Giovanna, la terra, la mamma, Corbella

Caro Diario, come ti ho già raccontato Giovanna Voria l’ho conosciuta una bellissima sera di Maggio da Michele Croccia a La Pietra Azzurra. Tante persone belle del Cilento che fanno cose belle in Cilento, alcune le puoi vedere nella bella foto di Toni Isabella, che nonostante la stanchezza e anche la salute che non era proprio il massimo mi hanno fatto trascorrere una serata davvero indimenticabile.
La fortuna ha voluto che Giovanna e io capitassimo a tavola uno di fronte all’altra, e lo sai come faccio in questi casi, chiedo, domando, voglio sapere, e così ho scoperto dei ceci, dell’Agriturismo Corbella, di Cicerale, del fatto che Giovanna è Ambasciatrice della Dieta Mediterranea nel mondo e Ambasciatrice del Cilento e del carciofo bianco di Auletta, del cognome – Voria – che è tutto un programma perché nella lingua cilentana ‘a voria è il vento di tramontana, o forse il grecale, adesso non ricordo bene.
Sì, ho scoperto questo e tanto altro ancora, e ho chiesto a Giovanna di raccontarlo, lei giustamente si è presa il suo tempo e oggi – complice un piccolo incidente che l’ha costretta per qualche giorno all’inattvità – mi ha inviato quello che le ho chiesto.
Nell’ordine troverai perciò la storia di lavoro ben fatto di Giovanna, la dedica alla madre e due ricette tratte dal libro Cucinare con i ceci, il post che Giovanna ha scritto in occasione del 18° compleanno di Corbella e la riflessione che lei ha scritto il 10 Giugno e che io il giorno dopo ho pubblicato qui insieme a un po’ degli interventi che ha suscitato. Buona lettura.
P. S.
Magari lo sai e magari – come me prima che me lo scrivesse Giovanna – anche no, ma Corbella era l’antico borgo con il castello e la regina Isabella che Federico II distrusse. Successivamente, sul crinale della collina, nacque l’attuale paese, e visto che si coltivavano tanti ceci fu chiamato Cicerale, il paese dei ceci.

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QUESTA DI GIOVANNA È LA STORIA VERA
Caro Vincenzo, nel raccontarmi parto come mi hai chiesto da me e ti dico che amo fare tutto ciò che è creativo, cose come inventare, progettare, organizzare eventi, dipingere, andare a teatro, leggere libri, astronomia, ascoltare musica classica e leggera, compreso Renato Zero, perché sì, sono una sorcina.
Mi piacciono gli animali in generale, flora e fauna sono gli elementi che più mi si addicono, non metterei mai un pesce in un acquario, un uccello in una gabbia, un cane alla catena, ne violenterei la natura. Io ci parlo con le piante e gli animali, compresa Volpina, l’ultima frequentatrice abituale di Corbella, ci parlo perché penso che sentano le mie emozioni.
Amo viaggiare, da ragazza volevo fare la hostess sui voli di linea. Ogni volta che torno da un viaggio mi sento più ricca e stimolata a fare cose nuove anche se poi dopo un pò torna tutto come sempre o almeno sembra. 
Allo stesso tempo, però, stare troppo tempo lontano dalla mia terra, mi pesa, dunque faccio viaggi brevi, 10 giorni è il mio tempo giusto per non sentire nostalgia e caricarmi. Ho rifiutati lavori interessanti all’estero proprio perché non saprei stare mesi e mesi lontano da casa.
Sì, ho viaggiato abbastanza, ma viaggiare non basta mai. Ho visitato quasi tutta l’Italia, mezza Europa, un po’ di America del Nord. Ho cucinato a New York e in Canada. Ho fatto il Venezuela con la cucina cilentana nel mondo, e ti devo dire che lì ho trovati i veri italiani. Sono stata anche in Brasile al Carnevale di Rio, una volta nella vita va assolutamente visto. Sono stata due volte in Cile, percorrendo tutta la cordigliera delle Ande da Santiago a San Pedro di Atacama e i vulcani del Monte Tatio, la costa verso Val Paraiso, mentre mi manca la Patagonia. Il mio sogno però è l’isola di Pasqua, lì c’è Carolina, una ragazza cilena che abbiamo ospitato un anno con un progetto intercultura e siamo diventati una vera famiglia, abbiamo un legame forte, pensa che mi chiama mamma.
Ah, mi piacerebbe visitare Petra e tutta la Giordania, la Scandinavia fino a Capo Nord aspettando il sole di mezzanotte. A settembre ritorno a Lourdes a fare volontariato alle piscine e poi in Terra Santa, ma prima forse vado in Irlanda. Ho collezionato scatole di latta, angeli, liquori mignon, monete e pietre da ogni viaggio, per questo ho una casa che è un museo ma ogni collezione racconta le varie fasi di una vita e chi mi conosce dice che la mia casa parla di me. Mi fermo qui altrimenti faccio il giro del mondo, con la fantasia di sicuro.
Ho la passione del ballo, anni fa presi anche lezioni, i miei figli erano campioni di ballo e non volevo rimanere troppo indietro. Ballare mi piace ancora tanto anche se non posso più farlo a causa di un grave intervento che ho avuto alla schiena. Assieme al ballo mi manca tanto la pittura, che pure quella sono stata costretta a lasciarla per mancanza di tempo.
Conservo con cura tutti gli oggetti antichi e quelli che sono appartenuti alla mia famiglia. Rivivo con emozione la storia e le modalità d’uso quotidiano di ogni oggetto, mi aiutano a ricordare i momenti indimenticabili con le mie nonne Giovanna e Antonia, con mamma Angelina e papà Carmine, con mio fratello Giorgio e mia sorella Antonietta, insomma tutta la famiglia di origine. Mi piacerebbe fare un museo narrante che racconti  le stagioni dei contadini, i momenti quotidiani e quelli salienti.
Sono curiosa, mi piace sapere cose che mi arricchiscono, e forse possiedo anche un po’ di sana ambizione, conoscere e apprezzare anche i modi di fare degli altri senza mai essere invidiosa penso che sia una ricchezza.
Non sopporto le telenovelas, la politica, vagare per negozi, sprecare tempo. Non tollero l’ipocrisia, le bugie, le urla. Non seguo la moda ne spenderei cifre per mettere poche volte un capo, sono piuttosto per le cose concrete. Non seguo lo sport, a volte i mondiali.
Mi caratterizza la semplicità, la lealtà, la spontaneità, sono determinata ma so anche perdonare, difficilmente mi arrabbio ma le rare volte che è successo è perché hanno offeso troppo i miei sentimenti e in quel caso sono diventata una belva.
L’altruismo mi cattura molto poiché mi dedico anche abbastanza al sociale, anche con serate gastronomiche e aiuto ai disagiati. Credo in Dio e sono praticante nonostante sia la sola in famiglia a farlo; invidio un po’ quelle famiglie al completo che frequentano. Prima credevo per tradizione poiché mia mamma ci portava sempre in chiesa, poi dopo un periodo di crisi quando si ammalò mia madre mi allontanai, lottai e dopo 8 anni la mia fede prese una forma diversa e penso che oggi sia più forte. Sono ministro straordinario per l’eucarestia, sono presidente del comitato della mia parrocchia, una piccola chiesa che ho voluto e costruito quasi 30 anni fa in un casello ferroviario e organizzo la festa della Madonna della Pace ogni anno. Ho lottato tanto per la mia famiglia acquisita a volte anche annullandomi ma i miei figli Eliana e Luca sono la migliore opera che io abbia fatto e li amo più della mia stessa vita.

