Caro Diario, ti confesso che Sara Morucci la prima volta che l’ho vista, al BTO dello scorso anno, quello che ho raccontato qui, mi aveva fatto impressione, e se non fossi di Secondigliano ti avrei detto paura.
Come dici? Hai seguito il BTO di quest’anno e non ti spieghi come possa far paura una donna giovane ed elegante come lei? Non te lo spieghi perché come al solito quando ci stanno di mezzo belle signore non mi fai finire, perché altrimenti ti avrei detto che a farmi impressione era stata la sua professionalità, la sua efficienza, la sua capacità di stare sempre sul punto.
Senti amico mio, tu te lo ricordi Angelo, il bambino che in Ricomincio da tre abitava proprio di fianco a Gaetano, il personaggio interpretato da Massimo Troisi? Sì, lui, quello che a 7 – 8 anni sapeva le tabelline a memoria, conosceva le capitali di tutto il mondo, sapeva fare tutte le operazioni e suonava pure il pianoforte? Va bene, hai capito, proprio lui, quello che a un certo punto Gaetano dice «ma se tenete un figlio mostro portatelo tra i mostri come lui, non lo fate stare di casa a fianco a me». Ecco, quella prima volta Sara mi era sembrata così, e invece con il tempo ho cambiato idea, non perché lei non sia impeccabile nel suo lavoro – tra l’altro possiede una capacità di risolvere problemi davvero straordinaria – ma perché mi sono fatto l’idea che insieme a quella Sara lì ci fossero molte altre Sara, e così oggi le ho chiesto se le andava di raccontarsi.
Vuoi sapere cosa mi ha risposto? «Adesso sto in macchina, lo faccio nel pomeriggio mentre mia nonna guarda la partita.»
Ora non so tu amico Diario, ma io a questo punto le ho scritto racconta anche tua nonna e lei mi ha risposto «senza nonna non esiste Sara».
Non so tu, ma io a una persona che mi risponde così la racconto anche dieci volte di seguito, perciò adesso mettiti comodo, leggi e poi vedi se non mi dai ragione.
«Caro Vincenzo,
ho pensato e ripensato a cosa scriverti, a come scriverti di me e ancora non ho trovato la formula giusta per farlo, così ho deciso di partire da quello che mi rende felice, perché quello sì, caro amico mio, che so bene cosa è:
Pizza, cavallo, letteratura, mare, New York, i miei animali, la nonna, Giancarlo, viaggiare, il rosa, Tiziano Ferro.
Sono una donna dalle grandi passioni e per grandi intendo che amo in maniera totalizzante chi mi sta accanto e che quello che mi piace non mi piace mai abbastanza o un pochino, ma mi piace sempre tantissimo.
Ti faccio un po’ di esempi così ti aiuto a capire di cosa ti sto parlando:
Ho una passione viscerale per Tiziano Ferro e quest’estate non è che in maniera normale mi sono andata a guardare un suo concerto. No! L’ho seguito in tour per tutta Italia.
Amo New York, e non è che ci vado una volta sola. No! Sto pensando di tatuarmi il suo skyline su un braccio.
Adoro gli animali e non è che mi sono presa un gatto. No! Ho tre gatti, due cani ed un cavallo.
Vincenzo, come avrai capito non sono una donna da mezze misure. Non lo sono in niente. Amo tanto, sento tanto, vivo tanto. Mi sono sempre definita una finestra spalancata verso il mondo, con i pro e i contro che questo significa, perché non è che entrano sempre i raggi di sole a scaldarti, ci sono le volte che il vento e il freddo ti spazzano via.
Il fatto è che non conosco un modo diverso di vivere. A proposito, tra le cose che amo ho citato due persone che hanno cambiato il corso della mia vita, per motivi diversi ma lo hanno fatto entrambe: una lo ha fatto prima, mia nonna; l’altra dopo, Giancarlo.»
«Detto così sembra tutto rose e fiori, ma immagino che non sia così.»
«Immagini bene Vincenzo, e per darti un’idea ti racconto un po’ della storia di Sara Bambina.
