Il giocoso mondo di Andrea

Caro Diario, oggi ti racconto Andrea, che ha 10 anni ed è figlio di due miei amici, Isabella e Mario.
Andrea frequenta la quarta elementare e come quasi tutti i ragazzini della sua età ha tra i suoi amici preferiti lo smartphone. Proprio di questa sua amicizia ho approfittato, diciamo così, per fare una chiacchierata con lui e chiedergli del suo videogioco preferito, Fortnite.
Perché sono partito da una cosa così lontana da me come un videogioco per parlare con lui? Perché con gli anni ho imparato che se vuoi parlare con i bambini, con i ragazzi e anche con i giovani, devi partire da quello che interessa a loro, non da quello che interessa a te.
Sì, secondo me funziona proprio così amico mio, prima devi ascoltare e poi parlare, prima devi capire e imparare e poi insegnare, ammesso e non concesso che tu abbia qualcosa da insegnare.
Dove voglio arrivare si capisce alla fine, spero, il titolo dice solo in parte quello che dice la storia, mi è piaciuto giocare con “Il favoloso mondo di Amélie“, non so dire bene perché, forse perché il film ha il lieto fine, lo stesso lieto fine che auguro di conquistare a tutti gli Andrea del mondo.

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INDICE
Andrea
Aroldo di Santolia
Silva Giromini

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ANDREA
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Il mio racconto comincia dunque da qui, da quello che mi ha raccontato Andrea di Fortnite, te lo riassumo per punti, così mi viene più facile e combino meno guai.

1. Si gioca tutti contro tutti, 100 giocatori per volta, vince chi resta in vita per ultimo, insomma la logica è quella che viene definita “last man standing“.
2. Quelli che non sanno giocare si chiamano nabbi, che è una italianizzazione della parola “noob”, “perdente”.
3. I Bot sono personaggi creati e controllati dall’intelligenza artificiale, che in particolar modo nella fase iniziale del gioco permettono anche ai meno bravi di giocare e mettersi alla prova con il Battle Royale, perché il gioco tra giocatori di livello troppo differenti non è divertente e non viene incentivato.
4. I cheater (una specie di hacker) sono i giocatori che rubano shop points, imbrogliano, modificando parti di software per avvantaggiarsi nel gioco o vendendo a prezzi stracciati i V-Buck, una sorta di moneta virtuale utilizzata per comprare le mimetiche per dare il colore alle armi, mosse, personalizzare personaggi e così via.
5. Si può giocare sia a livello individuale che di gruppo, però nell’arena si gioca solo a squadre.
6. Si gioca costruendo, sparando, guidando macchine, elicotteri e molto altro. Si possono costruire fortini, pezzi di città, tutto tutto, qualunque cosa.
7. Se spacchi un albero ti dà il legno, se spacchi qualcosa di ferro ti dà il ferro, se spacchi qualcosa di pietra ti dà la pietra.
8. Dopo che sono morti gli altri 98 concorrenti c’è l’ultimo duello, chi sopravvive vince e sullo schermo appare la scritta Vittoria Reale.
9. Si gioca per divertirsi. Quando stai in arena e killi una persona, nel senso che la uccidi, ti danno dei punti che servono per migliorare la tua condizione di giocatore, comprare equipaggiamento, passare di livello. La modalità si chiama death match, guadagni punti ad ogni kill. Esiste pure l’Arena Reale dove vince la squadra che sopravvive per ultima.
10. Per i più forti, Bugha, Tfue, Ninja, Mongraal, ci sono anche gare con in palio dei premi in denaro. 1 o 2 anni fa c’è stata una word cup con in palio moltissimi soldi per chi vince.
11. A mettere i soldi in palio è Epic Games, il creatore di Fortnite.
12. Il gioco è gratuito, le partite non si pagano, le puoi fare gratuite, si può anche non pagare niente e giocare.
13. C’è la pubblicità però la società guadagna tanti soldi con i V-Buck che i giocatori usano giocando, si usano per le skin, per le boost esperienza, per gli attrezzi, per gli strumenti che servono per giocare, per le armature, per la mimetica e anche altro.
14. Fortnite incassa vendendo attrezzature e altro che serve per giocare e vincere e spende per dare premi ai giocatori che vincono i tornei. 
14. Con i Pass Battaglia puoi avere un po’ tutto, una mimetica, una skin, un deltaplano, fino al livello 100.
15. Epic Games è già diventata billonaire.
16. Epic Games è il creatore, lui è lui, sta al di sopra di tutti, per esempio banna i cheater – hacker e non li fa giocare mai più.

