Caro Diario, a vederlo come si muove nel ristorante da Mario, ho pensato per parecchio tempo che Felice fosse una persona di famiglia, che ne so, uno zio tornato dopo tanto tempo dal Sud America, con quella sua parlata un po’ spagnola, un po’ dialettale e un po’ italiana come i personaggi di certe canzoni di Paolo Conte, poi invece ho saputo di no, ho letto un pezzetto della sua storia con delle belle foto sulla pagina social Caselle in Pittari, ho parlato della mia idea con Jepis e ho deciso di raccontarlo.
Ci siamo visti ieri, subito dopo pranzo, ha portato con sé alcune foto, ho acceso il registratore e siamo partiti. Qua e là ho lasciato traccia della sua parlata, mi è sembrato bello, alla fine ti metto pure un pezzettino di audio, penso che ti piacerà, intanto buona lettura.
“Mi chiamo Felice Antonio Costa, ho 72 anni, sono nato a Caselle in Pittari, mio padre è partito per l’Argentina nell’Aprile del 1950, prima che io compissi un anno. Io sono partito cinque anni dopo, quando papà trovò lavoro nella ferrovia, ma su questo ci ritorno tra poco.”
“Mio nonno era partito per l’argentina quando c’è stata la prima emigrazione, è partito nel 1926, partì da solo anche se avrebbe voluto portare con sé tutta la famiglia.
La nonna non voleva andare, e con lei neanche le figlie, dopo molto tempo fu papà, che dopo che era tornato dalla guerra si era sposato con mamma, che visto la situazione molto difficile che c’era qui, per la miseria, la mancanza di lavoro e tutto il resto, a decidere di partire. Come ti ho detto quando poi prese il lavoro nella ferrovia chiamò pure noi.”
“In Argentina ho vissuto a Temperley, nella provincia di Buenos Aires dove stavano tutti i casellesi.
Negli anni seguenti mio nonno comprò una casa a San Miguel del Monte, sempre nella provincia di Buenos Aires, e quando morì mio padre la ristrutturò e tutte le settimane passavamo i week end lì, partivamo da Temperley il venerdì sera e tornavamo la domenica sera.”
“Le scuole elementari le ho fatte a Temperley, quando le ho finite mio padre mi ha detto “due cammini ci sono: se studi, io pago, se no, a lavorare.” E io ho detto no, vado a lavorare, così tengo soldi, il fine settimana me ne vado in giro e cose di questo tipo. Avevo 12 anni. Quella di non studiare è stata una scelta mia, non di mio padre, ci tengo a dirlo.
“Il primo lavoro che ho fatto è stato lo “scarperò”, il calzolaio, aggiustavo le scarpe in una bottega. A 14 anni ho trovato lavoro in una profumeria dove sono stato per 27 anni. Ho cominciato come garzone, per imparare, e ho finito come manager della profumeria, diciamo così, perché il principale abitava lontano, teneva fiducia di me e gestivo io tutto. “Io tenia le chiavi, io accattava roba, io vendia roba, aggiustavo, facevo quello che vulìa io”. Il titolare non c’era ma sapeva che il negozio camminava come se ci fosse stato. Da parte mia ogni tanto mi dicevo che dovevo cambiare, che dovevo trovare un lavoro migliore, ma in realtà stavo bene, ogni tanto mi veniva aumentato lo stipendio, lui era contento, io ero soddisfatto, ci compensavamo uno con l’altro, alla fine perché cambiare.
A proposito, non ti ho detto che a 24 anni mi sono sposato. Dopo 7 anni, nel 1980, è venuto il primo figlio, Mariano, quello che adesso sta qui con me in Italia, nel 1982 è nata Giulietta e nel 1984 è nata Natalia.
Quando stavo in Argentina mi piaceva il calcio, ero tifoso del River Plate. Che devo dire, in quegli anni si giocava al calcio, adesso è tutto deciso a tavolino, troppi soldi, si sa già come finisce, perciò non seguo più tanto, lo seguo ma quando ero giovane mi piaceva di più. Seguivo anche il Temperley, ma stava in seconda divisione, l’importante era il River Plate.
Mia moglie è argentina, ed è rimasta lì. Ci siamo separati a inizio 2000, la crisi economica era forte, la crisi matrimoniale pure c’era e così ho pensato di tornare in Italia. Per la verità avevo trovato un lavoro “in Ancona”, però quando sono arrivato lì mi avevano detto che dovevo aspettare ancora 2-3 mesi e per me non era possibile, Ancona non è Caselle, avevo tante spese e non potevo aspettare, ho cercato altri lavori ma non li ho trovati e così dopo una decina di giorni me ne sono venuto qui.”
“Tornato a Caselle ho cominciato a lavorare a giornata, ho fatto il muratore e tanto altro, fino a che non sono andato a lavorare con un proprietario di bestiame che stava a Sanza, sono rimasto 6 mesi, perché ero costretto a stare a Sanza mentre io volevo abitare a Caselle, in qui sei mesi riuscivo a tornare solo una volta a settimana, il sabato o la domenica, a seconda del giorno libero.
Dopo ho lavorato a una pompa di benzina per 6 – 7 anni, il rapporto si interruppe perché io volevo tornare in Argentina per trascorrere la Pasqua con i miei figli e chiesi al titolare di avere il mese di ferie che mi spettava tutto assieme ad Aprile, lui disse che tutto insieme non me lo poteva dare, al massimo una settimana, e dato che io in una settimana non potevo andare e tornare dall’Argentina, sono 14 mila chilometri, gli dissi “fai una cosa, mi licenzio e basta”. Lui cercò di trattenermi, mi disse che poi quando tornavo non trovavo lavoro, che lui non avrebbe potuto riprendermi, ma io gli risposi “cheste mani, come lavorano qua lavorano da un’altra parte”, e così fu, quando tornai ripresi a lavorare a giornata fino a che, nel 2013, mi chiamò Mario, faccio un po’ da factotum, dò una mano per quello che serve, governo gli animali, per un periodo ho fatto gli arrosti, mi occupo del dell’orto, aggiusto cose, ripeto, faccio quello che serve.”