Il mio babbo se ne è andato (non morto eh, proprio volontariamente andato) quando avevo tre mesi e io sono cresciuta con i miei nonni, mentre la mamma andava e veniva per lavoro. Sono cresciuta come una bambina perfetta, sai Vincenzo, di quelle che fanno tutto bene, che cercano di non commettere errori, che sono super responsabili perché credono che così facendo nessuno le abbandonerà più.»
«Vedi che non mi ero sbagliato del tutto a vederti come il bambino mostro di Troisi.»
«Eh no! Me la son portata dietro e soprattutto dentro di me, questa mia smania di perfezionismo, questo mio dare sempre il mille per cento e anche il mio essere sempre iper responsabile. Ma mi sono portata dietro anche un’altra cosa: la forza e la convinzione che quando sarei stata adulta, e padrona del mio destino, avrei “fatto pari” con quell’infanzia un po’ difficile, prendendomi tutto quello che mi spettava. Che poi ancora non so bene cos’è, ma so che ho sempre avuto la convinzione che avrei avuto una vita felice, perché me la meritavo.
So bene che non esiste sempre questa “giustizia divina”, ma io penso che nel mio caso la vita mi stia dando adesso un po’ di quello che da bambina mi ha tolto.»
«A proposito di bambina, mi hai detto che mi avresti raccontato anche di tua nonna.»
«Certo che ti parlo di Nonna, come ti ho detto ti ho scritto queste righe mentre lei guardava la partita. Ricordo che ti ho detto anche che senza nonna non esiste Sara.»
«Lo hai detto, confermo.»
«È la verità. Vedi Vincenzo, quello che sono io lo devo solo a lei. La nonna è il mio punto fermo nel mondo, la persona che mi ha fatto crescere così, che mi ha fatto credere che avrei potuto avere tutto quello che sognavo, l’unica che non ho mai dovuto temere che mi lasciasse sola.
Lei ti piacerebbe tantissimo, ne sono sicura. Ha 73 anni l’anno prossimo ed è una super tifosa della Fiorentina. Lei sta al viola come io sto al rosa: siamo donne monocromatiche! Ha avuto una vita per niente per niente facile, ma non si è mai arresa. È una forza della natura e spero di somigliarle in qualcosa pure io.
La cosa speciale di nonna è che, nonostante l’età è una donna super moderna. Ogni volta che parliamo di uomini, perché a lei racconto davvero tutto, mi dice: ma chi te lo fa fare! Con gli uomini vivi tutte le esperienze che vuoi (in realtà non usa queste parole ma cerco di essere fine) ma mantieni la tua indipendenza sempre. Non ti accontentare, non aver paura di rimanere sola. Vivi e rispetta sempre te stessa.
Mi sembra un pensiero davvero incredibile per una donna della sua età, non trovi? E io sono cresciuta con questa missione: quella di salvaguardare la mia indipendenza, di seguire i miei sogni, di non accontentarmi mai. Di essere felice. Perché di questo parliamo no?»
«Sì, parliamo proprio di questo amica mia.»
«Perfetto, allora passo alla seconda persona, la conosci bene anche tu, Vincenzo: questa persona è Giancarlo.
Per poterti spiegare cos’è Giancarlo per me, devo raccontarti prima della mia storia lavorativa e di come l’incontro con quest’uomo mi ha cambiata.
Finita la scuola, sono stata chiamata a lavorare in uno dei più grandi hotel di Firenze. A quei tempi, anche se dire a quei tempi mi fa sentire molto vecchia, si usava guardare i risultati che venivano affissi fuori dalle scuole, al diploma, e chiamare almeno per un colloquio gli studenti migliori. Io mi ero diplomata con 100 e lode all’istituto alberghiero (sì, ne vado estremamente fiera perché sono una secchiona tremenda) e fui chiamata per il mio primo colloquio di lavoro e mi sono ritrovata catapultata a 18 anni, nel periodo di Pitti Uomo, una delle fiere più importanti che riempiono Firenze, al banco di un hotel che più che a un hotel assomigliava a un porto di mare.
