Le mille e una storia della 4° A. Le possibilità

4° A, GIANNI RODARI, ISTITUTO COMPRENSIVO FOLLONICA 1, FOLLONICA
LE MILLE E UNA STORIA DELLA 4° A. IL PERCORSO
A SCUOLA DI LAVORO BEN FATTO, DI TECNOLOGIA E DI CONSAPEVOLEZZA

BACOLI, 19 MAGGIO 2020
Caro Diario, con l’ottavo episodio la storia della 4° A della Gianni Rodari, I.C. Follonica 1 è arrivata alla sua conclusione. Il lavoro dei grandi, nel senso dell’età naturalmente, continua  nella parte della storia dedicata al percorso, però qui alla fine trovi le parole con cui le bimbe e i bimbi hanno definito il loro lavoro, li abbiamo presi un po’ alla sprovvista, quando pensavano di aver finito, un minuto di tempo per pensare e un minuto per scrivere, ma insomma leggi, non c’è bisogna che io aggiunga altro. Come sai il modello a cui ci siamo ispirati per questa parte del nostro lavoro è Cent Mille Milliards de Poèmes di Raymond Queneau. Siamo stati naturalmente consapevoli che di non poter eguagliare il modello, che le nostre frasi non sarebbero state regolari nella loro forma né belle come i sonetti di Queneau, ma non era né poteva essere quello il nostro obiettivo. Quello che conta è che con le loro storie le bimbe e i bimbi della 4° A abbiamo continuato a imparare a pensare, a fare bene le cose, a usare le tecnologie in maniera consapevole. E che lo abbiano imparato, lo stiano imparando, facendo, inventando mondi e possibilità, creando connessioni e senso, definendo in maniera creativa contesti, conseguenze e possibilità, confrontandosi con le idee e il lavoro del resto della classe. Naturalmente continueremo a stare sul punto, a tornarci su più volte durante il percorso di quest’anno, e anche del prossimo, ma questo fa parte del processo di apprendimento, lo sai come funziona a scuola di lavoro ben fatto, di tecnologia e di consapevolezza, strada facendo ci si ragiona su. Per ora direi che è tutto, quando puoi facci sapere cosa ne pensi.

INDICE DEGLI EPISODI
Episodio 1Episodio 2Episodio 3Episodio 4
Episodio 5Episodio 6Episodio 7Episodio 8

QUESTO LO HA DETTO LORO
Un percorso in tre parole firmato 4° A

EPISODIO 1
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Dopo che la mamma e il papà ebbero finito di sparecchiare, il nonno chiese a Irene di accompagnarlo al camino; questa sera la storia della buona notte si intitolava Mastro Vincenzo e parlava di un uomo che costruiva giocattoli per aiutare i bambini poveri che non li potevano comprare.

A. C.: Mastro Vincenzo faceva giocattoli di legno come macchinine, burattini o pure degli animaletti in legno. Mastro Vincenzo era molto felice del suo lavoro ma pure in altre città c’erano bambini poveri quindi decise di viaggiare e donare giocattoli a tutti i bambini poveri, ma non donò solo giocattoli ma donò pure cibo.

A. S.: Un giorno però un bimbo molto ricco passò davanti a quei bambini poveri e gli diede dei soldi e del cibo come pane, muffin e cose così. Vincenzo lo guardò ispirato e gli disse: sei stato gentilissimo. Il bambino sorrise e andò via.

B. B.: Il nonno decise di costruire anche lui dei giocattoli, e di donarli ai bambini poveri proprio come nella storia. E da lì il nonno fece felice tutti i bambini poveri!

B. D.: Mastro vincenzo costruiva i regali a mano e quando andava dai bambini e bambine aveva tutte le mani rovinate e quindi tutti i bambini e le bambine si misero daccordo per fargli dei guanti.

C. C.: Irene si mise seduta vicino al camino e aiutò il nonno a mettersi comodo.

C. G.: Mastro Vincenzo ogni sera andava nel suo laboratorio e costruiva dei giocattoli, poi la notte di soppiatto portava i regali ai bambini poveri. Poi tornava a casa e si avvantaggiava con i regali che doveva portare la sera dopo.

C. N. B.: Irene chiese al nonno, ma è una storia vera? Il nonno rispose di sí e cominciò a raccontare.

D. L.: Quando il nonno finì di raccontare la storia Irene andó a letto e sognó come Mastro Vincenzo decise di costruire i giocattoli per i bambini poveri. Quando Mastro Vincenzo passava in bicicletta vicino al parco, vedeva tanta gente povera che non aveva niente e così, dopo esserci passato molte volte vicino, disse che non era giusto che i poveri non avessero niente e invece tutti gli altri si. Così decise di costruire una sua fabbrica dove costruiva giocattoli per i bambini poveri e li consegnava personalmente. Quando Irene si sveglió disse al nonno cosa aveva sognato e che da grande voleva fare come Mastro Vincenzo.

E. Z.: Il giocattolaio faceva dei giocattoli stupendi di legno come cavalli a dondolo e anche burrattini tutti colorati.

F. A.: Gli parló di un bambino poverissimo che non aveva nemmeno le scarpe e il mangiare. E lui lo aiutò, comprandogli anche le scarpe.

F. P.: Il nonno si mise davanti al camino e cominciò a fare dei giochi con i legnetti.

G. F.: Dopo che il nonno ebbe finito di raccontare la storia la bambina andó a letto e si addormentó. Nel sonno la bambina inizió a sognare tante cose, le fate, il mare e tante altre cose ma poi inizió a sognare lui, mastro Vincenzo! Il giorno dopo la bambina non si risveglió a casa ma nella fabbrica di mastro Vincenzo. Anche se la bambina non se lo aspettava, lui la attendeva, aveva bisogno di qualcuno che l’aiutasse a costruire i giochi. Loro fecero subito amicizia e insieme costruirono i giocattoli per i bambini poveri.

G. P.: La mattina dopo gli venne un’idea, visto che il nonno era un falegname costruì tanti giocattoli in legno e glieli donò.

G. T.: Il nonno si mise comodo su una poltrona, Irene si sedette sulle sue ginocchia e lui iniziò a raccontare: “C’era una volta un uomo umile che amava i bambini. Tutti in paese lo conoscevano per la sua simpatia e saggezza”.

I. B.: I giocattoli li costruiva con il legno e li portava nelle case dei più poveri. I bambini erano felicissimi e tutti loro gli volevano molto bene.

I. Z.: Il nonno chiese a Irene se gli potesse raccontare una storia e Irene rispose di sì. C’era una volta Mastro Vincenzo che fabbricava giocattoli. Un giorno andò in un villaggio pieno di bimbi poveri, quel giorno ritornò al negozio di giocattoli e prese un po’ dei giocattoli del negozio e li diede ai poveri.

L. F: I bambini di quel paese furono molto contenti, ma un giorno Vincenzo andò via e si trasferì a Napoli e scriveva molti libri con tante storie diverse.

M. B.: Li costruiva a mano con i suoi attrezzi, faceva aerei di legno, navi e treni e li colorava con i colori dell’arcobaleno.

M. M.: E questo li aiutava. I bambini poveri di giocattoli ne avevano tanti, perchè Vincenzo glieli regalava. Regalava molti giocattoli, e infatti loro erano molto ma molto felici.

M. M.: Il giorno dopo Irene pensò alla storia del nonno e si disse che voleva fare coma Mastro Vincenzo e chiese al nonno se la poteva aiutare a fare un giocattolo tele comandato per un suo vicino di casa molto povero.

N. S.: Mastro Vincenzo aveva una nipotina di nome Irene e gli disse:
Per chi sono questi giocattoli?
Sono per bambini che non possono comprarli.
Allora ti posso aiutare? Certo! Intanto leggi questo libro, ti aiuterà a capire come si costruiscono.
La bambina non vedeva l’ora di incominciare, era così entusiasta che mancavano solo 3 pagine andò da lui e gli disse sono prontissima! In 5 minuti aveva fatto già 2 giochi poi 3, 4, 5 e così via, poi li diedero ai bambini e tornarono a casa e la bambina disse facciamoli ancora.

P. B.: Irene non riuscì a dormire e pensò tutta la notte ai bambini poveri che non avevano niente e a come anche lei poteva aiutarli.

R. B.: Un giorno quando i bambini andarono a prendere i regali da Mastro Vincenzo non lo trovarono.

S. D.: E dopo aver costruito i giocattoli si trasformava in un babbo natale che portava i regali ai bambini più poveri.

V. R.: Quando la storia finì iniziarono a leggerne un’altra che si chiamava Lo scienziato Vincenzo, quando finì pure questa epica storia iniziarono a guardare un film di nome Super Vincenzo.

EPISODIO 2
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Quando il giorno dopo si svegliò, Irene continuò a pensare al sogno che aveva fatto. A colazione, raccontò tutto al nonno e gli disse che voleva fare come Mastro Vincenzo. “Nonno, vorrei fare un giocattolo di legno tele comandato da regalare al figlio del vicino di casa, che è molto povero. Tu mi aiuterai, vero?”.

A. C.: Quando si svegliò, Irene andò subito a disegnare le cose più belle che aveva visto nel sogno poi andò dal nonno a fargli vedere cosa aveva disegnato. Il nonno appena lo vide disse che era molto brava. Irene disse che il vicino purtroppo era molto povero e visto che aveva un figlio avrebbe voluto fargli un giocattolo di legno telecomandato. Mi puoi aiutare a farlo, gli chiese, e il Nonno disse di si.

A. S.: Il nonno rispose: “mia piccola Irene, certo che ti aiuterò! Faremo il giocattolo più bello che ci sia per il piccolo Giuseppe’’.
Irene rispose: “Grazie nonno Roberto, sei mitico!”.
A quel punto presero gli attrezzi e iniziarono a costruire un cavallo telecomandato che poteva portare il bambino povero dove voleva. Dopo fece una macchina che sembrava vera, però a misura di bimbo. Appena finirono gliela portarono e lui fu così felice che diventarono grandi amici.

B. B.: Certo, per me è un piacere aiutarti, io ho una valigia piena di legno che mi regalarono da piccolo.
Grazie nonno, sei veramente speciale.
Il nonno abbracciò Irene e le disse “vieni, andiamo a creare questo giocattolo!”.

B. D.: Ma certo, disse il nonno, ci divertiremo moltissimo a fare questo regalo a questo ragazzo poverissimo.

C. C.: Il nonno le rispose “Io no, ma Mastro Vincenzo si!”, e aggiunse che Mastro Vincenzo era a Napoli e per contattarlo dovevano andare in un laboratorio super tecnologico e ultra segreto.
Irene disse “ma era nel mio sogno, come fa a essere vero?”.
“Non tutti i personaggi sono inventati”, rispose il nonno.

C. G.: Il nonno gli rispose “mi dispiace ma sono troppo vecchio per costruire giocattoli”. La bambina andò in camera sua, il nonno era molto dispiaciuto, allora decise di rintracciare Mastro Vincenzo. Il giorno dopo, quando la bambina si svegliò, andò in sala da pranzo e vide Mastro Vincenzo. Costruirono abbastanza giocattoli per fare felice tutta la città mentre tutta la famiglia fu felice per molti anni. Quando MastroVincenzo dovette andare in un’altra città disse a Irene “ti lascio il lavoro, promettimi che continuerai la tua missione”. Irene rispose “certo che continuerò!” e passò tutta la vita a costruire giocattoli per i bambini poveri.

C. N. B.: Certo che ti aiuto nipotina mia. Sono molto fortunato ad avere una nipotina premurosa come te, proprio come Mastro Vincenzo.

D. L.: Il nonno rispose di sì e insieme andarono alla fabbrica abbandonata fuori dal paese e quando furono arrivati la ristrutturarono e la arredarono in modo tale che diventò la loro postazione di lavoro.
Quando ebbero finito il nonno tornò a casa per prendere gli attrezzi di lavoro, ma quando tornò alla fabbrica vide già un giocattolo sul tavolo. Era quello che aveva costruito Irene con le sue mani.
Il nonno fu molto fiero di lei e le chiese se voleva provare a usare i suoi attrezzi, Irene fu felice e disse di sì, così dopo aver costruito il giocattolo telecomandato andarono a consegnarlo al bambino povero di nome Federico.
Quando glielo consegnarono Federico fu molto felice e li ringraziò. Fu così che Irene e il nonno tornarono alla fabbrica e costruirono altri giocattoli per altri bambini poveri.

E. Z.: Il nonno gli disse di si e andarono nel laboratorio che profumava di legno. Irene quando entrava nel laboratorio gli spariva il cuore di felicità. Iniziarono a costruire il giocattolo più bello che potessero regalare al figlio del vicino. Costruirono una barca telecomandata bellissima che si accendeva con una chiave e aveva tutti i suoi particolari, le finestrelle, il timone e tante altre cose.

F. A.: Si, ti aiuterò, oggi andremo in paese a comprare il materiale per costruire la macchinina telecomandata.

F. P.: Il nonno rispose si e iniziarono a fare il gioco con dei pezzi di legno. Dopo un po’ il nonno si stancò e Irene dovette continuare da sola ma il nonno le disse che ce l’avrebbe fatta lo stesso.

G. F.: Il nonno annui felicemente e disse “ma certo nipotina mia!”. Lo stesso giorno fecero il modello del giocattolo e quello dopo lo costruirono. Michele, il vicino, quando lo vide andò subito ad abbracciare Irene e il nonno. Grazie, grazie mille disse, poi invitò Irene a giocare insieme.

