi.”

Valeria Boccara
Prof, coincidenza vuole che io abbia appena finito di leggere sul libro la frase delle “teste”. Proprio a questo proposito vorrei aggiungere che in comunicazione un gruppo, un lavoro di squadra è necessario. Di idee nuove e originali non si è mai sazi e più “seminatori di idee” (Nicola Chiacchio) ci sono e meglio è. Inoltre un team fa sí che tutto l’onere del lavoro non ricada sul singolo, il che non è assolutamente poco!

Lunedì 18 Ottobre 2021
Torna ai Tavoli di Lavoro

Caro Diario, come credo di averti accennato all’inizio quest’anno il corso sta fermo 3 settimane, si riprende Lunedì 8 Novembre, e con Maria e Jepis abbiamo pensato di utilizzare la sosta per chiedere alla Bottega di lavorare sui testi, in maniera tale che alla ripresa potremo lavorare con un background culturale condiviso sui temi portanti, i muri maestri, sui quali si regge la nostra attività.
L’esperienza dello scorso anno è stata a questo proposito altamente positiva, nonostante non ci fosse la pausa e la bottega dovette studiare e approfondire con il treno in corsa, e ancora di più e meglio ci aspettiamo quest’anno.
A questo proposito, abbiamo definito che Lunedì 8 Novembre, in presenza, terremo una prova dedicaranno arrivatre ta proprio alla verifica dello studio dei testi, sono quelli che ho messo in evidenza fino quella data in alto a destra. Entro Giovedì 4 Novembre invece, dovranno arrivare le recensioni scritte dei volumi da parte delle/dei componenti della Bottega, che darà il diritto di accedere alla prova del Lunedì.
Come dici? Sì, tieni ragione, se non teniamo insieme teoria e pratica, fare e pensare, non andiamo da nessuna parte, noi lo sappiamo, bisogna che lo imparino le/i ragazze/, ma come sempre io sono fiducioso, come diceva mio padre con il tempo e la paglia maturano le nespole.
In attesa dell’arrivo del report relativo al lavoro che abbiamo fatto oggi ti lascio con la bio e la foto di Francesco Casillo, che al di là delle sue improbabili motivazioni è fuori tempo massimo, e questo naturalmente conta, però c’è, e dunque con approccio inclusivo lo aggiungiamo. A presto.

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Mercoledì 13 Ottobre 2021
Torna ai Tavoli di Lavoro

Caro Diario, ieri sera è arrivata l’ottima Valeria Boccara, mi ha mandato la sua foto identità, la trovi qui insieme a tutte le altre, e il resoconto della lezione, buona lettura.

“Buonasera Bottega O, questo lunedì è il mio turno di scrivere la relazione sulla lezione. La frase chiave della giornata è sicuramente “allargare i confini”.
Capire cosa mettere a fuoco e cosa invece lasciare sullo sfondo è il primo passo per i buoni comunicatori. Focalizzarsi su un oggetto piuttosto che su un altro cambia la narrazione e il suo scopo. Per farlo c’è bisogno soprattutto di uno sguardo critico, un punto di vista personale, ma soprattutto un lavoro sulle parole. Le parole sono i simboli, il mezzo del comunicatore per dire le cose. Nel caos della comunicazione abbiamo il dovere di trovare le parole giuste e quindi di “operare una scelta”. Alla luce di ciò, la domanda che ho posto ai miei colleghi è stata: “Perchè nell’infinita serie delle parole non ne scegliamo una, una sola, con cui riassumerci?”
“Impossibile”, risponde il mio collega Andrea. Ma è realmente cosí impossibile definirsi con una parola? Dobbiamo cercare di creare noi stessi o una parte di noi stessi da zero, esattamente come se pensassimo ad un hashtag su Instagram, il nostro social preferito. La creazione richiede un’operazione di stress, che non è un limite, ma un’opportunità. La creazione è esattamente il momento in cui si mette in campo la creatività, che, come giustamente ha detto il prof. Rivello, è la parte fondamentale del lavoro dei videomaker.
La costruzione del sè peró non passa solo attraverso le parole, ma anche tramite le immagini. E proprio per questo motivo ognuno di noi, membro della Bottega O, deve raccontarsi, oltre che con una parola, anche con un’immagine. Praticamente proporre una “copertina” del nostro romanzo autobiografico.
La narrazione è finzione che serve per entrare in una dimensione diversa dalla nostra.
Nel 1200 a Padova, è stato proprio il caro Giotto, nella ben nota Cappella degli Scrovegni a spostare lo sguardo verso qualcosa d’oltre, qualcosa di non terreno. Rappresentó le stelle del cosmo con otto punte, quando l’uso comune in realtà ne prevedeva solo sette. Con quella punta in più, Giotto, con l’unico mezzo che ha a disposizione, cioè l’arte, disorienta il senso comune e va a cercare un processo di cambiamento e di trasformazione (che poi avverrà, passando anche attraverso Galileo Galilei).
Ognuno di noi è portatore di una visione del mondo data dalle nostre esperienze, dai contesti e da come abbiamo allenato il nostro apparato sensorio. Proprio a proposito di sensi, possiamo affermare con certezza che il comunicatore prima di tutto deve imparare ad ascoltare. L’ascolto per noi è tanto importante quanto la lettura per uno scrittore. Buona settimana e al prossimo lunedì.

P. S.
Cara Bottega O, causa sciopero dei trasporti oggi in classe ci siamo trovati solo io e la prof. Maria D’Ambrosio, come potete vedere dalla foto. Un’aula vuota è solo un’aula vuota, ma la giacca sulla sinistra, poggiata sullo schienale della sedia, non è solo una giacca. È il segno che qualcuno c’è o c’è stato o che ha dimenticato qualcosa o … e così cambia la storia.”

boccara

Come dici caro Diario? Il resoconto di Valeria è molto bello, chiaro e coinvolgente? Potrei risponderti che Valeria è brava e che ha lavorato con noi già l’anno scorso, che è tutto vero, ma preferisco ribadire che così si fa la differenza tra un lavoro fatto tanto per farlo, ‘a meglio ‘a meglio, e un lavoro preso di faccia, nel quale metti la testa, le mani e il cuore. Il valore sta in questa differenza, e prima tutte/i le/i componenti di Bottega O lo capiscono e meglio è.

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Martedì 12 Ottobre 2021
Torna ai Tavoli di Lavoro

Caro Diario, ieri purtroppo sono stato poco presente a lezione, in parte perché dovevo partire per tornare a #Cip, in parte perché la mia connessione funzionava abbastanza male, Jepis e Maria mi hanno raccontato come è andata ma non tocca a me fare il resoconto e perciò procedo oltre per dirti che ho fatto in tempo a sottolineare due cose:
la prima è la inadeguata reattività della Bottega, la poco propensione a partecipare e a raccogliere gli spunti che forniamo;
la seconda è la necessità di comprare /procurarsi i libri di testo per i diversi anni, di leggerli studiarli e di mandare una recensione entro l’8 Novembre, quando faremo una prima verifica del lavoro svolto.
La buona notizia è che da ieri continuano ad arrivarmi foto, il senso lo ha spiegato Francesca Palumbo nelle righe di accompagno alla sua foto, perciò lascio la parola a lei: “Buon pomeriggio Prof, oggi a lezione ci siamo soffermati di nuovo sulla biografia, in particolare sulla costruzione di una propria identità. La Professoressa D’Ambrosio ci ha lanciato una sorta di sfida, descriverci usando una sola parola e una immagine. Io che nemmeno ai compleanni mi faccio fotografare non ho usato una foto di me stessa. Ho cercato, comunque, di rappresentarmi in questo preciso momento della vita, come sono e mi sento adesso, domani … chissà. Le auguro una buona giornata.”
Ecco, dato che Francesca è stata la prima, la sua foto te la metto qui dopo di che tu ci clicchi sopra e potrai vedere tutte le altre.

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Ecco, direi che per ora è tutto amico Diario, ti lascio con i link relativi ai libri di testo e alla pagina social:
e-learning. Electric Extended Embodied, Pisa, ETS, 2016
Il lavoro ben fatto. Che cos’è, come si fa e perché può cambiare il mondo
Parole Forgiate. Chiacchiere di Bottega tra fare e pensare
Bottega O Social

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Giovedì 7 Ottobre 2021
Torna ai Tavoli di Lavoro

Caro Diario, ieri sera Giuliano Cantiello e Isidoro Orabona hanno inviato il loro report della lezione di Lunedì 4 Ottobre, te lo passo così come mi è arrivato:
“La lezione è partita dai testi autodescrittivi scritti e inviati i giorni precedenti da noi studenti, e dalla loro analisi è nata la questione riguardo modalità di svolgimento dei lavori che possono essere intraprese oltre alla scrittura, come podcast o video composti da noi; a dimostrazione di ciò è stato mostrato su youtube il video di auto-presentazione di Raffaele Gaito, esperto di Growth Hacking e Personal branding, ispirato al Business model Canvas; il video si pone come un’intervista basata sulle domande “Chi sono, A chi sono utile, Come mi faccio conoscere, Come interagisco, Chi mi aiuta, Cosa do, Cosa ottengo”. Un altro esempio è stato quello del podcast “Storie di Brand”.
Sostanzialmente la lezione si è focalizzata molto sulle varie vie creative con cui lavorare e impostare un progetto, ed in conclusione, tornando sul lavoro scritto, ci è stato posto il quesito riguardo quale giornale volessimo che ci chiamasse a scrivere un articolo, ed alcuni di noi hanno esposto preferenze individuali e argomenti su cui avremmo preferito lavorare.”
Come dici? Come sintesi può andare? Sono d’accordo in parte, per me mancano troppi esempi e dettagli, come sintesi per chi è stato in Bottega può andare bene, ma cosa abbiamo raccontato a chi non era con noi, cosa gli abbiamo detto veramente del nostro percorso?
Comunque è più colpa mia che dei ragazzi, che dovevano scrivere il resoconto glielo abbiamo detto alla fine, da lunedì prossimo chi redige il report è la prima cosa che decidiamo, così il/la prescelto/a prende appunti, si segna la cose, e ha tutti gli elementi per fare bene quello che deve fare.
A proposito di lavoro ben fatto, da un post della prof. D’Ambrosio intuisco che stiamo indietro anche con la lettura e lo studio dei libri, e questo non va bene, perché se vogliamo fare bene dobbiamo pensare bene, la teoria e la pratica nella nostra bottega vanno insieme, bisognerà farlo capire meglio alle ragazze e ai ragazzi che hanno scelto di frequentare Bottega O. Alla prossima.

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Mercoledì 6 Ottobre 2021
Torna ai Tavoli di Lavoro

Caro Diario, oggi sono arrivate la bio di Joan Latorre Pérez e la nuova storia di Valeria Boccara, dai che pian piano la Bottega si mette in moto, buona lettura.

Martedì 5 Ottobre 2021
Torna ai Tavoli di Lavoro

Caro Diario, non vorrei semplificare il resocinto di Giuliano e del suo sodale ma Alessandra D’Aquale ha appena inviato la sua recensione del libro Ogni storia è una storia d’amore di Alessandro D’Avenia, e mi fa piacere condividerla con te. Se hai letto il libro e hai qualcosa da dire Alessandra e io siamo qua, non esitare a farti vivo, intanto leggi la recensione che dopo ti devo dire anche un’altra cosa.