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Dopo il primo riassunto, il secondo, questa volta però dei pensieri e delle considerazioni che ha fatto Andrea nel corso del nostro incontro. Visto che prima mi sono trovato bene, procedo anche qui per punti.

1. Per me Fortnite è bello perché quando me lo sono scaricato c’erano tante cose. È bello anche perché ci sono i miei amici, per esempio M. e D., che gioca da prima di M., dalla season 1, mentre adesso siamo alla season 16.
2. Gioco in media un paio di ore al giorno. Ho cominciato dalla 7° season, i miei amici M. e D. dalla 6°, mentre il fratello di D. dalla 1°, e ha il Cavaliere Nero che è una delle skin più rare.
3. Il fratello di D. ha speso tanti soldi per giocare.
4. Il gioco mi piaceva di più all’inizio, perché oltre ai miei amici c’erano delle belle cose tipo Quod, che adesso sono state tolte e però mi piacevano.
5. Ora c’è molta nostalgia, ci sono cose che non possono più tornare, per esempio ora la mappa è cambiata, in quella di prima c’era Picco Polare, dove potevi trovare le armi leggendarie per terra, mentre ora le puoi trovare solo nelle casse, che bisogna comprare, per terra no. Insomma hanno tolte delle cose dal gioco e hanno messo una nuova mappa.
6. Il Punto Zero è esploso e ha distrutto tutta la mappa. Ora però è ritornato.
7. Una cosa che mi piace di questo gioco è che incontro persone di altri posti, proprio ieri ho incontrato un giocatore del Piemonte, poi ho parecchi amici inglesi e due portoghesi. Proviamo anche a parlare tra noi e pure questo mi piace.
8. Ho speso anche io dei soldi su Fortnite, soldi presi dalla paghetta dei miei genitori, da qualcosa che mi guadagno aiutandoli nella loro attività, dai soldi che ricevo a Natale o al compleanno.
9. Se fossi io il creatore di Fortnite mi piacerebbe rimettere una città vecchia, tipo Picco Polare, una delle mie città preferite. E al posto della Guglia al centro metterei una città mischiata, cioè formata da tutte le città di Fortnite, da una parte Pinnacoli Pendenti, da una parte Picco Polare, come se fosse una specie di puzzle formato da pezzi di tutte le città.
10. Una cosa che mi piace moltissimo sono le macchine, la possibilità di fare Fast and Fourios, e anche quando uccidi una persona in arena.
11. Quando vinco e mi arrivano i punti mi sento una specie di felicità.

Sono d’accordo con te, amico Diario, “Quando vinco e mi arrivano i punti mi sento una specie di felicità” vale da solo il prezzo del biglietto. Detto ciò, ti consiglio di non correre subito alle conclusioni, perché quando ho chiesto ad Andrea se fare una corsa da capo all’Urmo a piedi all’Urmu, la piazza di Caselle, con altri 99 tuoi amici, e arrivare primo, gli avrebbe dato la stessa felicità lui mi ha risposto deciso, netto, convinto, “Si! Anche di più!”. Dopo di che ha aggiunto: “Una volta l’abbiamo fatta una corsa in piazza, sono arrivato quinto, no, sesto. Mi piacerebbe fare giochi di questo tipo, se ci fossero, mi piacerebbe anche inventarli insiemi ai miei amici, anche se con i giochi in piazza ci si può fare anche male. Mi ricordo che tre o quattro anni fa, qui in piazza, c’erano dei gonfiabili, c’era un toro che si dimenava e un mio amico ci è salito, andava velocissimo, troppo veloce, perché si credeva troppo forte, così è urtato su una delle corna e a momenti si cecava un occhio. Però questo è il karma”.
Sì, proprio così ha detto, “questo è il karma”, e allora mi è venuto naturale chiedergli che cos’è il karma per lui.
“Il karma è quando per esempio su Fortnite uccidi qualcuno”, mi ha risposto. “Balli, fai il loser, il ballo, e poi ti mangi uno squalo e così ti prendi il karma dell’avversario che hai ucciso. Una volta un giocatore ha ucciso un avversario, ha fatto il ballo del loser, è arrivato un altro e lo ha ucciso. Questo giocatore si chiamava karma.”