Vincenzo, 331 camere, un via vai continuo. A distanza di anni, credo che quel posto mi abbia formata nel modo migliore. Una sfida continua, per una ragazzina come me appena uscita dalla scuola. Un campo di battaglia, dove ho imparato tanto, anche a gestire overbooking di 200 camere. È stata la mia prima esperienza, è durata 4 anni e l’ho lasciata solo perché l’amore mi ha portato a trasferirmi a Roma.
Quando sono tornata a Firenze, perché caro Vincenzo io lontana da casa non riesco a starci più di tanto, sono andata a lavorare per un hotel ed è stato il periodo lavorativamente più buio della mia carriera. È stato un anno molto difficile, me la sono vista brutta non solo dal punto di vista del lavoro (prenotazioni, contratti, revenue, sales, ecc.) ma anche per l’ambiente umano. Non so neanche io come ho fatto a resistere.
Vedi, tra le mie convinzioni più profonde c’è che tutto succede per un motivo e così a un certo punto mi proposero di andare a lavorare a Villa Olmi. Come puoi immaginare non ci pensai neanche due minuti: presentai le dimissioni e mi lanciai senza troppo riflettere in questa nuova avventura. Purtroppo però anche la situazione che trovai nel nuovo posto non era delle più rosee, al tempo c’erano tanti cambiamenti in atto e molta incertezza sul futuro dell’azienda.»
«Un’altra situazione tosta da affrontare.»
«Tosta? Vincenzo, fui assalita dal panico. Sai, per quanto complicato fosse, avevo lasciato un lavoro a tempo indeterminato che per me era una sicurezza, per un posto in cui non ero certa della fine che avrei fatto. E per una ragazza come me, che si è sempre mantenuta da sola, senza nessun altro aiuto se non le proprie entrate, pensare di ritrovarsi senza lavoro era una preoccupazione indicibile.
Tra le novità che aleggiavano nell’aria c’era quella dell’arrivo di un certo Giancarlo Carniani come direttore sia di Villa Olmi che di Mulino di Firenze.
Panico. Paura. Mille domande: “ma chi è questo Giancarlo Carniani?” e, soprattutto, “mi darà modo di farmi conoscere?”. Perché sai la preoccupazione più grande era che in questa fase di cambiamento, il nuovo arrivato avrebbe fatto semplicemente piazza pulita, senza tanti se e tanti ma.
Uno dei miei aneddoti preferiti dell’epoca è il seguente: andai ad un certo punto, presa dal panico, a chiedere informazioni su questo Giancarlo ad una delle persone del vecchio management per sapere cosa ne pensasse o cosa si dicesse in giro di quest’uomo.
La risposta mi gelò: “Visto il tuo carattere tuo (ma qual è poi il mio carattere dico io?) e quello del Carniani, non andrete mai d’accordo”.»
«Immagino come ti sentisti.»
Vincenzo, mi si gelò letteralmente il sangue. Era la fine. Come avrei fatto a pagare l’affitto, a campare? Mi sarebbe toccato cercare un altro lavoro.
Poi arrivò questo Giancarlo Carniani e dopo pochi giorni io mi ammalai, credo per lo stress, e pensai “adesso si che mi farà fuori”.»
«E invece?»
«E invece quell’incontro avrebbe cambiato la mia vita lavorativa. Giancarlo mi chiamò e mi disse che da allora in poi mi sarei occupata del Sales & Marketing. Ero stata assunta già come direttrice commerciale, ma prima del suo arrivo mi avevano fatto fare di tutto (nuova politica tariffaria, prenotazioni, offerte, eventi) tranne che il mio lavoro.
Mi disse che avrei viaggiato tanto, e che la mia scrivania sarebbe dovuta essere vuota per la maggior parte del tempo, perché questo fanno i commerciali: viaggiano.
E se ci penso adesso mi viene da sorridere, perché quando sono in giro per il mondo per promuovere l’hotel, mi manda i messaggi sconsolato per chiedermi quando torno.
«Insomma gli manchi!»
«Certo che gli manco! Ma la verità è che sa quel giorno, io ho trovato la mia strada.
Ho iniziato a viaggiare: America, Europa, Australia; sono andata in posti che sono certa non avrei mai visto senza il mio lavoro; ma soprattutto ogni giorno ho imparato qualcosa di nuovo e ogni giorno il mio lavoro mi ha posto davanti ad una sfida diversa, da superare.