G. P.: Il nonno disse di sì, allora aiutò Irene a costruire una macchina tele comandata, ci misero un po di tempo, dopo aver fatto la macchinina la dettero al bambino povero di nome Edoardo, che fu molto contento e decise di aiutare Irene ed il nonno a fare tanti altri giocattoli.

G. T.: Il nonno guardò sbalordito la nipotina e allargando le braccia disse: “Si, certo che ti aiuto”. Irene, felice, prese per mano il nonno e gli disse “Andiamo allora!”. Così il nonno accompagnò Irene in giardino e iniziarono a costruire divertendosi e sporcandosi. Ci volle una settimana, e quando ebbero finito di costruire la macchinina telecomandata riuscirono a creare anche una pista.

I. B.: Il nonno le disse di sì. Così presero dei pezzi di legno e costruirono una macchinina telecomandata e tutta colorata. Andarono a portare al figlio del vicino di casa, che si chiamava Luca. Il bambino rimase molto contento e Irene anche.

I. B.: Il nonno le rispose: “Certo Irene! Faremo una macchinina di legno telecomandata, sarà una macchina tutta colorata, avrà i colori dell’arcobaleno, il tuo amico Federico ne sarà molto felice. Cara Irene tu hai un grande cuore!”.

I. Z.: Il nonno rispose di sì e allora si misero a lavoro, e dopo un paio di giorni finirono il giocattolo telecomandato. Il giorno successivo andarono dal figlio del vicino.
Irene bussò e dopo due minuti aprirono la porta. Jasmine era triste ma quando aprì il regalo, saltò dalla gioia.

L. F.: Il nonno le rispose “sì, iniziamo a costruirlo”. Il giorno dopo Irene portò il giocattolo al bambino di nome Gianni.

M. M.: Irene e il nonno iniziarono a costruire il giocattolo, verso sera avevano finito il telecomando. Lavoravano nell’officina del nonno. Poi dopo un pò erano stanchi e tornarono in casa. Il giorno dopo iniziarono la macchinina, tornarono a casa e il giorno dopo consegnarono il giocattolo felici e tornarono a casa per fare altri giocattoli.

M. M.: “Si”, rispose il nonno “mi sembra una buona idea!” Allora si misero a lavoro.
“Ecco fatto”, disse il nonno, “mi sembra bello” disse Irene, “si, anche a me piace” concluse il nonno.
Allora lo andarono a portare al bambino, che si chiamava Claudio.
“Tieni Claudio”, disse Irene.
“Che cosa è?”, chiese il bambino.
“È una macchinina di legno telecomandata”, disse lei.
“Ti piace?” chiese il nonno, “si, molto”, rispose il bambino. E così diventarono amici.

N. S.: “Certo che ti aiuterò”, disse il nonno, “intanto se vuoi fare un giocattolo vai a prendere la legna mentre intanto io preparerò il modello”.
“Va bene, nonno” disse allora Irene, e quanto tornò il nonno le chiese preferiva un treno o una macchina. “Nessuno dei due” rispose la bambina, preferisco un aereo, così potrà volare dove vuole e come vuole.
“Ti piace il modello?”, chiese il nonno.
“Mi sembra super bellissimo”, rispose la bambina. “Allora tu lo costruisci mentre io attaccherò il motorino per farlo volare e farò un telecomando così potrà andare su e giù, a destra e a sinistra.
“Nonno, nonno, ho finito anche io”, disse a un certo punto Irene, “allora possiamo andare a portarglielo”, rispose il nonno.
Avanti Irene, suona.
Drinnnn!
“Chi è?”
“Oh ciao, Irene, entra, allora perché sei qui?”
“Ti ho portato un regalo.”
“Wow, è un aereo, è bellissimo, voi giocarci con me?”
“Sì certo.”
La sera, quando Irene dovette tornare a casa, Luigi la abbracciò e le disse grazie.
Quando Irene tornò a casa trovò la mamma che le chiese dove fosse stata. “Bene, mamma, ti racconterò tutto dall’inizio. Allora, …”.

P. B.: Il nonno rispose di sì e così i due si misero a lavoro e in meno di un giorno il giocattolo era pronto. Il giorno dopo andarono a casa del loro vicino Andrea e misero il regalo sotto la porta. Il giorno dopo Andrea aprì la porta di casa e vide il regalo, era felicissimo. Poi aprì il regalo ed era ancora più felice insomma da quella macchinina telecomandata non si separò mai più.

R. B.: Il nonno accettò. Il primo tentativo per costruire il giocattolo telecomandato andò male e anche il secondo; il terzo tentativo andò a buon fine e riuscirono a costruire il giocattolo e lo portarono al figlio del vicino.

S. D.: Così il nonno e Irene si misero a fare i giocattoli e Mastro Vincenzo scoprì che aveva degli aiutanti.

V. R.: Dopo aver costruito la macchinina telecomandata, andavano dal vicino di casa e gli consegnarono il giocattolo. Il nonno bussò alla porta del vicino ed apriÌ il bambino che disse: “ Ciao Irene, che cosa è successo? “ Irene rispose: “Ho costruito un giocattolo per te!”.
Il bambino la ringraziò e Irene disse: “Come ti chiami?”, il bambino rispose: “Egidio”.
La bambina disse “Che bel nome” e il bambino rispose “Grazie mille, vorresti bere un tè con me?”.
Irene accettò ed era così felice da volerlo invitare a cenare e a dormire nella sua casa. Egidio accettò subito ed il nonno raccontò di nuovo la storia di Mastro Vincenzo.

EPISODIO 3
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Erano trascorsi venti anni da quella indimenticabile notte. Egidio si era laureato in medicina e adesso lavorava come tirocinante nell’ospedale della città. Irene si era invece laureata in pedagogia, aveva fatto anche la maestra per due anni prima di realizzare il sogno della sua vita, aprire una bottega di giocattoli di legno interamente realizzati a mano, l’aveva chiamata La Bottega del Nonno. Da qualche mese aveva anche un apprendista, un giovane falegname molto bravo ed educato che si chiamava Filippo, proprio come il principe de La bella addormentata nel bosco. Ogni tanto, quando non era di turno in ospedale, anche Egidio veniva ad aiutarli in bottega, perché le richieste era tante e poi c’erano da fare i giocattoli per i bambini poveri, che quelli né Irene e né Egidio se li erano più dimenticati.

A. C.: Un giorno arrivò un signore che voleva fare un ospedale per aiutare le persone malate e Irene disse di si perché gli piaceva aiutare le persone in difficoltà.

A. S. : Un giorno Irene vide due bimbi di nome Matteo e Alessandro. Appena li vide ebbe un’idea: chiamò la sua amica Mary, lei non poteva avere figli e allora quando Mary la sentì fu molto felice e li adottò.

B. B.: Un giorno arrivò un bambino di nome Paolo, purtroppo era povero. Lui vide questa bottega insieme a sua mamma. Paolo corse verso la bottega e guardò la vetrina con gli occhi spalancati, Irene lo vide e gli portò un’orsacchiotto. “Prendilo e portalo con te” gli disse. Paolo sorrise guardando Irene e disse “grazie signora”.

B. D.: Ma poi Egidio si ritirò dalla medicina per costruire tutti insieme una fabbrica di giocattoli fatti a mano per tutti i bambini della città.

C. C.: La bottega del nonno aveva bisogno di tanti falegnami, tra cui un falegname venditore che vendeva ai bambini ricchi, per non andare in bancarotta, di nome Cesare. Lavorava con Pietro il magnifico, Sem e Ben, i fratelli invincibili e Mattia, l’amico geniale che era bravissimo a dare istruzioni per fare tutti i giocattoli del mondo.

C. G.: Filippo tre volte a settimana veniva in bottega per aiutarli a costruire giocattoli, ma a loro non importava se veniva poco.
Filippo era così entusiasta che decise di aprire una bottega tutta sua, ma chiese a Carlo, il suo migliore amico di lavorare insieme a lui. Carlo rispose di sì e in un mese avevano già la bottega, che non aveva ancora un nome ma Filippo decise di chiamarla La bottega degli amici, perché loro erano talmente amici che volevano dirlo a tutti.
Egidio e Irene apprezzavano l’idea di un’altra bottega in città, erano felicissimi!! Ma volevano fare felici le famiglie povere così con l’aiuto di Filippo e di Carlo costruirono tante case per le famiglie povere.

C. N. B.: Quando dovevano fare una consegna la facevano tutti insieme. Quando suonavano il campanello e veniva ad aprire una bambina povera, gli donavano il giocattolo e i loro cuori si riempivano di gioia.

D. L.: Da qualche mese, aveva anche un apprendista un giovane falegname molto bravo e educato che si chiamava Filippo, come il principe della bella addormentata nel bosco. Anche Irene era molto educata, brava e gentile solo che da piccola, lo era un po’ di più perché ora da più grande pensa di più ai suoi amici e meno ai bambini poveri ma comunque li tiene sempre a cuore.

E. Z.: La bottega era in una splendida piazza sul mare di Napoli. La vetrina del negozio era bellissima piena di giocattoli e tutti i bambini passavano di li rimanevano sbocca aperta.

F. A.: Infatti il magazzino della bottega era pieno di giocattoli che venivano regalati ai bambini poveri. Irene una mattina si svegliò presto per andare a costruire altri giocattoli per regalarli ai bambini. Si avvicinò vicino alla stradina dove stava il negozio e si accorse che da dentro veniva una strana musica, entrò in silenzio e trovò tutti i giocattoli che ballavano. Era uno spettacolo meraviglioso e magico.

F. P.: Di bambini poveri non se ne vedevano, Filippo e Irene girarono tutto il quartiere ma non c’era nessuno, perciò spostarono la bottega e decisero di andare a Napoli e la misero all’entrata della metropolitana. Esplorarono un pò la città per ambientarsi e quando ritornarono alla bottega c’erano sei bambini davanti. Appena li videro corsero velocemente in bottega, poi ne arrivarono altri e alla fine finirono uno scatolone di giochi. E quel momento non lo dimenticarono mai più.

G. F.: Proprio quel giorno entrò uno strano signore matto. Era vecchio, con degli occhiali strani, molto strani, che forse Irene aveva già visto. Irene disse per prima “Buongiorno. Posso aiutarla?”, lui subito rispose “no grazie” e Irene aggiunse “se vuole io sono qui”. L’uomo le disse grazie e andò avanti, camminando su e giù per tutta la bottega, poi finalmente vide un giocattolo e chiese “questo quanto costa?”.
Irene rispose “9.90 euro” e lui disse “grazie, allora lo compro”.
Mentre pagava, Irene vide sul suo portafoglio il nome Mastro Vincenzo.

G. P.: Due mesi dopo una mamma e suo figlio entrarono nella bottega e comprarono una bottiglia con all’interno un cavallino in legno e una trottolina, davanti al negozio c’era un bambino povero e il bambino fu molto triste a vederlo in quello stato, allora gli diede la trottolina, il bambino povero fu molto felice e lo ringraziò andando via.

G. T. : La Bottega del Nonno era un negozio nella piazza della città. Tutti i bambini adoravano quella bottega, Irene era sempre gentile, prima che un bambino se ne andasse gli regalava una caramella. E poi i giocattoli erano tutti colorati e pieni di vita! Profumavano di legno, l’odore preferito da tutti i piccini.

I. B.: La bottega era tutta colorata e piena di giocattoli. A tutti i bambini piaceva molto andare a curiosare e sognare tra tutti quei giochi, in più si poteva vedere Filippo costruire i giocattoli. Una volta a settimana Irene ed Egidio andavano a portare i giocattoli ai bambini poveri ed era per loro una grande gioia.

I. Z.: Filippo e Irene erano cosi felici che ogni giorno fabbricavano 2000 giocattoli di legno, che entro due giorni distribuivano in tutto il mondo. Ogni volta che le persone ricevevano i giocattoli, erano cosi contenti, che gli davano tanto incoraggiamento per continuare a costruire tanti nuovi e particolari giocattoli.

L. F.: Dopo qualche giorno, Irene e Filippo avevano costruito molti giocattoli e li avevano messi in vetrina e tutti i bambini poveri e non poveri si abbagliavano gli occhi a vedere tutti quei giochi costruiti in legno.

M. B.: Avevano tanto lavoro da fare, costruivano tanti oggetti sia per bambini che per bambine, e avevano tante idee e tanti progetti.

M. M.: L’atmosfera della bottega era calda e accogliente, con le pareti colorate che ricordavano proprio la prima volta che fecero un giocattolo. C’era un bancone di legno del nonno e c’erano molti scaffali con sopra tantissime scatole dove c’era scritto “giocattoli dei bambini poveri.”

M. M.: Irene e Filippo erano molto legati, infatti tutte le mattine erano insieme, poi però il pomeriggio si dovevano lasciare ed erano molto dispiaciuti, poi la sera si reincontravano anche con Egidio.

N. S.: Filippo aveva dei capelli castani, una maglietta arancione, pantaloni grigi e scarpe marroni. Egidio era innamorato di Irene, gli piacevano i suoi occhi azzurri la sua giacca di pelle e i suoi lunghi e bei capelli biondi. Anche a Irene piaceva Egidio, ma non sapeva come dirglielo.
Filippo era già sposato con una donna che si chiamava Lucrezia aveva dei capelli neri e uno sguardo severo.
Egidio sembrava un principe, con i suoi capelli rossicci, la giacca nera e scarpe nere. Un giorno che Irene incontrò Egidio, lo trovò molto strano, invece di dire ciao diceva bao. Dopo un po’ disse a Irene “voi venire a pranzo con me?”, “sì, molto volentieri”, fu la risposta.
La sera prima di lasciarsi Irene disse a Egidio: “vieni a casa con me” e a casa Egidio disse a Irene “vuoi essere la mia ragazza?”, e subito Irene disse “si”.
Dopo sette mesi si sposarono, ebbero due bimbe e due bimbi che si chiamavano Ester, Rene, Giacomo e Michele. E indovinate un po’? La loro prima parola era: Giocattolo.