Ogni storia è una storia d’amore. È il titolo del romanzo di Alessandro D’Avenia, pubblicato nel 2017 dalla casa editrice Mondadori.
Alessandro D’Avenia è nato a Palermo nel 1977. Il suo primo romanzo, “Bianca come il latte, rossa come il sangue” è diventato un bestseller, così come “Cose che nessuno sa” e “Ciò che inferno non è”. Ogni storia è una storia d’amore, come il romanzo precedente, “L’arte di essere fragile. Come Leopardi può salvarti la vita”, che è stato portato in teatro dallo stesso D’Avenia.
La sua prosa scorrevole, ma prepotentemente poetica, divide la critica tra coloro che si lasciano trasportare e sono impazienti di leggere la pagina successiva e coloro che dopo dieci pagine chiudono il libro e vanno a disintossicarsi dalla troppa dolcezza e romanticismo.
D’Avenia prende in mano la penna e si immerge nel suo esperimento letterario. Trentasei donne, trentasei artisti, trentasei storie d’amore e un unico filo conduttore: il mito di Orfeo e Euridice.
Ogni capitolo è dedicato ad una protagonista, ripercorrendo i suoi passi, toccando il suo dolore e confondendo i suoi sentimenti. Donne fragili ma determinate, che si innamorano di grandi musicisti, attori, scrittori o pittori, sono pronte a sacrificarsi per qualcosa di più grande: l’amore.
Artista, donna e musa: un triangolo amoroso tormentato.
In questi racconti ricchi di passione e dolore, D’Avenia accompagna dolcemente il lettore, alternando dei “brevi salotti”, cosi chiamati dall’autore, dedicati al mito di Orfeo e Euridice, l’amore primitivo che unisce tutti gli altri.
Ogni storia è una storia d’amore ma è anche il frutto di una grande ricerca; lo stile ipnotico dell’autore include la ricerca, evitando quel retrogusto moralistico del romanzo.
Alessandro D’Avenia ha rinunciato alla strada sicura percorrendone una nuova dimostrando di essere uno scrittore dinamico e talentuoso.
Spiando gli intrecci di trentasei storie d’amore, l’autore proverà a rispondere ad una domanda che da sempre ha tormentato l’animo umano: l’amore può salvare?

Come dici amico Diario? Sì, la recensione è bella, a me che non ho letto il libro ha incuriosito e mi ha fatto venire voglia di sfogliarlo, e questo secondo me la dice lunga sul buon lavoro di Alessandra.
Tornando a noi, volevo dirti che dato che quest’anno le/i ragazze/i di Botetgaa O non si iscrivono al gruppo social ho aperto un altro spazio su cui condividere contenuti su substack, se vuoi partecipare ci trovi qui.

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Lunedì 4 Ottobre 2021
Torna ai Tavoli di Lavoro

Caro Diario, tra poco più di un’ora sarò in classe con Maria per la seconda lezione del Corso di Cultura e Comunicazione Digitale, Jepis anche oggi sarà con noi dalla Bottega, ma penso che presto pure lui si farà un giro da queste parti, Bottega O ha un suo fascino vissuta in presenza, naturalmente ti tengo informato.
Sono contento delle bio che sono arrivate, 25, che non sono poche, e che in molti casi hanno cercato di interpretare nel modo giusto quello che avevamo chiesto. Naturalmente ci stanno tante piccole grandi cose che si possono fare meglio, a partire dalla rilettura, dalla punteggiatura, dai tempi di consegna, dal formato scelto fino ai contenuti, ma di questo ne parliamo a lezione, sono tutte cose che si possono aggiustare e migliorare, dipende dalla voglia, dalla fame come dice Jepis, comunque poi nel pomeriggio ritorno e ti racconto come è andata.

Caro Diario, ritorno con un po’ di ritardo ma ci sono, oggi giornata molto impegnativa.
Allora, come avevamo anticipato la settimana scorsa il lavoro che abbiamo fatto oggi lo racconteranno di volta in volta le/i partecipanti al corso, oggi si è assunto il compito Giuliano Cantiello insieme all’amico di sedia che di fatto lo ha candidato, ai miei tempi li chiamavamo proposte spintanee.
Si sono impegnati a presentare il loro racocnto entro mercoledì sera, perciò dieri di aspettare che facciano la loro mossa, io di mio per ora ti dico solo due cose:
la prima è che abbiamo ricordato l’importanza di leggere/studiare i testi adottati entro Lunedì 8 Novembre, quando ne discuteremo in classe, e quella sarà qualcosa di più di una prova intercorso;
la seconda è che ho ritrovato in Bottega O Valeria Boccara, se non te la ricordi leggi qua che ti viene in mente subito, mi ha inviato un suo testo, nei prossimi giorni ne discutiamo, credo che ci saranno presto delle novità anche su questo terreno.
Per adesso ti saluto, ti riscrivo tra mercoledì sera e giovedi mattina, appena arriva il resoconto dell’incontro di oggi.

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Lunedì 27 Settembre 2021
Torna ai Tavoli di Lavoro

Caro Diario, oggi prima lezione di Comunicazione e Cultura Digitale a Unisob, A. A. 2021 – 2022, con una parte della classe in presenza in Aula compresa Maria e un’altra parte in dad compresi Jepis e me dalla Bottega, tutte/i assieme appassionatamente.
Per essere il primo giorno direi che sono successe tante cose, provo a ricordare almeno quelle più importanti, in ogni caso chiederò via social ad Aula O di aggiungere, migliorare, integrare. In estrema sintesi è successo questo:
1. Maria ha presentato se stessa e il Corso e ha chiesto a Jepis e me di fare lo stesso. Per quanto riguarda le ragazze e i ragazzi di Aula O, abbiamo chiesto loro raccontarsi in 10 o in 10 mila righe, con annessi link alle cose che fanno, nei linguaggi che preferiscono, e di inviarci il tutto via mail.
2. Abbiamo introdotto il senso del lavorare in bottega, la necessità di tenere sempre insieme il pensare e il fare, le conoscenze e le competenze, la testa, le mani e il cuore.
3. Abbiamo condiviso alcune semplici regole di lavoro come l’importanza di essere presenti con continuità alle attività della bottega (astenersi perditempo) e di leggere / studiare i testi non dopo le lezioni ma prima e durante, perché è anche questo un modo per tenere assieme pensare e fare, testo e contesto, migliorando le nostre capacità/possibilità di apprendere (quando dico nostre intendo anche di Maria, di jepis e mie, perché anche noi impariamo sempre, ogni anno, durante il corso).
4. Abbiamo invitato le/i corsiste/i di quest’anno a cliccare qui e guardare il video con il quale abbiamo chiuso le attività dello scorso anno.
5. Abbiamo riflettuto intorno a un caso studio assai interessante dal punto di vista della comunicazione, quello dello scultore Emanuele Stifano diventato in poche ore un trend topic per la sua interpretazione della Spigolatrice di Sapri. Il fatto che Jepis stia raccontando questo stesso scultore con una serie pubblicata su Storie di Bottega, il suo blog qui su Nòva ci ha aiutato ad allargare la prospettiva e ci aiuterà ancora ad approfondire nelle prossime lezioni.

Cover-emanuele-stifano

LE BIO

Francesco Casillo
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Mi presento, sono Francesco Casillo, nato a Napoli 25 anni fa. La mia storia e le mie passioni sono per lo più legate a quello che la nostra terra, quella natia in questo caso, mi ha offerto nel corso della mia se pur breve storia di vita. La storia, il mare, il buon cibo ed il calcio sono le mie più grandi passioni e poco alla volta iniziano a diventare anche le mie principali attività, difatti sebbene da poco tempo, scrivo periodicamente su blog a sfondo calcistico, e lì condivido le mie opinioni su tale argomento. La storia però ha accompagnato la mia crescita e la mia voglia di conoscere e sapere, fin da piccolo infatti, ero attratto dalla storia delle prime civiltà, e sebbene non avessi sempre voglia di andare a scuola e di lasciare la mia calda stanzetta, ero spesso spinto ad abbandonare la mia “comfort zone” per aumentare le mie conoscenze e placare quella che possiamo considerare una “sete di sapere”. Lo stesso è accaduto un anno fa, quando, ho deciso di lasciare un’attività di famiglia molto remunerativa e produttiva, per iscrivermi a ventiquattro anni suonati, all’Università, per poter inseguire quello che non definirei più un sogno, ma una necessità, ovvero, quella di fare ciò che più mi piace e ciò che voglio nel corso della mia vita diventi la mia principale attività, condividendo, le mie opinioni e le mie considerazioni.

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Oier Eguiluz
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Raccontare la mia storia o definirmi come persona è sempre stata una delle cose più difficili da fare per me. Definirsi come persona è molto complicato, quali aspetti bisogna prendere in considerazione quando lo si fa? Per tutta la vita, quando ti viene chiesto “cosa sei?”, le risposte sono cose come qual è il tuo lavoro, cosa fai, cosa studi, insomma, come contribuisci economicamente alla società.
Ho una visione completamente opposta quando si tratta di rispondere a questa domanda.
Cosa sono? Sono una persona empatica, una persona che ride, un buon amico. Penso che queste siano le cose importanti che definiscono se stessi come persona.
La mia storia è iniziata l’8 luglio 2000 in una città dei Paesi Baschi chiamata Vitoria-Gasteiz. Da quel momento ho cominciato a fare esperienze e ricordi che mi avrebbero fatto cambiare come persona e vedere la vita in modo totalmente diverso.
Anche se sono nato in questa città, è impossibile non parlare della mia seconda casa, Bitoriano. Questa città mi ha fatto vivere un’infinità di esperienze e apprendimenti che oggi porto dentro di me. Durante la mia vita ho avuto molte persone che mi hanno accompagnato, soprattutto la mia famiglia, soprattutto i miei fratelli Ekaitz e Naroa.
Non posso non parlare dei miei amici, amici che sono stati con me per 21 anni e sono le persone che mi conoscono meglio senza dubbio. Nel corso della mia vita ci sono state molte persone che mi hanno accompagnato in un determinato momento e poi più tardi, per motivi diversi, ci siamo allontanati.
Per quanto riguarda i miei studi, ho sempre studiato a Vitoria-Gasteiz fino all’università, quando ho deciso di studiare pubblicità e relazioni pubbliche a Bilbao.
Secondo me, è stato quando sono arrivato all’università che ho dovuto superare le sfide maggiori, come andare a vivere da solo a Malaga per un anno intero, un’esperienza che mi ha cambiato completamente e mi ha reso la persona che sono oggi.
Anche la sfida più recente è quella di essere venuto in un altro paese come l’Italia per fare un erasmus senza conoscere l’italiano, e vedere come devo imparare un’altra lingua per poter comunicare e conoscere la cultura speciale della città di Napoli.
In breve, la mia storia può essere riassunta in una miriade di momenti, persone, esperienze, sfide che ho dovuto vivere e che mi hanno reso la persona che sono oggi, imparando giorno per giorno.

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Alejandra Abad Garcia
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Mi chiamo Alejandra Abad García. Sono nata il 7 febbraio 2001 a Palencia. Questa città é una piccola provincia di Castilla y León. Ho vissuto a Cervera de Pisuerga, una piccola cittá nel nord della provincia. Io ho una sorellin, Sofía; mio`padre José Manuel e mia madre Patricia.
La mia pasione è sempre stata giocare a basket. Ho giocato in una squadra per 5 anni e di questo periodo ho molti ricordi e aneddoti.
Ho iniziato a studiare alla scuola Modesto la Fuente. Successivamente, ho continuato i miei studi secondari nell’istituto IESO Montaña Palentina. Chiudendo la mia fase di studi obbligatori, ho studiato in una città vicino allá mia baccalaureato, Aguilar de Campoo.
Conosco poche persone che sanno bene cosa fare da quando erano piccole. Quando i miei genitori o a scuola mi chiedevano cosa volevo esserre, rispondevo chiaramente “giornalista”. Con quell´obiettivo sono andato a studiare a Valladolid.
L´area rurale non forniva le stesse risorse della cittá; quindi sono dovuta uscire dalla mia zona di comfort quando avevo solo 18 anni. A Valladolid ho vissuto per due anni con nuove persone che sono diventate la mia famiglia. Senza dubbio, lasciare la mia zona di comfort non solo mi ha fatto realizzare il mio sogno di studiare giornalismo, ma mi ha anche aiutato a maturare e crescere a livello personale.
Per me questo non era abastanza, quindi ho deciso di fare un passo in piú con il programa Erasmus in cui mi trovo in questo momento in una cittá del sud Italia, Napoli.
In futuro mi piacerebbe lavore nella redazione di un giornale o di una stazione radio.