Come dici? Qui non hai capito bene? Neanche io, e non solo qui. È difficile capire tutto se non conosci l’argomento, però io ho imparato ad accettarlo, è come quando leggo i libri di Rovelli, di Thorpe, di Russell e di Einstein, non capisco proprio tutto, ma va bene lo stesso, mi faccio bastare quello che comprendo.

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Finita la parte relativa al videogioco la chiacchierata tra Andrea e me è proseguita su altri temi, ormai ci ho preso gusto e questa parte te la riassumo in forma di dialogo, naturalmente V. sono io e A. è Andrea.

V.: Che cosa hai studiato a scuola quest’anno per quanto riguarda la storia?
A.: I sumeri, gli assiri, i babilonesi, gli egizi, i cretesi, …
V.: Va bene così fermati. Ti piacerebbe imparare la storia con un videogioco?
A.: Uno ce l’ho già, comunque sì, sarebbe bello, penso che ci piacerebbe di più studiare perché così capiamo bene le cose, visto che i videogiochi ti fanno venire in mente tutte le cose, tipo giocando a Fortnite ti guardi tutte le immagini che hai già fatto e quindi le cose ti vengono in mente, insomma quando studi a scuola ti torna in mente tutto più facilmente, i videogiochi aiutano a ricordare.
V.: E imparare la geografia viaggiando con Google Map ti piacerebbe?
A.: La maestra di inglese ha cercato di farlo, ha cercato di farci vedere New York con Google Map, ma la connessione non andava.
V.: Quali materie ti piacciono di più e quali di meno?
A.: Di più mi piace l’informatica, la matematica, la geometria, un poco anche l’inglese. Di meno mi piace l’italiano.
V.: Hai mai pensato che l’italiano ti insegna a giocare con le parole, che le parole sono molto giocose, che si possono fare tanti giochi con le parole?
A.: No.
V.: Che cosa ti annoia di più della scuola?
A.: Quando le maestre spiegano, il fatto di scrivere tutto sul quaderno, dopo non tieni voglia di studiare, anche se a volte pure io ho bisogno di ripetere.
V.: Se potessi decidere tu cosa faresti per migliorare la tua scuola?
A.: Farei in modo che tutti tutti tutti tutti tutti tutti possiamo andare nell’aula dell’informatica, la farei grande da quell’albero fino a quell’albero, grandissima. Poi comprerei una Lim nuova, una lavagna interattiva, per la nostra classe, la nostra è l’unica che non funziona.
V.: E se invece tu potessi fare qualcosa per migliorare la piazza cosa faresti?
A.: Butterei giù la statua che non serve a niente, e anche i pali della luce che pure non servono visto che c’è il coprifuoco, toglierei anche questa scuola che sta in piazza che tanto sta così da sempre e non l’aggiustano più, e poi anche …
V.: Fermati Andrea, che se stai ancora un po’ butti giù anche il ristorante ed è un problema per i tuoi genitori che non hanno più il lavoro e per me che non mangio più. (Ridiamo). Capisco che sei arrabbiato però …
A.: Sì, sto arrabbiato, noi non abbiamo un posto dove giocare. Qui in piazza giocano i grandi, là ancora i più grandi, noi non abbiamo mai uno spazio dove ci possiamo incontrare e giocare. I grandi vengono anche ai giardini, adesso abbiamo trovato un campetto che se lo scoprono è un problema, perché si prendono anche quello e quando arriviamo noi loro non se ne vanno.
V.: Perfetto, ti capisco, anche io sarei arrabbiato al posto tuo, e vorrei buttare giù tutto peggio di te, però proviamo a fare in un altro modo, magari invece di togliere e di buttare giù potremmo aggiungere e costruire, che magari è meglio.
A.: Aggiungere invece di togliere.
V.: Esatto. Così non escludiamo nessuno.
A.: Sì, penso che hai ragione, è meglio. Vedi, io vorrei che ci fosse spazio per tutti, che sorgesse un campetto qua, un campetto là e un campetto là, tre campetti, così tutti possiamo giocare. E poi la scuola vecchia se deve restare aggiustiamola. Ci potremmo mettere una televisione grande, e poi 4 Playstation, potremmo organizzare dei tornei.
V.: Forse anche l’aula informatica grande la possiamo fare nella scuola vecchia se la aggiustiamo, che dici?
A.: Sì, però ai giardini vorrei mettere un campetto dove possiamo giocare solo noi, vietato ai più grandi, solo per ragazzi dai 7 ai 10 anni.
V.: Te l’ho già detto Andrea, questa storia di escludere non mi piace, dobbiamo trovare il modo di creare spazio e possibilità per tutti, anche perché adesso hai 10 anni ma cosa succederà quando ne avrai 16? Non è che a quel punto sarai tu a escludere quelli che avranno l’età che hai tu adesso?
A.: Va bene, hai ragione, però abbiamo pure noi il diritto di giocare.