Il lavoro che faccio mi piace e mi gratifica anche se è pesante e stancante, in special modo per le mie precarie condizioni di salute. La terra ti spacca la schiena ma la felicità di vedere crescere e raccogliere i frutti del tuo lavoro non si può capire se non lo vivi.
Seguo il calendario delle stagioni e ogni giorno c’è tanto da fare, anche se piove, se nevica o ci sono 45 gradi, forse per questo chi vive la terra o la odia o la ama. Io per fortuna la amo tanto anche se involontariamente lei ne approfitta e mi sfrutta. Penso che se ami la terra non hai bisogno dell’analista perché stare a contatto con la natura ti dà emozioni continue, indescrivibili. Il lavoro nei campi è faticoso ma senza quello non c’è storia né vita, non saprei cucinare, non potrei avere un ristorante dove arriva tutto inscatolato, non lo sentirei mio.
Quando arrivo in cucina mi diverto, porto i prodotti che io stessa ho coltivato e raccolto e con pochi ingredienti – prodotti di qualità cucinati il più semplice possibile, un buon olio extravergine di oliva, tanto amore e fantasia – fai un bel piatto della salute. I miei non saranno mai piatti stellati ma di sicuro sono ricchi di amore e di salute.

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Il lavoro di mio padre non si può definire, si adattava a fare tutto, il Cilento era povero e se non possedevi l’arte dell’arrangiarti ti puzzavi di fame. Faceva il muratore, la notte andava alla fornace a cuocere le tegole e i mattoni o a stemperare calce o a fare i catuozzi di carbone. Nel suo periodo  potava gli alberi e i vigneti nostri e quelli di quasi tutto il paese. Ammazzava e lavorava i maiali nel paese in cambio di un pezzetto di fegato e una tazza di sanguinaccio. Faceva il boscaiolo e squadrava le terre per nuovi impianti di alberi come vigneti, uliveti e ficheti. Lavorava nei nostri campi, seminando tutto ciò che serviva alla famiglia, coltivava l’orto con precisione estrema, essendo molto pignolo e ingegnoso. Papà era molto padre padrone, un uomo del Sud che temevo e amavo. A quei tempi si andava in Germania e in Svizzera ma visto che lui con il suo saper fare riusciva sempre a portare la giornata a casa non emigrò mai.

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Fu mia madre che partì per le risaie del Vercellese per fare la mondina perché da noi le donne non trovavano mai lavoro se non nei propri campi.
Mamma è stata una grande lavoratrice, avevamo comprato un pezzo di terra che pagammo 700 mila lire, per anni pagavamo solo gli interessi. Con il suo lavoro mia madre dopo ogni campagna di riso portava 100 mila lire e in 7 anni pagò il terreno. Andò via per 10 anni, la prima volta avevo 14 mesi, quando ritornò non volevo andare da lei, non la riconoscevo.
A 5 anni avevo capito che mamma arrivava dalla mietitura alla pisatura del grano e quando iniziavamo a mietere il grano per me era festa perché capivo che si avvicinava il suo arrivo. Quel giorno invece eravamo arrivati alla pisatura con i buoi e mamma non era ancora arrivata. Io giravo con i buoi sull’aia e guardavo speranzosa verso il paese, ad un tratto riconobbi il suo copricapo bianco che camminava poiché il muretto copriva parte del corpo. Lasciai i buoi e gridando a squarciagola il suo nome corsi su per la collina ad abbracciarla.
Tornate sull’aia entrambe felici mentre giravamo con i buoi, mio fratello di 15 anni ci scattò una foto (lui da adulto ha fatto anche il fotografo), per me è un ricordo indelebile.
In quegli anni cominciò la richiesta di braccianti agricoli nella Piana del Sele e mamma non andò più alle risaie ma alla piana. Partiva la mattina alle 5 poiché attaccavano a lavorare alle 7 e quando tornava la sera continuava a lavorare con il chiarore della luna nei nostri campi, allora le chiedevo quando dormiva, lei mi rispondeva che dormiva sul pullman.
Con quelle paghe comprò le nuove sedie e un tavolo, il servizio di piatti e bicchieri per le feste, la cucina a gas, il primo frigorifero e la prima televisione. Comprò il corredo a mia sorella e poi a me, dopo i miei figli è stata la persona a me più cara e la sua assenza ancora mi pesa. Entrambi i miei genitori mi mancano tanto. Quando mamma partiva per le risaie, partiva di notte e quando mi svegliavo la mattina la cercavo, ero la più piccola e non capivo la sua partenza così quando tornava avevo paura di non trovarla e le tenevo sempre il lembo della gonna.

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Andare all’asilo era un dramma, io preferivo andare nei campi con lei e non all’asilo. Alle scuole elementari per tutti e 5 gli anni ebbi la maestra Gea, severissima, usava molto la bacchetta e io per evitare le sue bacchettate filavo sul filo di un rasoio. Però quando mi sposai mi scrisse una poesia di suo pugno molto bella interpretando il mio carattere, la conservo ancora con affetto.
Feci le scuole medie al paese ma quando proposi ai miei di andare a fare le scuole superiori e studiare lingue mi fu detto che ero una donna e non potevo viaggiare con il pullman, e poi rispetto a mio fratello e mia sorella che avevano fatto solo fino alla 5° elementare io avevo fatto le medie, quindi adesso dovevo lavorare. L’educazione di allora non mi fece reagire e ancora oggi dò la colpa a me stessa di non aver avuto il coraggio di insistere e di ribellarmi.

Mi sono sposata giovane, a 17 anni, all’epoca una figlia femmina era da sistemare. Iniziai con mio marito Filippo un’attività di marmi con tanti debiti e altrettanti sacrifici, inventandomi un mestiere prettamente maschile che non conoscevo, a quell’epoca una donna in un’attività maschile non era vista bene.
Diventai brava, gestivo l’ufficio e il laboratorio fino ad avere 30 operai, tutti erano convinti che fossi ragioniera, alle 17 poi quando andavano via i collaboratori mi mettevo gli stivali e lavoravo vicino alle serre e alle levigatrici.  L’attività iniziata sotto una tettoia con il celofan e l’ufficio in una baracca cresceva, ma io sentivo sempre la necessità di migliorare. Feci un corso di dattilografia con l’Olivetti, mi iscrissi a un corso di inglese che però durò poco, presi le qualifiche dell’Osa, una specializzazione per infanzia, disabili e anziani. Il mio desiderio era quello di trasformare Corbella in una sorta di casa famiglia dove l’anziano aveva degli spazi per avere un animale e qualche fiore da curare e intanto raccontava e insegnava ai ragazzi disabili e non; proprio così Vincenzo, pensavo che le case di riposo non dovessero parcheggiare gli anziani in attesa della fine. Inoltre volevo fare un centro dove i ragazzi che si fermavano con gli studi potessero imparare un mestiere vero. Utopie che da sola non dono riuscita a realizzare, ed è rimasto un rammarico. Ah, feci anche un corso di computer, fummo tra i primi ad Agropoli a meccanizzare l’attività, feci dei corsi di pittura visto che lavoravo già gli intarsi.

