Le radici di Crescenzo


Caro Diario, la decisione di raccontare Crescenzo l’ho presa un venerdì sera, però la colpa non è della pizza con le patate e le cipolle nel ruoto, nella teglia, anche se quel profumo, quel sapore e quella morbidezza mi hanno fatto viaggiare indietro nel tempo di quasi 50 anni. 
Era da quando con Cinzia ci siamo andati la prima volta, un po’ di mesi fa, che lo tengo d’occhio. La leggerezza e la bontà delle pizze, la cura con la quale le prepara, l’amore che mette nelle cose che prepara, la faccia che fa quando gli dici che tutto quello che hai mangiato, non solo la pizza, ti è piaciuto un sacco, sono tutte cose che non mi sfuggono, perché lo sai come funziona, allo voce lavoro ben fatto tengo il quinto senso e mezzo come Dylan Dog e sono allenato come Michael Jordan.
Insomma per farla breve il sabato ci siamo visti da lui intorno a mezzogiorno, che tanto il locale è aperto al pubblico solo di sera e abbiamo potuto parlare con tutta la tranquillità che ci serviva.

Facciamo così amico Dario, partiamo come si faceva una volta, dalla carta d’identità: Crescenzo Della Ragione, 44 anni, di Bacoli, compagno e prossimo marito di Ilaria Esposito, sua complice anche nel lavoro, e figlio di Antonio,  operaio della Selenia con una straordinaria passione per la cucina.
«Sì, Vincenzo, è stato mio padre a trasmettermi questa grande passione per la gastronomia, lui è bravissimo, mi ha insegnato davvero tanto.
Per il resto che ti devo dire, ho preso il diploma alla scuola alberghiera e mi ero anche iscritto all’università, l’idea era di studiare legge però poi ho lasciato perché a 21 anni ho aperto il mio primo locale.»
«Crescenzo di questo parliamo dopo, adesso continua a dirmi qualcosa di te.»
«Già, come se fosse facile, un po’ non ci sono abituato e un po’ per  carattere non mi piace molto parlare di me, comunque ci provo.»
«Ecco, bravo, provaci.»
«Che ti devo dire, da ragazzo ho giocato a pallanuoto, ho fatto nuoto di fondo, mi piacciono tutti gli sport, atletica, tennis, tutti, compreso il calcio, naturalmente tifo per il Napoli, anche se non mi posso definire un ultras.
Per il resto mi piacciono il colore rosso e le sue diverse tonalità, i film di Mastroianni e di Totò, in generale mi piacciono le cose fatte bene anche se dirle a te mi fa un po’ strano. Ah, da bambino era appassionatissimo di pittura e mi piacciono i luoghi dove posso sentire la natura. 
Mi piace andare a respirare l’aria dei Campi Flegrei, vado spesso al Lago d’Averno e faccio lunghe passeggiate. Vincenzo io li adoro questi luoghi, penso che si capisce.»

Si, caro Diario, ti assicuro che si capisce. Così come si capisce che quando Crescenzo dice che non gli piace raccontare di sé non lo dice così per dire, perché per tirargli le parole di bocca ci vuole la tenaglia del dentista, io a dire ci stanno altre cose che puoi raccontare di te e lui a rispondere no e poi mentre stai lì a parlare di altro se ne esce che la musica è la sua passione, che suona la chitarra, la mandola, il mandolino, il banjo, insomma tutti gli strumenti a plettro, che a trasmettergli questa passione è stato Antonio Gamba, barbiere di Bacoli scomparso da qualche anno che suonava la chitarra e aveva una scuola di musica.