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Ecco amico Diario, questo è il resoconto delle mie chiacchiere con Andrea. No, questo racconto non ha una morale e ancora meno ha la pretesa di insegnare qualcosa a chicchessia, se proprio uno vuole dopo che ha letto ci pensa un poco su e se vuole la morale e le cose da imparare se le trova lui, o lei.
Per quanto mi riguarda, riassumo di seguito qualche pensiero e qualche domanda che mi sono fatto dopo la mia chiacchierata con Andrea. che magari mi potranno servire un domani per fare qualche altra riflessione.

1. Il dialogo tra generazioni diverse fa bene alla testa e al cuore. Questo lo sapevo già, ma adesso lo so di più.
2. Parlare aiuta a parlare. Questo non solo per dire che io con Andrea non avevo mai parlato, solo buongiorno e buonasera, ma anche per dire che dopo che ho parlato con lui ho parlato di lui e di Fortnite con i miei figli, Luca e Riccardo, con Isabella, sua mamma, che tra poco leggerà queste pagine e mi dirà se acconsente a pubblicarle (il permesso di Andrea l’ho avuto già), e anche un pochino con Jepis.
3. In particolare con Riccardo una sera partendo da qui abbiamo ragionato di come cambia la comunicazione e dunque il rapporto tra genitori e figli, e tra nonni e nipoti, al tempo di internet e dei videogiochi. E dal confronto sono venute fuori domande tipo: “Di cosa parla un genitore o un nonno con un figlio o un nipote che non conosce i mondi dei videogiochi, delle play station, di internet?”; “Si può dire che si può determinare una frattura che si manifesta già a livello di lessico, di vocabolario, tra le diverse generazioni?”. Ti dico subito che le risposte belle e pronte non ce le ho, bisogna pensarci su, bisogna confrontarsi e approfondire, non è detto che non si possa fare.
4. Per me Andrea tiene ragione, pure lui ha diritto di giocare, tutti abbiamo diritto di giocare, che fuor di metafora si può tradurre con tutti abbiamo diritto a vivere i nostri spazi di socialità. Dentro questo tutti, faccio presente che nel Settembre 2000, nel corso delle tre settimane che ho trascorso a Sydney, sono rimasto assai colpito dal fatto che in ogni posto in cui andavamo la prima cosa che balzava agli occhi erano gli spazi dedicati ai bambini e agli anziani. Era una cosa normale che, nella sua normalità, mi sembrò un grande indicatore di civiltà, di cultura e di vivibilità. Anche qui, se fossi Gandhi direi “Non ho nulla di nuovo da insegnare al mondo”, dato che sono Vincenzo dico che forse far finta di niente non è l’unica possibilità.
5. Il lamento sociale (genitori, docenti, media) è davvero l’unica risposta al fatto che la nostra soglia media di attenzione è più bassa di quella di un pesciolino rosso, che i nostri figli e i nostri nipoti trascorrono troppe ore da soli con lo smartphone in mano?
O non possiamo anche qui ripensare ai modelli culturali che adottiamo, alla cultura del like come identità, all’approccio tipo “il bimbo piange fallo giocare con il telefonino”?
6. Al punto 5 una piccola risposta ce l’ho, ci lavoro da qualche decennio con insegnanti e genitori, ho definito un format che testiamo sul campo in ogni ordine di scuola, dalle elementari all’università, ci abbiamo anche scritto un libro, e la piccola risposta sta nell’uso consapevole delle tecnologie. Proprio così, nessun ritorno al passato, piuttosto tanta consapevolezza e tanta diversità, perché si può scrivere con il carbone, con il gessetto, con la penna, con il computer e con il laser.
7. Di questo approccio consapevole alle tecnologie penso che dovremmo parlare di più tutti, bambini, studenti, genitori, docenti e comunità. Penso che anche in questo modo noi grandi, nel senso di adulti, possiamo orientare, indirizzare i più piccoli, sempre nel senso dell’età, e dare senso al nostro ruolo di educatori. Penso che nelle mille connessioni esistenti tra socialità, comunità e uso consapevole delle tecnologie possiamo coltivare i semi della comunicazione tra generazioni e del cambiamento.