P. B.: Irene ed Egidio si sposarono ed ebbero dei figli. Con l’aiuto di Filippo, che era diventato un grande falegname, costruirono un ospedale per curare i bambini poveri.

R. B.: Mentre Egidio era di turno all’ospedale, Irene andò ad aiutare Filippo e trovò al suo posto una bambola. Accanto ad essa c’era una lettera di Filippo in cui diceva che era dovuto partire improvvisamente e che Irene si doveva prendere cura della bambola “speciale”. Irene si chiese perché la bambola fosse speciale, girandola e rigirandola. “Ahi, stai attenta”, disse la bambola.

S. D.: Ma anche dopo qualche mese tutti i bambini del paese iniziarono ad andarci.

V. R.: Qualche giorno dopo, Filippo incontrò una ragazza di nome Esmeralda, che lavorava in un negozio di pittura. Era una ragazza molto giovane, di 20 anni, Filippo quando la vide le chiese: come ti chiami? La ragazza rispose: “mi chiamo Esmeralda”.
Il giovane Filippo era stato colpito dalla freccia di Cupido, quindi disse: “Esmeralda vuoi venire a lavorare nella bottega del nonno?” Esmeralda rispose: “ma che cos’è la bottega del nonno? Filippo disse: “è una fabbrica di giocattoli di legno”, Esmeralda rispose “va bene, allora vado a dare le dimissioni e arrivo”.
Dopo una settimana Filippo ed Esmeralda si fidanzarono e alla festa fecero la torta con sopra due falegnami.

EPISODIO 4
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La città dove vivevano Egidio e Irene era bella, né troppo grande e né troppo piccola. Anche le altre persone che ci vivevano erano per la maggior parte gentili, lavoratrici ed educate.
“Questo, però, non vuol dire che non si possa migliorare”, si disse una bella mattina Irene, e subito cominciò a pensare a che cosa si poteva fare e a come farlo. Pensa che ci ripensa l’idea arrivò. “Mi farò aiutare dalla 4° Z”, stabilì, “loro riescono sempre a immaginare cose belle”.
Il giorno dopo così fece. Parlò con le maestre e insieme decisero di chiedere a ogni bambina e bambino di scrivere prima che cosa gli piaceva e che cosa non gli piaceva della loro città e poi un’idea per renderla più bella. Alla fine avrebbero discusso le diverse idee tutti assieme e magari, chissà, avrebbero scelto le tre più belle e le avrebbero presentate al Sindaco.

A. C.: Mi piace di Follonica il mare perché ci sono i pesci e i granchi e posso correre scalzo e posso giocare e scavare per cercare l’acqua.
Non mi piace che non è pulita come vorrei. Secondo me gli spazzini non sono molto attenti nel loro lavoro, e le persone che non fanno bene la differenziata danno modo agli uccelli di andare a mangiare dentro ai cestini.
Vorrei che ci fossero delle piste ciclabili migliori e più larghe e persone più educate.

A. S.: Dopo un po’ di tempo che ci pensava, Anita iniziò a scrivere: della mia città mi piace il parco vicino casa mia, perché è grande, con tanti giochi e ci si può andare in bici liberamente.
Le cose che non le piacevano erano: le spiagge con i rifiuti in mezzo, il perché mi sembra ovvio, perché i rifiuti inquinano moltissimo.
Una cosa che le piacerebbe è un grande negozio dove vendono fumetti, cose da gameplay e cose per cosplay. La città si chiama Magnolia, ed è la città dove si trova una gilda di maghi e maghe molto potenti e buoni. La gilda si chiama Fairy Tail.

B. B.: La cosa più bella della mia città per me è il mare perché non è inquinato ed è molto limpido, adoro tuffarmi e nuotare insieme a mio fratello. Una cosa che non mi piace è che si allaga facilmente e questa cosa può causare danni.
Mi piacerebbe che ci fosse un parco giochi tipo Disneyland, perché ho sempre sognato di andarci una volta, ma essendo tanto lontano non ci sono mai stata, per questo ne vorrei uno nella mia città.

B. D.: Io nella mia città ci vorrei una fontana dove lanciare le monete e se tipo ci metti una banconota la banconota non si scioglierà, ma pian piano cambierà la propria forma e diventerà per esempio un peluche gigante. Ma se invece metterai una scarpa nella fontana cambierà forma e ridiventerà banconota, ma se tutti lo vorranno diventerà una fontana di cioccolato.

C. C.: I bambini scrissero tantissime storie, ma la più bella fu quella di Cesare che pensò a tutta la popolazione e non per sé. Lui voleva spendere i soldi del sindaco per la salute di tutti, infatti avrebbe voluto comprare tanti marchingegni ultramegatecnologici perché se c’è la salute c’è un popolo felice. La mia città si chiama Casalurpete.
La cosa che mi piace della mia città è il cinema all’aperto perché mi piace il cinema e stare all’aperto. 
La cosa che non mi piace è la scuola perché mi annoio da morire.
La cosa che vorrei è una pista da skateboard perché mi piace e perché è bellissima.

C. G.: Cosi le maestre iniziarono a fare l’appello, e poi si iniziò a raccontare. Io ero la dodicesima dopo undici bambini. Iniziai così: della mia città mi piace che posso uscire con i miei amici perché passano poche macchine quindi è più sicuro, mi piace che c’è una piazza che tutti chiamano piazzetta perché io sto con i miei amici e ci sono tante feste in piazza. La cosa che non mi piace è la fabbrica che emette tanto fumo, non mi piace perché inquina.
Vorrei che nella mia città ci fosse una posta ciclabile lunghissima perché molta gente va in bici e c’è poca pista ciclabile.

C. N. B.: Dopo che i bambini ebbero finito, le maestre ritirarono i foglietti. Mentre la maestra Irene li correggeva, attirò la sua attenzione un foglietto di una bambina di nome Melissa che aveva scritto che della sua città, che si chiamava Barbagiannas, non le piaceva il fatto che avesse dei rifiuti sparsi un po’ dappertutto perché a lei piaceva di più un ambiente pulito. Invece un bambino di nome Giacomo aveva scritto che della sua città gli piaceva il mare perché si divertiva a fare il bagno nuotando come un pesciolino. Due gemelle, Noemi e Viola invece avevano scritto che nella loro città avrebbero voluto avere uno zoo-safari, senza gabbie, perché loro adoravano gli animali, soprattutto le scimmie.

D. L.: Daniele iniziò a scrivere cosa gli piaceva della sua città di nome Barassie: della mia città mi piacciono i palazzi perché sono posizionati bene e perché ci sono molti terrazzi. Poi cosa non gli piaceva e scrisse: della mia città non mi piacciono le persone che buttano i rifiuti per terra e poi quelli che li raccolgono devono fare ancora più fatica e perché c’è tanto inquinamento. Poi per finire cosa non c’è ma vorrebbe che ci fosse nella sua città e scrisse: io vorrei un osservatorio stellare nel parco centrale della città.

E. Z.: Emma, dopo averci pensato, iniziò a scrivere: della mia città mi piace tanto il gelataio davanti al mare, perché mi mancano tanto il sapore del gelato e l’odore del mare. Nella mia città vorrei in più un circo con un tendone a pois colorato, che rimanesse tutto l’anno. Ci vorrei pagliacci ed animali divertenti, giocolieri ed equilibristi. Per portare tanta allegria a tutti i bambini nel mondo, anche ai bambini disabili che sono delle persone splendide.
Invece una cosa che non mi piace ci sono persone brutte, bruttissime, che prendono in giro questi bambini e a me questa cosa non piace, secondo me sono bambini come noi.

F. A.: Filippo iniziò a pensare a cosa le piaceva di Gorgola, la sua bellissima città. Gli piaceva che i suoi nonni stavano vicino a lui e abitavano in una casa con davanti una strada chiusa e lui andava sempre a giocare con i suoi amici senza che ci fossero pericoli. Poi pensò a cosa non gli piaceva della sua città, erano i parchi, perché non ci potevano più andare a giocare tranquillamente, il motivo era che spesso ci trovavano siringhe e sigarette perché ci andavano a dormire delle persone cattive. Poi pensò a cosa gli piacerebbe per la sua città, non una cosa materiale, ma che non ci fossero più nei parchi queste persone cattive, che sporcano e rompono tutto, così i bambini potranno tornare a giocare nei parchi tranquillamente.

F. P.: Della mia città mi piace molto l’acquario, il parco giochi e l’acquapark perché i bambini si divertono. Della mia città non mi piace la gente che sporca, che ruba e che non paga perché è una mancanza di rispetto verso gli altri e verso la natura. Nella mia città vorrei che le case abbandonate venissero vendute o consegnate alle persone che ne hanno bisogno e che sappiano prendersi cura di esse. Follandella

G. F.: Arrivando in classe la prima bambina di nome Luna disse: “della mia città mi piace veramente tanto la pista delle meraviglie, una pista di pattinaggio con un ristorante vicino, mi piace perché in una serata d’estate possiamo sbizzarrirci con i pattini e fermarci a mangiare piatti golosissimi. E invece quello che non mi piace è la mancanza di rispetto di alcune persone che parcheggiano nelle strisce, si fermano in mezzo alla strada e non rispettano le regole in generale. La cosa che vorrei sarebbe meno macchine, meno inquinamento e tanto tanto verde e strumenti per migliorare la nostra Terra.

G. P.: La cosa più bella di Fantasialandia per me è la piazza della verità perché dietro un negozio si intravede un grande parco con tanti bambini felici all’interno. La cosa che non mi piace di Fantasialandia è il parco degli alberi perché tutti i pini coprono la luce così nel parco è buio e si rischia di inciampare con una radice e di farsi male. La cosa che vorrei in Fantasialandia è un luna park perché così ci si può divertire sulle giostre.

G. T.: Gaia prima di scrivere cosa gli piaceva della città e cosa non le piaceva ci pensò un bel po’ e solo dopo molto tempo scrisse: “mi piace tantissimo avere molti parchi giochi, tutti con molti alberi, perché così puoi stare all’ombra e se ti dimentichi gli occhiali da sole non importa. Invece non mi piace che a Carnevale si sporchi da tutte le parti, con le uova, stelle filanti, coriandoli, perché è brutto vedere la propria città tutta sudicia e prima che vengano a pulire ci vuole tanto tempo”.
Io poi nella mia città, o meglio, nella mia scuola, vorrei un laboratorio di scienze e anche poter fare delle gite per studiare da vicino gli animali. Ah, dimenticavo, vorrei anche un orto pubblico perché così chi non ha un pezzo di terra può provare a coltivare ortaggi e alberi da frutta e può prendere così frutta e verdura a km zero. La mia città si chiama: Pichu Pachu.

I. B.: Dopo che le maestre ebbero finito di spiegare, una bambina di nome Irene iniziò a scrivere: della mia città mi piace l’acqua village perché è divertente. Non mi piacciono i palazzi perché non sono troppo colorati. Mi piacerebbe avere un negozio di musica come quelli americani perché sono belli, grossi e pieni di strumenti musicali.
Aveva una bellissima idea per la città. La città si chiamava Miudive City.

I. Z.: Le cose che mi piacciono della mia città sono le piante e gli animali, invece la cosa che non mi piace è l’inquinamento perché a me piace la natura, non mi piace l’inquinamento, perché tante persone buttano tutto per terra.
La cosa che vorrei è togliere tutto l’inquinamento e la sporcizia che c’è per terra e nei fossi. La mia città si chiama Nive.

L. F.: Iniziarono a pensare. Dopo due settimane iniziarono a costruire una biblioteca e un parco giochi con una pista per le macchinine telecomandate per rendere felici i bambini di quel paese. Però ai bambini non piacque l’idea di mettere un centro commerciale al posto del boschetto perché sennò dovevano abbattere tutti gli alberi e con loro i rifugi di tutti gli animali che ci vivevano.

M. B.: La cosa che mi piace di più di Borgo Italiano è il parco giochi perché è grande e ci divertiamo. La cosa che mi piace di meno sono le cartacce per terra che lascia la gente. La cosa che vorrei è che non ci fosse l’inquinamento.

M. M.: Cosa mi piace di Tumbocktown. Mi piace la chiesa di San Leopoldo perché è molto alta e perché mio nonno mi ci porta sempre. Un’altra cosa che mi piace è il mare, quasi sempre limpido. Quando piove è mosso e mi piace perché quando faccio il bagno mi sento meglio.
Cosa non mi piace di Tumbocktown. Non mi piacciono le piante in mezzo a via Roma perché quando ci passo picchio sempre la coscia o il ginocchio e poi sono sporche.
Cosa vorrei di Tumbocktown che invece non c’è. Io vorrei solo una cosa, vorrei una bella fontana come quelle di Roma, perché c’è la leggenda che quando butti un soldo, esprimi un desiderio e lei te lo avvera. Anche perché mi fa credere nei sogni più belli.

M. M.: Della mia città mi piace il mare, perché ci passo tutta l’estate, ci mangio con i miei amici, con mio cugino Filippo e con la mia famiglia. Faccio il bagno con la maschera e vado agli scogli con il mio babbo e mia sorella. Quando non ci sono le onde e la sabbia non si muove vedo i pesciolini e le stelle marine. Invece quando sono agli scogli vedo spigole e orate, mio babbo se le immagina in padella.
A me della mia città non mi piace che ci sono le fogne che puzzano e gli escrementi di cane sui marciapiedi. Nella mia città mi piacerebbe avere una metropolitana, perché è il mio sogno da quando ero piccola.