Come sai Vincenzo ci sono cose che succedono nella vita che tu al momento non le comprendi ma poi sono quelle che ti fanno fare le svolte importanti. Io ero diventata una macchina, facevo quello che volevano gli altri non quello che desideravo io, vivevo senza rispetto per me stessa e così dopo 25 anni di lavoro nei quali ce l’avevo messa tutta lascio i marmi e avvio un negozio di pietre Lithos. In contemporanea, inizio a riattare le stalle per l’agriturismo.
Lo faccio contro tutto e contro tutti, vengo considerata una pazza, la struttura sta fuori dal mondo, era quasi pronta la strada lungo la diga ma da 20 anni quella strada non è stata mai aperta e io mi sono inventata di tutto per far vivere Corbella e non chiuderla. Tanti aspettavano la mia sconfitta, mi è successo di tutto, ma qualcosa o qualcuno mi ha teso sempre la mano e sono riuscita sempre a rialzarmi e a continuare a lottare per questa creatura che mi ha dato tanto.
A 50 anni mi diplomo all’alberghiero e mi faccio oltre 60 corsi di formazione per capire un olio, un formaggio, un vino, un pane, le erbe. Il desiderio dell’università mi ha accompagnato sempre ma il tempo non c’era e sarebbe stato un sacrificio troppo grosso, però quando mia figlia fece la sua prima laurea all’orientale con 110 e lode è come se mi fossi laureata anch’io; ha fatto poi la seconda laurea e parla 4 lingue e attualmente lavora a Londra, mio figlio invece porta avanti l’attività dei marmi da me lasciata.
Vincenzo, in loro vedo ciò che potevo essere io, il maschio ha aperto un attività di frantumazione e movimento terra, lavora tanto senza mai prendersi una vacanza e questo un po’ mi dispiace.

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Non cambierei il mio lavoro perché è quello che mi ha riscattato, che ha dato sfogo alla mia creatività in maniera incondizionata. Se oggi qualcuno mi conosce è merito della contadina che c’è in me. Perché sì Vincenzo, prima di essere chef, ambasciatrice della Dieta Mediterranea e del Cilento nel mondo, sono una contadina. Penso sicuramente che tutto è legato alla mia infanzia quando ognuno di noi in base all’età aveva il suo lavoro e oggi che non potrei fare lavori stancanti lavoro nella terra come se fosse un ballo, per poi stare male naturalmente, ma è più forte di me.
Io da piccola pascolavo le capre ed ero la lattaia del paese ma poi in base alle stagioni facevamo i nostri lavori. Verso gli 8 anni mi avviavo prima dai campi e cucinavo affinché il resto della famiglia al ritorno trovasse pronta la cena. Perché sì, il momento importante della giornata era la sera con un vero pasto e il ritrovarsi tutti insieme. Ho vissuto insieme alla famiglia il duro lavoro e il sacrificio vero. Ho avuto la fortuna di avere una grande mamma, una donna di una volta, di quelle che sopportano tutto in nome della famiglia.
Dopo sposata mentre facevamo crescere il laboratorio che con mio marito avevamo creato, lui volle comprare dei pezzi di terra che gli anziani vendevano poiché i figli erano emigrati, un po’ come sta succedendo adesso. Uno alla volta comprammo oltre 20 pezzi di terra mettendo assieme 18 ettari di terreno oramai abbandonato. Eppure quelle persone lì ci vivevano per tutto l’anno, andavano dalla casa al paese solo per le feste patronali, per un morto o una sposa. Il resto dell’anno lo passavano sempre in campagna avendo anche la maestra che faceva studiare i bambini fino alla quinta elementare.

L’anno 2000 era un tempo tanto aspettato, facevamo 25 anni di matrimonio e mia figlia compiva 18 anni. Pensavo ad un anno magico ma fu il contrario.
Avevo fatto la richiesta per riattare la vecchia stalla e il casolare con la speranza che a breve si sarebbe aperta la strada lungo la diga. Intanto avevo lasciato in parte i marmi e avevo aperto il negozio di pietre – durerà 10 anni ed è stato anche quello importante – il primo anno lo gestii io poi ci misi una commessa.
Intanto mi fu approvato l’agriturismo ma dovevo riattarlo in 3 mesi, cosa a detta di tutti impossibile. L’anno prima i ceci che mi avevano dato, come facevano ogni anno, i miei genitori, li seminai, dicendomi: Terra Quae Ciceralit che è la scritta sullo stemma comunale, il cece ha dato il nome al paese e io recupero il cece che con l’emigrazione era sparito.
Semino i ceci la prima volta nel 2000 poi mentre riattavo i casali li semino nel 2001. In 3 mesi sola contro il mondo, senza strada, né acqua, né luce, inizio i lavori. Era il 7 gennaio 2001 con consegna il 30 aprile 2001, lo ripeto, una cosa a detta di tutti impossibile. Invece il 30 aprile faccio la consegna lavori. C’era ancora era da pitturare e da arredare ma pensai che mentre istruivano la pratica io avrei completato e cosi fu.
Inauguro Corbella il 24 Giugno 2001, iniziarono ad arrivare i curiosi, io che non avevo mai lavato i piatti in un ristorante mi inventai chef mettendo in pratica le conoscenze che mi avevano insegnato le donne di casa.
A Luglio arriva la BBC a girare una specie di Linea verde inglese. Qui a Corbella nonostante il disagio della strada sono colpiti da fichi, melanzane, pomodori, zucche e peperoni essiccati al sole. Li porto poi nel campo di ceci, alcuni già color oro altri ancora verdi e gli faccio sentire l’effetto rugiada che le foglie verdi dei ceci tralasciano.
Furono colpiti da tutto ciò e la sera con il sindaco e un consigliere decidemmo che avrei dato dei ceci al comune affinché venissero dati ad ogni ciceralese per iniziare la coltivazione per uso famiglia. Mi dissero di scrivere un libro e un ricettario ed io pensai tra me: ho appena aperto e questi vogliono farmi scrivere un libro! Quando la gente veniva a mangiare da me ero quella di ciceri e fasuli mentre altrove era il tempo di carne e maccaruni.
Cucinavo le cose con cui mi ero sempre nutrita: piatto unico, stagionalità, km zero che ora è diventata una moda, non servivo e ancora oggi non servo bibite gassate di alcun tipo. Volevo che Corbella fosse una sorta di casa e a detta dei clienti è rimasta così.
Finisco sulla copertina di un libro del giornalista Luciano Pignataro. Nel 2006 un grave intervento alla colonna vertebrale mi immobilizza per un anno e in quel tempo decido di scrivere il ricettario “Cucinare con i ceci”, 200 modi di cucinare i ceci. Nelle mie ricerche scopro la Dieta Mediterranea di Ancel Keys e con sorpresa noto che era il nostro mangiare, era come la piramide alimentare solo che lui la chiamava Dieta Mediterranea.

Resisto e combatto, criticata perché cucinavo i piatti dei poveri e dei contadini ma dopo 9 anni, nel 2010, La Dieta Mediterranea diventa Patrimonio Immateriale ed io mi emoziono, qualcuno tanto più grande di me mi stava dicendo che stavo facendo bene, ed era l’Unesco.
Nel 2012 vado a cucinare a New York per il Parco del Cilento e l’allora presidente Amilcare Troiani mi fa i complimenti mentre io mi lamento del mancato riconoscimento del cece di Cicerale come presidio Slow Food; ormai lo avevo fatto conoscere in lungo e in largo, era presente in tutte le mie serate e nel mio agriturismo. Dopo qualche mese mi chiama il presidente che prima di comunicarlo al sindaco voleva dire a me che il cece di Cicerale diventa presidio Slow food. Ancora una volta viene premiata la mia testardaggine, oggi tutti si prendono i meriti a cose già fatte ma il duro lavoro di coltivazione e di marketing l’ho fatto io quando nessuno ci credeva.