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Leire Navarro Ugalde
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I primi anni di vita, per l’infanzia di tutti i ragazzi, sono anni complicati, dove i genitori stanno molto attenti ai loro ragazzi, però soprattutto si io sono la figlia, con molto ferite, cadute, perdersi per le cittè, un operazione al cuore, tutto questo nel mio primo anno di vita, nel 2001, fino ai cinque anni.
Nel 2007 inizia la mia fase più ranquilla, ed è allora che la piccola Leire vede qualcosa di interessante nel karate, un’attività che mi ha insegnato che il rispetto e la perseveranza in qualcosa è importante nella la tuo vita, così come sapere difendersi, e che se sai reggerre tutto questo sforzo hai una ricompensa. Questo sport è stato la mia via d’evasione fino a quando ho raggiunto i 17 anni, ho preso la cintura nera, 1º Dan, che è un risultato molto importante per me.
Palencia è la città dove sono nata, è una città piccola ma molto bella y con una essenza personale grazie alla sua cattedrale, La bella desconocida, e per il Cristo del Otero, uno delle statue del Cristo più alte del mondo.
In questa città ho studiato alla scuola Santo Domingo de Guzmán finché ho finito l’educazione secondaria, quando avevo 16 anni, dove i professori mi hanno aiutato per sapere che io volere essere giornalista. Ho iniziato baccalaureato nell’istituto Jorge Manrique dove ho scoperto una nuova passione, la storia dell’arte, e ho dubitato se per davvero volevo studiare giornalismo o storia dell’arte.
Alla fine, ho iniziato l’università e ho deciso di dare una possibilità al giornalismo nella Universidad de Valladolid e che la storia dell’arte deve essere una nuova passione.
Da 2019 conviviamo con il COVID-19 e le sue restrizioni ma questo non ci può impedire di continuare con la vita, e grazie al secondo anno di giornalismo e alla lezione di radio, io ho capito che voglio essere giornalista.
In questo momento io sto a Napoli con l’Erasmus nel terzo anno di studi, vivo una esperienza unica e con risultati molto positivi per me, posso realizzare il mio sogno di viaggiare e conoscere una nuova cultura, nuove persona e crescere io stesso come persona.

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Giuliano Cantiello
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Salve a tutti, mi presento, sono Giuliano Cantiello, studio Scienze delle Comunicazioni al Suor Orsola Benincasa, e ho studiato al Liceo Classico Adolfo Pansini a Napoli; se dovessi descrivere la mia personalità in una parola direi “Svizzera”: il mio tratto più peculiare è il mio essere quasi sempre neutrale; può sembrare quasi da ignavo, ma nella maggior parte dei casi preferisco sempre trovare un compromesso piuttosto che prendere una posizione; questa mia indole mi aiuta in molte situazioni, ma in altre mi mette in difficoltà, è una medaglia a due facce; riconosco che di certo non sembra un pregio, ma d’altra parte questa tendenza alla neutralità deriva molto dalla mia perenne calma e dall’inclinazione all’agire in modo razionale, piuttosto che in modo impulsivo, cerco sempre una logica ed un ragionamento dietro ad ogni argomento o questione.
Molti mi ritengono troppo buono, ed è vero, ciò perché molto raramente mi lascio sopraffare dalla rabbia o dal disprezzo, cerco sempre di cogliere l’aspetto positivo nelle situazioni o nelle persone, poiché determinati sentimenti negativi li ritengo un grande spreco di energie nella maggior parte dei casi (ma non sempre). Questo è dovuto anche dal fatto che ho sempre trovato piacevoli le interazioni sociali, conoscere nuove persone (ancora di più dopo la pandemia ovviamente), e soprattutto cimentarmi in dibattiti con altre persone, specialmente se riguardano argomenti su cui sono informato oppure pertinenti alle mie passioni; come ho già accennato precedentemente, ritengo che qualsiasi argomento, anche il più banale, possa essere analizzato in modo razionale e possa avere degli spunti di discussione molto interessanti; le mie passioni appartengono principalmente al mondo “nerd”, dunque cinema, serie tv, videogiochi, fumetti (specialmente giapponesi), ma anche calcio e basket, oltre che un innato interesse alla cultura pop, e soprattutto un amore incondizionato per la musica; uno dei valori che sostengo con gran convinzione è l’apertura mentale, soprattutto nei confronti di qualsiasi forma d’arte: ritengo fondamentale non avere mai dei pregiudizi ed esplorare in qualsiasi ambito, per poi magari trovare qualcosa che diventi parte dei miei interessi e delle mie passioni. Questa “filosofia” la applico specialmente nella musica, che è uno degli argomenti di cui preferisco parlare, e su cui dibattere e confrontarmi con qualcuno, poiché la ritengo una forma di espressione immensa, che può avere milioni di facce e che può essere interpretata in milioni di modi. Oltre a ciò credo che la mia passione più grande sia viaggiare; ciò che adoro di più dei viaggi è osservare con i miei occhi cos’è la quotidianità in un’altra cultura diversa dalla mia, cos’è ordinario per un mio coetaneo di un altro paese.
Nonostante tutto ciò, ogni tanto si presenta una leggera ansia sociale che fortunatamente col passare degli anni si assottiglia sempre di più, ma che comunque continua ad aleggiare ogni tanto come uno spettro. Uno dei miei più grandi nemici è sempre stato il parlare davanti ad un pubblico, e forse è anche questo uno dei motivi per cui studio comunicazione.

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Maria Ciccarelli
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Ambiziosa, sincera, solare, permalosa, critica, decisa, disponibile, testarda, spontanea, affettuosa, responsabile, pacifica, troppo buona,imbranata, dolce, comprensiva, determinata, dormigliona, pigra, impilsiva, empatica, forte, piacevole, altruista, tiranna,gentile, dittatrice, precisa, affidabile, di cuore con chi amo, seria, giudicatrice, puntigliosa, limpida, sicura di me, precisa, generosa, orgogliosa, ansiosa, onesta, agguerrita, difensiva, intransigente, spettacolare, presente, senza peli sulla lingua, dalla risata contagiosa, cuore sensibile, pura, pensierosa, aperta, chiacchierona, profonda, sentimentale, stabile, ritardataria.
Questa serie scoordinata di aggettivi mi sono stati attribuiti da famiglia, amici e conoscenti. Ho mandato loro un messaggio per aiutarmi, perche’ non e’ mai facile far uscire il vero lato di noi, soprattutto con delle semplici parole impresse su un foglio bianco, o come in questo caso sullo schermo di un computer.
Ora però tocca a me presentarmi. Mi chiamo Maria Ciccarelli e ho quasi vent’anni e ho deciso di non fare una descrizione di me, ma di parlare di alcuni episodi della mia vita, perché sono dell’idea che una persona la si può conoscere per davvero, solo sapendo cosa ha vissuto.
Salve a tutti, come ho gia detto mi chiamo maria e sono nata il sette ottobre dell’ormai lontano 2001. Sin da piccola mi sono sempre distinta dagli altri bambini, imponendo ai miei genitori le mie scelte, si avete capito bene! A tre anni gia’ litigavo con i miei genitori su tutto, partendo dal vestiario… nonostante la mia intransigenza su tutto quello che volevo, sono cresciuta con valori importanti, come quelli della famiglia. Unica femmina cresciuta con altri quattro marmocchi del sesso opposto al mio; un maschio sbagliato dicono in molti. Sin da piccola facevo attenzione a tutto e a niente, l’importante era avere accanto le persone giuste con cui fare casino. Tornavo a casa in lacrime, con ginocchia sbucciate, capelli disordinati e magliette impregnate di sudore dopo aver passato l’intero pomeriggio a giocare nel cortile della nonna con mio fratello e i miei cugini. con il passare del tempo sono cambiata, ma ben poco. Ho scoperto i trucchi quando ero ancora alle elementari e non li ho piu’ lasciati. Oggi nelle rare volte in cui organiziamo delle riunioni di famiglia, scendo di casa truccata e sistemata come una vera signorinella, se ancora mi e’ concesso definirmi tale, ma torno a casa senza trucco, con i capelli legati e scalza.
Da sempre indipendente e autonoma, le mie uscite con gli amici sono iniziate all’eta’ di otto anni, mio padre mi ha sempre definita come una persona “allergica alla casa”, tanto e’ vero, che ogni volta che sfidavo la loro pazienza o la loro fiducia, come punizione rimanevo chiusa in casa, senza poter vedere i miei amici, ma puntualmente dopo aver buttato un po’ di fumo negli occhi, dopo aver pregato e fatto un po’ di “moine” ho sempre trovato un escamotage per tornare a fare tutto cio’ che volevo.
Credo nel destino e allo stesso tempo non lascio mai nulla al caso, anche con le amicizie, penso ad ogni mio gesto prima di farlo, ma alla fine mi lascio sempre trasportare dall’istinto e dalle emozioni. a primo acchitto potrei sembrare una persona fredda e calcolatrice, anche se molto chiacchierona e molto sorridente, semplicemente non ho fiducia nelle persone. dopo essere stata delusa da persone che consideravo veramente molto importanti, solo perche’ non portavo magliette firmate o cose del genere, non credo piu’ in quello che molte persone oggi definiscono migliore amica/o. credo pero’ nelle grandi amicizie, ed e’ proprio per questo che ho un ampio cerchio di conoscenze e un ristretto cerchio di amicizie. Sfortunatamente quando una cosa non mi va a genio, o una persona, a pelle non mi piace, nonostante tutte le carinerie che richiedono certe occasioni, il mio viso non ha filtri, anche se cerco di mascherarlo il piu’ possibile.
Come ben avrete potuto notare, ho una personalita’ parecchio instabile, ma non solo caratterialmente, ma in tutto cio’ che faccio sono una vera imbranata. partendo dalle mani di pastra frolla, fino ad arrivare alle mie gambe di zucchero filato, mi trovo a terra in me che non si dica. avete presente quella scena in cui in piena notte “tizio” si alza per andare a prendere dell’acqua in cucina e sbatte il mignolino del piede vicino la porta,la sedia,il como’? bene, io sbatto qualsiasi cosa, in ogni dove, a qualsiasi ora del giorno e della notte, ormai non sento neanche piu’ dolore, dalla mia bocca escono direttamente delle piccole urla, piu’ di sorpresa che di dolore vero e proprio… mio padre spesso e volentieri, proprio per questa mia “imbranataggine”, dice che se per una sola giornata tenessi una telecamera puntata su di me, paperissima potrebbe fare una puntata intera solo con i miei video.
Della mia vita poche cose cambierei se potessi tornare indietro, perche’ ogni mia scelta o decisione ha contribuito a creare la persona che sono oggi. da come avrete ben capito, poche sono le persone che hanno un posto speciale nella mia vita. La persona a cui devo la parte piu’ pura di me, piu’ fragile e piu’ amabile, e’ mio nonno, che e’ stato il pilastro portante della mia vita. mi ha viziata, coccolata e trattata come una vera principessa. Bastava una telefonata, per fargli fare tutta giugliano a piedi sotto il sole, solo per venirmi a prendere. Da lui ho ereditato la mia “allergia per la casa”, mi ha sempre portato ovunque volessi, mi ha isnegnato il valore dell’arte e ad apprezzare la bellezza delle piccole cose, anche solo di una carezza! a mia nonna devo invece la parte piu’ arguta e insistente di me. era una donna che molti ammiravano, sempre presente, da lei ho imparato a non privarmi mai di niente, a difendere ogni mio ideale, con le unghie e con i denti se c’era bisogno. a mio padre devo la mia spensieratezza, la mia risata, il mio essere fraccomoda, la mia voglia di fare festa ogni volta che c’e’ l’occasione. Poi c’e’ mia madre, a lei devo tutto. mi ha insegnato letteralmente a vivere. A lei devo il mio modo di comunicare con il mondo. A lei devo il mio vivere senza confini e superare ogni ostacolo che la vita mi pone. Ai miei fratelli devo la mia premura, la mia ansia e soprattutto la mia cucina, che tra le altre cose, a detta di mio fratello e’ proprio da “5 stelle”.
In questi vent’anni di vita una sola ed unica cosa, pero’, mi ha sempre fatta sentire diversa da tutti. Non ho mai saputo dare una “spiegazione” a questa mia “sensazione” se cosi’ vogliamo chiamarla… una sola e unica cosa mi ha sempre contraddistinto da tutti i bambini, i ragazzi della mia eta’. Da sempre, dentro di me, sapevo che nella vita avrei fatto qualcosa di grande, di spettacolare. Quando mi chiedevano che lavoro avevo intenzione di fare nella vita, non ho mai saputo dare una risposta che fosse veritiera al 100%, ma sapevo che quello che volevo era lasciare un segno. Oggi sono qui, e ho scelto di dare valore alle mie qualità, ho scelto di dare voce non solo a me, ma a tutte le donne come me, che lottano ogni giorno per la parità e per l’uguaglianza.