Non ti voglio annoiare dicendoti in cosa consiste esattamente il lavoro di direttrice commerciale, perché non ti voglio fare una job description che puoi trovare ovunque, ma voglio dirti una cosa secondo me più importante: da bambina non avrei mai pensato che un giorno la mia vita avrebbe preso questa direzione. Non avrei mai pensato che sarei andata 2 volte l’anno a New York, che mi sarei svegliata la mattina sempre felice di andare in ufficio, che non mi sarei annoiata mai, che avrei imparato sempre qualcosa di nuovo e di diverso.
Ecco Giancarlo è stato il mio “regalo lavorativo”. Io non ce le ho le parole per spiegarti bene il legame che mi lega a quest’uomo. Sono tante le componenti e le sfaccettature.»
«Provaci lo stesso.»
«Posso dirti questo: in questi anni ho avuto diverse offerte di lavoro, anche economicamente più vantaggiose, ma non ho trovato niente che facesse anche minimamente pari con il “valore” del duo che componiamo io e Giancarlo. Lui dice che sono la sua moglie da lavoro, con chiaro riferimento anche a quanto gli rompo le scatole; a volte dice che siamo come John Lennon e Paul Mccartney, ma in qualsiasi modo vogliamo definirci, caro Vincenzo, niente ha più importanza per me di lavorare con lui.»
«Bellissimo. Se mi dici che cos’è per te il lavoro prometto che ti lascio andare.»
«Scherzi? Per me questa domanda è importantissima.
Il lavoro per me, insieme al mio personale successo in questo campo, è la mia rivincita. È il mio “ce l’ho fatta” senza mai avere la presunzione di essere arrivata. Il mio lavoro è la fortuna di vedere il mondo che da piccina leggevo solo nei libri, o che vedevo nei film. È l’essere fiera di me stessa. È il dire ce la faccio anche se sono “sola”, senza un uomo. È una sfida sempre nuova, perché caro Vincenzo, chi lavora con Giancarlo non ha tempo di annoiarsi. È conoscere persone in ogni angolo del mondo. È sentirsi fortunata quasi sempre anche se non non sempre, perché ricordiamoci bene che viaggiare per lavoro non è come andare in vacanza. Il mio lavoro è sentire la mancanza di casa quando sono lontana e la voglia di ripartire non appena sono rientrata. È leggere le email di notte con il fuso americano, arrabbiarsi perché non stacchi mai ma sapere in fondo che non potresti né vorresti essere diversa da come sei.
Il mio lavoro è sapere che se qualcuno mi chiede qual è il tuo desiderio per il futuro lavorativo, io non posso che rispondere di averlo già realizzato anche se non smetterò mai di andare avanti.
Il mio lavoro non è tutta la mia vita, ma ne è una parte fondamentale e, soprattutto, ne è una delle parti più belle. Per questo Vincenzo, e per molto altro, non mi ritengo fortunata, perché tutto quello che ho me lo sono guadagnato. Mi ritengo una persona felice, questo sì. E so che non è una cosa da poco.»
Post scriptum del 21 Gennaio 2018
Caro Diario, non so tu, ma io quando Sara aveva scritto «Amo New York, e sto pensando di tatuarmi il suo skyline su un braccio» avevo letto «alla prima occasione mi faccio tatuare il suo skyline su un braccio», perché per come la conosco e per come si è raccontata me la immagino così, e così è. Lo skyline di New York city c’è, come puoi vedere dalla foto, accompagnato sui social da queste righe di Jack Kerouac, che lei non lo sa ma lui e Allen Ginsberg quando avevo 14 anni sono stati il mio portale verso la beat generation e la letteratura america: «Era troppo per crederla vera; così complicata, immensa, insondabile. E così bella, vista da lontano: canyon d’ombra e di luce, scoppi di sole sulle facciate in cristallo, e il crepuscolo rosa che incorona i grattacieli come ombre senza sfondo drappeggiate su potenti abissi.» Ecco, direi che per adesso è tutto, ma non escludo di ritornare ancora.