Più avanti scriviamo con Antonella Petitti a Tavola con gli Chef presentato da Don Alfonso Iaccarino e tanti altri libri e ricettari. Ho fatto tante serate omaggio per farmi conoscere e presentare il mio territorio e le sue eccellenze. Nessuno voleva andare quando non vi erano compensi mentre io andavo sempre, adesso mi dicono come ho fatto ad arrivare in determinati posti, semplicemente perché ho amato quello che ho fatto, ci ho creduto fino in fondo.

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Le disavventure non sono state poche, io a Corbella sono contadina, chef, cuoca, idraulico, elettricista, ragioniere, tutto passa attraverso me. Sono stanca perché la salute non mi aiuta ma nonostante tutto non mollo, fino a che avrò forza. La mia attività finirà prima o poi perché i miei figli fanno altro, ma quando non la vedrò più pazienza, adesso però non posso abbandonarla, sarebbe come abbandonare un figlio.
Gli ultimi anni sono stati anni di raccolta finalmente, titoli uno dietro l’altro, Ambasciatrice del Cilento, Ambasciatrice del Carciofo Bianco di Auletta, Premio Cicas, Ritratti di territorio e tanti altri.
Nel 2017 il Museo Vivente della Dieta Mediterranea mi da il titolo di “Ambasciatrice della Dieta Mediterranea nel mondo” insieme a Don Alfonso Iaccarino, un’altra grande emozione, avevo fatto bene a resistere con il mio credo.
In questi lunghi anni divento grande ammiratrice di Jeremiah Stamler, ho avuto la fortuna di conoscerlo e incontrarlo spesso e quando l’ultima volta andò via dal mio agriturismo mi disse “Giovanna ci vediamo qui con il mangiare della salute, perché tu fai il mangiare della salute”.
Beh, per me è stato il più bel complimento, perché io credo che noi siamo quello che mangiamo e intorno a un bel tavolo avvengono le più belle storie, quelle della famiglia, dell’amore, dell’amicizia, del lavoro, delle feste, delle tradizioni. La terra in ogni tempo ha il suo lavoro, oltre all’orto che è sempre presente, ci sono le viti, gli ulivi, i frutteti, il castagneto e poi gli animali che anche loro come la ristorazione non sanno che ci sono feste.

Che ti devo dire più Vincenzo? Che io rischiavo di chiudere dopo qualche mese poiché solo la domenica non riuscivo a mantenere le tante spese e allora grazie alla mia fantasia e ai corsi fatti ho iniziato a tenere corsi di cucina, laboratori, eventi, alcuni gratis altri a pagamento e cosi sono riuscita a mantenere in piedi Corbella. La disperazione ti fa cercare altre strade da percorrere. In questo percorso ho incontrato tante persone, alcune sono state invidiose e cattive tante invece hanno avuto stima e rispetto per me, ed è davvero il miglior elogio.
I sogni sono quasi sempre irrealizzabili, io ho sognato che qualcuno dei miei prendesse in mano una bella attività avviata e che lavorasse in proprio, ma ho voluto lasciare i miei figli liberi di seguire i loro sogni e fare in modo che facciano i lavori che desiderano.
Come ti ho detto so che un giorno Corbella finirà e se penso a ciò mi fa male, però a volte immagino che qualcuno arriva e si innamora di Corbella e ne prende le redini, così continua a vivere.
Avrei voluto aprire una scuola di cucina con dentro i racconti di un tempo e, perché no, i nonni che raccontano, ma non sempre puoi fare tutto.
L’unico rammarico è che il Nemo Propheta in Patria mi si addice, ho sempre avuto apprezzamenti altrove ma non nella mia terra alla quale comunque ho dato tanto. In giro per il mondo mi pagano e mi presentano con orgoglio, al mio paese lo faccio gratis ma non mi considerano, ho dovuto far ricorso al Tar per far riaprire la strada e per fortuna ho vinto. Nonostante la strada sia brutta e lontana e nonostante le cattiverie e i danni che ho subito ho la fortuna di avere tanti clienti che vengono da me e sono entusiasti della mia passione e del mio lavoro, in fondo è grazie a loro, la passione e il lavoro, che sono ancora qui e ho ancora tanti progetti.

LA DEDICA A MIA MADRE
Tratta da Cucinare con i ceci

Questo ricettario lo dedico a mia madre, donna forte e coraggiosa, donna autentica della antica terra cilentana, che lasciava, da giovane, il suo paese e la sua famiglia per partire ogni anno per le risaie piemontesi, laddove avrebbe trascorso mesi a seminare e a raccogliere riso.
Quando nei miei campi il grano s’indorava ero felice perché sapevo che al di là di esso, di lì a poco, avrei visto spuntare il fazzoletto bianco che mia madre portava come copricapo e allora avrei potuto correre verso di lei, arrampicandomi senza fiato su per la collina e gridando a squarciagola il suo nome.
Io ridevo e piangevo allo stesso tempo, lei emozionata quanto me, lasciava cadere la sua valigia di cartone e mi stringeva a sé. Ora che lei non c’è più, c’è il ricordo di una vita di bambina, insieme a quel campo di grano colorato di papaveri rossi che ancora oggi mi riportano ai tempi andati, dove tutti noi, a seconda dell’età, avevamo i nostri lavori nei campi, mezzi scàzzari (mezzi nudi) perché l’unico vestito che avevamo veniva lavato e messo ad asciugare sulle sarcene (grandi fasci di legna).
La sera poi, ci lavavamo alla pozza, con il sapone fatto in casa e allora, dopo aver indossato il vestito pulito, io andavo a distribuire il latte nelle case del paese. Angelina, come affettuosamente chiamavo mia madre, portava alla potea (negozio) le uova e le fascine in cambio di penne e quaderni per noi figli. Quando veniva il valano (l’uomo che arava la terra con i buoi) ad arare i campi, si mangiava bene. Mamma la mattina presto metteva il tiano (la pentola) sulle fornacella e preparava un bel pranzo. Per tutta la valle si spargeva il profumo del ragù cilentano, fatto con il coniglio mbottonato, la cotica in salamoia, insieme alla conserva fatta in casa.
Io seguivo tutti i suoi movimenti, estasiata nel vederla preparare cibi così succulenti, che di lì a poco avremo mangiato tutti insieme su un lembo di terra ancora verde al fresco della grande quercia. Mamma arrivava con il cuòfino (grande cesto di canne) in testa, con dentro gli ziti spezzati e conditi a strati con il ragù e il formaggio di capra, il coniglio ripieno, i ceci all’insalata e infine il buon vino della nostra terra.
Tutti eravamo allegri, mamma zappava e cantava e noi intorno saltellavamo, fieri di avere una così grande mamma. Lei mi ha insegnato l’arte della cucina, il rispetto per la terra e per ciò che essa ci dà, mi ha insegnato ad amare anche le piccole cose e i prodotti del mio paese, mi ha raccontato come fin dall’antichità, ogni ciceralese seminasse nel proprio campo i ceci e di come questi fossero considerati un grande tesoro. È ancora forte il ricordo di me che a piedi nudi camminavo nel campo di ceci per sentire sulle mie esile gambe l’effetto rugiada, di me che mangiavo i ceci verdi lasciando le tracce dei baccelli per terra. L’amore e la cura per questo seme, che è il simbolo di Cicerale, mi hanno spinto a far conoscere di più questo prodotto e a scrivere un ricettario, perché la tradizione della mia terra non andasse perduta. Ho proposto, nel mio libro, ricette semplici e di facile preparazione, alcune antiche nel rispetto della tradizione, altre in chiave moderna. Mi sono divertita a creare nuovi modi di cucinare i ceci, ho anche riempito vasi e vasetti, sott’olio, sott’aceto, al vino, al miele, al cioccolato, marmellate, gelatine, mostarde ed altro ancora. Ogni ricetta è una scoperta, a voi le propongo dopo averle preparate a casa e nel mio agriturismo.