8. La condivisione e lo scambio di linguaggi vecchi e nuovi per vivere le tecnologie non come estraniazione e limite ma come moltiplicazione delle opportunità. Si può fare? Io penso di sì, se sappiamo ascoltare si può fare, se aiutiamo i più giovani a essere protagonisti di questo processo di cambiamento, se individuiamo con loro le azioni condivise e i percorsi partecipati in grado di sostenerlo si può fare.
9. Intanto che tutto questo accade, ringrazio Andrea per le cose nuove che mi ha fatto scoprire e per le cose vecchie che mi ha aiutato a ripensare.

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Post Scriptum
Caro Diario, forse non ti interessa o magari sì, ma ti lascio un ultimo riassunto per punti, quello relativo al percorso che ho seguito per raccontare questa storia.

1. Ho notato che ad Andrea, tornato da scuola, non dispiaceva mangiare da solo in compagnia del suo telefonino.
2. Mi sono incuriosito e ho cominciato a prendere confidenza e a fargli qualche domanda qua è là.
3. Un giorno che stava insieme al suo amico M. ho chiesto loro se volevano raccontarmi qualcosa di Fortnite, di cui non sapevo neanche l’esistenza se non per una battaglia legale con Apple; Andrea mi ha detto sì e gli ho dato appuntamento per qualche giorno dopo;
4. Ho chiesto alla mamma, la mia amica Iabella, se potevo intervistarlo e mi ha detto di sì.
5. Il giorno che abbiamo stabilito ci siamo seduti su una panchina e abbiamo parlato per poco meno di un’ora.
6. Ho riscritto il dialogo facendo il lavoro di editing che era necessario e ho chiesto, come ti ho già raccontato, l’aiuto dei miei figli per capire meglio alcune cose.
7. Una volta editato e sistemato il tutto ho riletto insieme ad Andrea tutte le parti relative alla nostra chiacchierata, mi ha chiesto di correggere delle cose e l’ho fatto, dopo di che mi ha detto che per lui andava bene.
8. Ho scritto la storia così come l’ho raccontata a te e l’ho mandata a Isabella, che l’ha letta e mi ha dato il consenso a pubblicarla.
9. Ho fatto la foto ad Andrea che avevo deciso di usare come copertina, ho riletto ancora una volta tutto ed eccomi qua.