Come dici amico Diario? Che peccato non poterci parlare con un barbiere così? A chi lo dici, senti che mi ha detto Crescenzo:
«Vincenzo, era una persona eccezionale, pensa che da lui sono passati, nel senso che hanno fatto i primi passi, musicisti diventati importanti, e anche mia sorella che oggi è una brava musicista diplomata al conservatorio ha iniziato con lui.»
«Incredibile. A proposito, non mi hai detto quale tipo di musica ti piace.»
«Vincè, tutta la musica, tutti i generi, basta che è bella. Jazz, bossanova, magrebina, musica bella dal mondo. Ma adesso abbiamo finito con me? Possiamo parlare del lavoro?»
«Possiamo»
«Bene. Ho cominciato a lavorare che avevo una quindicina d’anni, d’estate, quando non c’era la scuola, come puoi immaginare facevo il bagnino, e ho lavorato anche in un parco acquatico delle vicinanze. Il primo lavoro serio è stato a 21 anni, te ne ho già accennato, ho aperto un locale nel centro storico di Bacoli. Il locale si chiamava Tarumbò, come uno dei pezzi di Bella ‘mbriana di Pino Daniele. Vincenzo, sono stati 8 anni di fuoco, pure io tenevo il fuoco. Facevo sia la pizza che assaggi dei piatti della tradizione fatti come Dio comanda, e qui c’era anche mio padre che esprimeva la sua arte culinaria. Comunque Tarumbò non era solo un posto dove mangiare, era anche un punto d’incontro per la gioventù dell’epoca, un punto di ritrovo anche culturale. Purtroppo però ci sono stati sempre problemi con i vicini, dal mio punto di vista pretestuosi, ma insomma dopo 8 anni ho mollato.»
«Da come ne parli deve essere stata una scelta dolorosa.»
«Dolorosa? Pensa che per la rabbia e per la delusione me ne sono andato a Roma, ho aperto un locale a Ostia, sono stato lì per 3 anni, andava benissimo, si guadagnava benissimo, se avessi aperto la notte ci sarebbe stata gente e se avessi aperto di mattina pure. Pensa che adesso è uno dei locali più importante di Ostia.»
«E perché sei tornato a Bacoli?»
«Perché la malinconia mi scoppiava ogni minuto in petto, come appocundria di Pino Daniele. Mi mancavano i miei Campi Flegrei, Vincenzo, era una mancanza viscerale, mi mancavano i luoghi, gli amici, senza di loro ero un uomo senza identità. E non si può vivere così.»

Crescenzo tiene ragione, caro Diario, non si può vivere senza identità, e così è tornato e ha cominciato a lavorare per altri locali, attivando anche  collaborazioni interessanti, divertendosi a fare belle cose, e però con minori responsabilità di quelle che aveva prima, almeno per un po’.
Perché si, poi il tempo passa, in parte le ferite si rimarginano e così Crescenzo si riprende il Tarumbò, che non te l’ho detto ancora amico mio ma quello è un locale da sempre della mia famiglia del nostro Crescenzo, il suo bisnonno vendeva lì oggetti da pesca e la nonna e la mamma hanno per anni continuato la tradizione. Altri tempi, il modello era quello casa negozio, si riusciva a stare figli, genitori e se occorreva pure i nonni tutti in una stanza.

«Vincenzo, quello è il posto dove mia madre mi raccontava le storie, il posto dove sono cresciuto con i miei genitori e i miei nonni,  il posto dove ho trascorso un’infanzia bellissima, da sogno, senza mai essere assillato, il posto dove ho preso conoscenza dei profumi e dei colori della mia terra, non so se mi spiego.»
«Ti spieghi!»
«Mi fa piacere. In quel posto lì ci sono le mie radici, è per questo che  quando ho deciso di aprire un locale più comodo, dove avere anche un po’ di spazio esterno per l’estate e me ne sono venuto qui l’ho chiamato Radici.
Guarda che questo posto qui l’ho scelto apposta, queste pietre vecchie hanno una storia, qui entrano continuamente persone che si ricordano che in questo forno si faceva il pane, le foto antiche appese non ci stanno per caso, io qui dentro mi sento a casa.»

Sono d’accordo con te amico Diario, Crescenzo è prima di tutto una bella persona, lo vedi quando ti dice che per la sera sta preparando baccalà e ceci, quando ti consiglia di mangiare le crespelle con piselli e pancetta e poi ti viene a chiedere in un certo modo, un po’ come si vergognasse di chiederti se ti sono piaciute e un po’ come si preparasse a essere contento quando gli dirai che erano squisite.
Si, amico Diario, le pizze saporite, leggere e soffici fatte solo con ingredienti di stagione sono importanti, però è quando dice che a lui non basta fare la pizza buona che il suo obiettivo è darti un’emozione che fa la differenza.

«Vincenzo mi devi credere, non è facile, questo lavoro pretende dedizione e impegno, e talvolta è dura, perché tenere la barra sulla qualità è dura, perché questo contesto che amo così tanto non aiuta, e insomma capita che vorrei dare di più e non ci riesco. Qualche sera fa con Ilaria abbiamo ragionato proprio sulla necessità di avere motivazioni forti anche quando i risultati non sono quelli che ci aspettiamo e forse ci meritiamo.»
«E sì, le motivazioni sono importanti.»
«Già, e infatti ci siamo detti che bisogna tenercele strette se vogliamo fare quello che ci appassiona veramente e trasmetterlo agli altri. Alla fine per me il lavoro è questo. Perché sicuramente quelli come noi devono vivere del loro lavoro, però se non ti esprimi, se non sei soddisfatto perché lo hai fatto bene il tuo lavoro, comunque non fai una bella vita.»
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