DUE RICETTE

LAGANE E CECI DI CICERALE
Questo è il piatto tipico di Cicerale che si cucina, ormai, ovunque. È sempre un successo presentare in tavola una buona “lagana e ceci” cremosa e con le ricette che vi propongo darete sicuramente un tocco di originalità. Composta da proteine vegetali, carboidrati e vitamine nel rispetto della Dieta mediterranea. Buona lagana e ceci!

Ingredienti per 4 persone: 400 g di ceci di Cicerale, 400 g di farina di semola, 100 g di pomodoro San Marzano DOP, olio extravergine di oliva DOP Cilento, aglio, peperoncino (facoltativo), sedano, cipolla e alloro.

Lavare e mettere a bagno i ceci la sera precedente, lessarli per circa 2 ore con il sedano, cipolla ed alloro e a fine cottura il sale. Su di una spianatoia mettere la farina a fontana, aggiungendo un pizzico di sale ed acqua quanta ne assorbe. Impastare il tutto, tirare una sfoglia sottile dello spessore di circa 2 millimetri e tagliare in modo irregolare delle tagliatelle. Non appena i ceci sono cotti, salare e versare le tagliatelle facendole cuocere per 5 minuti. A parte, in una padella, soffriggere l’olio, l’aglio e il peperoncino, i pomodori, aggiustare di sale e continuare la cottura per 5 minuti. Versare il condimento nella pasta con i ceci, mescolare e servire dopo averla fatta riposare un po’.

CICCIATA DEL BUON AUGURIO
Questa zuppa, di origine contadina, veniva preparata il 1° maggio, a semina già avvenuta, con l’auspicio di un nuovo e abbondante raccolto. Per buon augurio veniva offerto un piatto ai vicini di casa. Tutti i semi avanzati dalle seminai, circa una ventina, tra legumi e cereali, venivano, separatamente, messi a bagno e cotti. Infine, a cottura ultimata, venivano mescolati insieme per dare vita all’autentica cicciata che ancora oggi, nonostante la preparazione lunga ed elaborata, rappresenta uno dei piatti più gustosi della nostra realtà cilentana della Dieta Mediterranea.

Ingredienti per 4 persone: 20 grammmi per ognuno dei seguenti semi: ceci di Cicerale, cicerchia, fave, fagioli borlotti, fagioli cannellini, fagioli di Controne, fagiolino di maggese, fagioli rossi, fagioli a pisello, fagioli d’acqua, fagioli striati, fagioli dell’occhio, farro, orzo, tre tipi di grano autoctono, piselli secchi e lenticchie.
Per il soffritto: olio extravergine di oliva DOP Cilento, mezza cipolla, uno spicchio d’aglio, un ciuffo di prezzemolo e uno di sedano, sale.

Mettere a bagno, separatamente, i vari legumi e cereali la sera precedente, lessarli e solo a cottura ultimata mescolarli in un’unica pentola, regolando di sale e continuare con la cottura a fuoco lento. In una padella, mettere l’olio, la cipolla, l’aglio, il sedano e il prezzemolo tritati, peperoncino (facoltativo) e versare il soffritto nella zuppa, cuocere ancora qualche minuto in modo che si insaporisca. Servire calda con crostoni di pane casereccio.

BUON COMPLEANNO CORBELLA
Sono 18 anni di noi, di me e te cara CorBella, siamo diventate maggiorenni. Troppi ci dicevano che avremmo chiuso, che non potevamo resistere in quella vallata fuori dal mondo. Abbiamo resistito e solo noi due conosciamo fino in fondo i sacrifici e le lotte per resistere. Noi che abbiamo forse scelto (o ci è capitato) di essere fuori dal mondo, lontano dal caos, dalle mete turistiche, senza strada né servizi. Siamo partite con un gruppo di continuità perché anche portare l’energia era complicato. Troppi si sono dimenticati di noi per troppo tempo. Io e te abbiamo fatto le contadine, le pastore, le elettriciste, le idrauliche, le giardiniere, le cuoche, le insegnanti, le allieve e tanto altro ancora ma sopratutto siamo state coraggiose. Criticate, derise, ostacolate, abbiamo resistito e portato avanti con orgoglio il nostro credo, tanto le critiche sono il maggior complimento.
Abbiamo fatto migliaia di eventi senza guadagno semplicemente perché sentivamo che il nostro Cilento aveva delle grandi potenzialità come il mangiar sano della nostra cara Dieta Mediterranea, posti incantevole, eccellenze, tradizioni, arte e cultura, eppure nonostante questo tutti andavano via e noi due eravamo solo delle sognatrici, quelle di ciceri e fasulieddi ed erbe sperse. Noi abbiamo resistito, senza compromessi e mai abbiamo barattato le nostre idee. Ci siamo legate l’un l’altra sempre di piu senza mai cedere nei momenti difficili, io e te siamo diventati una cosa sola. Oggi, alcuni ci invidiano un po’ visto che ogni giorno arrivano riconoscenze inaspettate e mi chiedono come abbiamo fatto ad arrivare fin qui. Noi gli rispondiamo che abbiamo stretto i denti e abbiamo scavato con le unghie per difendere la nostra terra, la nostra idea, il nostri valori. Noi due siamo riuscite a fare cose che pochi in quelle condizioni potevano fare, poiché è stato fatto tutto con amore e passione. In fondo ci siamo davvero meritate la stima che tanti ci hanno regalato. Grazie di cuore a tutti quelli che ci hanno sostenuto e stimolato con la loro leale presenza, fisica e virtuale, che ci hanno dato carburante per andare avanti ogni giorno di più. Se oggi se siamo qua è anche merito loro. CorBellina ancora buon compleanno, siamo diventate finalmente maggiorenni a braccetto di Volpina.

IL VENTO DI GOVANNA
Caro Diario, come sai la mattina del 11 Giugno, intorno alle 5:00 a. m., ho scoperto che qualche ora fa Giovanna ha condiviso sui social una riflessione bella, vera, per molti versi amara, che vorrei discutere insieme a te e agli amici che ci leggono. Ti dico solo che a me le sue parole hanno fatto un buco in petto, non aggiungo altro, leggi e se ha voglia di dire la tua lo sai come fare, basta che scrivi a partecipa@lavorobenfatto.org e a pubblicarlo ci penso io. Ecco, quelle che seguono sono le riflessioni di Giovanna e delle amiche e degli amci che fin qui hanno detto la loro.

Giovanna Voria
Sto pensando ancora a stamane e non mi viene sonno. Ero alla solita coda di sportello, dove oramai passiamo le nostre mezze giornate con tutta questa burocrazia. Impossibile non sentire il discorso tra un uomo e una donna.
Lui raccontava che aveva riaperto la struttura per la stagione estiva. Era però solo, i tre figli erano partiti, uno per la Spagna, un’altro in Inghilterra e l’altra per il Nord Italia.
“Troppe tasse, ogni giorno esce una cosa nuova, uno Stato che non tutela chi lavora seriamente, tutto è difficile. Non si trova manodopera italiana poiché sono tutti partiti. Ho provato con gli stranieri ma non riusciamo a fare un buon lavoro. A fine estate chiudo una struttura di generazioni che è sempre stata molto attiva” continua a raccontare il tizio alla signora. “I figli, un po’ per avere uno stipendio certo, un po’ per essere liberi hanno preferito far morire un’attività ben avviata in cambio di 1.500 euro, vivendo però in una stanza e dividendo i servizi con altri. Mentre qui hanno una casa di due piani con giardino”.