N. S.: Noemi ci pensò e ripensò il giorno, il pomeriggio e la notte. E la mattinata seguente disse: ci sono! A me piace in Zacaladu la gentilezza delle persone, le scuole ben ordinate però detesto l’inquinamento e la pigrizia di non aver fatto nemmeno uno sforzo di raccogliere una bottiglia o due, ma dai, chi ci pensa se non voi a ripulire i pesci?.
Però a me piacerebbe avere mille industrie per ripulire e chi non lo fa 12345,78906 € di multa.
La sera, quando tornò a casa raccontò tutto a tutti, e quando andò a letto sognò tutto quello che scrisse.

P. A.: Mi piace la piazza davanti al mare che noi bambini chiamiamo piazzetta a mare. Mi piace perché c’è tanto spazio per giocare e ogni volta che ci vado ci trovo i miei amici e giochiamo per ore come se fossimo sul mare. Invece non mi piace il traffico, troppe macchine. Io vado dappertutto in bicicletta o con lo skateboard ed è più semplice e veloce. Per questo vorrei che ci fossero tante piste per le bici e lo skateboard.
La mia città si chiama Parapicchi.

R. B.La città in cui vivo si chiama Borgo Bislacco. Di Borgo Bislacco mi piacciono molto i parchi e i giardini ma non mi piace molto come sono tenuti i prati. Il parco accanto a casa mia è sporco perchè c’è gente che non si sforza di buttare i rifiuti nel cestino e li butta per terra. Mi piacerebbe che la gente rispettasse di più l’ambiente e gli animali che potrebbero morire mangiando i rifiuti che trovano in terra. Vorrei che a Borgo Bislacco ci fosse un parco dei divertimenti grande come quello di Mirabilandia, dove dentro ci fossero degli scivoli color arcobaleno. Vorrei che questo parco dei divertimenti fosse gratis così ci potrebbero andare anche i bambini poveri. Dovrebbe essere aperto sia d’estate che d’inverno. Mi piacerebbe anche che dentro ci fossero tanti posti per mangiare cibi che vengono da paesi diversi, come la pizza napoletana, gli hamburgher americani e gli arancini siciliani.

S. D.: Nella mia città vorrei che ci fosse almeno una piazza per andare a giocare con gli amici e vorrei che cambiassero i colori dei semafori perché gli stessi vengono a noia. Mi piacerebbe che ci fosse almeno un acquapark e vorrei che ci fosse un pozzo dei desideri. La mia città si chiamerà Pinnacoli Pendenti.

V. R.: Viola scrisse: della mia città mi piacciono molto i colori, perché mi danno un’atmosfera di allegria e quando sono triste li guardo: l’azzurro del mare, il verde delle piante, il rosso, il rosa, il viola, il giallo, il bianco dei fiori, e tutti i meravigliosi colori del cielo.
Della mia Colorilla, così si chiama la mia città, non mi piace la gente che butta le cicche per terra e quella che lascia i bisogni dei cani per terra, questa gente non mi piace perché è maleducata, non rispettosa degli altri e non fa nemmeno un lavoro ben fatto.
Nella mia Colorilla mi piacerebbe che fosse 11 mesi all’anno estate e un mese all’anno nevicasse, così da poter usufruire del mare 11 mesi e un mese per giocare a palle di neve.

EPISODIO 5
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Erano trascorsi 10 anni e finalmente la Città del Lavoro Ben Fatto aveva un nome, si chiamava Pinnacoli Pendenti, proprio come aveva deciso la 4° Z dieci anni prima. Adesso a Pinnacoli Pendenti ogni persona aveva un lavoro e si era abituato a farlo bene, nessuno più buttava i mozziconi o le carte per terra, c’erano tante piste ciclabile e per gli skateboard e il mare era sempre pulito. Era andata così perché a suo tempo il Sindaco aveva letto le proposte della classe, gli erano piaciute, e aveva nominato un Comitato Permanente delle Bimbe e dei Bimbi a cui si rivolgeva ogni volta che aveva decisioni difficili da prendere. “I bimbi sono generosi e sinceri”, aveva detto, e così aveva fatto.
Da qualche mese a Pinnacoli Pendenti c’era per la seconda volta un Sindaco donna, e questo aveva portato nuovo entusiasmo nella città. Bisognava costruire una nuova scuola e Barbara, così si chiamava il nuovo sindaco, aveva immediatamente convocato il Comitato Permanente delle Bimbe e dei Bimbi per definire le linee guida. In particolare dalle bimbe e dai bimbi volle sapere qual era la loro idea di scuola e di classe intelligente.

A. C.: La scuola intelligente era con i computer e i tablet ma per disegnare c’erano i fogli e le matite colorate, i lapis e la gomma. E invece del diario il tablet o il computer con la chat con cui la maestra assegna i compiti.

A. S.: La scuola che dovevano costruire era molto grande, forse la più grande e imponente del mondo. In tutte le classi c’erano tanti cartelloni e computer super tecnologici molto avanzati. I cartelloni erano molto colorati e belli. I banchi disponevano di un assistente vocale a propria scelta e avevano tantissimi colori che tutti usavano.
Per gli alunni che non li avevano per qualsiasi motivo c’era uno schermo gigante per guardare le animazioni di inglese (e comunque di tutte le materie) perché sennò bisognava attraversare tutta la scuola per arrivare alla lim. Avevano un’enorme mensa in stile americano con una caffetteria sia per i bimbi sia per le maestre e le bidelle.
Le bidelle (Grazia, Serena, Claudia e Morgana) avevano una stanza tutta loro con tablet, computer e assistenti vocali. Avevano anche una palestra enorme con tutti i tipi di attrezzature per giocare, poi un giardino tenuto benissimo e infine un dormitorio sia maschile che femminile, bellissimi , però nel week end potevano incontrarsi e fare pigiama party. Anche le prof. ne avevano uno vicino a quello delle bidelle.

B. B.: Benedetta nella sua scuola intelligente vorrebbe una lavagna interattiva, molto grande e a quadretti che risponde ai comandi vocali, per esempio se devo scrivere “3+3” basta dire alla lavagna “scrivi 3+3”. E poi non ci saranno più i libri pesanti ma un unico tablet con dentro le app per materia, così non saremo più costretti a portare gli zaini grossi e pesanti.

B. D.: Ma dopo qualche settimana qualcosa andò storto, il vulcano vicino alla città eruttò e tutti dovettero fare un bunker per ripararsi e andarono dall’esperto Breank e si ripararono tutti lì.

C. C.: Secondo tanti bambini la scuola doveva essere di tipo americano, con tanti laboratori dove sono i bambini a spostarsi e non le maestre. Ci saranno armadietti e per aprirli servirà la scannerizzazione dell’occhio. Il cancello si aprirà automaticamente e saluterà tutti i bambini che entrano, ma si entra con l’impronta digitale e dopo si deve passare il dito così: 1) vediamo se entrano i ladri; 2) vediamo chi è assente.
Nell’aula di storia si potrà vedere e interagire con delle riproduzioni in 3D di battaglie famose, potremo anche conoscere Napoleone. Nel laboratorio di scienze ci sarà un assistente virtuale per gli esperimenti più difficili e divertenti.

C. G.: L’idea dei bambini era un banco super tecnologico: una gomma che cancellava da sola, una penna o matita che scriveva da sola.
I banchi e la lavagna erano di vetro ed avevano dei pulsanti fluorescenti, azzurri, per dare le risposte. La lavagna aveva un unico gesso, tu dovevi dire il colore e subito si colorava, invece gli armadietti avevano una chiave che girava da sola. Il sindaco aveva messo insieme ogni idea ed era venuta fuori questo.

C. N. B.: Così la riunione cominciò. Alcuni bambini dissero che avrebbero voluto una specie di telecomandino che diventa rosso quando hai dimenticato qualcosa, così nessuno si scorderà più niente. Altre bambine dissero che volevano degli armadietti tecnologici che quando per esempio gli dicevi di fare apparire i libri di storia apparivano. Mentre i bambini proponevano le loro idee, il sindaco Barbara prendeva appunti su un taccuino. Un gruppo formato da bambini e bambine disse: “noi vorremmo che ci fossero dei piccoli robot per giocare così tutti avrebbero qualcuno con cui giocare e nessuno si sentirebbe solo”. Così la riunione durò per ore e quando si accorsero che era tardi tornarono tutti a casa dalle loro famiglie.

D. L.: Secondo me la scuola tra 10 anni dovrebbe essere più grande, avere una classe fatta apposta per la ricreazione sennò quella dove si studia diventerebbe troppo disordinata. Poi vorrei una specie di robot tutto fare che aiuti la bidella, perché deve fare sempre tutto lei. Per finire i giardini di fuori dovrebbero essere più grandi.

E. Z.: Sono passati 10 anni e nella nostra scuola sono cambiate tante cose.
La bidella Grazia apre la scuola non più con la chiave ma con una app con il riconoscimento facciale. Al posto della lavagna c’è un grande schermo con le app Google, YouTube ecc. Le lezioni vengono fatte da droni. Ecco io come me la immagino la scuola fra 10 anni.

F. A.: Si riunirono tutti in un salone del comune, c’era il sindaco, le maestre e tutti i ragazzi che dieci anni prima frequentavano la 4 Z. Iniziarono a parlare, e a un certo punto prese la parola Filippo, un ragazzo biondo e molto atletico.
Lui propose che nella nuova scuola dovevano costruire una palestra più grande e più tecnologica, visto che nella piccola scuola che frequentava dieci anni prima, la palestra era molto piccola e con poche attrezzature.
Ci dovevano fare un campo da basket, uno da calcetto e una pista per pattinare e fece capire, presentando un disegno, che tutto ciò si poteva costruire facilmente cosi che i bambini oltre a fare lezione in classe potevano dedicarsi anche a tanti sport.
Il sindaco ascoltò molto attentamente la descrizione di Filippo e gli piacque molto e pensò che oltre alle altre proposte dei banchi intelligenti, computer e lavagne tecnologiche, questa poteva essere una bellissima idea.

F. P.: La scuola tra dieci anni me la immaginavo gialla, con il giardino molto grande, una bella palestra con il canestro e le porte da calcio e poi una mensa.
Il bidello era un robot molto gentile con i bambini e simpatico con i professori.
Le aule molto spaziose e armadietti verdi.
Avrei pensato anche di fare ľautogestione un giorno all’anno.

G. F.: Secondo me tra 10 anni la scuola sarà super tecnologica: lavagna luminosa che si accende quando dici le cose e te le scrive in automatico; banchi con tutti i tipi di social e applicazioni; una cattedra che prende e ripone i libri automaticamente in base alla materia. Secondo me anche i bambini dell’asilo avranno i banchi super tecnologici, insomma sarà una scuola super tecnologica.

G. P.: Secondo me la mia scuola tra 10 anni sarà rettangolare, a due piani, con dei portoni trasparenti alti 2 metri, nel giardino della scuola ci saranno campi da calcio e da golf, all’interno ci saranno elementari e medie, al primo piano ci saranno le elementari e al secondo piano ci saranno le medie.
All’interno di ogni classe ci saranno due lavagne vocali, banchi che se pigi un bottone ti tira fuori tutta la tua roba scolastica e infine ci stanno le sedie che possono diventare poltrone e letti con una leva.

G. T.: Gaia era già molto organizzata su questo genere di cosee così scrisse:
“Nella mia scuola intelligente prima di tutto serve uno zaino intelligente! Lo zaino é da portare a spalle, ma la sua forma fa si che il peso si distribuisca per bene, così non farà più male la schiena, e poi dove devi appoggiare la schiena c’è una specie di cuscino memory, e così lo zaino sarà un vero piacere portarlo! E poi lo zaino va programmato, devi “dirgli” in quali giorni hai delle materie e cosa devi portare, così tutte le volte che ti scordi qualcosa lui te lo dice, o meglio viene scritto nel davanti dello zaino e fa una specie di musichetta allarme.”

I. B.: Passati 10 anni era cambiato quasi tutto, la scuola era cambiata molto.
La porta si apriva con una canzone, l’aula invece cambiava a seconda della materia, se c’era musica apparivano strumenti musicali e ologrammi per imparare a suonare, se c’era scienze apparivano strumenti come bottigliette, barattoli e altri oggetti per fare esperimenti. La scuola era fantastica ed era così bella che i ragazzi rimasero lì.

I. Z.: L’idea è di costruire una scuola in mezzo a un prato. Scavando un metro trovarono delle buche che portavano in una galleria, ad un certo punto usci una marmotta, allora il comitato permanente decise di fare la scuola in un nuovo giardino che si chiamava Il Paradiso.
La scuola era bellissima, tutti i cittadini volevano portare i loro figli per farli vivere insieme alla natura. La scuola fu chiamata “la scuola dei sogni” ed era tutta colorata.
La mia scuola fra 10 anni la vorrei tutta bianca con un giardino grandissimo e vorrei che ci fossero tante piante e alberi con fiori profumatissimi e colorati.
All’interno c’erano pareti tutte colorate con piante di tutti i tipi. Dentro alle aule c’erano insegnanti bravissimi di tutti i tipi, alti, bassi, magri e grassi. Era tutto divertente, bellissimo.

L. F.: Dopo qualche giorno Leonardo disse: io vorrei fare un lapis che si appunta da solo e uno zaino che ti dice quali libri devi portare a scuola così non si dimenticano a casa.