“Dell’Argentina mi mancano le altre mie due figlie e i miei nipoti, mi mancano tanto.
Per fortuna che da 3-4 mesi è tornato mio figlio con la moglie e i 2 nipotini e già è una cosa molto importante, ma le altre figlie e i nipotini mi mancano. Ecco, quello che posso dire è che se non avessi avuto figli me ne sarei stato a Caselle in santa pace.
Naturalmente mi mancano anche gli amici, anche se parecchi ormai sono morti, e un po’ anche le mangiate di carne che ci facevamo, ma la mancanza vera, quella che non passa, sono le figlie e i nipotini, per il resto Caselle è il posto dove volevo stare, è una scelta che rifarei ancora oggi, e se potessi portare le altre mie due figlie qui con la loro famiglia lo farei molto volentieri, anche perché la situazione economica dell’Argentina non è buona, c’è un’inflazione pazzesca, non c’è la tranquillità della vita quotidiana che c’è qui.
Ti confesso che tutto questo un po’ mi dispiace, perché secondo me l’Argentina “tenia che esser una potenzia del mondo” anche solo esportando carne e grano.
L’Argentina è quasi 10 volte più grande dell’Italia e ha meno di 45 milioni di abitanti, e di questi 15 milioni stanno a Buenos Aires. Lì una “estalla” è di migliaia di ettari di terra, puoi fare 100, 200 kilometri senza vedere una casa, solo mucche di qua e mucche di là.”
“Io sempre volevo tornare a Caselle, “sempre me lo ricordo Caselle”, volevo tornare per ritrovare la famiglia, i parenti, la mia casa, la piccola montagna. Poi come ti ho già detto con la crisi economica unita alla separazione da mia moglie ho fatto il passo e sono tornato. Sono arrivato, il comune mi ha dato una casa popolare, pago molto poco di affitto, ho sempre avuto qualche cosa da fare, e insomma non mi manca niente.
Dico la verità, i primi 5 – 6 mesi sono stati duri, avevo pensato anche di tornare in Argentina, la comunità “non me vulìa”, io ero l’americano, però è durato poco, perché man mano che mi hanno conosciuto, hanno visto che lavoravo, che non davo fastidio a nessuno, le cose sono cambiate. Oggi qui sono felice di nome e di fatto come dico sempre, mi vogliono bene tutti ed è “n’ata cosa”. Io “stio contentissimo con il mio Caselle”, è la verità.”
“Per il resto che devo dire, mi piace la musica tradizionale, la musica di un tempo, quella di oggi non ci capisco niente. Ricordo che tutte le domeniche, che non lavoravo, “mettia” la radio per ascoltare le canzoni italiane, Mina, Domenico Modugno, questi cantanti qui. Poi mi piacciono molto i film di guerra, quando era vivo mio padre non li potevo vedere perché lui ci soffriva, la guerra l’aveva vissuta e non gli piaceva rivivere quei momenti, invece a me piace guardarli, sono la passione mia. Anche i libri mi piacciono quelli di avventura, di poliziotti, anche di guerra, non mi ricordo i titoli ma leggo la prima pagina e se mi piace vado avanti e lo leggo tutto.”
Ecco caro Diario, questo è il racconto di Felice, che si sarebbe potuto fermare anche qui, invece io prima di lasciarlo non mi sono lasciato scappare l’occasione di parlargli di Borges e di chiedergli cosa rappresentano per lui il tango, il coltello e il sogno. Dopo che l’ho fatto sono stato contento, se leggi cosa mi ha risposto capisci il perché.
“Il tango è nato in Argentina, come la penna a sfera, c’erano grandi cantanti e ballerini, ricordo Julio Sosa e Carlos Gardel che non erano argentini ma ci hanno vissuto e sono stati dei miti del tango. Io lo “ballè” il tango però “no come se balla”veramente il tango. Il tango è bello, in Argentina tu vai nelle strade pedonali, ce ne sono parecchie, e vedi le persone che ballano il tango così bene che rimarresti ore e ore a guardarli. Qua lo ballano ma non è il vero tango, là si balla quello vero.”
“Il coltello in Argentina è importante, il gaucho lo portava sempre “acca arreto”, qua dietro, nella cinghia, dal lato della schiena. Si chiama il falcon, è come una piccola spada, e il gaucho che lavorava nei campi col bestiame, a cavallo, con il uso vestito tradizionale, non ne poteva fare a meno, come il coltellino piccolo che portiamo noi qua. Oggi è quasi scomparso, oggi vanno in giro tra le mucche con la 4×4.”
“Il sogno per me è stato sempre tornare a Caselle. Non per forza a lavorare, “non sapìa” come sarebbe andata, ma tornare al mio Caselle che avevo lasciato da piccolo che io l’ho avuto sempre nei miei pensieri. Adesso vivo a 50 metri da dove sono nato, la casa l’hanno modificata tutta però l’arco che c’era davanti alla porta è rimasto tale e quale. Quando ci abitavo io da piccolo era tutto terra e pietra, adesso ci stanno le mattonelle, però io l’arco lo tenevo sempre qua, nella testa e nel cuore. Io “vulìa” tornare a Caselle per conoscere tutti i parenti, per parlare e vivere con la gente di qua, questo era il mio sogno, e l’ho realizzato.”