Una stretta al cuore mi è arrivata forte, ho pensato: cosa sta succedendo?
Viviamo in una società dove sono soli i padri e le madri e soli i figli lontani. Le radici e il legame non ci sono più e più tempo si vive lontano e più ci si abitua all’assenza per non farsi ancora più male. I figli vendono tutto quello che i genitori hanno costruito con rinunce e sacrifici appena muoiono. Abbiamo fatto studiare con tanta fatica i nostri figli per dargli un futuro migliore e invece li abbiamo resi complici di questa società che ti dà tutto ma non ti ritrovi niente perché si riprende tutto.
Speravamo che con lo studio i nostri figli potevano diventare più ricchi di cultura, di lavoro e di famiglia. Invece abbiamo perso tutti i giovani, anzi li abbiamo mandati ad arricchire altri paesi con la scusa delle lingue, mentre i nostri paesi si spopolano ogni giorno di più.
A cosa è servito recuperare eccellenze, storia e cultura se non avremo figli e nipoti a cui insegnare e raccontare? Ci portiamo via una storia di generazioni che non ha barattato con niente. Insieme a noi morirà un’era, ed è triste sapere che tutto questo è toccato alla nostra generazione.

LA DISCUSSIONE SUI SOCIAL

Giovanna Gambardella
Mamma di figli fuori. Sono felice che i miei abbiano messo le ali, tranquilla non per 1500 €. Io non ho attività da lasciare. Non terre, non alberghi, non animali con caseificio. Quindi via. Il mondo è bello. Dopo questa elezione scappo anch’io. Aspetto la pensione. Oltre al buon cibo, aria e mare c’è poco da stare allegri. Arriveranno gli immigrati che prenderanno il nostro posto.

Luciano Orienteoltre
Giovanna Gambardella che ottimismo.

Giovanna Gambardella
Luciano Orienteoltre La storia è una di quelle cose che non puoi fermare. Non pessimismo non ottimismo. Rileggiti la caduta dell’impero romano.

Luciano Orienteoltre
Il problema sta anche nel fatto che i giovani non si accontentano più, oramai è globalizzata anche la vita.

Antonella Clo
Luciano Orienteoltre come devono accontentarsi se lo Stato chiede e i soldi per sopravvivere anche senza vizi non ci sono? (nonostante ti adoperi a lavorare, poi ti sottopagano)

Giovanna Gambardella
Perché accontentarsi quando la scelta è così varia?

Gennaro Vicinanza
Purtroppo è così, saremo noi a vedere la fine se non succede qualcosa di importante!

Stefania Guariglia
Giovanna Voria non temere le realtà sono anche altre. Io sono andata via dal mio adorato Cilento all’incirca 20 anni fa, a settembre con la mia famiglia ci siamo ritrasferiti qui da Torino, perché crediamo nella ricrescita dei nostri meravigliosi posti. Lavoriamo, entrambi i figli vanno a scuola serenamente senza tanti stress che la città ti dona, siamo felicissimi e non invidio le persone e soprattutto i giovani che scappano via senza cercare di creare qui il futuro di tutti noi, perché sono loro che dovrebbero far crescere l’economia anziché dare il loro sudore in posti estranei. Questa è la mia opinione giusta o sbagliata che sia, io vi posso dire che bisogna alzarsi un po’ le maniche senza aspettare sempre la manna che arriva dal cielo.

Antonella Clo
Mamma di figli fuori da due anni. Mamma e donna che da sola dopo un bel po’ di anni – anche io ho dovuto cedere al richiamo lavorativo di una città del Nord, diversa da quella dei miei figli.
Tre persone, tre città, e mi chiedo perché ho dovuto piangere 28anni fa da figlia che emigrava al Nord? Poi ho scelto di ritornare, le origini mi richiamavano, speravo di trovare ciò che serve per una vita dignitosa per me e i ragazzi. Invece ho riprovato il dolore di piangere per le partenze dei miei figli appena maggiorenni e oggi piango perché la mia terra non ha saputo premiare i suoi figli e invece in terra lontana mi sento rivalutare.
Perché? Perché bisogna piangere e partire per conservare dignità e sogni? Di certo so che se non ascoltavo il cuore e restavo al Nord ora avrei avuto i figli più vicini e tutti e tre una vita migliore e meno lacrime.

Romeo Galiano
Purtroppo è la verità ma non potremmo fare diversamente. Chi ha sale in zucca parte non solo per incominciare a vivere ma soprattutto per essere incosciente e far crescere i propri figli in certi posti. Io ho 43 anni e posso solo accompagnare i miei piccoli da adesso fuori, affinché abbiamo un futuro migliore e non vivere in Italia con tanti problemi e l’incubo di ammalarsi di tumore. Gli italiani hanno perso tutte le battaglie. Mi dispiace, ma bisogna pur sopravvivere, al diavolo tutto il resto.

Giuseppe Di Lucia
È giusto che i giovani partono, mi dite che futuro hanno qui? Mia figlia 34 anni è rimasta a lavorare qui in una struttura commerciale per 400 € al mese, questa è la paga che offrono se vuoi lavorare, è una vergogna, 9 ore al giorno.

Carmen Aulisio
È proprio come dici Giovanna, spendiamo soldi pubblici (e privati) per formarci anni e anni nelle nostre università, per poi andare all’estero a vivere in condizioni non migliori di quello che potremmo avere qui. Poi, in cambio dei nostri giovani laureati e con master, arrivano immigrati che non conoscono una parola di italiano e che pur di mangiare e di racimolare qualche spicciolo vengono sfruttati e sottopagati.
Chi ha la forza di rimanere qui, come me, e farsi una propria attività deve fare i conti con burocrazia, tasse e crediti insoluti.
Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!

Giovanna Voria
Brava Carmen, all’estero ti illudono di darti ciò che tu meriti ma poi se li riprendono attraverso il costo della vita. Io ho visto ragazzi vivere in soffitte che da noi ci vivono solo le rondini. Oppure paghi fitti che ti pagheresti il mutuo di una casa.

Umberto Flauto
Disamina triste, vera e che purtroppo, apparentemente, non si può fermare

Vincenzo Shafi Irlante
Giovanna purtroppo è così. Ho un figlio che dopo dieci anni di navigazione voleva fermarsi a Napoli, in Italia, ma per un anno solo chiacchiere e offerte ridicole. A Londra in due anni ha cambiato tre società per scelta sua con lavoro stabile e ora ha già in un anno avuto tre gratificazioni. E fa il suo lavoro. Quello che a lui piace. Siamo stati purtroppo complici di una pessima politica.

Isabella Senza Bavaglio Gregorio
Resistere, cosa difficile oggi giorno.
Rosalba Siriano 
Triste realtà.

Celeste Bucci
È davvero tutto complicato, fa riflettere quello che hai scritto.

Carmela Baglivi
Quanta verità Giovanna, siamo dissanguati di tutto.