M. B.: Secondo me la scuola cambierà. Il giardino cambierà, forse ci sarà l’erba! Poi non ci saranno più le lavagne visto che siamo stati tre mesi con il computer, forse metteranno qualcosa di tecnologico, poi in bagno ci saranno gli asciugatoi elettrici per le mani e i rubinetti potranno scannerizzare le mani.

M. M.: Durante la prima riunione Giulio, il bambino più timido e taciturno, prese coraggio e si alzò dalla sedia. “Ragazzi ho da dirvi una cosa”, tutti erano interessati, stupiti e curiosi di ascoltarlo, finalmente!
“Io la scuola me la immagino con un prato verde intorno, così non ci si sbucciano le ginocchia, con un’area sport dove fare ginnastica e anche giocare a calcio. Dentro c’è un salone ovale con tante aule ampie e colorate, le finestre si alzano con un telecomando e ogni banco ha una lavagna interattiva dove scrivere e disegnare. Ma l’idea più importante è un robot musicista, al nostro comando canta e suona tutti gli strumenti esistenti e a volte ci insegna nuovi e divertenti giochi con le carte.

M. M.: Per me l’ideale di scuola intelligente sarebbe avere una lavagna interattiva per poter scoprire nuove cose attraverso la linea internet. Mi piacerebbe che ogni bambino avesse al posto dei libri un tablet o un computer. Una cosa innovativa potrebbe essere avere la campanella che, invece di essere “suonata” da Grazia, la nostra bidella, venisse programmata per poi suonare da sola. Non sono sicura che queste cose si avvereranno ma lo spero, perché noi alunni ne abbiamo davvero bisogno.

N. S.: Quando Noemi andò a scuola vide la scuola cambiata e pensò: “forse oggi si faceva una gita”. E poi vide un robot, era gentile e anche carina e disse: “ciao, io sono Roboty, la vostra nuova maestra Anita”. 
“Ma dove è la maestra vera?” 
“E io cosa ne so. Dai, non ci pensiamo a questo, andiamo a vedere”.
 “Ok”. 
La scuola era piena di robot, i banchi erano bellissimi, pieni di bottoni.
E poi la maestra disse: buttate tutto via, non serve.
Cosa? 
Noemi pigiò un bottone e il banco disse: “password”, e così Noemi fece, pigiò alcuni numeri e il banco si sbloccò come un telefono ma a forma di banco!
Dentro al banco tecnologico c’erano la calcolatrice, il foglio e la penna.
La maestra poi disse: “a proposito, oggi c’è la gita”; la maestra pigiò un bottone e poi la scuola si alzò. 
Noemi poi disse: “maestra dove andiamo oggi?” 
“Andiamo al museo degli egizi”. 
“E quale?” 
“Ovviamente quello di Torino”. 
Poi ritornarono a scuola e ovviamente fecero un compito su quello che avevano capito al museo, però Noemi non sapeva fare un esercizio e così pigiò un bottone e venne la risposta giusta.
Quando Noemi tornò a casa raccontò tutto a tutti.

P. B.: I bambini dissero al sindaco: “la scuola dovrà essere diversa nella forma, con pannelli solari e tanto verde. Le aule saranno aperte e senza banchi, gli alunni avranno dei tablet per scrivere invece dei quaderni e studieranno materie nuove tipo la biorobotica o la bioingegneria”.

R. B.: I bambini decisero di fare due gruppi di lavoro per decidere come costruire la scuola. Un gruppo di bambini voleva farla di forma rettangolare, l’altro gruppo quadrata e alla fine decisero di farla rettangolare.
Poi si doveva decidere l’altezza e insieme scelsero di farla alta 9 metri, cioè a tre piani. Si doveva scegliere come verniciarla e per questo argomento ci fu una votazione: vinse il colore rosso acceso anche se alcuni bambini la volevano gialla. Alla fine dovettero decidere se mettere il giardino davanti o dietro la scuola e anche per questo ci fu una grande discussione, ma alla fine la maggioranza decise di fare un bel giardino davanti alla scuola.
Ora si doveva pensare a come farla dentro. Progettarono un cancello che si apriva all’ora prestabilita e il riscaldamento dipendeva dal clima della giornata. Ogni giorno dei robot attivavano la pulizia automatica dei bagni, mentre in classe le lavagne fornivano informazioni sull’argomento in modo che i bambini capissero.
C’erano anche dei banchi che quando un bambino restava indietro lo riportavano avanti, ma i bambini così non erano avvantaggiati, perché per essere tra i migliori bisognava lo stesso studiare molto.

S. D.: Ma dopo qualche anno i bambini diventarono sempre più intelligenti e quindi decisero di mettere un campo di secchioni dentro la classe e ogni giorno si rinforzavano e dopo un anno diventarono più intelligenti di aisctain e i genitori sempre più stupidi e quindi grazie a tutti i loro consigli anche i genitori diventarono intelligenti e quindi sono andati a ripulire Pinnacoli Pendenti e quindi ecco perché Pinnacoli Pendenti era cosi pulita. Ma dopo qualche anno i bambini diventarono intelligenti e le maestre decisero che non dovevano più essere mandati a scuola perché erano già troppo intelligenti.

V. R.: Dopo che i componenti della quarta Z si erano consultati decisero che la nuova scuola doveva avere:
1) insegnanti e bidelli avrebbero mantenuto il loro posto di lavoro con l’aiuto di robot e macchinari speciali
2) due robot avrebbero aiutato la bidella e gli insegnanti in tutti i lavori pesanti, nelle pulizie e nella mensa.
3) Sulla porta di ogni classe ci sarebbe stato un sistema di scansione facciale, cosicché ogni volta che un alunno arrivava alla porta della classe il suo viso veniva scanzionato e automaticamente si aprivano le porte e il bambino poteva entrare; il computer scriveva sul registro se il bambino era assente o presente.
4) Le lavagne sarebbero state sostituite da schermi giganti sui quali si poteva scrivere, guardare i documentari e navigare su Internet.
5) I banchi avrebbero sostituito quaderni e libri che erano integrati nel sistema e il banco era uguale alla lavagna. Sopra al banco c’era una penna che, a comando, cambiava colore e diventava evidenziatore, pennarello, pastello o cera.
6) Questa scuola avrebbe avuto un giardino stupendo con la possibilità di fare ogni tipo di attività fisica: tennis, pallavolo, basket, e percorsi a ostacoli. Poi per la ricreazione ci sarebbe stato un telecomando che serviva per fare apparire un gioco di qualsiasi parco giochi, per esempio: uno scivolo, altalene, giostre, ceste e cavalli a molla. I bambini decidevano a seconda dell’ordine alfabetico del loro cognome quale gioco far apparire.

EPISODIO 6
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Gli anni erano trascorsi in un lampo e le bambine e i bambini della 4° Z erano ormai diventate ragazze e ragazzi pronti a tuffarsi nel mondo del lavoro.
Quella sera, durante la festa che facevano ogni anno, qualcuno propose un nuovo gioco: a turno, ognuno avrebbe raccontato il proprio lavoro, quello che voleva fare negli anni delle elementari e quello che faceva o sperava di fare adesso. La prima fu I. C., che fu così brava e coinvolgente con la sua storia, le sue risposte e i suoi perché che tutti fecero a gara per seguirla.

A. C.: Era il turno di Anna e disse che da piccola voleva fare la poliziotta ma ora voleva fare la forestale e la pittrice. La forestale perché non le piace che il mondo debba essere inquinato e la pittrice perché le piace disegnare.

A. S.: Sakura fu la terza a dire la sua. Da piccola voleva fare la fumettista e ora che era grande fa la fumettista e la disegnatrice di anime. Lei era felicissima di fare quel lavoro insieme alle sue amiche e ai suoi amici. Le piaceva molto il lavoro che faceva, soprattutto perché lo faceva bene, anzi benissimo!

B. B.: Dopo fu il turno di Benedetta, che raccontò che da piccola voleva fare l’attrice a ogni costo, ma con il passare del tempo si rese conto che il lavoro dei suoi sogni non era facile da realizzare e quindi optò per il suo secondo lavoro dei suoi sogni, quello di fare la stilista. Così decise di frequentare la scuola di moda dove si diplomò con il massimo dei voti.

B. D.: Ciao, mi chiamo Benjamin e da piccolo volevo fare il cantante perché mi piaceva tanto cantare e ascoltare la musica. Ma ora da grande faccio il pasticcere perché adesso mi piace tanto cucinare e fare le torte . Infatti nella mia famiglia era sempre mio padre a cucinare ed io lo aiutavo sempre. Da qui è nata la mia passione per i dolci e le torte.

C. C.: Continuò Cesare, che di lavoro faceva lo scrittore. Aveva appena pubblicato il suo primo romanzo che si intitolava “Alla ricerca di Garry Cotter” e aveva avuto un gran successo, e già pensava di scrivere la seconda parte! Gli piaceva molto scrivere, diceva che così poteva regalare alle persone esperienze incredibili e indimenticabili. Ognuno di noi aveva una copia autografata! Era riuscito a sfondare grazie a un amica, Francesca, che il suo babbo lavorava per un giornale famoso e lo aiutò.
Quando era piccolo non se lo sarebbe mai immaginato! Infatti Cesare voleva diventare un autista di pullman perché gli piacevano quelli grandi, gli piaceva viaggiare e accompagnare le persone dove volevano. Poi però un giorno ci fu un incidente di autobus e Cesare lo vide, vide tutto e rimase sconvolto. Da quel giorno non volle più vedere un autobus.

C. G.: Dopo che tutti ebbero finito di parlare iniziai io: da piccola volevo fare l’addestratrice di cani, perché mi piacevano tanto, adesso vorrei fare la parrucchiera, perché mi piace pettinare le persone, oppure la zoologa, perché mi piacerebbe studiare gli animali e i loro comportamenti.

C. N. B.: Dopo di lei parlò C. N. B. e disse che lei quando era bambina voleva fare la guardia forestale o l’insegnante. Infatti le piaceva stare a contatto con la natura e gli animali ma le piaceva anche guidare i bambini nella scoperta delle cose. Da grande la sua idea sul lavoro non era cambiata : voleva sempre fare la guardia forestale o l’insegnante, soprattutto la guardia forestale perché lei da piccola abitava in campagna e i ricordi di quei luoghi le tenevano sempre compagnia.

D. L.: Tutti scrissero che lavoro volevano fare da piccoli quando erano in 4 Z e perché e poi che lavoro facevano ora e se l’avevano cambiato o no, e perché. Daniele scrisse che voleva fare il geologo, e voleva farlo perché in 4 la maestra gli aveva raccontato molte storie su geologi e il lavoro gli era sembrato affascinante. Poi scrisse che lavoro faceva ora e scrisse che non aveva cambiato il suo lavoro dei sogni cioè fare il geologo, non lo cambiato perché aveva letto molti libri e articoli su di loro. Quando ebbero finito tutti si scambiarono i fogli e si divertirono tutti insieme a leggere le cose degli altri.

E. Z.: Sono passati 20 anni e mi sono laureata. quando ero piccola volevo diventare un’archeologa, perché mi piaceva avere tutti gli attrezzi. Per riscoprire i reperti archeologici di civiltà vissute prima di noi, ma crescendo o cambiato idea, da grande voglio fare la dottoressa per aiutare tutti quelli che soffrono molto.
Ma ero dubbiosa, ho fatto passare 2 mesi, ma intanto stava scoppiando una epidemia in tutto il mondo e da lì mi sono decisa a diventare dottoressa per salvare tante vite.

F. A.: Si alzò Filippo e iniziò a parlare : Quando ero bambino, sognavo di diventare uno yuotuber, cioè quelle persone che parlano alla gente tramite computer, era una cosa meravigliosa, a me piaceva tantissimo.
Durante gli anni, avevo risparmiato la paghetta, i soldi dei compleanni e di Natale ed ero riuscito a comprarmi tutta l’attrezzatura: un computer gigante, telecamere, persino la poltrona da gaming degli youtuber.
Dopo aver finito le medie, dovevo scegliere la scuola adatta per avere un futuro e, con mia mamma, siamo andati a visitare una scuola a Grosseto, tutta impostata su computer e informatica. Mi sono innamorato della scuola, perché pensavo che potevo realizzare la mia passione, diventare youtuber.
La scuola mi piaceva, perché oltre ad insegnarci come usare il computer, ci facevano lezioni anche per costruire e accomodare i computer.
Alla fine della 5° superiore, ho deciso di prendere una specializzazione e sono diventato uno dei più grandi tecnici dei computer e spesso lavoro anche all’estero.
Ma non ho lasciato la mia passione di youtuber, anche oggi oltre al mio lavoro, come hobby faccio quello.

F. P.: Dopo aver finito la scuola superiore ho cominciato a lavorare insieme a mio padre nella sua agenzia immobiliare. Avevo imparato ad usare il computer e questo mi è stato di aiuto. Da piccolo volevo fare il calciatore perché mi piaceva lo sport ed essere famoso.

G. F.: Arrivò il turno di Luna che disse: “io da bambina volevo fare la veterinaria perché mi piacciono gli animali, ma poi ho pensato che non volevo vederli soffrire e allora ho scelto l’egittologa e infatti ora sto lavorando per diventarlo, perché mi sono sempre piaciuti i misteri dell’antico Egitto.

G. P.: Io da piccolo volevo fare il poliziotto, perché arrestavo i criminali e facevo giustizia! Però non è andata proprio così perché ora faccio il pizzaiolo e mi piace molto, perché dopo aver finito di lavorare faccio cena al mio ristorante mangiandomi una bella pizza con le patatine e i würstel.