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Francesca Perotta
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Prima di scrivere questo testo in cui parlo di me e del mio carattere, ho riflettuto a lungo su cosa potessi scrivere; ho riflettuto perché certe volte, mi sembra e di avere tanti altri lati di me che non conosco, o magari sono io a reprimerli.
Ho riflettuto, perché come in tutte le cose che faccio, tendo sempre ad essere critica nei miei confronti, pretendendo a volte forse anche troppo da me stessa ed essendo critica, vedo solo ciò che “ho fatto” (di negativo), o che “avrei potuto fare”, non riuscendo mai a dirmi “dai almeno hai questo”.
Così prima di scrivere, ho chiesto alla mia migliore amica “e tu come mi vedi?”, perché molto spesso i pareri esterni, anche di una persona vicina sono sempre utili.
Mi ha descritto come una persona buona, soprattutto con i miei amici più cari e sempre disponibile; su questo, non posso darle torto perché in fondo so che è cosi e per quanto molti possano vedere questa cosa con positività, per me non è cosi.
Non è positivo perché essere troppo buoni e disponibili, comporta anche conseguenze negative, un esempio? le persone poi arriveranno a prendersi il dito con tutta la mano e quella volta che tu non fai qualcosa per loro, pur non essendo dovuto, ti daranno contro e magari ti definiranno anche come una persona pessima e questo l’ho imparato a mie spese.
Mi ha definita orgogliosa e questo anche è vero, sarà forse perché il mio segno zodiacale è Leone? Per molte persone, l’orgoglio è considerato un brutto difetto anzi, forse uno dei peggiori però, quando sei una persona orgogliosa questo lato non andrà mai via da te. C’è da precisare, a mia discolpa, che la mia dose di orgoglio è contenuta ma soprattutto utilizzata in valide occasioni. Ricollegandomi al discorso di prima, sono una persona che da molto, anche il cuore se necessario e se questo serve a farmi guadagnare il rispetto e fiducia di una persona, sono leale e sono una persona sulla quale gli altri possono sempre contare e proprio per questo, quando subisco un torto mi chiudo in me stessa e se già difficilmente ammetto le mie colpe, in queste occasioni, difficilmente ritorno sui miei passi anche perché sono una persona abbastanza decisa (a volte anche impulsiva) e testarda, quindi quando mi metto in testa qualcosa, sarebbe molto più facile aprirmi la testa e togliermela; sono capace di non parlarti per giorni ma anche mesi se tu hai sbagliato e non capisci i tuoi errori, diciamo che non la faccio scontare facilmente.
Oltre ad essere orgogliosa, testarda e decisa, ho un altro aspetto cioè, quello di affezionarmi facilmente alle persone, proprio perché sono una persona molto di cuore; nell’ultimo anno, ho cercato di cambiare questo aspetto, in quanto molto spesso sembrava che l’unica a rimanere male per dati avvenimenti fossi solo io; questo perchè se mi stai a cuore, potrei darti il mondo e ci rimango abbastanza male quando le persone non fanno lo stesso con me ed è proprio per questo che nell’ultimo periodo, sto imparando ad approcciarmi con i cosiddetti “piedi di piombo”, ed è per questo se a primo impatto posso risultare antipatica o non propensa nel fare amicizia, ma è soltanto una maschera che indosso per non rimanerci male.
Ho cercato di descrivermi con le mie “qualità” che spiccano per eccellenza, anche se sono un mix di personalità, un vero e proprio puzzle che deve cercare di far combaciare perfettamente i pezzi e sono proprio questi, che danno vita alla mia complicata personalità.
Inoltre, non mi piace pensare al futuro, preferisco concentrarmi sul presente, anche perché non preferisco raccontare a tutti i “miei progetti futuri”, li custodisco con molta gelosia ma quello che è sicuro, è che farò di tutto affinché possano realizzarsi ed inoltre, pensare al futuro mi mette ansia, quindi preferisco per certi versi non pensarci e godermi ogni singolo giorno.

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Matteo Lante
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Che tu sia seduto ad un tavolo a chiacchierare con degli sconosciuti, o che tu ti trovi al primo appuntamento, che tu stia affrontando un colloquio di lavoro, o semplicemente in un dialogo qualsiasi: arriva un momento in cui tutti iniziamo a farneticare e finiamo talvolta per dimenticare anche dove siamo nati, questo momento arriva quando dall’altra parte sentiamo “e allora, raccontami di te!”. E non importa quanto tu eloquente possa essere e che il tuo hobby preferito sia persuadere l’interlocutore, o che tu prediliga un linguaggio laconico e rispecchi l’emblema dell’ambiguità, quando ascolti queste cinque parole vorresti cavartela con quelle immagini che si trovano tra i post di Instagram che con quattro aggettivi raccontano il tuo segno zodiacale e divincolarti così. Ma, il compito diventa ancor più arduo quando sei nella fase della vita in cui il cambiamento è l’unica costante, dove magari la descrizione in inglese “Tell me about your self” fatta al liceo sembra che non parli più di te, e dove magari la sera non ti senti più la stessa persona che eri al mattino.
Partendo dalle certezze, sono Matteo ho 27 anni e vivo a Napoli. Ho studiato lingue e dall’età di 8 anni ho iniziato a studiare danza, una disciplina che mi ha portato molto presto a prendere delle decisioni importanti, come a vivere da solo in un’altra città a 17 anni, che mi ha fatto volare in Francia, Inghilterra, America per lavoro e mi ha regalato tante soddisfazioni e che è stata per molto tempo la priorità assoluta rispetto alle tante passioni che ho sempre avuto.
Sono un pozzo di interessi, sono un curioso e a volte divento triste se penso che non vedrò tutti i film che esistono, che non ascolterò tutte le canzoni che sono state scritte, che non riuscirò a vedere tutti i posti che sogno di vedere, che non so cosa farò da grande perché in realtà vorrei fare troppe cose.
Sono un sognatore, ho infinite passioni per coltivarne solo una, ed è questo che mi ha spinto, seppur in ritardo, a cominciare gli studi.
Sono ironico, mi concedo tanta leggerezza, in un mondo pesante e di pesanti, verso la negatività, i problemi, e verso chi si prende sempre troppo sul serio, il senso dell’umorismo per me è un toccasana.
Tendo a mettere sempre gli altri al primo comandamento, l’empatia è il tratto più significativo tra i lati del mio carattere, l’arte di sapersi immedesimare negli altri è una dote innata, non credo sia una peculiarità del tutto positiva, ma grazie a questo ho sviluppato gentilezza, gratitudine e rispetto verso il prossimo.
Sono emotivo, spesso mi commuovo, talvolta con grande imbarazzo, ma credo che le emozioni vadano manifestate, in qualsiasi forma, in fondo viviamo soprattutto per questo.
Amo scoprire e scoprirmi, sono continuamente alla ricerca di qualcosa di nuovo tra quello che mi circonda, odio le confort zone e quello che le persone chiamano “porto sicuro”, a fare sempre le stesse cose si ottiene sempre lo stesso risultato.
Sono Gemelli di segno zodiacale e questo, per i fedeli agli astri potrebbe dirla lunga, sono un appartamento abitato da più persone, non sempre tutte in accordo, ma sto imparando a legare con tutte loro.

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Maria Paritario
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Questa sera mi ritrovo qui a scrivere qualche riga su di me.
Non mi è mai venuta in mente l’idea di scrivere un’autobiografia, anche se a me piace raccontare di me.
Mi presento. Mi chiamo Maria, vengo da Mondragone, un piccolo paese in provincia di Caserta, tra un mese compirò 21 anni e attualmente sono iscritta alla facoltà di Scienze della Comunicazione presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.
Ma parliamo di cose interessanti.
Sin da piccola ho una passione sconfinata per il calcio. E’ sempre stato il mio sogno più grande poter calpestare l’erba di un campo da calcio e calciare un pallone.
Ma nel 2006, anno in cui realizzai che il calcio era qualcosa che mi faceva star bene, non c’erano squadre femminili o scuole calcio che potevano permettermi di realizzare i miei desideri.
Per anni ho giocato per strada, sull’asfalto; quante volte tornavo a casa con le ginocchia sbucciate, distrutte, ma mi sentivo bene, libera. Ero una bambina felice.
Guardavo (e guardo tutt’ora) una serie infinita di partite, e mi piaceva tanto guardare e ascoltare le interviste a fine partita. Nella mia testa mi dicevo “da grande se non riuscirò ad essere una calciatrice, voglio essere una giornalista sportiva!”
Purtroppo, in un paesino come il mio, si vive principalmente di pregiudizi. Crescendo iniziai a sentire cose poco carine su di me e sulla mia passione: “sei un maschiaccio, il calcio è solo per i maschi, devi fare danza o altre cose da femmina”.
Fortunatamente ho dei genitori che hanno sempre cercato di far realizzare questo sogno, per questo motivo non l’ho mai abbandonato.
Nel 2010 iniziai a scrivere degli articoli sulla mia squadra del cuore e non solo. Da lì scoprii anche la mia piccola passione per la scrittura. Pubblicavo questi articoli su una pagina facebook creata da me ma che ora, purtroppo, non esiste più.
Più gli anni passavano, più le mie idee erano chiare. “Questo deve essere il mio futuro”.
Essere consapevole riguardo i miei obiettivi mi hanno fatto sentire spesso sicura di me stessa, anche se c’è stato un periodo in cui volevo abbandonare e buttare tutto via (l’adolescenza…)
Oggi questa consapevolezza mi ha aperto un mondo. Ogni giorno che passa mi sento fortunata ad avere questo tipo di punto di riferimento, ovvero i miei obiettivi e i miei sogni.
Sogno di poter girare il mondo, e spero di poterci riuscire attraverso i miei sacrifici e chissà, attraverso il mio futuro lavoro. Incrocio le dita.