Carmen Maiolica
I ragazzi che partono non sono mai felici di lasciare amici e famiglia ma lo fanno perché preferiscono non accontentarsi e seguire i loro sogni. Chi resta o è fortunato o si accontenta, qui realizzarsi non è facile e non sempre l’attività di famiglia può andare bene per gli eredi. Trovo che alcuni lavori vengano pagati talmente poco che se vengono fatti male non ci si dovrebbe lamentare. Ovviamente parlo in generale e non nel caso specifico. Ad ogni modo speriamo che prima o poi ci sia una ripresa del nostro paese.

Raffaella Bell A Papà
È la fotografia delle condizioni tristissime di molte nostre famiglie! Abbiamo nutrito, istruito, educato i nostri figli perché vivessero lontani da noi in condizioni peggiori.

Anna Chiavazzo
Carissima Giovanna Voria, viviamo un sistema che è una barca sgangherata che fa acqua da tutte le parti, siamo vessati da una burocrazia che mira solo a metterci in difficoltà continua per tenerci ovviamente sotto scacco, il fardello come sempre poi viene sostenuto solo da chi più onesto diventa facile bersaglio di chi con disonestà gestisce le sorti di questo paese.Ti abbraccio.

Giovanni Petrizzo
Idem. Le attività come le nostre sono destinate a finire.

Dominga Finizola
Hai ragione. Non capisco di è stata la colpa, di noi genitori o di una nazione non soddisfatta di una realtà che sta morendo piano piano.

Paola De Conciliis
Penso che sia giusto dare ai nostri figli la possibilità di scegliere, di conoscere il mondo e decidere dove e come vivere, i miei genitori me lo hanno permesso e me ne hanno dato la possibilità, io ho scelto, consapevolmente, di affrontare una vita di sacrifici e gratificazioni, di sfide e a volte rinunce, di battaglie con la burocrazia e di confronti costruttivi, non sono soddisfatta di quello che ho ottenuto in questi anni ma mi piace e non saprei vivere diversamente, ho scelto una strada.Vorrei che anche i miei figli potessero scegliere liberamente, ma so che per loro sarà diverso, perché ora il mondo è diverso, le priorità e la ricerca della felicità segue altri percorsi, ma sarà una loro scelta.

Raffaella Resca
Qua il paese sta chiudendo! La banca chiude e hanno chiuso anche la strada d’ingresso al paese senza dare spiegazioni. Lavori in corso laterali assolutamente gestibili. È la nostra strada e quindi non passa nessuno e chi viene da fuori si trova in difficoltà. Non ti dicono neanche fino a quando, non si sa. poi sì, cara, le eccellenze se ne vanno dal territorio? Per forza, ti ci obbligano.

Gerardo Abitidalavoro Alavorare
Ho letto tutto e da padre, da imprenditore e soprattutto da uomo cilentano sono d’accordo. Lo Stato ci lascia morire e sparisce un mondo purtroppo. Le generazioni passate c hanno lasciato l’oro ma le troppe tasse lo stanno trasformando in sabbia.

Carlo Cavaliere
Purtroppo le politiche economiche e monetarie comunitarie, unite a una cultura del disprezzo del Sud Italia, hanno contribuito negli anni a creare questa sfiducia e questa emigrazione di massa. Qualcuno sta tornando, ma ce ne vorrà ancora per fermare il fenomeno.

Francesco Galzerano

Leggendo questo commento signora Giovanna mi vengono i brividi. È vero quello che lei dice mi sa che l’Italia non sarà più quella che tutti noi conosciamo.
Conosco delle canzone dedicate agli emigranti, quelle che ti ricordavano il paese natio (terra straniera, e che sarà). Una volta per andare in altre nazioni ci voleva il contratto di lavoro e il passaporto, non come questi emigranti di oggi che vengono in Italia senza documenti senza lavoro perché il lavoro non ce n’é neanche per noi italiani. Loro a paragone di noi che dovevi lavorare e molto duro, loro invece sono spesati con tutto senza pagare niente e girano in giro con i telefonini. Io quando ero triste perché stando all’estero da solo senza la famiglia era duro. Spesso cantavo perché mi piace cantare, per trascorrere quelle giornate che mi mettevano molta tristezza, perché le ho vissute personalmente quando ero emigrante in Germania per pochi anni per fortuna, e spesso cantavo terra straniera, e mi faceva piangere le sue parole. Tornato in Italia mi son trasferito a Milano svolgendo il lavoro del portalettere e spesso mi ricordavo il mio paese con la canzone (che sarà) cantata dai ricchi e poveri.

Santillo Palladino
Carissima Giovanna, manca la cultura dell’appartenenza, della identità, e dico della consistenza di sé. Se tutto è relativo, se tutto è liquido, se i valori sono solo soggettivi, se vige la cultura che è bello ciò che piace, se ha valore solo il proprio istinto, se non si riconosce appartenenti al Mistero, non ci sarà Stato o legge che potrà favorire la rinascita di una società attaccata alle proprie radici familiari, territoriali, culturali, socioeconomiche. Siamo sotto dittatura del relativismo che genera mostri sotto forma di umanitaresimo e modernismo massonico.

Irene Muccilli
È tristemente vero. Ma sono certa che tra poco ci sarà il ricorso storico. I ragazzi stanno prendendo consapevolezza di come sia tutto illusorio fuori dalle proprie radici.
Finché è una scelta di vita emigrare va bene, ma non deve essere la conseguenza di una vita disperata e senza prospettive. A volte la soluzione è davanti a noi e non la vediamo perché siamo sfiduciati e abbagliati da realtà molto spesso non veritiere. Lo dice una che ha girato. Non è tutto oro quello che luccica.

Angelo Tempadelfico Xenia Avagliano 

Un abbraccio forte assaje, anche Tempa del fico non si sottrae a queste dinamiche ben congegnate, sono “spopolato in casa” dopo trenta anni di costruzione di una ruralità altra.

Luciano Guarino
Mi viene da piangere

Pasquale Serra
Dovremmo insegnare ai figli anche il mettersi in gioco, perché vabbè le tasse, la burocrazia e tutto il resto, ma i 1500 euro li possiamo guadagnare anche qui.
Non è che andare all’estero non si fanno sacrifici, c’è più rispetto, questo è sicuro, ma è dura specialmente senza il conforto dei genitori.
I giovani debbono imparare a lottare e a riprendersi il mondo e migliorarlo.

Davide Del Galdo
Noi insegnanti abbiamo sempre scioperato da secoli perché non vedevamo finalizzato il corso di studio sia per una corretta formazione che per la fase occupazionale. Il popolo ci ha sempre giudicato come nullafacenti e lo sciopero come un giorno di festa in più. Premesso ciò, quello che vi meraviglia per me invece è ovvietà. Si vedeva dagli anni ’80 la fine che avremmo fatto oggi, come occupazione ed il resto.

Gennaro Salvo
Quante verità tutte insieme.

Agostino Inverso
Mettetevelo in testa, finché siamo colonizzati ci manterranno in vita quanto basta per consumare lo scarto delle loro industrie e della loro civiltà svuotata di valori a cui pia piano ci omologhiamo.

Cilento Fisioterapia
Ciao Giovanna, anni fa, i nostri comuni del Cilento assieme agli altri enti ed istituzioni varie dovevano essere più lungimiranti, dovevano creare le strutture e rinnovare quelle che c’erano, si dovevano unire e con pochi ma importanti e validi progetti di rilancio del Cilento dovevano dar vita a quella base solida dove appoggiare tutte le iniziative a tutti quei progetti ed idee valide di tanti che invece sono stati lasciati soli. Si sa che la troppa solitudine di tante piccole imprese se pur con buone idee e capacità alla fine sono sopraffatte, quindi è logico che su cinque giovani due restano in famiglia arrancando, due tentano una strada e non trovano accoglienza nella loro terra e non vengono sostenuti, incoraggiati anzi a volte vengono osteggiati e quindi partono. E il quinto giovane? Non ha voglia di far nulla, è annoiato, anche se volendo, guardandosi bene attorno un po’ di lavoro c’è. Allora, chi deve salvare questo territorio?
Davide Del Galdo
Io ho un solo motto dopo 50 anni di investimento, per ricostituire la parola d’ordine è: distruggere!