G. T.: Come I. C. tutti dissero quello che avrebbero voluto fare da piccoli e quello che fanno ora. Dopo che molta gente ebbe parlato, venne il turno di Gaia, che iniziò a raccontare “Da piccola mi sarebbe piaciuto fare la zoologa perché amavo gli animali come ora. Ma divenuta grande ho cambiato idea, perché per fare la zoologa bisogna studiare moltissimi anni e poi questo lavoro avrebbe occupato molto tempo della mia vita quotidiana. Così ho deciso di fare l’addestratrice di cani da ricerca e soccorso, un lavoro dove devo aver sempre a che fare con gli animali, ma molto meno impegnativo.
È da pochi giorni che pratico questo lavoro e sto cercando di addestrare un cucciolo. Insegnarli le cose e vedere che le impara mi da molta soddisfazione e poi é così carino che ho deciso di adottarlo.”

I. B.: Poi fu il turno di Irene, disse che da piccola voleva fare la designer di mobili e così si realizzò il suo sogno, anche perché era da quando aveva 4 anni che lo voleva fare, così si impegnò molto negli studi e andò all’università a Milano. Il suo lavoro le dava molte soddisfazioni che la ripagavano dei sacrifici fatti per studiare. Irene aveva una passione anche per il disegno; nel tempo libero disegnava molto e si dedicava a creare fumetti anche di parodie di canzoni. Questo era il suo hobby. Irene era molto soddisfatta dei suoi traguardi.

I. Z.: Io mi chiamo Ismaele e da piccolo volevo salvare gli anima, perché mi piacciono gli animali. Io da grande voglio fare il carabiniere, perché non mi piace che la gente faccia come gli pare.

L. F.: Da piccolo mi piaceva molto il pompiere, ma ora mi piace il giardiniere, perché si imparano molte cose sulle piante. Non è il lavoro né di mio papà e né di mia madre, mi sono laureato in erbologia per fare un bell’orto e mangiare i frutti a km 0.

M. B.: Mattia disse: “io da quando avevo 5 anni avrei voluto fare il calciatore, ma ora che sono più grande mi piacerebbe fare lo youtuber per far divertire e far imparare le persone che guardano i miei video.

M. M.: Si mise a parlare Marco: “io da piccolo volevo fare il calciatore, perché ero già bravo e anche perché mi piaceva tanto. Ora però voglio fare ľastronauta, perché voglio esplorare la spazio lontano e anche vedere esplosioni di stelle nane per raccogliere dei pezzi della stella.

M. M.: Poi fu il turno di Melissa, iniziò a raccontare della sua passione più grande che aveva fin da bambina, accudire e curare gli animali. Nel periodo della quarta elementare Melissa viveva in un meraviglioso podere in campagna con la sua famiglia. Ogni mattina si alzava presto per andare a dare da mangiare a tutti i suoi animali, in compagnia del suo babbo. Le occasioni per mettere in pratica la sua passione non mancavano, tipo un uccellino con l’ala rotta che dopo le sue cure tornava a volare, un riccio ferito dalla ruota dell’automobile che con le sue terapie si rimetteva presto.
Ma l’episodio che le fece capire che quello sarebbe diventato il suo lavoro, fu quando la sua vicina, disperata, si presentò con Lola, la sua cagnolina che non riusciva a partorire e Melissa, con sangue freddo, riuscì a farle fare otto bellissimi cuccioli. Raccontò che il suo sogno, con tanta determinazione e tanto amore, si era avverato, infatti era diventata la veterinaria del suo paese.

N. S.: Poi alla fine toccò a Noemi; però non si ricordava tanto bene e così ci pensò e ripensò, e alla fine disse: “ah, ora ricordo, da piccola volevo fare la scienziata perché con le cose che inventavo facevo tantissime cose per diminuire l’inquinamento. Invece io lavoro in un ristorante in campagna ed è mio! Il nome del ristorante è Ristorante da Noemi, verdure fresche fresche, per tutti voi.
Faccio la cameriera e il capo del ristorante. Lo faccio perché mi piace dare da mangiare alle persone e poi per le persone meno fortunate gli diamo il cibo gratis, perché non voglio che le persone muoiono per non aver mangiato o bevuto.

P. B.: Pietro fin da piccolo avrebbe voluto fare grandi cose come fare il giro del mondo in un mese oppure trovare Atlantide. Ora è il presidente di Asux, la sua società leader mondiale di teletrasporto di merci.

R. B.: Era il turno di Riccardo e lui disse che da bambino voleva fare l’ingegnere informatico perché gli piacevano i robot e voleva imparare a costruirli. Aveva studiato per tanti anni e si era iscritto all’università di Ingegneria informatica di Roma. Siccome gli piaceva tanto giocare a calcio se il pomeriggio non finiva di studiare, la mattina dopo, prima di andare a lezione, si svegliava all’alba per finire. Un giorno decise di iscriversi a un concorso di inglese, se avesse vinto sarebbe andato in Inghilterra a studiare la lingua inglese gratis. Riccardo vinse il primo posto e andò nel Galles dove cominciò la scuola e si fece nuovi amici che come lui amavano il calcio e giocavano nel Manchester City. Un giorno, mentre Riccardo faceva una partita con gli amici al campo sportivo, passò di lì il mister della famosa squadra Manchester United e lo vide giocare. Il mister gli disse che era molto bravo e che nella sua squadra mancava un attaccante. Gli chiese se voleva entrare nella squadra e lui accettò. Riccardo aveva abbandonato l’università per realizzare il suo sogno, giocare nel Manchester United.

S. B.: Ciao mi chiamo Jonesy e quando ero piccolo volevo fare il pompiere perché mi piaceva salvare i gattini che si arrampicavano su gli alberi. Ma ora che ho 25 anni sono un calciatore perchè mi piace tirare calci a un pallone. Però se non potrei fare il calciatore vorrei fare l’inventore di videogiochi, però grazie alla mia paghetta il sabato di solito lavoro con la Epic Game.

V. R.: Viola disse che da piccolina voleva fare l’agente segreto, ma poi un giorno vide un programma sugli agenti segreti dove uno veniva ucciso da un criminale e da quel momento non volle fare più l’agente segreto. Allora quando si fece più grande iniziò a pensare a quanto gli piacevano i gioielli, da quando era piccola gli piacevano molto perché aveva un gioco dove si dovevano fare degli anelli con sopra brillantini e gemme finte. È per questo che adesso studiava in una scuola specializzata per diventare orafa e il suo sogno era fare i gioielli più belli del mondo.

EPISODIO 7
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Un altro anno era trascorso e le ragazze e i ragazzi della 4° Z si preparavano al loro incontro annuale. Quest’anno sarebbe stato diverso dagli altri, il terribile virus che stava sconvolgendo il mondo impediva di incontrarsi come sempre, perciò l’appuntamento era sulla piattaforma Nica 4. Senza gli abbracci e il tintinnio dei bicchieri non sarebbe stata la stessa cosa, ma non avrebbero rinunciato per nessuna ragione al mondo al loro incontro.
Mancavano 10 minuti all’ora stabilita quando i display dei 25 telefoni si illuminarono come se fossero uno solo. Era la maestra che chiedeva di collegarsi, aveva bisogno di aiuto. Non ce ne fu una, né uno, che esitò, pochi istanti e tutti furono nella sala d’incontro virtuale.
La maestra fu come al solito molto diretta: il virus stava mandando all’aria il sogno di una vita delle sue cinque figlie. C’erano voluti anni di lavoro e di sacrificio per mettere assieme i soldi per comprare l’albergo più bello di Pinnacoli Pendenti e adesso tutto sembrava destinato a fallire. La paura delle persone, le frontiere chiuse, gli aerei che non volavano, i turisti che non arrivavano: come può vivere un albergo in queste condizioni? Bisognava inventarsi qualcosa per superare la paura e le difficoltà, e bisognava farlo presto.
“Per questo ho pensato a voi”, disse la maestra, “sono convita che con il vostro affetto, la vostra intelligenza e la vostra creatività sarà meno difficile trovare delle soluzioni. Che dite”, concluse, “potete darci una mano?”.
Il sì fu così forte e convinto che la piattaforma rimbombò come i muri di una vera casa; decisero che ci avrebbero pensato su per un giorno intero e la sera successiva ognuno sarebbe arrivato con una o più idee.

A. C.: Anna voleva che nell’albergo di Pinnacoli Pendenti ci fosse in ogni stanza dei disinfettanti, guanti, mascherine per la sicurezza e tutto l’albergo pulito e disinfettato, così le persone non avevano piu paura.

A. S.: Sakura pensò e scrisse: prima che venisse il cliente chiedevano come la volessero la stanza, l’unica cosa uguale era un grande cinema. C’erano letti a castello, a soppalco, singoli e matrimoniali. Poi c’erano balconi grandi, un giardino curatissimo. Poi il personale sapeva ogni lingua del mondo e sapevano anche la lingua dei segni. Venivano serviti piatti da ogni dove! E c’erano delle vasche idromassaggio e delle animatrici per i bimbi.

B. B.: Ma il sogno delle cinque figlie della maestra Irene non era distrutto, perché l’hotel di Pinnacoli Pendenti, da quanto era lussuoso, aveva delle ruote enormi. Quindi l’hotel andò a prendere tutti i turisti, così tutti furono felici e le cinque figlie della maestra nemmeno ci credevano-

B. D.: Ma il sogno delle cinque figlie della maestra Irene non era distrutto, perché l’hotel di Pinnacoli Pendenti, da quanto era lussuoso, aveva delle ruote enormi. Quindi l’hotel andò a prendere tutti i turisti, così tutti furono felici e le cinque figlie della maestra nemmeno ci credevano.

C. C.: Il giorno dopo, quando si trovarono, ognuno disse le proprie idee. Cesare disse che secondo lui l’hotel doveva avere una zona per gli animali domestici, perché altrimenti chi aveva dei cani o dei gatti non sarebbe potuto venire. La zona doveva avere tante ciotole con cibo e acqua e tanti giochi per i piccoli amici. Non solo! Disse anche che l’hotel doveva avere una grande piscina con sanificazione automatica e si aspettava tempo, per singoli, per coppie e per famiglie. Così non c’era pericolo del virus, si poteva mantenere la distanza di sicurezza.

C. G.: Il giorno dopo, quando tutti erano dentro la piattaforma, si inizio a scrivere in chat: la mia idea era di fare un’area riservata alle famiglie con due figli, per avere più spazio, invece quelle con meno componenti avrebbero avuto uno spazio più ristretto. Ogni famiglia aveva un ombrellone e un pezzo di mare riservato, la linea che delineava il pezzo di mare era fatta di boe, ogni pezzo era a due metri di distanza.
Ogni camera aveva: sapone, salviette, fazzoletti e disinfettante per le mani. Noi tutti eravamo convinti che in questo modo, la gente sarebbe tornata. Questa idea era perfetta e la maestra andò subito a prendere l’occorrente per disegnare il progetto, la maestra andò a farlo vedere a sua figlia, ma secondo lei mancava qualcosa, mancava la piscina, in cui si poteva fare tutto quello che si voleva, perché il cloro disinfetta. Abbiamo disegnato di nuovo il progetto, e lei aveva detto che era bellissima, così chiamò gli operai che iniziarono i lavori, il giorno dopo arrivarono anche le boe e in due giorni era tutto sistemato. Dopo un mese aprì, e moltissima gente venne per la sua bellezza ed la suo igiene.

C. N. B.: La sera successiva si presentarono tutti in perfetto orario. Cominciò Carlotta che disse che secondo lei per essere più sicuri, in ogni stanza dell’albergo ci sarebbe dovuta essere una piccola area per cucinare e sedersi a tavola, dove i clienti avrebbero potuto prepararsi i pasti. Sarebbero state fornite anche delle ricette tipiche del posto. In camera le famiglie con i bambini avrebbero trovato delle mascherine lavabili e riutilizzabili sulle quali si sarebbe potuto disegnare. Alcune camere sarebbero state provviste di grandi terrazzi attrezzati con sdraio e tavolini per mangiare e tende da sole. Visto che l’albergo si trovava nella campagna vicino al paese di Pinnacoli Pendenti, alle camere senza balcone sarebbe stato assegnato uno spazio privato nel grande parco dell’albergo, provvisto di sdraio, ombrelloni, teli ombreggianti e spazi-gioco con la sabbia per le famiglie con i bambini. D’estate sarebbero state fornite anche delle piccole piscine gonfiabili dove rinfrescarsi e giocare. Nelle aree comuni dell’albergo sarebbero stati posizionati dei distributori di gel disinfettante e cartelli con le regole da rispettare per evitare assembramenti.

D. L.: Daniele pensó a come poteva rendere il più accogliente possibile l’hotel, per farci venire più persone possibili, e scrisse che secondo lui sarebbe stato necessario mettere delle mascherine in ogni camera rispetto a quante persone ci stavano, poi visto che anche dopo il virus non si puó stare vicini, metterebbe un piccolo giardinetto in ogni terrazzo, così la famiglia che stà li non sta a contatto con le altre persone.
Poi avrebbe fatto in modo che gli albergatori portassero ai bambini, direttamente in camera, la colazione, il pranzo e la cena e invece i genitori andavano a prendere i pasti.
Poi scrisse che l’hotel doveva essere a due o tre piani.