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Davide Di Falco
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Mi chiamo Davide Di Falco, ho 20 anni e vivo a Casoria in provincia di Napoli. Sono uno studente del secondo anno della facoltà di scienze della comunicazione dell’Università Suor Orsola Benincasa, alla quale sono iscritto con lo scopo di poter diventare in futuro un giornalista, magari nell’ambito dei motori che sono la mia passione più grande da quando ho memoria.
La mia passione per i motori deriva da un’ossessione che dura da tutta la vita. Fin da piccolo sono stato a contatto con le auto grazie a mio padre, che di lavoro vendeva e vende tutt’ora le auto, quindi è stato pressappoco lui che mi ha fatto appassionare a questo mondo. Seguo molto la Formua 1 e la Motogp, che sono i miei sport preferiti ma seguo anche il calcio, anche se meno assiduamente.
Sono molto appassionato del mondo dell’informazione e della comunicazione, e in tal proposito mi tengo sempre aggiornato sulle notizie di cronaca giornaliera tramite internet o i telegiornali.
Mi sono diplomato nel 2020, nel pieno della prima ondata della pandemia, che ha tenuto bloccata momentaneamente un’altra mia passione, quella di viaggiare. Viaggiare per me è sinonimo di libertà, esperienza e curiosità; anche se non ho viaggiato molto, negli ultimi anni ho avuto modo di visitare la maggior parte dell’Italia, ho visitato Parigi, Los Angeles, Vienna, e quest’estate sono stato a Rodi in Grecia. Mi piace molto stare in compagnia, specialmente dei miei amici più stretti con i quali ho svolto la maggior parte dei viaggi appena elencati.
Mi ritengo una persona disponibile e gentile; perseverante, quindi fermo e costante nei propositi che mi pongo; l’onestà è un’altra cosa che mi contraddistingue in quanto credo che essere onesti sia sempre una cosa positiva in qualsiasi circostanza; e cerco di tenere sempre fede alla mia parola, per quanto possa essere considerata una caratteristica personale. Sono però una persona anche molto indecisa, in qualsiasi circostanza, ma ormai ci ho fatto l’abitiudine, e a volte tendo ad essere un po’ testardo.
Sintetizzando questo sono io, sperando di non aver tralasciato nulla.
Il mio profilo instagram è: @davide_dfk

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Josipa Knezevic
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My name is Josipa and I am a 21-year-old from small Mediterranean country of Croatia. I am studying communication at the Catholic University of Croatia. As I am writing this letter, I am sitting in my dorm room in Napoli, Italy where I am studying on an Erasmus+ program. Discovering different ways of doing daily activities in different countries is my favourite hobby and the same goes for education. Different types of education and its execution enable every student to find best learning options for themselves. My other passion is learning different languages which allow me to discover various cultures and truly understand them; French, Spanish, Latin and Italian were just the first ones on my never-ending list of the languages I want to master. I have tried out in a lot of sports when I was younger and also in playing the piano. I didn’t become an Olympic athlete, but at least I learned that patience and discipline are very important in the business world, as well as personal. While playing the piano, I have learned that a successful project is very similar to a successful concert; all team players should be “in harmony” to produce the perfect sound.

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Felice Albano
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Il mio nome è Felice, di nome e di fatto. Sono un ragazzo di vent’anni, ma mi considero un eterno fanciullo. La mia più grande passione sin da piccolo è il calcio ed il mio sogno è sempre stato quello di diventare un calciatore professionista. Purtroppo però, proprio nel momento in cui stavo riuscendo ad esprimere tutto il mio potenziale, da qualche anno dei problemi fisici di natura genetica hanno condizionato fortemente le mie prestazioni a tal punto da finire nell’oblio.
Nel frattempo però, in attesa di una cura e sfruttando il periodo del lockdown, ho dedicato gran parte del mio tempo ad un’altra delle mie più grandi passioni: la scrittura. Proprio a tal proposito, sfruttando le mie conoscenze in ambito calcistico, lo scorso anno sono stato selezionato da un giornale sportivo online che si occupa delle notizie che riguardano il Napoli calcio (squadra di cui da sempre sono tifoso), riuscendo così a coltivare di pari passo le mie due più grandi passioni.
L’esperienza del giornale, lavorare in una vera e propria squadra, aiutarsi l’un l’altro nei momenti di difficoltà, è stata per me di fondamentale importanza sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista umano. Quest’anno, grazie al fatto che finalmente, con ogni probabilità, inizierò le cure per risolvere definitivamente i miei problemi fisici, ho deciso di dedicarmi al calcio giocato, per non avere rimorsi in futuro. Per questa ragione, oltre che per dedicare gran parte del mio tempo all’università, ho deciso di lasciare momentaneamente il giornale.
Spero comunque che un giorno possa praticare il mestiere del giornalista sportivo o, meglio ancora, telecronista sportivo per riuscire a trasmettere agli ascoltatori le emozioni che provo guardando una partita di questo meraviglioso sport.
Ecco alcuni dei miei articoli:
https://www.spazionapoli.it/2021/05/12/calciomercato-offerta-del-napoli-per-tolisso-il-francese-interessa-anche-a-juventus-e-inter/
https://www.spazionapoli.it/2020/12/09/zappa-cagliari-napoli/
https://www.spazionapoli.it/2021/01/16/approvata-la-raccolta-fondi-per-costruire-la-statua-di-maradona-tutti-i-dettagli/
https://www.spazionapoli.it/2021/02/13/live-primavera-napoli-benevento-0-0-derby-per-gli-azzurrini/

Ecco invece alcuni dei miei pezzi pubblicati sul mio profilo instagram:
https://www.instagram.com/p/CGtATLTJdel/
https://www.instagram.com/p/CG9nCkBpH0o/
https://www.instagram.com/p/CIBbN_Xqqzr/

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Salvatore Monaco
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Mi presento, sono Salvatore Monaco sono nato e vivo Napoli. Vado subito al sodo dicendovi che nello scrivere questa descrizione di me mi trovo parecchio in difficoltà. Non so definire bene chi sono o chi vorrò essere in futuro. Certamente ho delle ambizioni però non le ritengo l’unico accesso ad una vita soddisfacente. Credo che, banalmente, l’importante sia trovare qualcosa che ti dia serenità e dignità, ed io, avendo 19 anni, penso di aver il tempo ancora di capire davvero chi vorrò diventare a livello umano e lavorativo.
Con questa risposta non voglio liquidare la consegna in maniera banale, ma credo davvero che essendo giovane abbia bisogno di ancora più esperienza per darvi una riposta precisa ed esaustiva. Ad oggi posso dire di voler fare il giornalista, ma è probabile che io cambi idea come l’ho già cambiata svariate volte. Spero che per ora questa indecisione sia un punto di forza, e che possa servirmi a non limitare le strade per il mio futuro e a non fossilizzarmi su un’unica prospettiva. Quello che posso dire con certezza è che, in qualsiasi cosa farò, cercherò, quando è possibile, di portare i miei ideali e ciò in cui credo.

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Christian Giliberti
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Mi chiamo Christian Giliberti ed ho 20 anni. Abito a Quarto e nella vita ho sempre giocato a calcio.
Ho frequentato il liceo linguistico, pensando di voler proseguire con le lingue anche dopo il diploma, ma la mia passione per il giornalismo, in particolare per quello sportivo ha avuto la meglio. Frequento il secondo anno di scienze della comunicazione presso il Suor Orsola Benincasa. Ricordo da piccolo quando finivano le partite in tv, restavo lì a guardare fino a tardi ciò che si dicevano i giornalisti; o ancora quando andavo allo stadio ed osservavo i loro movimenti a bordo campo. Cerco di non dipendere troppo dalla mia famiglia, così quando posso lavoro, senza però accantonare lo studio.
Il mio obiettivo è laurearmi il prima possibile, così da intraprendere da subito il percorso lavorativo che desidero. Sono una persona intraprendente e determinata, cerco sempre di concludere ciò che inizio e di farlo nel miglior modo possibile. Quando qualcosa mi piace dó il 100%, faccio più fatica invece quando mi sento “obbligato” a fare qualcosa. La cosa più importante per me è la mia famiglia ed è per questo che cerco di renderla fiera di me e ripagarla per tutti i sacrifici fatti.

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Isidoro Orabona
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Mi chiamo Isidoro Orabona e il mio nome non l’ho scelto io; così come non ho scelto di nascere, tantomeno a luglio quando fa caldo e soprattutto dopo aver realizzato, una volta cresciuto, di non poter festeggiare perché giustamente gli amici preferiscono partire per le vacanze.
Ho frequentato il liceo classico ad Aversa, mia città natale, e già con questo posso dimostrare quanto mi piaccia
cimentarmi in cose pericolose per la propria salute mentale. Ho da sempre avuto una propensione al racconto e per la fotografia. Nel tempo libero scrivo articoli di cinema e attualità per vari blog online e sopratutto mi piace fare sport, e purtroppo per i miei genitori ho sempre amato cambiare e fare cose nuove, come quando mi buttai con il paracadute in vacanza e vennero a saperlo quando mi portarono in ospedale per una botta presa quando atterrai; oltre
alle altre cose marginali ho da sempre praticato arti marziali e giocato a rugby e da questo può sembrare che mi piaccia fare a botte con le persone ma posso assicurarvi che non è così.
Ho una propensione per la politica e per gli affari comuni, mi piacerebbe fare qualcosa di utile ed essere ricordato non solo per il mio colore di capelli. Ho scelto di intraprendere questo percorso universitario per cercare di conciliare appunto le mie passioni per il racconto e la fotografia, cercando magari anche di viaggiare e fare nuove
esperienze.
Credo di essere una persona abbastanza incosciente e solare, anche se a volte abbasta permaloso e troppo sicuro di se stesso; so anche essere molto altruista e per gli amici, infatti mi è sempre piaciuto fare nuove amicizie anche se spesso mi sforzo di essere simpatico con le persone.
Spero davvero che un giorno grazie a questo corso cosi come al resto dei miei studi universitari possa realizzare un mio sogno, quello appunto di viaggiare o assistere ad eventi particolari per raccontare, quindi magari guadagnare qualcosa senza uno sforzo eccessivo, e paradossalmente no, non mi piacerebbe lavorare al comune.