GLI INTERVENTI

Cecilia Stallone
Vincenzo, quanta amara verità nelle parole scritte da Giovanna. Purtroppo. Ma vedi, si continua a far finta di niente, il problema lo affronti solo e quando ti tocca personalmente. Io vivo a Bari, e non credere che l’effetto dei figli che vanno via, sia solo vissuto nei piccoli centri. Personalmente sento quasi un dovere morale, nel voler restare qui, nella mia terra, cercando di “lavorare ai fianchi degli imprenditori, per mostrare strade diverse, e quasi mai nemmeno immaginate”, e incoraggiando i giovani, ma anche meno giovani, a non mollare, a non desistere. A costruire insieme. Illusa? Idealista? Non lo so. So solo che quando ti spinge passione, curiosità, tenacia, coraggio, prima o poi le cose le realizzi!

Sara Cherubini
Radici, croce e delizia della mia vita!
Io che, come un segugio, ne ho sempre fatto una disperata ricerca fino a rendermi conto che sono sempre stata innesto di qualche altro albero genealogico.
È si! Albero dopo albero, innesto dopo innesto ho fatto di quella pianta un punto fermo, ora rigogliosa, fiorita e piena di colori.
Sono pronta, più che mai, a contaminare e imppllinare con storie, insegnamenti, modi di dire e gli immancabili proverbi, l’aria che si respira per far rifiorire il seme della famiglia in quel terreno di unione e poter così regalare fior fiore di tradizione.

Antonella Petitti
Caro Vincenzo e cara Giovanna, mi meraviglio io stessa di pensare ciò che balena nella mia testa ora. Quando ho cominciato a scrivere di cibo e di territori stringevo forte alcuni concetti come se fossero imprescindibili: uno su tutti il “famoso” chilometro zero. Sono passati gli anni, ho accumulato storie ed esperienze, anche letture e riflessioni e mi sono fatta un’idea. Abbiamo bisogno di legarci a principi ed obiettivi, è un modo per avere un passamano a cui aggrapparsi quando la salita si fa pesante, ma…
Ma, in una società liquida come quella attuale, è forse tempo di accettare che tutto è fluido. Lo è stato anche in passato, solo che tutto era più lento e aveva un impatto meno forte sulla nostra vita e sui nostri sentimenti.
Un cibo a chilometro zero di oggi potrebbe essere il pomodoro (uno qualsiasi), ma la verità è … che è americano di nascita e ce lo dimentichiamo.
Le migrazioni, le contaminazioni e gli scambi sono sempre stati alla base dello sviluppo economico e culturale. Io resto in prima fila a valorizzare e tutelare le identità e le radici, a patto che si riconosca che sono la fotografia di oggi e che anche esse sono fluide insieme a noi e al nostro tempo.
Conosco Giovanna, mi intristiscono le sue parole e capisco che – per chi ha costruito attività concrete – non poter passare il testimone ad un figlio sia spiacevole. Si fa crescere un albero con fatica e poi nessuno pensa possa essere utile, anzi … magari qualcuno ti dice è meglio tagliarlo, lì ci vogliono mettere un’altra cosa.
Però, e forse questo mio stato mentale è frutto anche del momento di vita che vivo, credo che i cambiamenti vadano accettati come qualcosa di naturale. Tutto cambia, anche quando non ce ne rendiamo conto. Forse dovremmo cercare di vivere più intensamente le nostre scelte pensando a “farle” soltanto per noi.
Giovanna non è soltanto ambasciatrice del Cilento e della Dieta Mediterranea per diritto (e non per nomina), ma è anche una grande donna, sensibile e attenta. I suoi sentimenti e le sue radici sono forti e grazie ad esse sta dando alla sua terra moltissimo. So che lei, come già fa, saprà guardare più a questo che all’incertezza del futuro. Lei è bandiera di un territorio meraviglioso che io amo moltissimo e di cui mi farò promotrice sempre. Partendo dalla sua identità e dalla sua storia, anche il Cilento ha bisogno di ridisegnare se stesso, non in base a ciò che è stato ma a ciò che potrà essere, assieme alle tante eccezionali persone che sanno perfettamente che il lavoro ben fatto è l’unico passamano a cui val la pena di aggrapparsi.
Vi abbraccio, vi voglio bene.

Laura Ressa
Molto vero e sentito l’intervento di Giovanna Voria ma anche quello di Antonella Petitti, che giustamente scrive “credo che i cambiamenti vadano accettati come qualcosa di naturale. Tutto cambia, anche quando non ce ne rendiamo conto. Forse dovremmo cercare di vivere più intensamente le nostre scelte”. La penso esattamente così: siamo abituati a vedere il cambiamento come qualcosa di negativo, in ogni campo. E invece cambiare è naturale, anzi addirittura auspicabile e necessario! Sui fasti del passato poi ci sarebbe da fare un discorso ampio: siamo sicuri che tutti in passato hanno costruito pensando all’idea di lasciare qualcosa per il futuro? Cosa ci resta oggi di quello che hanno avuto i nostri genitori? Io credo che si pensi più spesso a costruire nel qui-e-ora pensando che si stia piantando un albero: ma in realtà ai figli il genitore dona un esempio più che il mattone. Dona l’esempio di quello che ha fatto, anche se non ha costruito case di mattoni ma “solo” una casa interiore da riempire di ricordi e insegnamenti. E, come fossero case itineranti, è giusto che i figli trovino il loro posto nel mondo, ovunque esso sia. Senza fare per forza un distinguo tra chi resta e chi va, credo che esista solo chi vive. Dunque vivere vuol dire anche uscire dal tetto sicuro, provare ad avere quello che i nostri genitori hanno ottenuto con più facilità e che oggi sembra quasi un sogno lontano.
Sono molto vicina poi all’idea che, se hai costanza, ottieni i tuoi risultati. Vero è che la società liquida presenta anche i suoi aspetti viscosi e viscidi, quelli in cui conta lo scambio di favori e in cui, a tutti i livelli, nessuno fa niente per niente.
Siamo nella generazione dei mattoni di carta: alla prima pioggia cadono. Siamo nell’era del networking forzato in cui vige la regola del mercato e in cui anche il meno avvezzo intrattiene rapporti con persone che non stima ma che potrebbero rivelarsi “utili”. Siamo nel cilindro magico delle apparenze, dove puoi credere di essere se mostri e dove i tuoi piccoli mattoni quotidiani sono quelli che alimentano il narcisismo professionale e personale.
Dunque personalmente non ringrazio le generazioni precedenti per avermi dato sicurezze o futuro, perché non me li hanno dati. Le ringrazio però per gli esempi migliori che ci hanno lasciato: tanti casi buoni da cui imparare, perché la storia delle rivoluzioni non si fa in una trentina di anni ma le rivoluzioni nelle singole vite sì.
Se c’è un mattone che vale la pena lasciare in piedi è quello della consapevolezza e della libertà di scegliere che vita avere, che persone essere. In un mondo ideale anche il mattone per scegliere di mantenere rapporti con persone che nutrono la nostra mente: perché se sai pensare sai anche vivere.