E. Z.: La maestra Irene aspettava le risposte dei ragazzi e ragazze della 4 Z.
Il giorno dopo le risposte erano pronte, si sono collegati sulla piattaforma mica 1, si sono dati baci e abbracci dallo schermo e hanno iniziato a dare le risposte.
Marta disse di fare servizio in camera cosi la sala non si sarebbe affollata. Daniele disse di fare una stanza per massaggi e tatuaggi, e sarebbe entrato 1 a 1 e dopo aver finito di sanificare tutto. Sara voleva anche la macchina delle granite fai da te con sciroppi alla frutta. Eva una piscina con scivoli altissimi ad acqua, e salire 1 ad 1 e sanificarla con il cloro. E poi avere anche spazzi verdi per le famiglie con bambini, per fargli giocare e per fare pic nic e grigliate, per non fare sempre i pasti in camera.

F. A.: Filippo ci pensó tutto il giorno e tutta la notte, poi ad un certo punto gli venne una bellissima idea, anche se era mattina presto, prese il telefono e chiamó Irene, la proprietaria del negozio di giocattoli “Irene e la bottega del nonno”.
Le spiegó la situazione dell’albergo delle figlie della maestra e gli propose un accordo, Irene fu felicissima di aiutare.
Arrivò il momento del collegamento, Filippo prese subito la parola e disse: Ho un idea per attirare le famiglie con bambini, ho proposto ad Irene di donare ad ogni bambino e bambina un suo gioco se trascorreranno la vacanza nell’albergo, ed Irene è felicissima di aiutare.

F. P.: Io avrei pensato a una piscina con alľentrata delle docce con acqua disinfettata e nella piscina entrano poche persone alla volta. Avevo pensato a un ristorante dove alľ entrata devono mettersi la mascherina i guanti e copri scarpa con una sala ď’aspetto con libri e tablet che vengono disinfettanti subito dopo ľuso di un cliente. Poi una sala massaggi dove possono entrare pochi alla volta.

G. F.: Il mio albergo non deve avere nulla di speciale, io lo vorrei semplicemente come era prima, con solamente un sistema di pulizia e di ordine un pò più approfondito, disse Luna.

G. P.: Le figlie della maestra potrebbero fare, con i loro colleghi di lavoro, dei gruppi dove i turisti si collegano su nica 4, alcuni di sabato alle 16:30 e altri lunedì alle 14:00, perché visto che non potevano vedere l’albergo di persona lo vedranno tramite video chiamata

G. T.: Tutti dettero dei buoni consigli alla maestra, come quello di Gaia che disse: “Il numero dei clienti dovrebbe limitarsi a sole 15 famiglie. Le stanze dove andranno saranno santificata con prodotti biologici, ogni volta che viene un’altra famiglia. La colazione tutti insieme non ci sarà più, e una persona dovrà portare un vassoio con il latte, i biscotti e i dolci nellingresso della stanza, con guanti e mascherina, e dovrà stare a tre metri di distanza dai clienti.”
I consigli di tutti aiutarono molto la maestra e le sue cinque figlie, che misero in atto tutto ciò che era stato detto. Così quando si poté andare in vacanza, molte famiglie scelsero quell’ hotel e le figlie della maestra non andarono in bancarotta ma continuarono a lavorare felici.

I. B.: Irene ci pensò tutta la notte, non dormì nemmeno, poi le venne un’idea e telefonò a suo padre che aveva un agriturismo e gli chiese come fare. Lui rispose che bisognava fare una bella pubblicità in cui si diceva che tutta la struttura era sicura grazie alla sanificazione di tutti gli ambienti e che i clienti, una volta arrivati, avrebbero trovato mascherine gratis, ovviamente personalizzate!
Anche gli ambienti della piscina e l’area bimbi sarebbero state sicure. Gli ombrelloni e le sdraio intorno alla piscina erano ben distanziate e l’area gioco bambini sarebbe stata ampliata per permettere ai bambini di divertirsi in sicurezza. Irene appuntò tutto subito, poi le venne in mente la “Bottega del nonno” e provò a chiamare Egidio. Irene disse:” Ciao Egidio, siccome la maestra ha un problema con l’hotel, tu che sei laureato in medicina, potresti suggerirci a chi affidarci per fare l’igienizzazione in modo perfetto?” Egidio rispose subito di si. Così con l’aiuto di Egidio venne fatta l’igienizzazione; la maestra fece una grande pubblicità e molti clienti scelsero proprio la sua struttura per la sicurezza d’igiene offerta e furono molto felici e sicuri.

I. Z.: L’hotel di Irene era stupendo ma per via del corona virus nessuno ci andava. Allora Irene decise di mettere più sicurezza nel suo hotel e comprò guanti e mascherine. Il sindaco gli dette un po’ di soldi da mettere da parte per comprare il necessario. Le camere erano singole allora Irene decise di riaprire l’hotel. La gente prenotava da tutto il mondo. Quando arrivavano gi ospiti avevano in dotazione mascherine e guanti. I ciienti erano contenti di essere in un hotel a 5 stelle. Quando il corona virus fini c’era anche più gente. Allora il sindaco decise di onorare l’hotel di Irene e divenne il più famoso del mondo.

L. F.: La sera dopo Leonardo propose di costruire una piscina con acqua di mare per fare le cure termali, le stanze avrebbero avuto il servizio in camera e la sera, per intrattenere i più piccoli, una play station per giocare. La colazione per bambini era a base di hot dog, wurstel, patatine e poi bomboloni, brioche cappuccini e estathe’, tutto fatto in casa con prodotti a km 0.

M. B.: I ragazzi della 4° Z pensarono che l’albergo dovesse adottare tutte le misure di sicurezza cioè: all’entrata dell’albergo ci sarà su un tavolino dell’amuchina per lavarsi le mani, uno spray per le suole delle scarpe, guanti e mascherine con lo stemma dell’albergo e in più un robot che misura la temperatura.
Ogni persona dovrà stare almeno a metro di distanza e quando sarà l’ora dei pasti, verranno serviti fuori dalla porta della camera.
Ci dovrà essere una pubblicità per fare sapere alla gente che l’albergo prende tutte le misure di sicurezza per far stare i clienti più tranquilli.

M. M.: Marco aprì il microfono e disse: “Maestra ho un idea!”
Tutti e soprattutto la maestra erano interessati ad ascoltare Marco.
“Per me ogni tua figlia dovrebbe avere un ruolo. Giada potrebbe accompagnare i turisti nelle camere e fargli trovare il kit per investigare sulla caccia al cibo o meglio super pranzo goloso, a questo gioco bisogna trovare il primo indizio per poi trovare gli altri indizi e ľobbiettivo finale è trovare il tesoro sparso per la città. Poi Elisa potrebbe gestire un memory della città, che funziona come il memory solo che lei da una carta con un disegno di un oggetto e poi i turisti vanno a cercare ľoggetto vero sparso per la città, questo per me è molto bello. Poi Martina potrebbe gestire un mini luna park. Poi Emma potrebbe gestire una biblioteca, così i ragazzi, i bambini e gli adulti stranieri possono studiare le tradizioni della la città. Infine Celeste potrebbe gestire un’agenzia alľinterno delľ hotel per far conoscere le attrazioni principali.

M. M.: Melissa si mise subito al lavoro e iniziò a pensare quale fosse la soluzione più giusta per far andare le persone all’albergo. Le venne un’idea, propose alla maestra di far portare i pasti nelle camere,invece di tenere aperto il ristorante per evitare il contatto tra i clienti, così che la gente si sentisse più tranqulla ad andare nell’albergo delle sue figlie.

N. S.: Allora i visitatori staranno in pensiero se non facciamo qualcosa; quindi dovrei fare un progetto. Per la piscina, metteremo delle sbarre di ferro per separare le persone, poi se lo prenoteranno e quello sarà per 20 minuti la sua metà di piscina. Invece per il mini club, metteremo un po’ di tempo di giochi singoli e un po’ di giochi insieme come nascondino e l’orologio mangione. E per i ristoranti, busseremo e porteremo la cena, pranzo e colazione. Per la Spa compreremo sedie e letti che ti faranno i massaggi! E per le escursioni ho inventato the family excursion. Poi faremo una sorpresa alle famiglie, li porteremo a vedere i fuochi d’artificio e una bellissima passeggiata in un acquario. Così i visitatori saranno felici ma soprattutto non pensierosi.

P. B.: L’hotel sarebbe potuto diventare un ospedale dove accogliere i malati ed i loro familiari.

R. B.: Riccardo ci pensò su e mentre ci pensava passò dall’hotel a vedere come poteva aiutare le 5 figlie della maestra. Aveva tante idee e le unì tutte insieme. La prima fu quella di comprare un termometro laser da mettere all’ingresso dell’hotel. I termometri laser erano una delle migliori tecnologie del mondo e si potevano comprare in ogni nazione, il solo problema era quello che costava tanti soldi, ma lui pensò che lo potevano costruire da soli.
La seconda idea era quella di mettere a ogni persona che entrava un braccialetto per la distanza; quando qualcuno si avvicinava troppo a un’altra persona diventava rossa e quando eri abbastanza lontano era verde.
La terza idea era la pulizia automatica: quando qualcuno usciva dal bagno si puliva da solo, era come una pistola antibatterica. Funzionava diversamente con i divani dell’albergo, la pistola mangiava tutto quello che era appoggiato, come i pop corn e i batteri ma non mangiava le cose importanti, come un libro dell’università.
La quarta idea era quella della pubblicità su internet e sulla tv, dove un video faceva vedere l’hotel con un cartello con su scritto: “il primo che prenoterà una vacanza avrà uno sconto del 50%!”
Le idee vennero scelte tutte e 4.

S. D.: La maestra chiese a tutti che lavoro facevano e per fortuna c’erano tre ingegneri. Grazie all’aiuto di tutti, riuscirono a costruire una porta che, se ci passavi, ti diceva se eri malato di corona virus, Dentro l’albergo c’era anche un sapone speciale che automaticamente toglieva il virus. Quindi i turisti potevano tranquillamente andare a passare le loro vacanze in questo albergo di Pinnacoli Pendenti.

V. R.: La sera dopo Viola disse che aveva pensato alcune idee per aiutare le figlie della maestra Irene: le camere dovevano essere belle e particolari con una tv supertecnologica con tanti canali, videogiochi e film in tutte le lingue del mondo.
I bambini e le bambine dovevano trovare un gioco sul lettino a seconda dei loro gusti, così come loro stessi avevano scritto su un questionario che avevano compilato al momento della prenotazione.
Dalla camera si poteva direttamente accedere alla Spa, che era super lussuosa e privata per ogni famiglia, così da non rischiare nessun contagio. Ogni camera aveva un parco gioco privato, recintato, grande e pieno di giochi straordinari con cui giocare con la famiglia.

EPISODIO 8
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La maestra Irene non aveva voluto sentire ragioni, la festa della 4° Z del primo anno dopo il virus si sarebbe fatta nell’albergo delle sue figliole.
“È il minimo che possiamo fare”, aveva detto, “vedrete che sarà una festa bellissima, con tanti dolci e giochi e una sorpresa finale”.
La festa fu davvero la più bella di sempre e al momento dei saluti la maestra regalò a tutti una bella scatola di cartone come quelle che si comprano a Natale per fare i regali, compreso il coperchio e il nastro rosso.
Sorpresa aveva detto e sorpresa fu, perché le ragazze e i ragazzi non capivano bene che cosa ci dovessero fare con quella scatola vuota.
“Ci mettete le cose per voi più preziose, quelle a cui tenete di più”, disse la Maestra. “Le scrivete sui fogliettini tipo quelli che usavamo a scuola, insieme al perché le avete scelte, poi alla festa del prossimo anno leggiamo i fogliettini tutti assieme”.
L’anno dopo …

A. C.: Anna aveva scritto in due fogliettini. Nel primo scrisse: “mi manca la mia nonna e la mia zia perché non le vedo mai durante la quarantena e le voglio molto bene”. Nel secondo bigliettino scrisse: “mi mancano i miei amici e perché non li vedo quasi mai”.

A. S.: L’anno dopo, quando la bellissima festa finì, i ragazzi e le ragazze aprirono le scatole. Sakura appena aprì la sua vide scritto nei biglietti: i miei manga, perché con loro ho passato la mia infanzia, le elementari; mia sorella Mei, perché quando io ero giù lei mi tirava su; Penelope, il mio unico ricordo di una mia zia morta. Sakura si commosse così tanto da far uscire dai suoi occhi l’oceano pacifico.

B: B.: L’anno dopo Benedetta dentro la scatola mise l’ amicizia, perché per lei è davvero preziosa . Disse : se tu stai mele un amico ti tira su di morale , se hai un problema un amico ti aiuta a risolverlo , poi con un amico mi diverto e ci scherzo ecco perché per me l’ amicizia è fondamentale e non ne potrei fare almeno . Benedetta scrisse questo nel suo biglietto.

B. D.: Il mio guanciale perchè cosi posso dormire molto bene.2. il mio diario di appunti così posso prendere appunti.3.il mio pallone da calcio perchè così posso giocare quando voglio. 4. il mio skateboard perchè mi piace andarci.5. la mia felicità perchè così posso essere felice in ogni momento.