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Rossella Iadaresta
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Presentarsi ad un pubblico, di qualsiasi genere esso sia, non è quasi mai semplice, da un lato prevale il voler mostrare la miglior versione di se stessi, dall’altro la semplice consapevolezza che questa tortuosa e lunga ricerca potrebbe, quasi sicuramente mai concludersi, soprattutto se si è cosi incontentabili come me.
Capita spesso che io scriva a me stessa, amo farlo per schiarirmi le idee, per dare una forma a ciò che provo, ai miei pensieri, spesso confusionari ma almeno, vivi. Certo, non dico però che sia semplice farlo parlando di sé, quello proprio non mi riesce, non mi piace essere un libro aperto dove chiunque possa leggere anche solo un capitolo, nonostante nella mia vita sia capitato spesso di incontrare persone che di me hanno letto qualche capitolo traendone il meglio, qualcuno ha lasciato un ricordo, qualcun altro ha strappato solo qualche pagina a tempo perso.
In questo momento, mentre scrivo mi sembra di vivere quella tipica situazione in cui conosci qualcuno per la prima volta, (il che la dice lunga se teniamo conto di quanto io sia selettiva) e ti chiede “Beh, cosa mi racconti di te?” e puntualmente, dimentichi anche il tuo nome, in questo caso il mio, Rossella. Dimentichi l’età, 19 all’anagrafe anzi quasi 20 a Dicembre, e dimentichi dove hai speso il tuo primo ventennio di vita, quali cose hai fatto e cosa vorresti fare, insomma dimentichi un po’ chi sei. Posso provare a rispondere alle prime. Vivo in un piccolo paesino in provincia di Caserta ma tra le tante cose che ho avuto la fortuna di poter fare, come viaggiare, vivere per soggiorni più o meno lunghi in diversi paesi , mi rendo conto di essere cittadina del mondo e che “vivere”, almeno per me non è legato a nessun luogo in particolare. Tra le tante cose fatte, tra i viaggi e lo studio, mi sono diplomata al liceo linguistico dove tutta la mia predisposizione alle lingue mostratasi sin da piccola si è maggiormente espressa. Ho scritto “sin da piccola” perché c’è questo aneddoto che mia madre ripete a chiunque per elogiare quello che a Napoli chiamano “fare da scugnizza” che secondo lei ho sempre avuto. Racconta sempre di una piccola Ross capace a soli sei mesi di segnare la parola “mamma” nella LIS. Oltre alle lingue, ho sempre avuto questa follia per l’arte, il cinema, la musica e credo in fondo di essere rimasta quella bambina sognatrice che saliva dopo cena sul tavolo di sua nonna ed iniziava a cantare e ballare, e guai a non prestarle attenzione!
Sognatrice è la parola giusta, a volte pigra, ma con tante passioni, alcune lasciate a metà ed altre che spero diventino lavoro. Pessimista perché forse troppo realista la maggior parte delle volte ma mi piace sperare e vedere del buono nelle persone. Malinconica perché vivo di ricordi e di emozioni vissute ma impaziente per il futuro, spesso dimenticandomi di quanto sia il presente, l’adesso ed ora a contare più di tutto. Viversi il momento senza pensare. Pensatrice, un’altra parola chiave, o forse dovrei dire riflessiva, ma siamo lì no? Lavoratrice perché non smetto mai di lavorare minuziosamente su me stessa, a volte fin troppo. Inesplorabile ed imprevedibile perchè corro troppo velocemente, con la testa, con le decisioni ed inesplorabile perché non smetto mai di conoscermi, figuriamoci gli altri.
Gli altri, nella parola” altri” ci sono gli amici, la famiglia, gli sconosciuti. Tutto per me, anzi dovrei dire, tutti per me hanno importanza seppur in modo diverso e di solito mostro sempre il contrario il che è un ossimoro perché mi ritengo una persona davvero empatica, tendo a mettere sempre i problemi degli altri prima dei miei e sono più brava a razionalizzare soluzioni per gli altri che per me e nonostante ciò faccio fatica, ad aprirmi, a mostrare i miei sentimenti, sono più brava con le parole. Dico sempre che di ciò che pensano gli altri poco m’importa e poi invece finisce come ora, che cancellerei tutto perché in realtà, do peso a tutto e probabilmente guarderei attentamente la persona che mi ha chiesto di parlare di me per vedere quanto sia interessato e quanto stia prestando attenzione. Guarderei le movenze, gli sguardi, tanto colgo ogni dettaglio. Eppure parlavo di me ad uno sconosciuto appena conosciuto no? Non dovrebbe importarmi. Va be’, a chi importa.

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Giovanni Basile
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Se dovessi presentarmi scelgo una parola, il racconto.
Sotto un punto di vista curriculare sono Giovanni, un 22enne, diplomato in automazione e laureato in comunicazione, un bel salto di studi “dal manuale al comunicativo”, ma questo poco importa, non sono molto materiale nei confronti dei titoli, dinanzi al tempo, siamo tutti uguali.
Per me la vita è movimento, da quando ho compiuto 13 anni e i miei hanno divorziato ho cambiato almeno 5 case, per ora.
Cambiare e mutare pelle, è stato obbligatorio, per sopravvivere alle onde.
In tutti i viaggi, tuttavia c’è sempre un luogo e una serie di amici.
La mia terra, Giugliano, con i suoi problemi e le sue tristezze, è il luogo in cui sono nato, mi ha plasmato e con gli sguardi degli amici mi sono formato.
Cambiare, osservare, perdere ed essere deluso.
Ho provato a lottare, e sono fiero di aver perso molte battaglie, il mondo che ho voluto non è mai stato come volevo, dunque l’ho forgiato.
Mi sono improvvisato scrittore, sì, scrittore. Mi piace creare il mondo con i racconti e con le parole, che di sicuro fanno meno male delle voci, delle persone e degli amici che se ne vanno.
Ho provato a cambiare la mia terra con “La città dei fumi”, cercando di descrivere i soprusi e le omertà dell’inquinamento.
Ho provato a descrivere l’odio della disinformazione con “La comunicazione al potere”.
Non mi voglio arrendere, non mi voglio fermare, voglio continuare a respirare vedendo il mondo nel modo più bello e puro che c’è e lo voglio tramandare descrivendolo nel modo più dolce possibile. Il racconto, la parola che viene sparata con le dita, collega il cuore alla carta, questo mi rende felice. I mille pensieri che mi compongono, rendono me, che nulla sono nel tempo e nella storia, una parte di pensieri e volti che incontro nel mondo.

Finché vivi, mostrati al mondo,
non affliggerti per nulla:
la vita dura poco.
Il tempo esige il suo tributo.
L’epitaffio di Sicilio

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Roberta Infascelli
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Mi è stato chiesto di presentarmi. A 19 anni, dopo anni e anni di scuola in cui mi è stato assegnato lo stesso compito, dovrei essere diventata un’esperta nel parlare di me e di chi sono. Eppure più vado avanti nel tempo, meno so cosa dire. La domanda “chi sei?” me la pongo quasi ogni mattina, senza mai avere una risposta soddisfacente, ma cercherò di fare il mio meglio per adempiere a questo assegno.
Mi chiamo Roberta, ma odio essere chiamata col mio nome per intero, preferisco abbreviazioni o soprannomi. Ho 19 anni, ma sono cresciuta con persone più grandi di me, a cui piaceva ricordami costantemente quanti passi indietro fossi rispetto a loro. Ho paura dei tuoni, delle volte del cibo e della solitudine. Nutro una grande passione per l’arte nella sua accezione più generica, dalla danza, al canto, alla scrittura, alla pittura, nonostante sappia fare solo poche di queste cose (e anche male). Mi è sempre stato detto che ho grandi capacità di ragionamento emotivo che, per quanto possa suonare come un ossimoro, mi è servito come difesa dalle inevitabili sofferenze che la vita regala. E dico “regala” perché è grazie a loro che sono quella che sono, quella che mi è stato chiesto di presentare. Non voglio atteggiarmi a donna vissuta quale non sono, ma credo che ognuno di noi porti in se qualche fardello, qualche storia, che l’ha portato qui, dov’è ora. Io ne ho tante, ma devo ancora trovare il coraggio di raccontarle. Forse è per questo che non mi sento in grado di parlare di me, perché non ho il fegato di scavare fino al nocciolo della mia persona. Un’altra nota oggettiva della mia personalità è che, se non si fosse capito, mi piace fare mille giri di parole per evitare di arrivare subito al punto ed accettare la realtà. La scrittura mi ha sempre aiutato così: tessevo lunghe coperte di parole nel quale arrotolarmi e proteggermi dalle conseguenze, come i bambini la notte si nascondono dai mostri del letto. Vorrei tanto ridurre il tutto a “non chiedetemi di parlare di me, perché non so e non voglio farlo” ma non ci riesco… o forse l’ho appena fatto?

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Maria Anastasio
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Mi chiamo Maria Anastasio e ho appena compiuto 20 anni. Vivo ad Amalfi, un posto meraviglioso che però in alcuni momenti ho sentito un po’ troppo stretto per me. Mi piacciono molte cose tra cui la moda, la fotografia, leggere, scrivere, viaggiare e l’arte in tutte le sue forme a partire dal disegno fino ad arrivare al cinema.
Ho sempre cercato di approcciarmi a ciò che mi affascinava, infatti ho seguito per due anni un corso di fotografia e attualmente sto scrivendo per un giornale locale online.
Già dai primi anni della mia adolescenza ho provato a fare diverse esperienze. Ho fatto varie cose e svolto vari lavori tra cui babysitter, barista, commessa, addetta all’accoglienza degli ospiti di case vacanze e comparsa. Ho scelto di fare tutto ciò di mia spontanea volontà in quanto già qualche tempo fa ritenevo fosse importante aggiungere momenti, emozioni, ricordi ed esperienze al proprio bagaglio di vita.
Così come ci sono tante cose che mi piacciono, ce ne sono altrettante che non mi piacciono.
Mi piace tutto e nulla. Spesso associo il mio carattere allo yin e lo yang. Penso che io viaggi tra poli opposti senza mai collocarmici per intero e cambiando spesso umori, idee e prospettive. Sono composta da diverse sfumature e non mi piace definirmi perchè questo significherebbe impormi dei confini che probabilmente non rispetterei.
La mia indecisione costante mi porta a non avere le idee troppo chiare, ma con il tempo sto cercando di accettare questo lato del mio carattere e accettare me stessa con tutte le mie sfaccettature, aspettando di scoprire come sarò domani.
Ho deciso di allegare una foto che ho scattato qualche anno fa e che è una delle mie preferite. Mi trovavo a Brighton, avevo la mia reflex in mano e davanti a me c’era questa famiglia che camminava. Non so chi siano quelle persone. Ad oggi non ho idea di quanti anni abbiano, dove si trovino e se siano ancora insieme. Quello che mi piace di questa foto è il fatto che questo momento e queste emozioni semplici e spontanee siano state catturate dall’obiettivo in quel luogo e in quell’attimo preciso. Un’immagine che dice tanto senza dire niente. Un po’ come alcune cose della vita che non hanno bisogno di essere spiegate.
Questa è una parte del mio piccolo mondo interiore che ho deciso di portare qui oggi.

Referenze
Corso di fotografia presso lo studio di Alfio Giannotti (Salerno)
AmalfiNotizie

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Valeria Boccara
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Ricomincio da me, dopo un anno di chiusure, tristezze e sofferenze. Ricomincio da me, dal mio entusiasmo, dalla mia voglia di fare, di coltivare il mio lavoro e ciò che tanto amo.
Sono tornata in università e dopo un anno e mezzo mi sono emozionata così tanto da risentirmi una matricola, ma anche così forte da abbattere la montagna di insicurezze e di dubbi che in questi mesi mi hanno schiacciata.
Ho deciso di ricominciare un nuovo anno accademico, proprio partendo dalle mie certezze. Dalla mia famiglia, dai miei affetti e dal mio amore.
Ebbene sí, a donare una nuova luce al mio triste 2020 c’è stato anche l’amore. Ci siamo conosciuti estremamente compatibili, ma ci siamo ritrovati anche profondamente diversi. Ogni volta che lo guardo con attenzione, scopro nuovi particolari di lui: è come se sfogliassi le pagine di un libro che mi raccontano sempre storie diverse. Non c’è una spiegazione, ma se davvero esiste l’amore, non credo possa essere tanto diverso da questo.
Ricomincio da ciò che ho perso, ma anche da ciò che sto coltivando. Ho seminato certezze e ne sto raccogliendo risultati, soprattutto soddisfazioni. Continuo a lavorare in radio, scrivere ed emozionarmi. Il fatto che la gente lo riconosca, mi gratifica anche forse di più di quanto lo faccia io con me stessa.
Il 2021 è stato l’anno della scoperta. Ho riscoperto il nonno, la sua dolcezza nei miei confronti e la sua ironia. Per tutta la mia breve vita non l’ho mai sentito particolarmente vicino nè ho mai avuto l’esigenza di chiedergli di raccontarmi di sé. La sua vita l’ho sempre immaginata nella mia mente di bambina e ora, invece, mi vergogno per non avere costruito particolari ricordi con lui. Adesso non saprei neppure come cominciare, ma il suo volermi stringere la mano, sarà l’emozione più intensa che custodirò di lui.
Le perdite, però, mi fanno paura. Estremamente.
Alcune le ho affrontate pensando che in realtà ciò che conta sono i bei ricordi e quindi le persone che amo le custodisco con me. Con tutti i loro modi di essere. Resto amica dei loro ricordi, delle risate che sanno di passato e di tutte le piccole e grandi emozioni che rivedo a flashback nella mia mente.
Sono un’accanita lettrice di forum, soprattutto di argomenti estremamente seri. Mi piace solo ascoltare le storie e mai palesarmi, ma condividere con gli altri un pensiero è come ricevere una carezza da uno sconosciuto, un abbraccio tra chi condivide un destino. Una ragazza del forum della Aimac quest’anno ha scritto:
“Non è tanto quello che facciamo, ma quanto amore mettiamo nel farlo. Non è tanto quello che diamo, ma quanto amore mettiamo nel dare.” E questo è ciò che ho imparato nel mio 2021.