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AROLDO DI SANTOLIA
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Fortnite è uno dei tanti passatempi che va per la maggiore al giorno d’oggi tra i ragazzi, che, chiusi in casa vuoi per il Covid, vuoi perché non ci sono posti fruibili per fasce di età (in pratica chi tardi arriva, non alloggia, nei punti d’incontro canonici; anzi se ad arrivare prima sono i piccoli e poi arrivano i “grandi”, i primi, ahimè, battono in ritirata), è diventato il “compagno” di molti.
Oddio che parola grossa “compagno”, avere un videogico per amico è da pazzi.
Sia chiaro, una parvenza di amicizia il gioco la dà, perché si può giocare e ci si può relazionare con gente di tutto il mondo!
E questa, signori e signore, nell’anno del Signore 2021, nolenti o volenti, è l’amicizia (ma può essere pure inimicizia, visto che nel gioco si combatte), che qualche anno fa solo a pensarci ci faceva venire i brividi.
Da me spesso i ragazzi vengono a comprare voucher on line che vengono utilizzati dal giocatore per “acquistare” personaggi o benefit vari del gioco.
In realtà quella che sembra una colpa del bambino, è qualcosa da riconsiderare.
I primi ad avere un tools elettronico siamo noi genitori. Io ad esempio sto scrivendo dal mio smartphone per ingannare il tempo mentre aspetto il mio turno dal barbiere; ma se non avessi avuto questo “impegno di scrittura” di sicuro avrei scambiato due parole con qualcuno e non mi sarei isolato.
I ragazzi si isolano nel gioco ma non lo sanno, e ci isoliamo noi adulti ogni qualvolta cediamo alla tentazione del confronto elettronico.
Quando cediamo soprattutto? Quando per far mangiare il piccolo, o per non sentire le sue lagne, gli diamo lo smartphone, che diventerà con passare del tempo Fortnite o chi per esso.
Chi scrive non è solo nostalgico della mosca ceca, del nascondino eccetera, ma di sicuro non è chiuso al nuovo, anzi il nuovo lo usa. Chi scrive è solo prudente con i suoi piccoli, e usa modi forse diversi per giocare con loro, di game e di consolle magari ne riparliamo quando avranno raggiunto l’età delle versioni di greco. Detto questo è chiaro che l’educazione, o per meglio dire la strada che i figli devono percorre, può essere solo indicata, pure più volte, ma ci potrà essere sempre un cambio di direzione, vuoi ad opera del “branco”, vuoi per scelte personali del bambino diventato più grande. Comunque io resto fiducioso, nonostante tutto è un mondo ancora bellissimo.
P. S.
Ci vengono le lacrime guardando i telegiornali che trasmettono scene di guerra, e poi facciamo combattere virtualmente i nostri piccoli, un controsenso ci sarà pure, o no? Ma non era meglio Pac Man o Tetris? Ma forse questa è un’altra storia.

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SILVA GIROMINI
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Caro Vincenzo, la tua chiacchierata con Andrea l’ho letta con interesse. Grazie per aver messo anche il processo che ha dato vita a quello scritto. È importante tanto quanto il contenuto che ha prodotto.
Anche io non conosco i videogiochi (men che meno Fortnite), ma so che anche molti adulti li usano.
Ma limitiamoci ai ragazzi.
Intanto che un bambino di 10 anni ti abbia descritto così bene le regole di quel gioco la dice lunga sulla sua intelligenza.
E anche quello che ti ha detto quando hai cambiato discorso fa ben sperare che questo ragazzino non si rovinerà con i videogiochi ne si chiuderà in questo mondo virtuale. Sei riuscito a trovare il giusto punto d’incontro tra un ragazzino e un sessantacinquenne. D’altronde sei sociologo mica per nulla.
Con i ragazzi ci lavoro da molti anni per il catechismo. Un tempo breve, un’ora ogni due settimane.
I ragazzi difficili ci sono sempre stati, qualcuno di particolarmente aggressivo, ma poi vai a vedere la famiglia e scopri che il ragazzo è lasciato per lungo tempo da solo davanti a videogiochi di guerra. Nessuno stimolo per vivere in modo diverso.
Mi sono capitate classi anche da 25 ragazzi che ho sempre gestito più o meno da sola.
Dallo scorso anno ho ripreso una classe nuova, piccola, solo 11 ragazzi.
Quest’anno sono in terza elementare.
Mi credi se ti dico che in due adulti facciamo fatica a tenerli?
Sembra che la “moda” di questi ultimi tempi (per i genitori) sia quella di rifugiarsi dallo psicologo, perché il ragazzo è problematico, ha scatti d’ira, bisogna trovare qualcosa che lo interessi.
Non tutta la classe è così, ma quest’ultima cosa davvero vale per tutto il gruppo, e ogni anno è una sfida personale a superarmi e cambiare il modo di comunicare e trasmettere quel poco che serve per insegnare la fede.
Per esperienza, non mi preoccupo più di tanto se qualcuno sembra disinteressato. So che mi ascolta, i frutti li vedrò con il tempo.
Ti ringrazio, proprio per l’approccio. Proverò anche io, se torneremo in presenza il prossimo anno, ad ascoltare di più loro e trovare un punto d’incontro che possa far bene a tutti.
Un caro saluto dalla tua amica catechista.

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