C. C.: L’anno dopo, alla festa di fine anno scolastico, gli alunni di 4 Z aprirono i regali con i bigliettini dentro. Iniziarono da Anita, che scrisse una cosa bellissima, un pensiero sull’amicizia, voleva infatti che le sue amicizie durassero per sempre, dato che gli erano mancate. Giunse il mio momento, diventai rosso come un peperone ma cominciai a leggere. Nel mio bigliettino scrissi che la cosa a cui tenevo di più era il Museo Magma, perché c’era un’intervista del mio nonno che quando era giovane lavorava all’acciaieria, e raccontava come era lì il lavoro.
Il Museo Magma è un museo a 3 piani. Quando si scendono le scale, si gira a destra e si va dritto: ecco qualche suo video, è proprio di fronte al simulatore dell’altoforno dove i bimbi si divertono a provare ad accenderlo.
Ma c’era anche un’altra cosa che volevo portarmi dietro: il mare. Tutte le estati vado al mare, faccio il bagno e i castelli di sabbia, abbronzandomi sempre tantissimo. Per me il mare è come un angelo custode che mi protegge l’anima dagli spiriti cattivi, perché quando sono al mare mi sento in sintonia con lui.

C. G.: L’anno dopo la festa fu meravigliosa, Nelle scatole c’erano pensieri meravigliosi, ma anche di più strani, ma in fondo ognuno doveva scrivere quello che voleva. Alla fine della festa si raccontò di quando eravamo ancora in casa e non potevamo uscire. Avevamo fatto un patto, alla fine della festa tutti sarebbero ritornati a casa e avrebbehttps://vincenzomoretti.nova100.ilsole24ore.com/ro racconto la storia che avevamo raccontato a scuola.

C. N. B.: L’anno dopo tutti si ritrovarono all’albergo della maestra Irene. La prima ad aprire la scatola fu Carlotta e disse: “io ho scelto la gentilezza, la famiglia e l’amicizia”.
Ho scelto la gentilezza perché é bello essere gentili con le persone e aiutarle.
Ho scelto la famiglia perché la famiglia ti rende felice e ti dona tanto amore.
Ho scelto l’amicizia perché tutti hanno bisogno di un amico. Un amico può giocare con te fino allo sfinimento e questo è fantastico!

D. L.: L’anno dopo, quando arrivò il momento di raccontare cosa era stato messo nella scatola, Daniele iniziò a raccontare cosa aveva scritto sui foglietti l’anno prima. Iniziò con la compagnia, perché lui non starebbe mai da solo in una scatola vuota, il divertimento perché è una cosa indispensabile, il cibo perché ha sempre fame e qualche arredamento perché così starebbe più comodo. Alla fine quando ebbero finito tutti di raccontare si divertirono e giocarono tutti insieme.

E. Z.: L’anno dopo riapro la scatola e leggo tutti i miei pensieri.
Il primo è la famiglia, perché mi vogliono bene e non voglio rimanere sola.
Nel secondo l’amicizia, perché è una bellissima cosa e mi piace stare in compagnia.
Nel terzo la TV, così quando ci annoiamo guardiamo un bel film.
Nel quarto una tenda, perché così possiamo stare tutti sotto le stelle e dormire tutti insieme.
Il quinto pensiero è una roulotte con cucina per fare il mangiare per tutti.

F. A.: Alla festa fu il momento di aprire tutte le scatole e leggere il contenuto. Toccò a Filippo, che iniziò a leggere: “Un telefono, perché è molto importante per il mio lavoro e per non sentirmi lontano dai miei familiari. Un PC, da gaming per il mio hobby. E infine, ma non per ultima, mia sorella, perché le voglio bene e senza di lei non posso stare”

F. P.: La cosa più importante per me da portare in un viaggio sono i ricordi perché ti ricordano un posto in cui sei stato e quello che hai fatto oppure una cosa che ti manca e che ti piace.
Un ricordo ti ricorda con chi ci sei andato, con gli amici o con la famiglia. Ti ricordi quello che hai osservato se ti piaceva o no, ma a me piaceva molto ed è stato bello vedere cose storiche di una città antica.

G. F.: L’anno dopo si ritrovarono di nuovo tutti all’hotel della maestra, si salutarono e si misero in cerchio a sedere su delle sedie dopo tanti giri toccò a Luna che disse subito: famiglia, telefono, i miei gatti, i pattini e la musica e poi spiegò perché.
Nella scatola non posso non metterci la famiglia perché essa è quella che ti guida, ti fa vedere la luce quando tu vedi solo il buio, ti insegna, ti capisce e ti ascolta. Beh perché il telefono? Mi tiene un pò occupata quando non ho da fare nulla. I miei gatti perché senza di loro non farei nulla , i pattini perché mi piacciono e la musica perché mi guida da sempre.

G. T.: L’anno dopo si rifece la festa d’incontro. I ragazzi e le ragazze erano più emozionati che mai, perché finalmente avrebbero scoperto cosa avevano scelto di mettere nella scatola gli altri. Piano piano tutti parlarono e l’ultima fu Gaia che disse: “La prima cosa che ho messo nella mia scatola è la famiglia, perché senza l’affetto e l’amore della famiglia ti sentiresti troppo sola e perché ti sembrerebbe che una parte del tuo cuore se ne fosse andata. La seconda cosa che ho messo è l’amicizia, perché l’amicizia ti fa crescere, ti insegna a non giudicare gli altri e a diventare una persona migliore. La terza cosa che ho messo sono gli animali dei miei nonni, c’è un cane di nome Argo e 5 gatti: Milla, Nerino, Romeo, Liliac e un altro Romeo. Porterei loro perché ci sono molto affezionata, sono dolci e carini e il mio passatempo preferito oltre a leggere è quello di giocare con loro. La quarta cosa che ho messo è la felicità, perché la felicità ti fa diventare leggera, è come se facessi mille sospiri e voltarsi in alto, fra le nuvole. La felicità ti fa dimenticare gli sforzi per fare dei lavori, ma si concentra sul tempo libero ed è come se l’unica cosa che dovessi fare è divertirti, anche se fai lavori noiosi o che non ti piacciono. L’ultima cosa è il mio album dei disegni, dentro ci sono disegni anche di quando avevo 3 anni. Li porterei perché è un raccoglitore di ricordi, quando li guardo mi vengono in mente tante cose e mi emozionano e così posso accorgermi quanto sono cambiata, anche mentalmente, da quando ero piccola”.

G. B.: L’anno successivo, finalmente arrivò il momento di aprire i nostri famosi bigliettini con dentro le cose più importanti: 1) Doraimon il gatto spaziale, perché mi faceva ridere con la sua testa gigante; 2) la mia cara lana, il mio cane che purtroppo non ho più ma resterà sempre nel mio cuore, perché con lei ho trascorso i miei anni dell’infanzia; 3) la mia maestra dell’asilo dolcissima e gentile; 4) una bottiglia azzurra di profumo, che usava il mio nonno che purtroppo non ho più e che mi metto tutt’ora perché mi ricorda lui.

I. B.: Aprirono le scatole e lessero i foglietti. Irene lesse il suo biglietto: per me le cose più importanti sono la famiglia, gli amici, la nintendo switch, fogli e matite. La famiglia perché è la famiglia, gli amici per la compagnia, la nintendo switch perché è un bellissimo ricordo della sua carissima amica Alessia che gliela regalò e fogli e matite per disegnare, la sua passione. Poi quando tutti ebbero finito, si aprì la porta ed ecco che arrivarono tutte le persone a loro più care compreso lo staff della bottega del nonno e così fecero una grande festa.

I. Z.: 1) Tobia, perché è il mio cane. 2) Ala, perché è la mia tortora. 3) Furba, perché è il mio piccione. 4) Lucky, perché è il mio animaletto. 5) i miei amici, perché mi faranno compagnia durante il viaggio.

L. F.: L’anno dopo Leonardo lesse 4 bigliettini con su scritto: una bellissima pietra, perché l’aveva trovata lui; la sua prima bici, perché ci andava benissimo; i suoi primi pattini, perché gli ricordavano l’infanzia e quel robot che voleva tanto perché era l’ultimo modello. Poi aveva messo dentro anche una scatola di cioccolatini che offrì a tutti i suoi vecchi amici.

M. B.: L’anno dopo durante la festa riaprirono le scatole, e trovarono pensieri meravigliosi come chi voleva stare con la propria famiglia, chi voleva stare con i propri amici, chi voleva fortuna, chi voleva l’amore, chi voleva la ps4. Si raccontarono tutti perché avevano scelto queste parole e alla fine ci fu un grande applauso e si abbracciarono tutti. FINE

M. M.: Ľ anno dopo finalmente il grande giorno. Tutti si ritrovarono come sempre, questa volta al Parco Centrale, con musica, dolci e bibite a profusione. La maestra Irene richiamò i ragazzi per riaprire le loro scatole per leggere i bigliettini e scoprire le cose preziose che avevano raccontato. Tutti seduti a cerchio sul prato a turno iniziarono a leggere i loro pensieri delľ anno prima.
“Marco!”, esclamò la maestra, “tocca a te!”.
“Eccomi!”, Marco aprì il primo bigliettino. “I fumetti, perché li leggo sempre e mi fanno divertire! Il tablet, per rivederci in un mondo virtuale! La famiglia, per avere sempre compagnia e così non mi sento mai solo! Gli amici, per uscire di nuovo sempre protetti! La mascherina per proteggerci ľun ľaltro dal virus! E il pallone per divertirmi sempre e comunque!”
“Marco, queste cose sono sempre importanti per te?”
“Beh, certo! Tutti eccetto la mascherina perché il virus non ć è più. Evviva!

M. M.: Melissa, appena tornata a casa, si mise subito al lavoro. Scrisse: famiglia, per me la famiglia è tutto, perché mi sostengono e mi vogliono bene. Amicizia, per me l’amicizia è una cosa molto bella perché quando sei triste gli amici ti aiutano a farti passare la tristezza, loro fanno molte altre cose per aiutarti. Libertà, per me questa parola è essere liberi di fare quello che mi piace. Ho scritto tutte queste cose perché volevo far contenta la maestra, anche per aiutarla.

N. S.: I bambini, come ogni anno, andarono a scuola. Quando furono a scuola, la maestra disse: buongiorno cari alunni oggi, apriremo le vostre scatole, siete contenti?
I ragazzi e le ragazze fecero una fila lunghissima per vedere cosa ci avevano messo. Poi toccò a Noemi prese il bigliettino e lo lesse ad alta voce. Compagnia, famiglia, affetto, bilancia e gioia.
La compagnia l’ho scelta perché stare da soli è brutto, la famiglia perché è quella cosa per vivere in serenità, la bilancia perché è il mio segno zodiacale, l’affetto perché più affetto meno guerre e la gioia perché, con la gioia si hanno amiche, ci si vuol bene e per finire si affrontano i pericoli.

P. B.: L’anno dopo quando tutti si ritrovarono insieme ed aprirono le scatole fu una grande emozione. Pietro aveva messo una foto di famiglia che rappresenta le sue radici, una foto di classe perché con i suoi amici aveva trascorso tanti momenti belli e un gioco elettrico perché con quello si divertiva tanto.

R. B.: Riccardo aprì la sua scatola dove aveva messo: la PS4 e le cuffie per giocare con i suoi amici a Fortnite, le cuffie per parlare della sua giornata. Poi ci trovò il pallone e i guanti, il pallone per giocare a calcio con il suo babbo, i guanti per parare tutti i tiri, perché secondo lui quando li aveva parava anche quelli più forti senza farsi male. Poi ci aveva messo la maglia della sua squadra perché quando se la metteva sentiva che i suoi compagni erano sempre al suo fianco.

S. D.: Amicizia, perché è la cosa più importante. Famiglia, perché è la cosa più importante e ci rende forti. Cuscino, perché grazie al mio cuscino dormo bene e di solito il giorno dopo mi sento meglio. Coperta, perché grazie alla mia coperta calduccina mi addormento prima. Lavoro ben fatto, perché con il lavoro ben fatto puoi fare tutto.

V. R.: Viola si presentò con una scatola con 5 bigliettini. Nel primo c’era scritto amicizia, perché a lei piaceva molto stare con gli amici e se ne era accorta quando l’anno scorso il covid 19 aveva tenuto tutti i suoi amici in casa senza vedersi. Nel secondo c’era scritto amore, perché a Viola piaceva molto dare amore, e perché un mondo senza amore non avrebbe potuto esistere. Nel terzo c’era scritto famiglia, perché per lei era molto importante stare con la famiglia perché ci sostiene sempre e bisogna volergli tanto bene. Nel quarto c’era scritto salute, perché stare bene è la cosa più importante per passare una bellissima vita. Nel quinto c’era scritto felicità perché bisogna essere sempre felici e passare una vita meravigliosa.

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UN PERCORSO IN TRE PAROLE FIRMATO 4° A
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A. C.: Strano Bello Simpatico

A. B.: Produttivo Interessante Bello

B. B.: Bellissimo Fantasioso Divertente

B. D.: Bello

C. N. B.: Bello Divertente Ben fatto

C. C.: Fantasia Amicizia Divertimento

C. G.: Collaborazione Impegno Fantasia

D. L.: Collaborazione Felicità Impegno

E. Z.: Interessante Divertente Bellissimo

F. A.: Bello Fantastico Divertente

F. P.: Bello Fantasia Divertente

G. F.: Amore Logica Fantasia

G. P.: Indimenticabile Fantastica Divertente

G. T.: Importante Impegno Interessante

I. B.: Fatica Fantasia Lavoro ben fatto

I. Z.: Fantasia Divertente Bello

L. F.: Bello Curioso Interessante

M. B.: Bello Amore Fantasia

M. M.: Impegno Bellissimo Pensare

M. M.: Piacere Felicità Tempo

N. S.: Avventuroso Divertente Bellissimo

P. B.: Emozionante Divertente Bello

R. B.: Felicità Bellissimo Fantasioso

S. D.: Lavoro ben fatto Amicizia Famiglia

V. R.: Bellissimo Impressionante Indimenticabile