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Nicola Talia
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Salve a tutti mi chiamo Nicola Talia, sono un ragazzo diciannovenne con gran voglia di fare, nato e cresciuto ai Colli Aminei. Dopo essermi diplomato al liceo scientifico Sbordone,ho deciso di intraprendere questo percorso per inseguire il mio più grande sogno, quello di diventare giornalista sportivo.
Non vedo l’ora di proseguire questo percorso insieme a voi finalmente assieme dopo questi quasi due anni di chiusura.

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Miriam Sorrentino
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Mi presento, il mio nome è Miriam Sorrentino, abito a Pozzuoli con la mia famiglia, ho 19 anni e frequento la facoltà di Scienze della Comunicazione all’Università Suor Orsola Benincasa.
Sono un persona con tremila interessi, mi piace tantissimo ascoltare musica, nella mia vita la musica è davvero fondamentale, ascolto di tutto e quindi i miei gusti in merito sono molto versatili. Altre mie passioni sono leggere, scrivere e guardare film o serie TV. Sono molto interessata agli sport, e sono una grandissima fan della Formula 1 e della Moto gp.
Ho frequentato un Istituto Turistico in una classe ESABAC Techno, al termine della quale ho conseguito un doppio Esame di Stato, in Italiano e il Baccalauréat, ovvero l’Esame di Stato Francese.
Ad oggi quindi conosco quattro lingue: l’italiano, il francese, l’inglese e lo spagnolo.
Ballo danze latino americano da 12 anni e a breve, norme covid permettendo, avrò l’opportunità di conseguire l’esame per ricevere il diploma da insegnante.
Mi considero una persona molto curiosa, interessata a tutto, non c’è una cosa che passa sotto il mio sguardo su cui io non vada ad informarmi.
Inoltre penso di essere una persona che si adatta ad ogni situazione, senza mai mettere davvero in secondo piano le mie esigenze, mi reputo capace di lavorare in solitaria e in gruppo, collaborando o prendendo in mano la situazione.
Caratterialmente mi considero particolarmente gentile, disponibile, altruista e anche molto simpatica, inizialmente posso sembrare timida ma appena conosco le persone tendo a aprirmi facilmente e a mostrare la vera me, ovvero quella espansiva.
Sono, sin da piccola, molto interessata al mondo del giornalismo, dell’informazione e della comunicazione, uno tra gli aneddoti familiari descrive una piccola Miriam, ancora incapace di camminare, guardare affascinata la TV e in particolar modo i telegiornali, probabilmente da qui è nata la mia curiosità e la mia loquacità, infatti cerco sempre d’informarmi e di poter informare chi mi circonda, a volte parlando anche troppo.
Mi definirei ‘particolare’, non in senso negativo, anche i miei capelli sono ‘particolari’, ho due ciocche rosse, il mio colore preferito, e sono per me un modo per esprimere la mia forte personalità e sono sicuramente di un’esuberante creatività, che di certo non mi manca.
Questa sono io in una grandissima sintesi, nonostante però per sapere meglio di me bisognerebbe conoscermi davvero, in modo tale da scoprire ogni lato che mi caratterizza.
Su instagram mi trovate qui.

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Claudio Bencivenga
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Ciao, sono Claudio, ma tutti mi conoscono come Pedro. Ho vent’anni e la testa un po’ da sognatore, come tutti credo. Sono un appassionato di sport, in particolare del calcio, che per me è quasi una religione, infatti il mio sogno è quello di intervistare i protagonisti dei più grandi scenari, parlare dei loro percorsi e ammirare gli stadi più importanti. Ho numerosi social ma non ci spendo molto tempo, mi capita quando mi assale la noia. Lì cerco di raccontare il lato più superficiale di me stesso, pubblico le foto che mi piacciono, come avviene su Instagram (thats.ped_). Una cosa che non molti sanno di me è che ogni tanto, soprattutto in passato, scrivevo qualche riga per sfogarmi e liberare tutto ciò che sentivo dentro e ho tramutato tutto questo in un altro profilo Instagram (_n.evngh) che però adesso è più uno spazio in cui scrivo non molto frequentemente quello che mi passa per la testa, infatti ho molti post archiviati perché adesso non mi rispecchiano più e intendo trattare quel posto come il mio luogo, il mio spazio libero.
Nella vita sono un ragazzo timido, un po’ impacciato ma a detta di molti simpatico, abbastanza disponibile per gli altri e a cui piace fare cose semplici, che ha piacere anche a fare due passi e una chiacchierata con degli amici o che si diverte a correre dietro ad un pallone.
Claudio Bencivenga, studente del secondo anno di scienze della comunicazione presso l’Università Suor Orsola Benincasa.

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Andrea Papa
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Sono Andrea Papa, ho 20 anni e frequento l’università Suor Orsola Benincasa di Napoli.
Attualmente sono al secondo anno di scienze della comunicazione ed ho scelto il curriculum di “media e culture”. Adoro essere a contatto con le persone per confrontarmi e scambiare opinioni su qualsiasi tema; per tale motivo, ho tante conoscenze ma d’altra parte, essendo una persona un po’ diffidente, mi fido o riconosco come amici, pochissime persone.
Circa 4 anni fa mi introdussi nel mondo della musica, nel quale trovai uno sfogo diretto alla noia e alla monotonia della vita. Avevo fin da sempre scritto i miei pensieri e i miei turbamenti nelle note del cellulare, ma ancora non avevo mai provato a scrivere in metrica e a veicolare attraverso la musica il mio pensiero come tanti rapper che ascoltavo. Non sapevo bene come seguire il tempo e come risultare credibile all’orecchio dell’ascoltatore, per cui i miei primi pezzi furono più sperimentazioni che veri e propri lavori musicali compiuti ma quel mondo che tanto mi attraeva fin da appena adolescente doveva ancora essere ben esplorato e approfondito e sapevo che col tempo e la dedizione sarei migliorato.
Caricai il mio primo singolo su Spotify nel 2019, “Sentimento”, ma non lo pubblicizzai molto nemmeno tra le mie conoscenze: ancora non ero sicuro del prodotto ma volevo comunque iniziare a lasciare traccia della mia gavetta da qualche parte. In seguito mi spostai su un’altra piattaforma di distribuzione musicale: Sound Cloud, che mi avrebbe permesso di pubblicare tracce con più facilità e non a pagamento e di fare conoscenze con altri giovani della comunità con la stessa passione. Quindi feci uscire “Pensieri di plastica”, poi “No stress”, “Basta”, Fammi dormire stanotte”, ripubblicata in seguito anche su Spotify, e altre collaborazioni. Questa passione, che porto ancora avanti, mi ha regalato tante esperienze e mi ha formato molto come persona, non basterebbero poche righe per raccontare tutto.

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Francesca Palumbo
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È quasi sera, mi ritrovo a dover scrivere qualcosa su di me, all’improvviso capisco che è molto difficile parlare di se stessi quando sei una persona che si sente più a suo agio nelle retrovie.
Sono Francesca,ho 22 anni e se dovessi descrivermi con un aggettivo sarebbe, sicuramente, vulnerabile. Ma non sono solo questo, sono tante altre cose insieme.
Sono disordinatamente ordinata, o viceversa, per questo non troverete mai un mio libro che non sia stato incasinato dalla matita. Ho detto libro, quindi, a questo punto si è già capito cosa mi piace. Ma amo anche le parole.
Ho iniziato a scrivere perché avevo delle cose da dire, ma non sapevo a chi dirle, perché a volte serve un gesto deciso che faccia ordine tra i pensieri.
Scrivo perché gli spazi bianchi non mi sono mai piaciuti e perché, un giorno, mi sono accorta che vivevo nelle storie che immaginavo. La mia passione per la scrittura nasce, innanzitutto, da un amore smisurato per la lettura. E l’amore per la lettura nasce dall’esigenza di scappare, scappare da un mondo che inizialmente non sapevo ancora affrontare.
Spero di trasformare tutto ciò, le mie idee e i miei diari passati e futuri,in qualcosa di cui vivere e per cui vivere.
Poi c’è la cucina, il mio rifugio preferito, preparo dolci quando sono triste ma anche quando sono estremamente felice, la mia dieta inizia sempre di lunedì,un lunedì che, però, non è ancora arrivato. Ho imparato ad affrontare le difficoltà una ricetta alla volta grazie alla mia nonna. Perché la felicità è fatta di piccole cose: é il profumo di una torta di mele che invade la casa e con la sua semplicità mette d’accordo tutti.
Sono una fan del fai-da-te che è sempre meglio!
Preferisco i viaggi alle vacanze. E viaggiando ho iniziato a guardare il mondo con occhi che avevo dimenticato in un cassetto. Si chiama meraviglia, la usi a sette anni e poi decidi che è troppo ingenua. Ma accade che la riscopri, per caso, mentre sei seduta ad un tavolino di fronte al Bosforo, bevendo un caffè che non è il tuo solito caffè, e il cielo assume colori e sfumature a cui prima non avevi fatto caso, vicino a te ci sono delle ragazze che ridono ad alta voce, ragazze con i tuoi stessi sogni e speranze, amiche. Così ti alzi e decidi di perderti per le vie di Istanbul, di colpo, non sei più sola.
Ho un padre e poi ho un papà, il sangue ha a che fare con la biologia ma non ti dice, per forza, di chi sei figlia. Io sono diventata figlia a 12 anni. È stato come nascere di nuovo ma sentendosi amati.
Da più di un anno, però, babbo si è ammalato. Cancro al polmone. Eravamo impreparati, non pensi mai che queste cose possano succedere proprio a te o a qualcuno che ti è vicino. Ricordo che la diagnosi dei medici suonava come una sentenza. Mi è rimasta intrappolata in gola per un po’, tra le lacrime e un sapore che aveva il retrogusto di impotenza.
Poi c’è stata la confusione delle corse contro il tempo, che improvvisamente ha una data di scadenza, perché il tempo è un concetto relativo solo fin quando pensi di averne abbastanza. E allora inizi a conoscere il senso di colpa, quel brutto antipatico che ti ricorda di tutte le volte in cui sei stata manchevole, delle volte in cui rimandavi sempre a “domani”.
Sono cambiate le mie priorità, abbiamo dovuto imparare il gergo medico, la differenza tra una chemio bianca e una chemio rossa, il giusto dosaggio dei medicinali, i rischi di recidiva, cosa significa vivere senza un polmone. Eppure, davanti alla possibilità di perdere qualcuno che amiamo siamo tutti uguali, tutti con un dolore da padroneggiare ed una paura da domare.
Nel frattempo non l’ho mai visto arrabbiato il mio papà, non ha mai detto “perché a me?” e questa è stata un’ennesima lezione che mi ha voluto impartire per il futuro. Mai autocommiserarsi.
Il mollare nella vita, mi ha detto, non è mai contemplato. L’amore ci aiuta,rende i giorni brutti sopportabili e quelli belli li trasforma in ricordi, in occasioni.
La malattia mi ha insegnato a ringraziare per quello che ho e per quello che non ho. Ad essere grata per il “qui e ora” in un mondo in cui si è sempre insoddisfatti. Può sembrare un discorso banale, qualcosa di già detto, ma è quello che scopri quando realizzi quanto la vita sia per tutti un soffio: veloce, precaria, mai certa. Dentro gli ospedali, la mia fortuna di persona sana mi stravolge ogni volta e, quando esco, l’aria di fuori mi sembra un regalo. Proprio per questo non mi stancherò mai di dire quanto la vita sia meravigliosa, con tutti i suoi innumerevoli nonostante.

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Francesca Attanasio
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Salve, mi presento, sono Francesca Attanasio, ho 19 anni e frequento la Facoltà di Scienze della Comunicazione all’Università Suor Orsola Benincasa. Di me potrei dire di tutto come niente: le autobiografie mi spaventano per il
semplice motivo che mi piace scoprirmi giorno per giorno e scrivere su di un foglio chi sono, mi è molto difficile perché cambio continuamente. Vi è una canzone di Marracash il cui testo cita “E non cambio mai, Però in realtà cambio sempre” e penso che questa frase mi rispecchi a pieno. Qualche anno fa ho avuto un’esperienza che purtroppo mi ha segnata imponendomi davvero troppi limiti, per questo potrei anche dire che ho iniziato a vivere solo 2 anni fa.
Due anni in cui sono rinata, promettendo a me stessa di rispettarmi sempre e sono riuscita a costruire una persona con valori di cui sono fiera.
Penso che la prima cosa che si nota di me è il carattere molto impulsivo, che può essere considerato un pregio come un difetto, quando credo a qualcosa non ho paura di parlarne o magari di scontrarmi con altre persone, se prendo una decisione o esprimo un pensiero è perché lo sento mio.
Nella mia vita di una sola cosa sono sempre stata sicura, di non voler lavorare in un ufficio, mi è sempre piaciuta l’idea di lavorare a contatto con le persone, scoprirle e ascoltarle. Fin da piccolina ho avuto la possibilità di viaggiare e conoscere persone con lingue e culture diverse dalla mia. Ogni viaggio mi ha sempre arricchito di nuove esperienze e quando tornavo a casa non vedevo l’ora di raccontare cosa avevo visto o scoperto ai miei amici o alla mia famiglia, dando anche consigli su cosa vedere o andare a mangiare.
Vorrei fare della mia passione per i viaggi e le culture il mio mestiere, e quindi perché non fare la reporter? Non sono interessata ad uno specifico genere, potrei parlare e scrivere di tutto: moda, cibo, cronaca nera, gossip e perchè no anche Trash.
Un aneddoto divertente su di me è che ogni volta che vedo il telegiornale durante la cena, dico sempre alla mia famiglia “prima o poi mi vedrete lì dentro!”. Durante la presa di Kabul da parte dei talebani, ammiravo tutti quei giornalisti che rischiavano la propria vita pur di mantenerci informati su quello che stava accadendo.
Credo che in questi casi non sia corretto parlare solo di un lavoro; se si è disposti a rischiare la propria vita per me è passione, significa crederci fino in fondo.

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Imma Esposito
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Sono Imma Esposito, ho 22 anni e come si può ben capire, il mio nome e cognome saranno probabilmente i più comuni di tutta Napoli. Oltre ad avere un nominativo per nulla originale, sono nata con una pelle color latte e, durante la mia crescita, i capelli hanno ben deciso di diventare un groviglio senza senso per nulla adorabile, meritandomi in pieno il nomignolo di “leone”. 
Per quest’ultima questione pare che io abbia risolto, per la prima credo che continuerò a sentirmi dare della “mozzarella” o del “fantasmino” per il resto dei miei giorni.
Sono cresciuta in una zona di Napoli per niente bella e questo l’ho capito sin da bambina. 
Già alle elementari provavo persino vergogna a dire dove abitassi, quasi per paura che potessi in qualche modo essere collegata allo stereotipo di persone che vivono nel mio quartiere.
Amo la musica, il giardinaggio, scrivere, collezionare pietre e probabilmente avrò iniziato un sacco di hobby nella mia vita. Molti lasciati da parte perché, ormai mi conosco bene, ho bisogno di stimoli diversi e di approcciarmi a cose nuove.
Non amo assolutamente gli insetti, gli arroganti e le persone prive di empatie. Sono una persona molto sensibile, mi piace far sentire a proprio agio gli altri nonostante fatichi molto a non sentirmi un pesce fuor d’acqua quando attorno a me ci sono troppe persone.
Durante la mia permanenza al liceo mi piaceva portare al termine, nei migliori dei modi, i progetti che il professore di progettazione di volta in volta ci assegnava. Tra me e lui vigeva un rapporto di rispetto e anche un po’ di odio e amore: mi ammirava per la mia organizzazione e voglia di fare, ma allo stesso tempo mi sono beccata numerose strigliate per il mio essere un po’ troppo testarda.
Ho sempre dato tutta me stessa nelle cose e certe volte questo non va bene. 
Causa problemi di salute, mi sono sempre sentita la pecorella nera di turno, con tanta voglia di fare, ma con l’altrettanta nuvola di Fantozzi a piovere continuamente sul mio capo, facendomi rinchiudere in una piccola gabbia che, fortunatamente aggiungerei, si è finalmente aperta lasciandomi libera.
 Libera di godermi quei momenti in cui riesco ad essere me stessa e non una mera proiezione di dubbi, angoscia e quant’altro, avendo però la consapevolezza che la gabbia è lasciata aperta anche per permettermi di ripararmi quando ritorna la nuvola di Fantozzi e non riesco a scacciarla via.
Potrei dilungarmi per molto altro tempo per il mio essere un po’ logorroica negli scritti, ma mi limito a questa breve introduzione.

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Alessandra D’Aquale
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Il mio nome è Alessandra, ho 21 anni e frequento il secondo anno di università in Scienze della Comunicazione.
La mia più grande ambizione è lavorare nell’editoria o nel giornalismo, ma anche il mondo pubblicitario non mi dispiacerebbe.
Credo di avere una buona penna e di essere una persona abbastanza creativa. Di fatto, le mie più grandi passioni appartengono in qualche modo al ramo artistico. Mi piace scrivere e leggere. Più volte mi sono cimentata nella scrittura di poesie e romanzi che non hanno mai avuto un finale. Per quanto riguarda la lettura, leggo di tutto, dai classici ai fumetti. A proposito, sono un po’ NERD!
Quando ho un po’ di tempo libero adoro anche disegnare e diciamo che me la cavo.
Sono una persona ambiziosa e caparbia, cerco di raggiungere sempre tutti i miei obiettivi. Sarei capace di fare passi falsi per ottenere ciò che voglio.
Ho un carattere tosto e difficile da gestire, solitamente non faccio una buona prima impressione. Sono egocentrica, orgogliosa e narcisista e paradossalmente credo siano le mie qualità migliori.
Sono una persona solitaria, tant’è che non ho molti amici; con me non funziona la frase “meglio pochi ma buoni” perché anche i pochi che ho si rivelano delle persone orribili. Non ho intuito quando si tratta di rapporti interpersonali.
Mi piace lavorare da sola, ma anche in gruppo me la cavo bene. Sono una persona a cui piace ascoltare idee e avere scambi di opinioni.
In fondo sono una persona introversa e timida, ma quando sono in gruppo, anche se inconsapevolmente, tendo a ricercare il ruolo del leader. Sarà che il mio segno zodiacale, il Leone?!
Sono una persona estremamente razionale, prima di prendere una decisione penso a tutti i possibili scenari, così da non avere sorprese indesiderate. Si, potrei benissimo definirmi “maniaca del controllo”. Sono attenta e precisa in ogni cosa che faccio.
Non sono molto brava a parlare di me. Quando ci provo tendo ad elencare le qualità che agli altri possono sembrare negative. Preferisco farmi conoscere di persona.
Spero di non aver fatto una brutta impressione!

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Stefano Cutolo
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Io, Stefano, 19 anni. Nato alla clinica “Villa del Sole” (Posillipo) ma cresciuto a Napoli Est (zona industriale). Una vita tra periferia e centro città, senza mai abbandonare e inseguendo sempre la passione e l’amore che mi lega alla mia terra, con tutto ciò che quest’ultima comporta.
Una vita tra studio e passioni, tra studi scientifici e pallone prima e tra studi umanistici e pallone dopo; il pallone è una costante della mia vita sin da subito, sono nato e sono stato avvolto nei miei primi istanti di vita in una maglia numero 10 di colore azzurro.
Una vita tra sinistra e … sinistra, su questo non ho mai avuto dubbi.
Una vita tra sacro e profano, lontano da ogni forma ecclesiastica prima, nonostante mio nonno fosse diacono, per poi diventare educatore nell’oratorio del mio quartiere e curare quella che è la comunicazione della mia comunità, da avvisi di messe posticipate a organizzazione di eventi di carattere educativo e non: feste, cene, cineforum, seminari, dibattiti politici; insomma, io e i miei compagni di viaggio, nonché grandissimi amici, siamo un po’ dei tutto fare, perché, come si dice dalle nostre parti, “ce voglion ‘e sant p’arrivare ‘n paradiso”.
Una vita nella musica, quel concorso scolastico vinto a 12 anni, i gruppi corali organizzati dal professore di musica per girare e girovagare nella nostra provincia con l’obiettivo di divertirci facendo del sano spettacolo.
Una vita nello sport, tra tennis, calcio, pallavolo, basket, formula 1, moto gp, tutti seguiti con immensa passione ma solo uno praticato per 8 anni della mia vita (vi lascio indovinare di quale si tratta lascandovi un piccolo indizio: c’entra giusto qualcosina con quella 10 azzurra).
Tra tutto questo, la mia è anche una vita passata tra amici la sera, con una semplice birra in centro che con la giusta compagnia fa sembrare tutto più bello, e fidanzate, quando ci sono state.
Una vita, seppur giovane, vissuta nel mito e nella credenza dell’amore di tutto ciò che può essere amato e sostenuto.
In questo breve racconto di me stesso, oltre di quello che faccio, ho raccontato principalmente le mie passioni, che ricreano ogni giorno la mia vita e chissà che, un giorno, il racconto di queste mie passioni, oltre ad essere un “compito”, possa anche diventare un lavoro.

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I TESTI ADOTTATI
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Frequentanti corso base
1. CARPENZANO, O. D’AMBROSIO, M. LATOUR, L., e-learning. Electric Extended Embodied, Pisa, ETS, 2016
2. MORETTI, LUCA E VINCENZO, 2020, Il Lavoro ben fatto: che cos’è, come si fa e perché può cambiare il mondo, #Lavorobenfatto – Amazon.it
3. ROVELLI, C., 2020, Helgoland, Milano, Adelphi.
4. Lavoro di produzione con i testi, le immagini, i podcast che sarà indicato durante le lezioni al corso.

Non frequentanti corso base
1. Carpenzano-D’Ambrosio-Latour, e-learning. Electric Extended Embodied, Pisa, ETS, 2016.
2 RIVELLO, G. – MORETTI, V., Parole Forgiate, edizioni #lavorobenfatto (amazon.it)
3. ROVELLI, C., 2020, Helgoland, Milano, Adelphi.

Frequentanti Corso Avanzato
: 1 ROVELLI, C., 2020, Helgoland, Milano, Adelphi. 
2. RIVELLO, G. – MORETTI, V., Parole Forgiate, edizioni #lavorobenfatto (amazon.it)
3. FOUCAULT, M., Le parole e le cose, Milano, Bompiani (agli studenti senior verrà chiesto di supportare il lavoro dei gruppi di lavoro coinvolti nelle attività di produzione testuale)

Non frequentanti Corso Avanzato
1 ROVELLI, C., 2020, Helgoland, Milano, Adelphi.
2 RIVELLO, G. – MORETTI, V., Parole Forgiate, edizioni #lavorobenfatto (amazon.it)
3 FOUCAULT, M., Le parole e le cose, Milano, Bompiani

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IL CALENDARIO DELLE LEZIONI
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